giovedì 5 marzo 2015

lezioni di volo - Aristide Bellacicco



l gesto di battere le ali presuppone la flessione delle ginocchia: questa è la prima e unica regola che i maestri ci hanno trasmesso. Molti di noi hanno perso il sonno e la serenità  nel tentativo estenuante  di  trovarne una motivazione razionale. Non ve n’è alcuna: i maestri avevano scoperto  il come, non il perché. Vi ricordate le prime riunioni – ancora clandestine, a quei tempi –  che si tennero subito dopo il ritrovamento del Libro dei Voli? C’era un enorme entusiasmo, tutti  eravamo giovani e disposti a dare la vita perché quelle parole si avverassero. Quanti morti! Ventidue soltanto nella prima settimana di tentativi. Raccoglievamo i corpi senza vita sui marciapiedi e, nel buio, li trasportavamo in quello che ora è diventato un monumento nazionale, il Sacrario  dei Caduti per Sbaglio (SCS). All’epoca era solo una vecchia rimessa abbandonata all’estrema periferia della città, che aveva il vantaggio di non essere distante dal luogo dove si tenevano le lezioni e si effettuavano i  lanci: il tetto della Torre di Kan.



Con questo  nome, forse un po’ altisonante,  chiamavamo fra noi  il  grattacielo in ristrutturazione la cui terrazza superiore avevamo scelto come  aula di studio e  piattaforma di lancio. L’immenso stabile era disabitato da anni,  i lavori fermi da almeno sei mesi per mancanza di fondi. Poiché gli ascensori non funzionavano, bisognava salire ogni volta a piedi fin lassù: erano seimilacinquecento gradini, ci volevano più di tre ore per arrivare sulla terrazza e un’ora buona per riprenderci dalla fatica. Calcolavamo i tempi in modo tale da essere sicuri di arrivare in cima entro l’una del mattino e di cominciare le attività  verso le due.  Angelo – il Ritrovatore -  prendeva la parola per primo: alla luce di una torcia elettrica tenuta da Licia, leggeva la regola, assai lentamente,  tre volte di seguito.  Subito dopo si facevano avanti i volontari.  La nostra ingenuità, ubriaca di entusiasmo,  era grande: chissà perché, ci eravamo convinti che lanciarci  da un luogo elevato, il più possibile distante dal terreno, ci avrebbe favoriti, dandoci modo, durante   la caduta libera, di mettere in atto la regola fondamentale e di trasformare il precipitare secondo la legge di gravità in quel magnifico compromesso fra caduta e progressione che è il volo.

Ricordo come fosse oggi il primo e ultimo volo di  Lucio. E quello di Kostia, quello di  Grunen e di Salvatore. Furono i  volontari della prima notte, quelli che più  sentivano l’urgenza di provare, le prime vittime  di quella  tormentosa smania che, da lì a poco, avrebbe rischiato di travolgerci tutti in un’unica, definitiva caduta. La tecnica era la stessa: oltrepassavano  la recinzione di metallo, che era divelta  in più punti, si mettevano a filo del cornicione, poi flettevano le ginocchia e aprivano le braccia. Non so se chiudessero gli occhi nel momento decisivo, ma non credo. Volevano vedere, esserci in ogni istante della procedura. Con uno scatto,  riaddrizzavano le ginocchia e via nell’aria. Ma nessuno di loro ricomparve in alto, nessuno sorvolò la terrazza recuperando vittoriosamente lo spazio d’aria che li separava dalla terra, non avvenne il mistero gaudioso che ci aspettavamo. Andarono giù come sassi uno dopo l’altro,  senza nemmeno  prendere atto del destino di chi li aveva appena preceduti, nel lancio  e nella morte.

Alla fine della prima settimana, come ho già detto, i caduti toccarono il  numero di ventidue. Eppure, continuavamo a ricevere, quasi ogni giorno, nuove richieste di iscrizione e la terrazza, di notte, era sempre affollata. L’ottavo giorno, dopo che Angelo, aiutato da Licia, ebbe dato le tre rituali letture della regola, e prima che si facessero avanti i volontari, mi alzai e chiesi la parola. Compagni – dissi – propongo una pausa di riflessione. Non mi sembra il caso di avere altri morti anche stanotte.
Angelo non mi lasciò nemmeno  terminare.
Parla per te, Gioacchino,  – mi ribattè duro – qui nessuno costringe nessuno. Il volo è per tutti. Chiunque ha il diritto di provare, se lo desidera.
Gli obiettai che, evidentemente, nella regola c’era qualcosa che non funzionava o che non        avevamo ben compreso.
Nessuno mette in discussione l’autorità dei maestri – dissi – ma è pur vero che finora abbiamo avuto solo insuccessi. Ci deve pur essere un motivo.
Si alzò allora Ester. Era una ragazza di poco più di vent’anni, talmente minuta e leggera da dare l’idea  che avrebbe potuto volare col solo aiuto di un colpo di vento.
Scusatemi – disse vincendo la timidezza – io sono qui solo da due giorni, e volevo chiedere una cosa ad Angelo.
Angelo, di cui alla luce della torcia tenuta  da Licia si vedevano solo gli occhi infiammati e furibondi, le fece segno di proseguire.
Ecco – riprese Ester – mi sono domandata più volte perché non possiamo provare a partire da terra.

Quella notte, sulla torre di Kan  non ci furono volontari. Quei due o tre che sembravano pronti, si tirarono indietro. Angelo  disse che era pronto a dare le dimissioni e a lasciare il posto a chi se ne sentiva più degno.  Il prestigio del Ritrovatore era immenso: era stato Angelo a viaggiare per mesi e mesi , seguendo tracce così deboli che parevano scomparire se solo le si guardava troppo intensamente, affaticandosi nei deserti e sui mari e affrontando strani e nuovi pericoli di cui non voleva parlare,  era stato Angelo, lui solo, a riportare alla luce  il Libro dei Voli. E’ vero che i tempi erano maturi e l’attesa cresceva di giorno in giorno: ma senza Angelo saremmo tutti rimasti allo stadio di semplici sognatori, invecchiando di nostalgia e di tristezza incollati alla terra.
A gran voce, le dimissioni vennero respinte. Ciononostante, mi accorsi che l’obiezione di Ester aveva avuto  un certo successo. Chiesi nuovamente la parola: ero uno dei membri più anziani e la mia opinione godeva di un notevole credito.
Il gesto di battere le ali presuppone la flessione delle ginocchia – dissi – l’insegnamento dei maestri è tutto qui. Non si parla di luoghi elevati: se fosse stato necessario lanciarsi dall’alto, sono sicuro che l’avrebbero rivelato. Ai loro tempi, non esistevano i grattacieli, sono d’accordo: ma c’erano senz’altro le montagne, i ponti sospesi e le scogliere a picco sul mare. E poiché la Regola non è in forma di frammento, ma di frase conclusa e definitiva,  e lo testimonia il fatto che termina con un punto, nulla ci autorizza a pensare che qualcosa di essa sia andato perduto. Quindi – conclusi – propongo che si abbandoni la torre di Kan e che si ricominci a provare partendo da terra.

Ci fu una lunga discussione, quella notte, ma nessun morto. Quando cominciò ad albeggiare senza che nessuna decisione fosse stata presa, considerai comunque un successo aver impedito nuove cadute. Angelo era fuori di sé. Non appena riguadagnammo il marciapiede, sgombro, almeno per quella volta, da corpi infranti, mi si avvicinò e mi afferrò per un braccio.
Ti stai prendendo una bella responsabilità – mi sibilò all’orecchio – rischi di passare  alla storia come colui che ha dissuaso per sempre gli uomini dal volo. Non so se ti conviene, riflettici. Vuoi forse provocare una scissione? – disse infine con uno strano sorriso.
La mattina dopo andai a cercare Ester all’università. Non c’era tempo da perdere, Angelo era capace di tutto. Le parlai e ci comprendemmo al volo. Le diedi appuntamento per il pomeriggio in una villa al centro, e andai a dormire.

Purtroppo non riuscimmo ad evitare il peggio. Per quella notte, Angelo aveva organizzato sul tetto della torre di Kan un’adunanza di oltre cento persone, tutti volontari pronti al lancio. Non so come ci fosse riuscito, ma in quelle cose ci sapeva fare da grande maestro.
Ester ed io ci alzammo in volo quasi nello stesso momento, verso le quattro di pomeriggio, sotto gli occhi di donne e bambini che passeggiavano e giocavano fra i grandi alberi e i cespugli di lillà. Era semplice: bastava piegare le ginocchia, allargare le braccia e muovere lentamente le mani come ali. Un attimo dopo  si era in aria insieme  agli uccelli. Non bisognava affatto saltare: era questo  il messaggio dei maestri.  Il salto non è che  una rozza e profana parodia  del volo: la grande e fallimentare fatica dell’atleta, il gioco puerile del paracadutista o la muscolare esibizione del tuffatore, che scende veloce come una rondine di mare senza mai poterne replicare  il furibondo scatto verso il cielo, l’inversione del senso. Solo piegare le ginocchia, inchinarsi alla terra come a pregarla di  lasciarci andare. Un gesto semplice e umile al quale la terra non dice mai di no. Le gambe, questo è importante, andavano tenute flesse anche durante il volo, perché la terra non dimenticasse la nostra preghiera.
Ester ed io volammo per tutto il pomeriggio fino alla sera e poi dentro la notte. E assistemmo impotenti alla grande strage che Angelo portò a termine, caduta dopo caduta, fino alle luci dell’alba, quando i morti erano così tanti da raggiungere il primo piano del grattacielo come  un’ atroce piramide. Nessuno ci vide volteggiare disperati sulla torre di Kan, nessuno guardava verso l’alto.

Ora che siamo vecchi , Ester ed io andiamo ancora, di tanto in tanto,  a trovare Angelo. Il volo è passato di moda, lo coltivano solo pochi  nostalgici, guardati con commiserazione o al massimo con indulgenza dagli uomini e dalle donne che, alla fine, hanno preferito la terra. Forse non gli si può dar torto, chissà: non voglio rispondere a questa domanda, e nemmeno Ester. 
Angelo vive da solo in un piccolo appartamento al centro. E’ ancora lui il Cerimoniere del Sacrario dei Caduti per Sbaglio (SCS), ma alla celebrazione annuale siamo sempre di meno. Non so se il nostro vecchio capo e amico provi rimorso per quell’ultima, folle notte. Non se ne parla mai, per via di Licia, che fu l’ultima  a saltare nel vuoto e per via dello stesso Angelo, che alla fine non saltò.  Preferiamo invece prendere una birra e ricordare le cose migliori che abbiamo fatto insieme. Il metodo di Gioacchino ed Ester – partire da terra –  ebbe per molti anni un successo tale da mettere addirittura in discussione l’esistenza di dio. Ora fa parte delle enciclopedie ed è materia di documentari  e trasmissioni televisive dedicate ai grandi eventi del passato.  Angelo è sempre  ricordato e  citato come il Ritrovatore, ha ancora il suo onore e  il suo posto nei libri di storia è assicurato. Ma quasi nessuno vola più, lo stesso Angelo non si è mai sollevato da terra, perché, e in questo è rimasto lo stesso di sempre, non ha mai voluto ammettere la sua arretratezza. Le lezioni di volo sono finite, ad eccezione di qualche giornalista che viene a trovarci per un servizio e ci chiede  di farci  riprendere mentre voliamo. Allora, se  siamo  dell’umore giusto, Ester ed io spalanchiamo insieme le braccia ed agitiamo le mani come ali, lentamente. Poi  flettiamo le ginocchia e la terra, come sempre, ci lascia andare.

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