E’ ben noto che il movimento di massa, che a partire dalla
seconda metà del 1967, si diffuse in tutta l’Europa occidentale, in Gran
Bretagna e negli Usa, presentò subito un’ambiguità di fondo – intendo la
compresenza di rivendicazioni e di parole d’ordine, per un verso, legate
direttamente alla lotta di classe anticapitalistica ma, per l’altro, che
richiamavano temi, invece, della cosiddetta ‘rivoluzione sessuale’ e che,
dunque, si collegavano alla cosiddetta Sexpolitik di certo marxismo tedesco
post rivoluzionario (W. Reich, ad es.), ma anche e fondamentalmente a quel
radicalismo borghese, che accompagnò per tutto l’Ottocento lo stabilizzarsi del
dominio del grande capitale (temi caratteristici di tale radicalismo sono, come
dovrebbe esser noto, il femminismo, la rivendicazione di libertà per la
devianza sessuale e per il consumo di droghe).
Insomma, il movimento che si sviluppa a partire dal ’67-’68 si caratterizza, fin da subito, per rivendicazioni, che si estendono su tutti i livelli dell’esperienza umana (si ricordi il significativo slogan il privato è politico), senza avere tuttavia la coscienza del modo di coesistenza di tali livelli e, così, mostrandosi incapace di comprenderli ognuno nella propria determinatezza, specificità e valenza storica.
E’ in questo contesto che la ripresa dei temi del marxismo rivoluzionario si intrecciarono, paradossalmente, con il rifiorire di orientamenti anarchici (si ricordi che, appunto nel 1968, fu ristampato in Italia L’ Unico, il libro di Stirner, largamente criticato da Marx nella Ideologia tedesca) e che iniziò quell’ uso linguistico, che progressivamente finì col sostituire al termine, classista, di proletariato le più generiche qualificazioni ( intrise di impronte religiose), quali gli ultimi, gli oppressi, i più deboli, gli emarginati.
A tutto ciò va unito l’estendersi di un orientamento politico che, identificando stalinismo con organizzazione, centralizzazione e distinzione di ruoli, riprese la problematica consigliare, ma in modo astratto, unilaterale, vale a dire, facendone l’assoluto altro rispetto all’istanza organizzativa, intesa – quest’ ultima- come sinonimo di deformazione burocratica.
A questo punto le cose si radicalizzano: da un lato, in seguito alla durezza dello scontro politico con l’esistente organizzazione statuale, si consolidò la tendenza a non ingabbiare il movimento nelle maglie di una disciplina teorico-organizzativa ma di enfatizzarne il carattere di movimento libero e creativo, perché espressione diretta delle masse; dall’altro, tutto al contrario, si andarono costituendo formazioni (a volte di una certa ampiezza), addirittura neo-staliniste – e quindi, centralizzate, gerarchicizzate e ideologizzate (nel senso più deteriore e dogmatico del termine).
E’ questo il punto su cui vorrei richiamare l’attenzione. Una caratteristica fondamentale del movimento, che qui ci interessa, fu l’identificazione di cose come centralizzazione e organizzazione con la tradizione stalinistica (comunque quest’ultima venisse valutata).
Ed ecco la mia tesi: l’identificazione con lo stalinismo di organizzazione e centralizzazione e la sua contrapposizione all’anima più profonda del movimento, individuata con l’enfasi su ciò che vien direttamente, ‘dal basso’, diverrà una indiscussa convinzione anche per tutti i gruppi e partitini, che dal ’67-’68 derivarono.
E’ ovvio che dietro tutto ciò vada individuata una conoscenza assai lacunosa della storia sovietica e delle difficoltà, che effettivamente l’orientamento marxista rivoluzionario, che in gran parte possiamo identificare con Lenin, incontrò non solo nel quadro dell’ ‘asiatica’ Russia, ma anche in una situazione politica generale a livello internazionale ed, in fine, per certe profonde ambiguità, che son caratteristiche del comportamento delle masse. Non potendo, in questa sede, trattare questo insieme di questioni, isoliamone una e così riusciremo, con relativa facilità, ad affrontare un aspetto assai caratteristico della fase attuale di quella sinistra, che ripropone la lotta contro la formazione politico-sociale capitalistica.
Come si ricorderà, in risposta alla Luxemburg che criticava il progetto di costruire il socialismo nell’arretrata Russia, Lenin invitava a sua volta die rote Rose (la Luxemburg, appunto) a riflettere su quella specifica barbarie, con cui il movimento rivoluzionario doveva (e dovrà) fare in conti nella lotta per rovesciare l’imperante modo di produzione, ormai giunto alla sua fase imperialistica. Vediamo meglio.
Una lunga esperienza storica, in effetti, mostra certe ambiguità dell’atteggiamento delle grandi masse, che ha rilevanti conseguenze politico-sociali e che, tra l’altro, determinò – tra fine Ottocento ed inizio del Novecento – ad uno specifico ramo della psicologia, ovvero alla Massenpsychologie, per usare il termine utilizzato da Freud.
Il fenomeno fondamentale, che tale psicologia mise in luce, fu quello dell’ambiguo alternarsi, nel comportamento di massa, di momenti di grande effervescenza, capacità di lotta, moralità e disponibilità al sacrificio per raggiungere il mutamento radicale di una realtà politico-sociale, vissuta come ingiusta e negatrice di sacrosante esigenze umane; con momenti al contrario di passività, di chiusura nella angusta dimensione del privato, del meramente individuale, con la conseguenza, da parte delle masse, del disgregarsi, del chiudersi in sé, della rinuncia ad un protagonismo politico e del delegare tutto ciò, che non sia immediatamente identificabile con un proprio, particolare interesse, all’Autorità, al potere costituito, all’ organizzazione politica attualmente dominante.
In epoca moderna questa ambiguità delle masse si è riscontrata nella Rivoluzione Francese, ma anche in quella sovietica – come riscontrò dolorosamente lo stesso Trockij ed è importante richiamare la circostanza che questo tema è parte centrale della critica al bolscevismo, che Kautsky sviluppò nel suo Terrorismo e comunismo ed a cui rispose, per mandato dell’Ic, Trockij con uno scritto dallo stesso titolo.
In questo contesto, il tema centrale è la convinzione kautskiana, secondo cui gli stessi bolscevichi dovevano preoccuparsi di costruire istituti, capaci di garantire la democraticità della vita politica in Russia, una volta che l’identificazione pratica fra masse e partito comunista fosse stata sostituita, appunto, dal ritrarsi delle grandi masse nella disgregazione individualistica. – e questo va ben rimarcato: nella fase di conversione dell’effervescenza di massa nel proprio contrario, avviene un recupero diffuso e testardo di tutto il patrimonio ideologico, che era servito a consolidare il potere precedente, nel nostro caso, il modo di produzione capitalistico. E’ noto che lo stesso Lenin partecipò direttamente alla polemica contro Kautsky, con lo scritto Il rinnegato Kautsky: se riconsideriamo ora i tre testi (quello di Kautsky e quelli di Lenin e Trockij) non possiamo sottrarci alla conclusione che da parte bolscevica non si riuscì a rispondere in modo chiaro e adeguato al problema, che Kautsky aveva posto.
Se collochiamo questa problematica alla situazione attuale, il periodo, che va dalla fine degli anni sessanta ad oggi, ci ripropone l’oscillazione di massa dall’effervescenza alla disgregazione individualistica e politicamente rinunciataria, con la conseguenza di una rinnovata adesione all’ideologia, di cui il potere ha bisogno per sostenersi e consolidarsi, perfino, sia pure in un momento tanto problematico come l’attuale.
Se così stanno le cose, è chiaro che un appello da parte comunista alla diretta espressione di ciò che le masse vogliono, senza accompagnare tale appello ad un intenso e largo lavoro, che miri a divulgare conoscenze e ragionamenti, fondati storicamente ma contraddittori della coscienza ideologica, dunque, un appello al diretto intervento delle masse, senza impegnarsi nella costruzione contemporaneamente di una coscienza critica, equivarrebbe a sterile retorica e finirebbe col consolidare temi, privi di un reale fondamento storico (ad es., la critica di quel fantasma chiamato patriarcato che, se è mai esistito, è di fatto da gran tempo morto).
Stefano Garroni
16-12-2013
Insomma, il movimento che si sviluppa a partire dal ’67-’68 si caratterizza, fin da subito, per rivendicazioni, che si estendono su tutti i livelli dell’esperienza umana (si ricordi il significativo slogan il privato è politico), senza avere tuttavia la coscienza del modo di coesistenza di tali livelli e, così, mostrandosi incapace di comprenderli ognuno nella propria determinatezza, specificità e valenza storica.
E’ in questo contesto che la ripresa dei temi del marxismo rivoluzionario si intrecciarono, paradossalmente, con il rifiorire di orientamenti anarchici (si ricordi che, appunto nel 1968, fu ristampato in Italia L’ Unico, il libro di Stirner, largamente criticato da Marx nella Ideologia tedesca) e che iniziò quell’ uso linguistico, che progressivamente finì col sostituire al termine, classista, di proletariato le più generiche qualificazioni ( intrise di impronte religiose), quali gli ultimi, gli oppressi, i più deboli, gli emarginati.
A tutto ciò va unito l’estendersi di un orientamento politico che, identificando stalinismo con organizzazione, centralizzazione e distinzione di ruoli, riprese la problematica consigliare, ma in modo astratto, unilaterale, vale a dire, facendone l’assoluto altro rispetto all’istanza organizzativa, intesa – quest’ ultima- come sinonimo di deformazione burocratica.
A questo punto le cose si radicalizzano: da un lato, in seguito alla durezza dello scontro politico con l’esistente organizzazione statuale, si consolidò la tendenza a non ingabbiare il movimento nelle maglie di una disciplina teorico-organizzativa ma di enfatizzarne il carattere di movimento libero e creativo, perché espressione diretta delle masse; dall’altro, tutto al contrario, si andarono costituendo formazioni (a volte di una certa ampiezza), addirittura neo-staliniste – e quindi, centralizzate, gerarchicizzate e ideologizzate (nel senso più deteriore e dogmatico del termine).
E’ questo il punto su cui vorrei richiamare l’attenzione. Una caratteristica fondamentale del movimento, che qui ci interessa, fu l’identificazione di cose come centralizzazione e organizzazione con la tradizione stalinistica (comunque quest’ultima venisse valutata).
Ed ecco la mia tesi: l’identificazione con lo stalinismo di organizzazione e centralizzazione e la sua contrapposizione all’anima più profonda del movimento, individuata con l’enfasi su ciò che vien direttamente, ‘dal basso’, diverrà una indiscussa convinzione anche per tutti i gruppi e partitini, che dal ’67-’68 derivarono.
E’ ovvio che dietro tutto ciò vada individuata una conoscenza assai lacunosa della storia sovietica e delle difficoltà, che effettivamente l’orientamento marxista rivoluzionario, che in gran parte possiamo identificare con Lenin, incontrò non solo nel quadro dell’ ‘asiatica’ Russia, ma anche in una situazione politica generale a livello internazionale ed, in fine, per certe profonde ambiguità, che son caratteristiche del comportamento delle masse. Non potendo, in questa sede, trattare questo insieme di questioni, isoliamone una e così riusciremo, con relativa facilità, ad affrontare un aspetto assai caratteristico della fase attuale di quella sinistra, che ripropone la lotta contro la formazione politico-sociale capitalistica.
Come si ricorderà, in risposta alla Luxemburg che criticava il progetto di costruire il socialismo nell’arretrata Russia, Lenin invitava a sua volta die rote Rose (la Luxemburg, appunto) a riflettere su quella specifica barbarie, con cui il movimento rivoluzionario doveva (e dovrà) fare in conti nella lotta per rovesciare l’imperante modo di produzione, ormai giunto alla sua fase imperialistica. Vediamo meglio.
Una lunga esperienza storica, in effetti, mostra certe ambiguità dell’atteggiamento delle grandi masse, che ha rilevanti conseguenze politico-sociali e che, tra l’altro, determinò – tra fine Ottocento ed inizio del Novecento – ad uno specifico ramo della psicologia, ovvero alla Massenpsychologie, per usare il termine utilizzato da Freud.
Il fenomeno fondamentale, che tale psicologia mise in luce, fu quello dell’ambiguo alternarsi, nel comportamento di massa, di momenti di grande effervescenza, capacità di lotta, moralità e disponibilità al sacrificio per raggiungere il mutamento radicale di una realtà politico-sociale, vissuta come ingiusta e negatrice di sacrosante esigenze umane; con momenti al contrario di passività, di chiusura nella angusta dimensione del privato, del meramente individuale, con la conseguenza, da parte delle masse, del disgregarsi, del chiudersi in sé, della rinuncia ad un protagonismo politico e del delegare tutto ciò, che non sia immediatamente identificabile con un proprio, particolare interesse, all’Autorità, al potere costituito, all’ organizzazione politica attualmente dominante.
In epoca moderna questa ambiguità delle masse si è riscontrata nella Rivoluzione Francese, ma anche in quella sovietica – come riscontrò dolorosamente lo stesso Trockij ed è importante richiamare la circostanza che questo tema è parte centrale della critica al bolscevismo, che Kautsky sviluppò nel suo Terrorismo e comunismo ed a cui rispose, per mandato dell’Ic, Trockij con uno scritto dallo stesso titolo.
In questo contesto, il tema centrale è la convinzione kautskiana, secondo cui gli stessi bolscevichi dovevano preoccuparsi di costruire istituti, capaci di garantire la democraticità della vita politica in Russia, una volta che l’identificazione pratica fra masse e partito comunista fosse stata sostituita, appunto, dal ritrarsi delle grandi masse nella disgregazione individualistica. – e questo va ben rimarcato: nella fase di conversione dell’effervescenza di massa nel proprio contrario, avviene un recupero diffuso e testardo di tutto il patrimonio ideologico, che era servito a consolidare il potere precedente, nel nostro caso, il modo di produzione capitalistico. E’ noto che lo stesso Lenin partecipò direttamente alla polemica contro Kautsky, con lo scritto Il rinnegato Kautsky: se riconsideriamo ora i tre testi (quello di Kautsky e quelli di Lenin e Trockij) non possiamo sottrarci alla conclusione che da parte bolscevica non si riuscì a rispondere in modo chiaro e adeguato al problema, che Kautsky aveva posto.
Se collochiamo questa problematica alla situazione attuale, il periodo, che va dalla fine degli anni sessanta ad oggi, ci ripropone l’oscillazione di massa dall’effervescenza alla disgregazione individualistica e politicamente rinunciataria, con la conseguenza di una rinnovata adesione all’ideologia, di cui il potere ha bisogno per sostenersi e consolidarsi, perfino, sia pure in un momento tanto problematico come l’attuale.
Se così stanno le cose, è chiaro che un appello da parte comunista alla diretta espressione di ciò che le masse vogliono, senza accompagnare tale appello ad un intenso e largo lavoro, che miri a divulgare conoscenze e ragionamenti, fondati storicamente ma contraddittori della coscienza ideologica, dunque, un appello al diretto intervento delle masse, senza impegnarsi nella costruzione contemporaneamente di una coscienza critica, equivarrebbe a sterile retorica e finirebbe col consolidare temi, privi di un reale fondamento storico (ad es., la critica di quel fantasma chiamato patriarcato che, se è mai esistito, è di fatto da gran tempo morto).
Stefano Garroni
16-12-2013
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