Trascrizione dall'audio
dell'incontro organizzato dal collettivo di formazione marxista "Maurizio
Franceschini" di Roma - 15/01/96 - (Trascrizione ad opera del compagno Giacomo Turci) -
http://www.treccani.it/enciclopedia/feticismo_(Dizionario_di_filosofia)/
ALESSANDRA CIATTINI: [...] Da taluni, ad esempio da Manuel, che ha scritto un libro molto importante sulla riflessione e sulla religione, viene considerato solo un dilettante erudito. Comunque a noi qui interessa mettere in evidenza che De Brosses aveva svariati interessi. È intervenuto su problemi che a quel tempo erano importanti (siamo nel '700 francese), problemi di vario tipo. Si è occupato dell'origine del linguaggio, dell'origine della religione, e si è occupato anche di problemi geografici - siamo nell'epoca in cui continuano le grandi scoperte geografiche. Vediamo più dettagliatamente questa sua opera sul feticismo, sul culto degli déi feticci. Questa opera è abbastanza significativa ancora oggi per l'antropologia religiosa. L'antropologia religiosa è un sotto-settore dell'antropologia culturale, che da un lato si occupa di ricostruire e di descrivere in maniera dettagliata le varie forme di vita religiosa che si manifestano nelle società più disparate, anche se prevalentemente l'antropologo religioso studia le società a livello etnologico, cioè le società semplici, le società primitive cosiddette, anche se questa parola oggi viene condannata, ma forse è abbastanza adeguata - le società extraeuropee, le società esotiche, cioè quelle che si collocano ai livelli più semplici di vita economica e sociale. L'altra questione di cui si occupa l'antropologia religiosa è una questione più rilevante e che ha dei risvolti anche filosofici - è la questione se sia possibile individuare una struttura logica e specifica del comportamento della credenza religiosi, che consenta di stabilire paralleli e di fare comparazioni tra le varie forme di religiosità. Quindi l'antropologia religiosa si pone il problema di capire se la religione, rispetto alle altre forme di comportamento e di pensiero, ha una sua specificità distintiva. L'opera di De Brosses in realtà è significativa ancora oggi soprattutto per questo secondo punto. Riguardo al primo punto non è più significativa perché ovviamente De Brosses si basava sull'opera di viaggiatori, di missionari, di commercianti ecc., che davano reportage delle società primitive con cui entravano in contatto che spesso non erano del tutto veritieri e falsificati da motivazioni economiche e politiche. De Brosses è il primo che parla di feticismo, è il primo che utilizza questa parola, è lui che la inventa. Questa parola è stata ripresa successivamente da vari autori molto diversi, per esempio Comte, che ne fece uno stadio di sviluppo mentale dell'umanità. Diciamo che lo stadio feticistico è il primo stadio dello stadio teologico; successivo al feticistico abbiamo il politeistico e il monoteistico: così Comte descriveva la prima fase di sviluppo mentale ed intellettuale dell'umanità. Questo termine fu usato anche da Hegel e da Marx.
Sappiamo che Marx aveva una
edizione in lingua tedesca di questa opera di De Brosses e che leggeva negli
anni 42-43, quindi quando stava per scrivere i manoscritti parigini. Poi anche
Freud riprese questo termine.
Vediamo in primo luogo come De
Brosses costruisce questo termine, qual è l'etimologia di questa parola. La
parola "feticcio" deriva, dice De Brosses stesso, dal nome che i
commercianti portoghesi - siamo nel '500, i primi viaggiatori europei che
entrano in contatto con l'Africa occidentale, che è una parte molto
interessante per l'antropologo, una parte dove si trovano delle civiltà
abbastanza evolute rispetto al resto dell'Africa: dei veri e propri regni che
fondavano la propria ricchezza su una economia di tipo schiavistico, e che
avevano relazioni con i musulmani, coi quali scambiavano schiavi, e nel '500
poi cogli europei, coi portoghesi. Quindi "feticcio" è la parola che
i commercianti portoghesi davano agli oggetti venerati dagli africani. La
"parola feticcio", afferma De Brosses, deriva dalla radice latina
comune alle espressioni fatum, fanum, far che indicano
varie attività religiose; in particolare indicano: l'atto del profetare, di
fare delle profezie, il fare oracoli e anche l'atto del consacrare una certa
persona od un certo oggetto ad un dio, di rendere qualcosa sacro. In questo
senso, dice De Brosses, la parola "feticcio" vuol dire "cosa
fatata" (d'altra parte, la parola "fatato" deriva da fatum eccetera),
"consacrata", "divina". In realtà, se noi andiamo a
prendere un vocabolario di italiano, ci rendiamo conto che non viene spesso
riportata questa etimologia di De Brosses, ma viene riportata un'altra
etimologia, ed esattamente l'etimologia che fa derivare la parola
"feticcio" dalla parola latina facere, ed esattamente nella
forma factitius; factitius vuol dire "fatto dall'uomo",
"artificiale". Infatti, i feticci molto spesso erano degli oggetti
che gli uomini stessi costruivano - pensiamo ai talismani o agli amuleti che
usiamo ancora anche noi – e che, per un rivolgimento paradossale, l'uomo stesso
poi si mette a venerare e ad adorare. Comunque, entrambe queste etimologie sono
perfettamente in armonia con la spiegazione che De Brosses dà del feticismo.
Vediamo cosa sono i feticismi: sto seguendo la trattazione di De Brosses, anche
se sarò abbastanza breve. I feticci, scrive De Brosses, sono i primi oggetti
che è piaciuto ad una nazione o ad un individuo (quindi possono essere sociali
od individuali) far consacrare da un sacerdote (quindi da uno specialista, da
un operatore del sacro) e che vengono adorati con atti di culto. I feticci
possono essere di tipi diversissimi; ad esempio, ne citiamo alcuni: alberi,
montagne, animali, pietre, oggetti costruiti dall'uomo – dicevo prima: gli
amuleti, i talismani. Ad esempio, tra i vari tipi di feticci citati da De
Brosses, De Brosses ricorda la bocca della verità, che si trova nelle nostre
città, e che viene considerata un feticcio, proprio un esempio classico perché
è un qualcosa costruito dall'uomo che si ritiene sia divino e sia in grado di
fare oracoli. Tra gli atti di culto praticati nei confronti di un feticcio,
ricordiamo i tabù – anche questa una parola, di origine antropologica, che ha
avuto tantissimo successo: pensate a "Totem e tabù" di Freud. Che
cosa significa il tabù? Il tabù è un atto di magia negativa, nel senso che è un
atto di evitazione, cioè certi oggetti vengono ritenuti talmente sacri,
talmenti pregni di divinità e di sacralità che non possono essere toccati nè
guardati nè mangiati, ad esempio – penso "mangiati" nel caso in cui
il feticcio possa essere un animale. Quindi, la religione feticista prevede
degli atti di culto attivi, omaggi sacrifici eccetera, e degli atti di culto
negativi durante i quali ci si astiene dall'entrare in rapporto coll'oggetto
feticcio; nel caso fosse un animale, appunto, ci si astiene dal mangiarne la
carne. Vediamo perché De Brosses utilizza, inventa questo termine. De Brosses
scrive il suo libro in un momento in cui la tematica (siamo nel '700) della
religione, la rifessione sulla religione, è ampiamente sviluppata; in questo
contesto circolano varie teorie della religione che in larga parte sono state
ereditate dal pensiero classico, ma che vengono riprese e sviluppate. De
Brosses ne cita alcune: una teoria della religione assai diffusa in quel
periodo, ma ancora oggi valida, anche se trasformata, è l'evemerismo.
Evemerismo deriva da Evemero, che è uno scrittore vissuto tra il III e il IV
sec. a.c., uno scrittore greco. Evemero scrisse un'opera assai interessante, di
cui noi abbiamo solo alcuni frammenti, nella quale si sosteneva la tesi che le
divinità non avevano altro che esseri, individui, eroi che avevano avuto una
grande rilevanza, sia storica, politica in certi contesti. Proprio in virtù di
questa rilevanza alla fine venivano deificati. Di Pietro potrebbe essere un
esempio.
L'altro tipo di teoria della
religione è il sabeismo. Sabeismo viene da Saba, tutti avrete sentito parlare
della regina di Saba. Il sabeismo è quella teoria della religione che era
propria dell'Arabia preislamica e che era caratterizzata dal culto degli astri.
Mentre per gli evemeristi la religione nasceva dal culto nei confronti di
personaggi storici successivamente deificati, il sabeismo era una teoria che
spiegava la religione come culto originario degli astri.
L'altra teoria, che si sviluppa
anch'essa in epoca classica, in particolare dagli autori platonici, e che viene
ripresa nel rinascimento, è l'allegorismo. De Brosses ce l'ha in particolare
con l'allegorismo, vediamo perché_ l'allegorismo è quella teoria della
religione seguita, sia da autori pagani che da autori cristiani, secondo la
quale le credenze e le pratiche pagane non dovevano essere interpretate
letteralmente, ma allegoricamente. Ad esempio, il ruolo monarchico di Zeus
nell'antica religione greca potrebbe essere interpretato dal punto di vista
cristiano, come l'esigenza di esprimere simbolicamente l'unità del creato nella
figura del suo sovrano; in questo modo, dando una interpretazione allegorica
alle credenze pagane, le si recuperavano, quindi si mostrava che anche gli antichi
greci e gli antichi romani avevano carpito i segreti del cosmo, avevano capito
che esisteva effettivamente il divino, e quindi in questo modo appunto tutte
queste credenze venivano recuperate. Questa è stata la politica dei padri della
Chiesa che ha tentato appunto un recupero del paganesimo mescolandolo in
maniera intelligente con il cristianesimo, togliendo a quest'ultimo tutti i
suoi aspetti più popolareschi e rozzi. È contro l'allegorismo che De Brosses
scrive questo libro, perché l'allegorismo si fonda su una serie di presupposti
che De Brosses assolutamente non condivide. Infatti l'allegorismo, con la sua
interpretazione simbolica della religione volta a recuperare le antiche
credenze pagane, consentiva di mantenere in piedi il pregiudizio che gli
antichi pensatori erano portatori di una profonda sapienza da cui i moderni
avrebbero dovuto imparare. Cioè l'allegorismo, in fin dei conti, ribadiva che i
veri sapienti erano gli antichi, anche se esprimevano la loro sapienza in forma
allegorica, e i moderni non dovevano fare altro che riprendere i testi antichi
e sceverarli, studiarli in maniera analitica per riscoprire questa verità.
Questa impostazione era del tutto in contraddizione con il progressismo, sia
pur moderato, di De Brosses. Progressismo che vuol dire esattamente il
contrario del presupposto accettato dagli allegoristi, e cioè l'idea che la
storia sia un processo di sviluppo e un processo di evoluzione, per cui coloro
che si trovano agli inizi della fase storica sono sicuramente più rozzi, più
semplici rispetto a coloro che si trovano nelle fasi avanzate. Quindi
l'allegorismo doveva essere combattuto perché aveva questa visione
inaccettabile dal punto di vista del progressista De Brosses. Nel '700 si
sviluppano una serie di interpretazioni dell'evoluzione della storia, della
società, delle istituzioni umane. Tematiche che poi saranno riprese, e
sviluppate più ampiamente dagli antropologi evoluzionisti dell'800. Comunque le
basi del progressismo, che poi si trasformerà in ideologia del progresso,
vengono poste nel '700. In che cosa consiste il feticismo per De Brosses? In
primo luogo, occorre sottolineare che, per De Brosses, i feticci non sono
simboli - ovviamente, perché, se non era d'accordo con l'interpretazione
allegorica, non potevano essere simboli, cioè non stanno per qualcosa di
diverso, non significano qualcosa di diverso da loro stessi, nel senso in cui
un quadro rappresentante la croficissione di cristo, nè è la rappresentazione,
cioè la presentazione di questo evento sotto una forma diversa da quella che
esso ha effettivamente avuta; quindi, il feticcio non è mai un simbolo. Il
feticcio è adorato per quello che effettivamente è, ossia si adora l'animale,
sempre secondo l'interpretazione di De Brosses, in quanto animale, si adora la
pietra in quanto pietra. Non è vero che colui che fa questi atti di culto nei
confronti di questi oggetti così rozzi, così elementari, immagina che siano
simboli di qualcosa che si colloca aldilà di questi stessi oggetti – per cui,
dice De Brosses, il feticismo è culto, o latrìa (parola greca) diretta.
L'altra domanda che si pone De Brosses, e che si ponevano molti autori in quel
periodo, - pensate che, ad esempio, venivano alla luce reperti archeologici
egiziani, per cui veniva fuori che le dinvinità egiziane avevano forme di
animali (toro, uccelli eccetera) – uno dei problemi degli autori di questa
epoca era questo: ma come mai gli esseri umani sono così rozzi, così stupidi da
adorare degli esseri inferiori o degli oggetti che loro stessi fabbricano. Vediamo
come De Brosses risolve questo enigma. A parere di De Brosses, le cause del
feticismo sono sostanzialmente l'ignoranza e la paura. La permanenza del
feticismo, perché De Brosses sottolinea che non è che si trovino pratiche e
credenze feticistiche solo nelle società più elementari, ma anche, ad esempio,
nel caso degli egiziani, che sono un civiltà abbastanza evoluta, troviamo
pratiche feticistiche; ma anche nella stessa Europa occidentale, sede del
cristianesimo, si trovano pratiche feticistiche. Secondo De Brosses, la
permanenza di queste pratiche feticistiche è dovuta alla inerzia mentale,
all'abitudine: una volta che certe pratiche, che certe credenze vengono
accettate, poi diventa estremamente difficile distaccarsene, e quindi per
abitudine continuiamo a praticarle. Per andare più a fondo e vedere esattamente
come ignoranza e paura funzionano per fare emergere la credenza e la pratica
feticistica, De Brosses se la cava abbastanza semplicemente, diciamo,
riproducendo pari pari (a quel tempo il plagio non era previsto come delitto)
alcune pagine della Storia naturale della religione di David Hume, che
era stata pubblicata nel 1757 ma che aveva circolato in versioni manoscritte
negli anni precedenti e che De Brosses aveva avuto modo di leggere - De Brosses
aveva avuto anche rapporti diretti, amicali con Hume. Però non cita David Hume,
dice "un autore moderno": evita di citarlo perché il nome di Hume
sarebbe stato abbastanza pericoloso.
Queste pagine noi le ritroviamo
pari pari in u'altra opera fondamentale per l'antropologia religiosa,
pubblicata più di cento anni dopo l'opera di De Brosses, ed esattamente nel
libro di Edward Burnett Tylor, un antropologo evoluzionista
dell'800 inglese, dedicato appunto alla spiegazione dell'origine della
religione: per Taylor, come per Hume, e in un certo senso anche per De Brosses,
la religione è essenzialmente antropomorfizzazione, cioè trasformazione,
interpretazione dei fenomeni naturali in senso antropomorfico. In queste pagine
riportate da De Brosses, Hume spiega la credenza e la pratica religiose
sostenendo che esse si sviluppano perché gli uomini sentono la precarietà della
loro esistenza, sono preoccupati a ciò che il futuro potrebbe riservare loro.
Cioè, Hume parte da una analisi delle condizioni esistenziali dell'uomo, anche
se dalla descrizione che lui fa di questa condizione esistenziale, si può
ricavare che Hume sta pensando a una società estremamente primitiva, in cui non
sono stati ancora sviluppati strumenti tecnologici per contrastare le forze
sconvolgenti della natura, e infatti anche Engels sottolinea come almeno certe
forme di credenza religiosa siano in connessione con il basso livello di
sviluppo tecnologico. Dice Hume, riportato da De Brosses: con l'animo colmo di
ansia e di preoccupazione gli uomini primitivi scrutano la realtà che appare
loro un teatro nel quale si scontrano forze di segno opposto: a periodi di
siccità seguono periodi di piogge torrenziali, a periodi di abbondanza seguono
periodi di carestia. Quindi la natura è il teatro di forze contrastanti: la
stessa vita individuale è il teatro di queste forze contrastanti; uno si può
ammalare, poi si può guarire ... Per tendenza naturale, dice Hume, l'uomo
finisce con il considerare queste forze contrastanti come se fossero analoghe a
lui stesso. Come se dietro queste forze ci siano delle entità antropomorfiche,
degli esseri simili agli uomini, che agiscono come gli uomini perché spinti da
certe passioni. Quindi, appunto, queste forze dotate di passioni e di
sentimenti. Egli dunque antropomorfizza i fenomeni naturali, ad esempio il
vento può trasformarsi in dio del vento, il mare in dio del mare. Abbiamo anche
le divinità del parto, che sono il segno, l'incarnazione, la proiezione di
tutte quelle ansietà che il parto può provocare alle donne. Dice Hume: l'uomo
antropomorfizza e dà vita al politeismo. Per Hume la prima forma di religione è
il politeismo, che nasce appunto da questa panoramica di forze contrastanti e
conflittuali, che vengono entificate e personificate. Questa concezione della
religione è un utile strumento per l'uomo, perché in questo modo l'uomo si è
prodotto anche uno strumento di intervento su questa divinità che lui stesso ha
creato; nel senso che, noto che questi esseri divini sono come esseri umani,
allora nella mente dell'uomo religioso queste divinità, questi esseri umani
potenziati, magnificati, potranno essere placati. Ecco allora che l'uomo ha
inventato il culto. Cioè si pensa che attraverso una serie di pratiche, pensate
al sacrificio, che è un rituale centrale di tutte le religioni, e anche della
religione cristiana, l'uomo riesce a soddisfare queste divinità e quindi a
placare per un certo periodo di tempo lo scatenarsi delle forze naturali.
Utilizzando le pagine di Hume, De Brosses dà per scontato che il suo feticismo
sia molto simile al politeismo di Hume. Per Hume il feticismo non è tuttavia
individuabile solo in fasi determinati, in certe fasi storiche della vita,
della storia, della società umana. Il politeismo e il feticismo di De Brosses
sono degli atteggiamenti mentali, potenziali nei quali possiamo sempre
ricadere; dai quali ci possiamo sempre liberare, ma nei quali possiamo sempre
ricadere e, soprattutto, cadiamo in questo atteggiamento nei periodi di crisi
sociale, nei periodi in cui ci sentiamo molto di più in balìa del caso, delle
forze misteriose e incontrastate. Infatti, Hume sottolinea che i marinai e i
giocatori sono le persone più superstiziose, più feticistiche, perché sono
delle persone che sfidano il caso, che hanno a che fare sempre di più con il
caso.
In sintonia con lo scritto di
Hume, i feticci vengono descritti da De Brosses come quegli oggetti nei quali,
nelle mutevoli circostanze della vita quotidiana, si focalizza l'attenzione del
credente, cioè di una persona ansiosa, preoccupata, angosciata. Il credente
infatti viene descritto da De Brosses come una persona incapace di stabilire
nessi di causa ed effetto tra gli eventi che osserva. Proprio perché è incapace
di stabilire questi nessi di causa ed effetto, finisce col collegare eventi che
sono tra di loro concomitanti, cioè che accadono nello stesso momento, ma che
in realtà non hanno nulla a che fare. Basti pensare, per fare un esempio tratto
dal nostro folklore italiano, ma anche europeo, pensate al gatto nero: il gatto
nero è un buon esempio di feticcio, nel senso che è un animale nel quale il
credente, il superstizioso riversa tutte le sue ansietà e tutte le sue
preoccupazione rispetto agli eventi che potrebbero accadere. Qual è il
significato profondo dellopera di De Brosses? De Brosses vuole confutare
l'allegorismo, per i suoi presupposti ideologici, perché ritiene (in sintonia
cogli altri illuministi) che, più ci si allontana dall'epoca moderna, più si è
selvaggi, anche se, in contraddizione con questo presupposto, De Brosses dice
che la civiltà non è aliena dalla superstizione, quindi anche dalla civiltà noi
troviamo la superstizione, però è ovvio che nelle fasi più arcaiche la
superstizione è preponderante. Egli ritiene anche che le concezioni religiose
feticistiche sono rozzamente primitive perché manifestazione di una forma di
pensiero concreto che non riesce ad andare al di là dell'evento vissuto,
dell'evento sperimentato. Abbiamo detto che il feticista osserva la
concomitanza di certi eventi e li associa senza cercare di andare al di là di
quella esperienza vissuta. La concretezza del feticismo sta nel fatto che il
feticista da un lato non riesce a distaccarsi dal suo vissuto, dall'altro sulla
base di questo accetta per buone quelle relazioni che gli si presentano
nell'immediata esperienza empirica. A parere di De Brosses, l'avanzamento della
civilizzazione si manifesta nel progressivo allontanamento dal pensiero
concreto e dalla sua sostituzione con il pensiero astratto. Quindi con questa
opera De Brosses proponeva tutta una lettura della evoluzione intellettuale
dell'uomo: questa evoluzione era caratterizzata dall'abbandono del pensiero
concreto per arrivare finalmente al pensiero astratto. Questa opera pubblicata
nel 1760 ha ancora una certa attualità: basti pensare che Laude Lévi-Strauss, che è sicuramente
l'antropologo più famoso dei tempi moderni, anche se forse non il più
importante, studiando in un libro pubblicato anche in italiano (Il pensiero
religioso primitivo), lo definisce come scienza del concreto, riprendendo
in parte la tematica sviluppata per la prima volta da De Bros.
--
STEFANO GARRONI: Un aspetto
importante di quello che diceva Alessandra è il fatto che il termine
"feticismo" nasce dentro una problematica molto precisa, una
problematica della antropologia della religione. Le esemplificazioni che De
Brosses fa, quando deve fornire esempi di pratiche feticistiche, hanno sempre a
che fare con un tipo di società primitiva, medievale o dell'antica Grecia, in
cui non si conosce un fenomeno tipicamente moderno, capitalistico, e cioè quello
della netta separazione tra vita privata e vita pubblica. Questo momento è di
grande importanza perché noi troviamo il termine "feticismo" usato da
Marx per intendere in definitiva quella situazione per cui le conseguenze, del
rapporto sociale che si stabilisce nel capitalismo tra capitale e lavoro,
appaiono alla coscienza, che è immersa nell'esperienza della società
capitalistica, e quindi che non ha un rapporto critico rispetto ad essa, come
caratteristiche delle cose. Per esempio il valore è il valore della merce; la
televisione ci dice che c'è l'inflazione, che cresce e si abbassa, ha la
febbre, non ha la febbre; il mercato è sensibile (un po' cretino perché dà
retta sempre a quello che dice Berlusconi, Scalfaro eccetera). Ecco, queste
conseguenze, questo modo di strutturarsi dei rapporti sociali in un momento
determinato appare, alla coscienza immersa nella società capitalistica, come
una serie di qualità delle cose: della merce, del mercato ecc. Questo Marx
indica con feticismo.
Il problema che si pone è il
seguente: perché Marx usa questo termine? Che cosa esattamente vuole intendere?
Che rapporto ha questo termine con il termine utilizzato appunto nella
tradizione antropologica? Pongo questa domanda apparentemente erudita, da
persona che ha il problema erudito di ricostruire l'esattezza di un testo. Il
perché di questa problematica ce lo mostra per esempio Napoleoni, o per esempio
Colletti; per Colletti faccio riferimento a un saggio compreso in Ideologia
e società. Qui Colletti era ancora marxista, o almeno così veniva
considerato. Il libro fu pubblicato nel 1969. Faccio riferimento al capitolo
intitolato Teoria del valore e feticismo. Anche lasciando fuori la
citazione precisa, un elemento è comune ai due i personaggi: quello di mostrare
la contraddizione fondamentale della società capitalistica basata sulla
contrapposizione, citando Napoleoni, di una tesi antropologica e morale di Marx
da un lato, e dall'altro lato il rapporto tra capitale e lavoro.; in Colletti
la contrapposizione tra individuo naturale feuerbachiano e rapporto
capitale-lavoro. In sostanza dice Napoleoni: Marx ritiene che l'essenza
dell'uomo sia la sua capacità produttiva. Questa è la tesi antropologica
sull'uomo di Marx e, ovviamente, Napoleoni cita il Marx giovane Marx dei manoscritti
parigini del '44. Questa essenza dell'uomo viene contraddetta dal rapporto
capitale-lavoro, in quanto in questo rapporto il lavoro vivo, quindi
l'attività, l'energia vitale dell'uomo, è subalterna rispetto al lavoro
oggettivato, rispetto alla macchina, rispetto al capitale. È chiaro che qui c'è
da inserire un terzo personaggio: c'è questa tesi antropologica di Marx
(l'essenza dell'uomo è la sua capacità produttiva), c'è il rapporto di
capitale, e terzo c'è un principio morale: l'essenza dell'uomo va rispettata,
salvata e potenziata. Messo insieme il sillogismo diventa questo: l'essenza
dell'uomo è la sua capacità produttiva, l'essenza dell'uomo va salvata,
rispettata e potenziata, ma il capitalismo aggioga il lavoro vivo, cioè la
capacità produttiva dell'uomo rispetto al lavoro morto, e quindi il capitalismo
va condannato. Dal punto di vista di Colletti, la questione si presenta in
questi termini: la società capitalistica produce il dominio dell'astrazione
"lavoro", del lavoro in generale, del lavoro che non è nessun lavoro
determinato, del lavoro in sé, quindi di un lavoro che è misurabile proprio
perché ha perso qualità, differenze qualitative - non è il lavoro
dell'artigiano, o del tipografo o di un altro, ma è l'astratta forza
lavorativa. Questo è misurabile; questo astratto diventa la forza dominante
rispetto all'individuo naturale, con i suoi problemi, la sua personalità, i
suoi travagli, le sue preoccupazioni... con l'uomo naturale donde, dice
Colletti, nel denunciare il carattere feticistico della società capitalistica,
che appunto considera una realtà in sé questa astrazione del lavoro, che è
l'astrazione dal lavoro vivo degli uomini - nel condannare questo dominio
dell'astrazione, questo feticismo del lavoro, Marx si rifà a Feuerbach, ed
esattamente alla critica di Feuerbach contro l'astrazione hegeliana, così come
Hegel ha astratto dal concreto pensiero dell'uomo inventando il pensiero in
astratto e facendolo meccanismo produttore della storia, analogamente il
capitalismo astrae dai lavori reali e concreti degli uomini in carne ed ossa,
produce l'astrazione lavoro e questa astrazione diventa il potere dominante e
quindi diventa quel feticcio dotato di qualità propria che si impone sugli
uomini concreti, reali, naturali (Feuerbach). Al fondo di questo c'è un
elemento parzialmente vero; c'è però in un modo sbagliato, nel senso che c'è in
modo unilaterale: c'è la contrapposizione tra società capitalistica da una
parte ed esigenza etica e rispetto della persona. La società capitalistica
opprime la persona proprio trasformando in feticcio le qualità umane astratte,
tolte dall'uomo concreto; a queste qualità, il lavoro il valore eccetera,
vengono riconosciute proprietà proprie (il mercato è nervoso, è sensibile,
l'inflazione ha la febbre ecc.) e questo meccanismo astratto dotato di qualità,
questo è il feticcio che domina l'uomo concreto e di qui la ribellione etica
contro il capitalismo. La data di pubblicazione dei testi dice che stiamo nel
clima del '68, in cui la protesta etica contro il capitalismo è cosa di massa.
Voi ricordate appunto la tematica, centralissima in quegli anni, della
contrapposizione tra vissuto e pensato. L'astratto, il pensato,
l'organizzazione, la burocrazia, la scienza come dominio dell'astrazione contro
il vissuto dell'esperienza. Questa tematica è una tematica centrale in quegli
anni. Quello che è interessante è che, se questa tematica fosse vera, se fosse
la chiave interpretativa del discorso di Marx, ovviamente si scoprirebbe che
Marx smentisce se stesso, nel senso che più di una volta lui ha dichiarato la
natura dialettica del capitale e la natura di superamento dialettico del
capitalismo da parte del comunismo; ha richiamato più volte l'utilità di
rileggere Hegel per capire la società moderna, per poterla analizzare cogli strumenti
della dialettica ma, se valesse quell'interpretazione, Marx sarebbe
antidialettico – perché? Perché, se la contrapposizione tra istanza etica e
processo costituivo di funzionamento di un insieme sociale e di un modo di
produzione [...]
L'apparenza di radicalità del
discorso di Colletti, che è appunto il punto di riferimento della sinistra
giovanile dell'epoca. Apparenza di radicalità perché questa protesta etica
contro il capitalismo non ha mediazione con il capitalismo. Non ha mediazione
perché non è una opposizione dialettica con il capitalismo: è la
giustapposizione di dimensioni che non si toccano, e di qui l'apparenza di
radicalità. La difficoltà è che bisogna cancellare tutte quelle pagine, tutte
quelle dichiarazioni, in cui Marx rivendica il carattere dialettico della sua
analisi. Noi sappiamo però che non si comprende nulla del discorso di Marx, e
neanche di Hegel, se non si tiene conto anche di una dimensione morale, nel
senso che il punto di vista dialettico si costruisce attraverso il precipitare
di vari ambiti di esperienza, di riflessione, tra cui c'è anche l'ambito
morale. Però bisogna fare una precisa distinzione: esiste un percorso formativo
di un punto di vista che è una cosa; un'altra cosa è quel punto di vista. La
storia di formazione di un punto di vista senza dubbio è fondamentale per
comprendere quel punto di vista, ma una volta costituito quel punto di vista,
ha una sua dimensione propria. Per quanto sia vero che nella costituzione del
punto di vista dialettico entrano le componenti etiche e quindi per esempio
questa convinzione profonda ereditata dal pensiero antico, classico, della
radicale socialità dell'uomo per esempio... Quanto questo sia vero e per quanto
sia vero che questa componente è costitutiva delle stesse categorie dialettiche,
però poi una volta costituite le categorie dialettiche hanno una loro
dimensione e in questa dimensione vanno valutate. Il capitalismo è
contraddittorio e questa è una tesi fondamentale dell'approccio dialettico al
capitalismo. Allora il problema è: è contraddittorio o no il capitalismo? Non
il rapporto tra capitalismo e la mia posizione morale. Cioè questo oggetto al
proprio livello, nel proprio ambito, sviluppa forze componenti contraddittorie
o no? Qui non mi posso salvare in angolo dicendo: io lo rifiuto moralmente.
Questo non ha nessunissima importanza. Propriamente da un punto di vista
dialettico non ha nessuna importanza. Posso protestare contro la storia quanto
voglio, ma il problema è sapere se il fenomeno storico è o non è contraddittorio.
Che a me piaccia o non piaccia, non interessa niente a nessuno. A me non piace
questa società, va bene, però questa è la realtà. Tu devi vedere se questa
realtà è contraddittoria. Questo è l'approccio dialettico.
Tornando a quello che diceva
Alessandra di De Brosses, allora capiamo perché è importante tener presente che
De Brosses elabora la categoria di feticismo all'interno di un arco
problematico determinato: l'antropologia religiosa nei termini attuali. Voglio
dire, all'interno di un complesso di preoccupazioni e di problemi che
appartengono a una tradizione disciplinare precisa. Secondo, il punto di
riferimento, il materiale documentario è tratto sempre da situazioni sociali in
cui manca quell'elemento fondamentale della società moderna che è la spaccatura
tra privato e pubblico.
In termini idealistici, la società moderna è caratterizzata dall'emergere della soggettività (Cartesio, l'io, il cristianesimo protestante ecc.), ricordate Pascal quando diceva che la parte vale di più del tutto, l'individuo vale più della società perché l'individuo è depositario di quella parte di divino, e qui è la società che è vincolata a dispetto allindividuo, vincolata a dispetto della trascendenza dell'uomo. L'uomo non è risolto nella società. Questa tematica, propriamente moderna, manca nelle società a cui pensa De Brosses. De Brosses si pone un problema: quali sono le caratteristiche del dell'atto di fede; il credente come ragiona, che tipo di mentalità ha? Sono due motivi fondamentali per segnare la distanza tra Marx e De Brosses nel senso che, in buona sostanza, si occupano di cose diverse, e se ne occupano nel quadro di società e problematiche diverse. Nel Manifesto, Marx sottolinea una caratteristica della borghesia che progressivamente si afferma come classe. Questa caratteristica è espressa dal verbo tedesco, che è estremamente significativo: entkleidung; letteralmente, ent indica un atto contrario, kleidung indica "vestire", quindi "dello spogliare", "del togliere indumenti", nel senso che la società capitalistica, affermandosi, riduce le istituzioni sociali all'osso economico; le spoglia di ogni significato morale, patriarcale, religioso, psicologico e le porta al livello del nudo conto in banca, della nuda relazione economica. Nel capitolo VI, Marx sottolinea il rapporto di oppressione nel capitalismo non ha nessuna giustificazione, cioè non si dà nessuna giustificazione patriarcale, morale, religiosa – in realtà non si dà nessuna giustificazione perché non ne ha bisogno – perché? Perché il rapporto di oppressione è la diretta conseguenza del modo in cui le due merci fondamentali, il denaro e la forza-lavoro, si relazionano sul mercato. Che vuol dire questa entkleidung? Vuol dire esattamente che la borghesia crea una situazione radicalmente opposta rispetto a quella che De Brosses analizza. La borghesia caccia via la religione dalla vita sociale [...] La vita sociale è ridotta a questo spogliarello in quanto è ridotta all'osso economico, e allora ecco che si ha una spaccatura netta, rigida, tra una vita sociale appiattita alla dimensione economica (riduzionismo economico) e dall'altro lato la dimensione trascendente, e l'uomo viene collocato dentro questi due regni l'uno esterno all'altro, per cui succede che non c'è più la situazione che analizzava De Brosses, ma in quella situazione De Brosses ha elaborato il termine "feticismo": nella situazione in cui la religione fa parte della vita quotidiana in cui l'istituzione sociale, la vita quotidiana stessa nelle sue pratiche è nutrita di religione. Marx analizza una situazione in cui la religione è quella cristiana, non papista, non cattolica, ma quella cristiana, della trascendenza.
Tommaso D'Aquino mostra come la ragione, fino a un certo punto, arriva a dimostrare l'esistenza di Dio. Su questa base interviene la fede e chiarisce che cosa è Dio. Ma c'è una base a cui la ragione è arrivata: non a caso il pensiero di Tommaso D'Aquino diventa il punto di riferimento centrale della Chiesa di Roma dopo la riforma protestante. Il protestante dice che non c'è mediazione tra trascendente e umano: la ragione non arriva a nulla. Veniva citato David Hume: c'è una pagina bellissima di Hume in cui mostra la totale inconsistenza di qualunque tesi che voglia mostrare la plausibilità storica dei vangeli basandosi sulla testimonianza. L'argomento tradizionale è questo: gli apostoli hanno visto, quello che hanno visto è depositato nei vangeli, dunque c'è un supporto di testimonianza. Hume mostra che, se questo criterio andasse bene, allora è chiaro che più mi allontano dal momento della testimonianza e più perdo di credibilità. Se vale la testimonianza allora vale l'immediata testimonianza. Più mi allontano dallepoca della testimonianza e meno ha forza la testimonianza stessa. E allora il dio sarebbe continuamente costretto a verificarsi rispetto alla testimonianza dei miei sensi ora.
In termini idealistici, la società moderna è caratterizzata dall'emergere della soggettività (Cartesio, l'io, il cristianesimo protestante ecc.), ricordate Pascal quando diceva che la parte vale di più del tutto, l'individuo vale più della società perché l'individuo è depositario di quella parte di divino, e qui è la società che è vincolata a dispetto allindividuo, vincolata a dispetto della trascendenza dell'uomo. L'uomo non è risolto nella società. Questa tematica, propriamente moderna, manca nelle società a cui pensa De Brosses. De Brosses si pone un problema: quali sono le caratteristiche del dell'atto di fede; il credente come ragiona, che tipo di mentalità ha? Sono due motivi fondamentali per segnare la distanza tra Marx e De Brosses nel senso che, in buona sostanza, si occupano di cose diverse, e se ne occupano nel quadro di società e problematiche diverse. Nel Manifesto, Marx sottolinea una caratteristica della borghesia che progressivamente si afferma come classe. Questa caratteristica è espressa dal verbo tedesco, che è estremamente significativo: entkleidung; letteralmente, ent indica un atto contrario, kleidung indica "vestire", quindi "dello spogliare", "del togliere indumenti", nel senso che la società capitalistica, affermandosi, riduce le istituzioni sociali all'osso economico; le spoglia di ogni significato morale, patriarcale, religioso, psicologico e le porta al livello del nudo conto in banca, della nuda relazione economica. Nel capitolo VI, Marx sottolinea il rapporto di oppressione nel capitalismo non ha nessuna giustificazione, cioè non si dà nessuna giustificazione patriarcale, morale, religiosa – in realtà non si dà nessuna giustificazione perché non ne ha bisogno – perché? Perché il rapporto di oppressione è la diretta conseguenza del modo in cui le due merci fondamentali, il denaro e la forza-lavoro, si relazionano sul mercato. Che vuol dire questa entkleidung? Vuol dire esattamente che la borghesia crea una situazione radicalmente opposta rispetto a quella che De Brosses analizza. La borghesia caccia via la religione dalla vita sociale [...] La vita sociale è ridotta a questo spogliarello in quanto è ridotta all'osso economico, e allora ecco che si ha una spaccatura netta, rigida, tra una vita sociale appiattita alla dimensione economica (riduzionismo economico) e dall'altro lato la dimensione trascendente, e l'uomo viene collocato dentro questi due regni l'uno esterno all'altro, per cui succede che non c'è più la situazione che analizzava De Brosses, ma in quella situazione De Brosses ha elaborato il termine "feticismo": nella situazione in cui la religione fa parte della vita quotidiana in cui l'istituzione sociale, la vita quotidiana stessa nelle sue pratiche è nutrita di religione. Marx analizza una situazione in cui la religione è quella cristiana, non papista, non cattolica, ma quella cristiana, della trascendenza.
Tommaso D'Aquino mostra come la ragione, fino a un certo punto, arriva a dimostrare l'esistenza di Dio. Su questa base interviene la fede e chiarisce che cosa è Dio. Ma c'è una base a cui la ragione è arrivata: non a caso il pensiero di Tommaso D'Aquino diventa il punto di riferimento centrale della Chiesa di Roma dopo la riforma protestante. Il protestante dice che non c'è mediazione tra trascendente e umano: la ragione non arriva a nulla. Veniva citato David Hume: c'è una pagina bellissima di Hume in cui mostra la totale inconsistenza di qualunque tesi che voglia mostrare la plausibilità storica dei vangeli basandosi sulla testimonianza. L'argomento tradizionale è questo: gli apostoli hanno visto, quello che hanno visto è depositato nei vangeli, dunque c'è un supporto di testimonianza. Hume mostra che, se questo criterio andasse bene, allora è chiaro che più mi allontano dal momento della testimonianza e più perdo di credibilità. Se vale la testimonianza allora vale l'immediata testimonianza. Più mi allontano dallepoca della testimonianza e meno ha forza la testimonianza stessa. E allora il dio sarebbe continuamente costretto a verificarsi rispetto alla testimonianza dei miei sensi ora.
Questo vuol dire che non c'è
fondamento a una mediazione razionale tra me e la verità cristiana; la verità
cristiana dove può avere la propria sede? E qui Hume è esplicito: in una
illuminazione diretta e miracolosa del divino. Questa è la tematica
protestante: non c'è mediazione tra uomo e Dio, c'è separazione netta e la
mediazione è possibile solo attraverso il miracolo, il quale in nessun modo è
spiegabile. Questo è tipicamente moderno. Marx opera in questa realtà e
sottolinea questa operazione, a merito della borghesia, di aver cacciato via
Dio dal mondo. Avendolo cacciato via, Dio non fa più parte del quotidiano. Il
terreno del feticcio è stato tolto, del feticcio di cui parla De Brosses. È
interessante che questo dio tolto riappare, e qui possiamo fare riferimento a
Hegel e senza dubbio alle cose che Marx scrive tra il '43 e il '44 (la
questione ebraica, la critica alla filosofia del diritto di Hegel,
l'introduzione che esce negli annali franco tedeschi, quel librone pubblicato
da Della Volpe). In particolare nella questione ebraica, ricordate che
c'è il giovane hegeliano (gli interpreti di sinistra di Hegel) che interviene
sul problema della emancipazione degli ebrei, rivendicando l'emancipazione
degli ebrei. Marx fa una contro-argomentazione (non perché sia contrario alla
emancipazione degli ebrei, ma per motivi di fondo) dicendo: se l'ebreo
rivendica la propria emancipazione in quanto ebreo, non ha diritto a farlo,
perché giustifica la propria richiesta di emancipazione su base religiosa. Ma
lo Stato moderno è emancipato dalla religione. Lo Stato religioso è esattamente
quello Stato cristiano che opprime l'ebreo. Quindi se l'ebreo rivendica la
propria emancipazione su base religiosa, allora deve riconoscere quello Stato
cristiano che l'opprime. Se vuole rivendicare l'emancipazione, non può
rivendicarla in quanto ebreo ma in quanto uomo. E allora l'ebreo dovrà
rivendicare l'emancipazione del tedesco, e non contrapporre la propria
emancipazione a quella del tedesco. Lo Stato moderno è proprio lo Stato che
realizza la massima emancipazione perché appunto emancipa l'uomo in generale.
Ma che vuol dire "l'uomo in generale"? L'uomo in generale non è
l'uomo che vive nella quotidianità delle differenze, delle situazioni
economiche, sociali, religiose, morali eccetera: è un uomo che prescinde da
tutto questo, è un uomo in cielo, un uomo astratto, un uomo come fantasma di
uomo. Lo Stato moderno è esattamente realizzatore dell'emancipazione politica,
cioè dell'uomo astratto, dell'uomo come fantasma, dell'uomo che è indifferente
alle differenze della società civile, dell'uomo in cielo (dice Marx); questo
uomo in cielo, emancipato, proprio perché è l'uomo astratto, ovviamente può
perfettamente coesistere con le differenze materiali, perché la partita
dell'emancipazione è giocata sull'altro terreno, su quello dell'uomo in
generale, non della particolarità: è il meccanismo della televisione, nel senso
che la spaccatura dell'uomo in due – l'uomo concreto, determinato, con le differenze proprie della società civile, e
dall'altro lato l'uomo in cielo, come cittadino. Noi siamo molto fieri oggi
della tematica della cittadinanza, c'è chi addirittura vuole fare la
costituzione dei cittadini, e sarebbe interessante far vedere a queste persone
che la costituzione dei cittadini già c'è: noi siamo perfettamente emancipati
sul piano politico, cioè in cielo, e ovviamente permangono però le differenze
nel meschino mondo materiale perché l'emancipazione è dell'uomo in quanto
astrazione, in quanto anima – la religione cristiana. Ovviamente quest'uomo
emancipato politicamente produce leggi in cui per esempio si afferma la parità
di tutti, quindi per esempio dell'operaio della FIAT e di Agnelli. Ovviamente
l'operaio FIAT e Agnelli sono pari, uguali in quanto non sono Agnelli e non
sono l'operaio FIAT, cioè cosa sono? Sono l'uomo in generale, l'anima, il
fantasma, l'uomo in cielo, non in terra. Una volta affermata l'uguaglianza
degli uomini in quanto fantasmi, questa legge dell'uuguaglianza piove poi sul
concreto della vita quotidiana – e allora che succede? Succede che le stesse
leggi varrano per l'operaio e per Agnelli. Qui si scopre il trabocchetto:
varranno per tutti e due; tutti e due, per esempio, saranno proprietari: uno
della propria forza-lavoro, cioè del proprio corpo, l'altro del capitale –
eccolo l'imbroglio. Allora questa emancipazione astratta, questa spaccatura
dell'uomo in due in cielo e in terra, poi ripiomba sulla terra mantenendosi
astratta, mantenendosi la separazione – e viene a falsificare i rapporti tra
gli uomini, a spacciare per egalitario un rapporto che è tutt'altro che
egalitario, e quindi a sancire il potere del più forte. Allora questo è
importante: una volta spaccato radicalmente l'uomo in due, l'anima e il corpo,
il mondano e il celeste, il celeste poi ritorna sotto forma di legge sul
mondano, e finisce per funzionare come supporto del più forte; quindi si riempe
della mondanità più spregevole, diventa
l'arma della sopraffazione. Appunto, la società capitalistica può elaborare la
costituzione democratica, certamente; può affermare la più grande libertà e
uguaglianza, ma dell'uomo in astratto. E quindi per esempio la massima libertà
e uguaglianza è nella contrattazione sul mercato, solo che tu devi vendere il
tuo corpo, e io ti do invece dei soldi e basta. E allora a questo punto ecco
che l'uguaglianza si è rovesciata nel mascheramento dell'oppressione; appunto
Marx dice che la società moderna capitalistica non ha bisogno di giustificare
moralmente, religiosamente o in altro modo il rapporto di oppressione, ma lo
realizza con i suoi meccanismi. Appunto era per questo che Lenin diceva che i
comunisti dovevano rompere l'apparato statale borghese, che la repubblica
democratica è l'ultima fase, quella più favorevole per i comunisti per rompere
lo stato borghese. Non c'è continuità tra lo stato socialista e lo stato
borghese, perché si tratta di spezzare questo circolo perverso
dell'emancipazione astratta, cioè del cielo e quindi della religione e della
mondanità, cioè i reali rapporti economici. E giustamente chiamava
"canaglie" tutti coloro i quali pensavano invece che il socialismo
fosse uno sviluppo e una continuità rispetto alla democrazia borghese: queste
erano le canaglie secondo Lenin. Ora, se per questo aspetto il discorso di Marx
è diverso e si colloca su un altro terreno rispetto a quello di De Brosses,
perché usa il termine "feticismo"? Per una ragione banalissima: De
Brosses è un autore largamente citato nell'800; è citato da Hegel, da Hume, ma
non solamente da loro. Come spesso succede a tutti noi, anche coloro i quali
scrivono libri importanti, a volte si usano per analogia, metaforicamente, dei
termini, dei riferimenti. L'errore sta nel prendere alla lettera un riferimento
che è semplicemente analogico. Ma qual è la radice di questo errore? È quella
problematica di contrapposizione morale al capitalismo che, nonostante
l'apparente radicalismo (è appunto la problematica del cattolico Napoleoni,
eminenza grigia di Berlinguer, quindi tutt'altro che di sinistra, e dell'apostata
Colletti).
Un concetto importante in Hegel è quello di "maniera", nel senso delle buone maniere. Ci sono delle pagine molto belle in cui Hegel mostra come la società civile, cioè la società borghese, quella in cui il problema fondamentale è l'egoismo privato, indossa le vesti delle buone maniere e l'adeguato cittadino della società borghese è colui il quale sa dare alla propria soggettività egoistica la veste della universalità. Questo è bellissimo perché questa operazione di incivilimento apparente (il papa che va in elicottero) cioè questa apparente accettazione del progresso, da parte della barbarie - la società capitalistica è il trionfo stesso dell'odio e delle rivalità private ma mascherate dalle buone maniere. Questo è un attacco feroce contro la società capitalistica; voi ricordate che, se Marx denuncia continuamente l'ipocrisia della società capitalistica, queste sono citazioni tutte dirette da Hegel: l'ipocrisia nel rapporto della società civile è continuamente denunciata da Hegel.
Due piccole esperienze, anche se valgono poco ovviamente: una cena con dei pittori e un pranzo con dei docenti universitari. È una illustrazione della società capitalistica: i pittori a cena che parlano della vendita dei quadri così come il panettiere parla dei dolci che ha venduto a Natale o non ha venduto. L'unico problema è: quanto posso tirar fuori dal quadro che ho fatto? I professori universitari parlano di cattedre, di carriera, di rapporti per avere avanzamenti di carriera, posti di lavoro eccetera. Questa è la realtà. Ovviamente ne parlano con una finezza enorme, casomai con la citazione in tedesco, ma è di questo che parlano. Ecco la società capitalistica è questo [...] La società capitalistica è appunto l'assemblea democratica. È interessante quella cosa di Ciampi: pensate che Ciampi dice questo, che lui ha parlato con Kohl, e Kohl gli ha chiesto se era d'accordo nel rimandare l'attuazione di Maastricht, e Ciampi ha risposto "no, dobbiamo sbrigarci": perché? Perché solo se si costruisce l'Europa possiamo impedire che la Germania diventi il potere dominante in Europa – e Kohl: "hai ragione". Credibilissimo, no?
Un concetto importante in Hegel è quello di "maniera", nel senso delle buone maniere. Ci sono delle pagine molto belle in cui Hegel mostra come la società civile, cioè la società borghese, quella in cui il problema fondamentale è l'egoismo privato, indossa le vesti delle buone maniere e l'adeguato cittadino della società borghese è colui il quale sa dare alla propria soggettività egoistica la veste della universalità. Questo è bellissimo perché questa operazione di incivilimento apparente (il papa che va in elicottero) cioè questa apparente accettazione del progresso, da parte della barbarie - la società capitalistica è il trionfo stesso dell'odio e delle rivalità private ma mascherate dalle buone maniere. Questo è un attacco feroce contro la società capitalistica; voi ricordate che, se Marx denuncia continuamente l'ipocrisia della società capitalistica, queste sono citazioni tutte dirette da Hegel: l'ipocrisia nel rapporto della società civile è continuamente denunciata da Hegel.
Due piccole esperienze, anche se valgono poco ovviamente: una cena con dei pittori e un pranzo con dei docenti universitari. È una illustrazione della società capitalistica: i pittori a cena che parlano della vendita dei quadri così come il panettiere parla dei dolci che ha venduto a Natale o non ha venduto. L'unico problema è: quanto posso tirar fuori dal quadro che ho fatto? I professori universitari parlano di cattedre, di carriera, di rapporti per avere avanzamenti di carriera, posti di lavoro eccetera. Questa è la realtà. Ovviamente ne parlano con una finezza enorme, casomai con la citazione in tedesco, ma è di questo che parlano. Ecco la società capitalistica è questo [...] La società capitalistica è appunto l'assemblea democratica. È interessante quella cosa di Ciampi: pensate che Ciampi dice questo, che lui ha parlato con Kohl, e Kohl gli ha chiesto se era d'accordo nel rimandare l'attuazione di Maastricht, e Ciampi ha risposto "no, dobbiamo sbrigarci": perché? Perché solo se si costruisce l'Europa possiamo impedire che la Germania diventi il potere dominante in Europa – e Kohl: "hai ragione". Credibilissimo, no?
In realtà, quella
contrapposizione tra una tesi morale, che io ritenga che l'essenza dell'uomo
vada rispettata, può essere un'apprezabile tesi, ma è dimostrabile? Posso
produrre una dimostrazione logica di questa mia preferenza morale? Se un altro
dicesse "no, l'essenza umana non va rispettata" quali argomenti
logicamente consistenti potrei portare a sostegno della mia tesi? In realtà
nessuno, perché qualunque dimostrazione logica ha una struttura che fa a pugni
con qualunque argomentazione morale. Immaginate il solito esempio: tutti gli
uomini sono mortali, i greci sono uomini, i greci sono mortali. Questa è una
dimostrazione logicamente perfetta. Voi capite che, nella prima premessa c'è
l'essere, così come nella seconda premessa e nella conclusione. La
dimostrazione logica di un assunto morale, di un principio morale di base,
dovrebbe funzionare in questa maniera: nelle due premesse ci dovrebbe essere l'essere,
alla conclusione ci dev'essere un "devi". Il principio morale è una
norma, un imperativo. Il principio morale non dice "così e così stanno le
cose": dice "così devi fare". Come fai a passare logicamente
dall'"è" al "devi"? Non è possibile logicamente il
passaggio. Allora è chiaro che, se la contrapposizione al capitalismo fosse
dovuta a un assunto etico, tu sei contro il capitalismo, affari tuoi, un altro
non lo è. Non c'è storia, anche per questo: in realtà l'approccio dialettico ha
la pretesa, giusta o non giusta, di essere oggettivo, cioè di non esprimere
preferenze, ma di mostrare come vanno le cose nel mondo, come si sviluppa la
storia; in questo senso è oggettivo. E allora se la contrapposizione fosse tra
capitalismo e scelta morale, contrapposizione legittimissima, figuriamoci, però
non dialettica. Allora dovremmo cancellare il capitale, Marx eccetera, e
ricominciare da capo completamente perché con Marx invece abbiamo la continua
dichiarazione che qui c'entra la dialettica. Che vuol dire questa pretesa della
dialettica all'oggettività? Il discorso è complicato, e intricato perché sapete
che abbiamo purtroppo una storia addosso in cui in Unione Sovietica, ma anche
da altre parti, si è detto "la storia procede dialetticamente, la natura
procede dialetticamente, la dialettica dà le leggi generali del movimento
storico, naturale, psicologico, chimico" eccetera. Cose assolutamente
insostenibili perché è troppo ovvio che quando per esempio dico
"movimento" in ambito chimico dico una cosa completamente diversa da
quando dico "movimento" in ambito psichico. Questo costituirsi di una
sorta di superscienza, di un movimento in generale, vuol dire che in fin dei
conti esiste quel superfilosofo che spiega al fisico, al chimico, allo
psicologo, allo storico che cosa devono pensare: è il nuovo prete, cioè il
funzionario di partito. Quando dico "obiettività della dialettica"
non intendo questo. Intendo dire il fatto che l'argomento dialettico pretende
di dire come si sviluppa la storia, e non di esprimere una preferenza di questo
o quel filosofo, cioè non di esprimere una scelta morale e quindi un atto
arbitrario. Qui la cosa potrebbe risultare più chiara se la trasformassimo in
assolutamente oscura: cioè Hegel e Marx operano una differenza tra storia
secondo il concetto e storia secondo il fenomeno. Può voler dire questo:
immaginiamo di fare una storia del passaggio dalla società feudale alla società
capitalistica, nel senso di mostrare attraverso quali contraddizioni di fondo,
radicali, di base, dal feudalesimo si è passati al capitalismo. Ricordate che
per Hegel la filosofia viene sempre dopo, perché deve avere un materiale su cui
ragionare, quindi non insegna alla storia come deve procedere, ma rende conto
di come procede la storia, che intanto è proceduta però, sennò il filosofo va
ad inventarsi le cose.
Se io analizzo il passaggio dal
feudalesimo al capitalismo negli aspetti di fondo del processo, io non parlo
del passaggio dal feudalesimo al capitalismo in Francia o in Germania o in
Inghilterra o in un altro paese, ma parlo del passaggio dal feudalesimo al
capitalismo dal punto di vista più generale, più di fondo, dal punto di vista
del concetto. Ovviamente se poi vado a studiare le storie particolari, beh, in
Francia il passaggio è avvenuto in modi in parte diversi rispetto a questa
storia del concetto, in Inghilterra in parte ancora in modi diversi perché ogni
storia poi comprende delle caratteristiche particolari, delle tradizioni, delle
contingenze eccetera. Allora l'argomento dialettico, il ragionamento
dialettico, pretende di muoversi, con Hegel, a livello della ricostruzione del
processo di sviluppo e di formazione del pensiero, ma non del pensiero di
Bergson, di Aristotele, di Platone o altro, ma di mostrare in che modo
necessariamente il pensiero sviluppandosi si costruisce. A questo livello, io
sto al livello della scienza pura, dell'idea stessa di concetto, cioè al
livello della storia concettuale in senso forte – non sto parlando della storia
del pensiero di Bergson, di Marx o di altro, dove intervengono determinazioni
storiche, casualità particolari eccetera. Pretendo di indicare un percorso che
riguarda l'essenza stessa del pensiero, il quale si costruisce sviluppandosi,
cioè nel corso della prorpia storia si va sviluppando e costruendo. È una storia
contradditoria che passa attraverso opposizioni, superamento delle opposizioni
eccetera, ma appunto la pretesa è quella di mostrare questo ritmo contorto,
complesso del pensiero – non l'idea di Hegel intorno allo sviluppo del
pensiero, ma il processo obiettivo di sviluppo del pensiero. Se questa è la
pretesa - ovviamente Marx non si occupa di questo generico problema, non sale a
questo livello di astrazione in cui si muove Hegel: sta su un terreno molto più
basso, si occupa di una dimensione del reale determinata, la dimensione della
formazione economico-sociale, e si pone il problema di dimostrare quali sono le
articolazioni fondamentali che spiegano il passaggio dall'una all'altra;
appunto, che spiegano il passaggio: le articolazioni fondamentali interne alla
cosa che spiegano il passaggio da questa a un'altra cosa, cioè a un'altra
formazione sociale. Allora la contraddizione dev'essere radicata nella cosa,
non nella coscienza dell'osservatore: io osservo la società capitalistica e
dico "mi ripugna moralmente" – affari miei. Il problema di Marx è
quello di mostrare la contraddizione interna alla cosa e quindi, attraverso
queste contraddizioni, motivare il passaggio all'altra cosa. Ora, qui di nuovo
c'è un distacco forte rispetto a De Brosses perché quello di cui parla De
Brosses è un esperienza che gli uomini hanno – gli uomini che vivono in società
determinate, che vivono in un certo modo il rapporto con le proprie paure, le proprie
ansie e la propria pochezza tecnologica, ed elaborano delle credenze. Il
problema per Marx è un altro: è quello di mostrare, appunto, il
"meccanismo contradditorio obiettivo" che da una formazione sociale
conduce ad un'altra. Se questo aggiungiamo il forte senso del distacco tra il
divino e il mondano, la trascendenza cristiana, allora abbiamo due motivi di
fondo per arrivare alla semplice conclusione: Marx aveva usato il termine
"feticismo" perché era nell'aria, ha citato analogicamente De
Brosses, ma non bisogna prendere alla lettera la faccenda, e occuparsi
seriamente di cui Marx si occupa: la società capitalistica è o no
contraddittoria?
Hume da molto giovane scrive il
Trattato della natura umana, un'opera gigantesca, che è un totale
fallimento: nessuno si accorge di questa opera, quei due o tre che la
recensiscono la stroncano, ed è un momento di grave crisi per Hume, da cui lui
esce occupandosi di politica, viaggiando, andando molto in Francia e
cominciando a scrivere saggi, non più opere e trattati. Sotto c'è il problema
di fondo: cioè la compatibilità tra società moderna e scrittura di trattati.
Cioè, rende la società moderna possibile l'elaborazione di un punto di vista
complessivo che riannodi vari piani? È questo il problema vero. Appunto, Marx Il
capitale non l'ha scritto, ci ha provato per vent'anni, ha tirato fuori un
primo libro che ha consegnato all'editore, ma il resto sono appunti, che guarda
caso terminano nelle questioni di fondo, per esempio il rapporto
stato-economia. Quando Hume consegna la logica, la consegna per questioni di
rivalità di cattedra, doveva avere la cattedra, però lui è dispiaciutissimo
perché non gli piace come è scritta, non è compiuta secondo lui. Siccome Hume
aveva fama di essere ateo - non è vero che fosse ateo, ma siccome lui insisteva
molto sul fatto che la fede religiosa fosse una faccenda di illuminazione
divina, allora non era irreggimentabile. Voi capite che le chiese ufficiali
hanno sempre visto con antipatia chi dice la religione è una faccenda di illuminazione,
perché allora è un fatto mio: fa fuori il prete. Allora lui aveva fama di
essere ateo, e allora molte volte scriveva facendo finta di non essere lui.
Scrive la recensione di un suo libro di ricerche sull'intelletto umano. Scrive
la recensione, ovviamente non firmandosela, ma per cercare anche di imporre
l'attenzione su questo libro. In questa recensione lui fa un esempio del gioco
del biliardo: il problema è quello di mostrare come nasce l'idea di causa; la
tesi è: l'idea di causa nasce perché siamo
abituati a vedere una certa successione di eventi per cui diciamo che l'evento
A è causa dell'evento B. L'esempio del biliardo: la stecca che colpisce una
palla, la palla colpisce quell'altra eccetera. Ora, facendo questo esempio
Hume, analizzandolo, mostra che dal punto di vista dell'esperienza qui esiste
semplicemente il fatto che io vedo una serie di successione di fenomeni, poi
potenzio questa serie dicendo: il fenomeno primo è la causa del secondo. Cioè
attribuisco al fenomeno primo una capacità creativa che non è giustificata
dall'esperienza che mi dice semplicemente che B segue ad A, e C segue a B. Ma
aggiunge che, dal punto di vista logico, noi potremmo esattamente immaginare
che la sequenza A-B-C non avvenga, o non avvenga in questo ordine. In altri
termini, potremmo dal punto di vista logico perfettamente immaginare che la
prima palla tocca la seconda palla e la seconda palla non si muove. Non ci
sarebbe nessuna contraddizione logica in questo. Se non cè nessuna
contraddizione logica allora è possibile che avvenga questo, ma se avvenisse
questo allora la nostra abitudine verrebbe smentita e allora noi non potremmo
parlare di rapporto causale. Questo è il senso della cosa. Quello, che a noi
interessa, è notare appunto che nell'argomento di Hume, ma anche di Kant, è
importante che il rapporto logico tra gli eventi non viene considerato qualcosa
di interno agli eventi stessi, ma un qualche cosa che invece la mente umana
apporta inquadrando gli eventi, per esempio, per abitudine, per utilità
pratiche, ma appunto questo inquadramento logico è qualche cosa che piove
addosso agli eventi per finalità umane, o per caratteristiche dell'animo umano.
Il discorso che facevo prima a proposito dell'obiettività della dialettica,
mostra che la pretesa della dialettica è appunto mostrare come dalla società
feudale alla società capitalistica si passi secondo una regolarità, cioè
secondo una serie di leggi che provengano dal muoversi stesso delle
contraddizioni della cosa, della società feudale; quindi, cercare di mostrare
come il concetto sia la regola della serie, la regola del processo. Cioè non
qualche cosa che l'uomo apporta, per utilità propria o per scelta morale o per
abitudine eccetera, sulle cose, ma che sia la legge delle cose espressione del
vivere stesso delle cose. In questo senso, questa è l'obiettività della
dialettica.
* Alessandra Ciattini, docente di antropologia delle religioni a La Sapienza.
Nessun commento:
Posta un commento