mercoledì 18 dicembre 2013

Il feticismo da un punto di vista antropologico. - A.Ciattini*, S.Garroni. -


Trascrizione dall'audio dell'incontro organizzato dal collettivo di formazione marxista "Maurizio Franceschini" di Roma - 15/01/96 - (Trascrizione ad opera del compagno Giacomo Turci) - 
http://www.treccani.it/enciclopedia/feticismo_(Dizionario_di_filosofia)/                                                                                                                                                                          
                                                                 
 


ALESSANDRA CIATTINI: [...] Da taluni, ad esempio da Manuel, che ha scritto un libro molto importante sulla riflessione e sulla religione, viene considerato solo un dilettante erudito. Comunque a noi qui interessa mettere in evidenza che De Brosses aveva svariati interessi. È intervenuto su problemi che a quel tempo erano importanti (siamo nel '700 francese), problemi di vario tipo. Si è occupato dell'origine del linguaggio, dell'origine della religione, e si è occupato anche di problemi geografici - siamo nell'epoca in cui continuano le grandi scoperte geografiche. Vediamo più dettagliatamente questa sua opera sul feticismo, sul culto degli déi feticci. Questa opera è abbastanza significativa ancora oggi per l'antropologia religiosa. L'antropologia religiosa è un sotto-settore dell'antropologia culturale, che da un lato si occupa di ricostruire e di descrivere in maniera dettagliata le varie forme di vita religiosa che si manifestano nelle società più disparate, anche se prevalentemente l'antropologo religioso studia le società a livello etnologico, cioè le società semplici, le società primitive cosiddette, anche se questa parola oggi viene condannata, ma forse è abbastanza adeguata - le società extraeuropee, le società esotiche, cioè quelle che si collocano ai livelli più semplici di vita economica e sociale. L'altra questione di cui si occupa l'antropologia religiosa è una questione più rilevante e che ha dei risvolti anche filosofici - è la questione se sia possibile individuare una struttura logica e specifica del comportamento della credenza religiosi, che consenta di stabilire paralleli e di fare comparazioni tra le varie forme di religiosità. Quindi l'antropologia religiosa si pone il problema di capire se la religione, rispetto alle altre forme di comportamento e di pensiero, ha una sua specificità distintiva. L'opera di De Brosses in realtà è significativa ancora oggi soprattutto per questo secondo punto. Riguardo al primo punto non è più significativa perché ovviamente De Brosses si basava sull'opera di viaggiatori, di missionari, di commercianti ecc., che davano reportage delle società primitive con cui entravano in contatto che spesso non erano del tutto veritieri e falsificati da motivazioni economiche e politiche. De Brosses è il primo che parla di feticismo, è il primo che utilizza questa parola, è lui che la inventa. Questa parola è stata ripresa successivamente da vari autori molto diversi, per esempio Comte, che ne fece uno stadio di sviluppo mentale dell'umanità. Diciamo che lo stadio feticistico è il primo stadio dello stadio teologico; successivo al feticistico abbiamo il politeistico e il monoteistico: così Comte descriveva la prima fase di sviluppo mentale ed intellettuale dell'umanità. Questo termine fu usato anche da Hegel e da Marx.


Sappiamo che Marx aveva una edizione in lingua tedesca di questa opera di De Brosses e che leggeva negli anni 42-43, quindi quando stava per scrivere i manoscritti parigini. Poi anche Freud riprese questo termine.

Vediamo in primo luogo come De Brosses costruisce questo termine, qual è l'etimologia di questa parola. La parola "feticcio" deriva, dice De Brosses stesso, dal nome che i commercianti portoghesi - siamo nel '500, i primi viaggiatori europei che entrano in contatto con l'Africa occidentale, che è una parte molto interessante per l'antropologo, una parte dove si trovano delle civiltà abbastanza evolute rispetto al resto dell'Africa: dei veri e propri regni che fondavano la propria ricchezza su una economia di tipo schiavistico, e che avevano relazioni con i musulmani, coi quali scambiavano schiavi, e nel '500 poi cogli europei, coi portoghesi. Quindi "feticcio" è la parola che i commercianti portoghesi davano agli oggetti venerati dagli africani. La "parola feticcio", afferma De Brosses, deriva dalla radice latina comune alle espressioni fatum, fanum, far che indicano varie attività religiose; in particolare indicano: l'atto del profetare, di fare delle profezie, il fare oracoli e anche l'atto del consacrare una certa persona od un certo oggetto ad un dio, di rendere qualcosa sacro. In questo senso, dice De Brosses, la parola "feticcio" vuol dire "cosa fatata" (d'altra parte, la parola "fatato" deriva da fatum eccetera), "consacrata", "divina". In realtà, se noi andiamo a prendere un vocabolario di italiano, ci rendiamo conto che non viene spesso riportata questa etimologia di De Brosses, ma viene riportata un'altra etimologia, ed esattamente l'etimologia che fa derivare la parola "feticcio" dalla parola latina facere, ed esattamente nella forma factitius; factitius vuol dire "fatto dall'uomo", "artificiale". Infatti, i feticci molto spesso erano degli oggetti che gli uomini stessi costruivano - pensiamo ai talismani o agli amuleti che usiamo ancora anche noi – e che, per un rivolgimento paradossale, l'uomo stesso poi si mette a venerare e ad adorare. Comunque, entrambe queste etimologie sono perfettamente in armonia con la spiegazione che De Brosses dà del feticismo. Vediamo cosa sono i feticismi: sto seguendo la trattazione di De Brosses, anche se sarò abbastanza breve. I feticci, scrive De Brosses, sono i primi oggetti che è piaciuto ad una nazione o ad un individuo (quindi possono essere sociali od individuali) far consacrare da un sacerdote (quindi da uno specialista, da un operatore del sacro) e che vengono adorati con atti di culto. I feticci possono essere di tipi diversissimi; ad esempio, ne citiamo alcuni: alberi, montagne, animali, pietre, oggetti costruiti dall'uomo – dicevo prima: gli amuleti, i talismani. Ad esempio, tra i vari tipi di feticci citati da De Brosses, De Brosses ricorda la bocca della verità, che si trova nelle nostre città, e che viene considerata un feticcio, proprio un esempio classico perché è un qualcosa costruito dall'uomo che si ritiene sia divino e sia in grado di fare oracoli. Tra gli atti di culto praticati nei confronti di un feticcio, ricordiamo i tabù – anche questa una parola, di origine antropologica, che ha avuto tantissimo successo: pensate a "Totem e tabù" di Freud. Che cosa significa il tabù? Il tabù è un atto di magia negativa, nel senso che è un atto di evitazione, cioè certi oggetti vengono ritenuti talmente sacri, talmenti pregni di divinità e di sacralità che non possono essere toccati nè guardati nè mangiati, ad esempio – penso "mangiati" nel caso in cui il feticcio possa essere un animale. Quindi, la religione feticista prevede degli atti di culto attivi, omaggi sacrifici eccetera, e degli atti di culto negativi durante i quali ci si astiene dall'entrare in rapporto coll'oggetto feticcio; nel caso fosse un animale, appunto, ci si astiene dal mangiarne la carne. Vediamo perché De Brosses utilizza, inventa questo termine. De Brosses scrive il suo libro in un momento in cui la tematica (siamo nel '700) della religione, la rifessione sulla religione, è ampiamente sviluppata; in questo contesto circolano varie teorie della religione che in larga parte sono state ereditate dal pensiero classico, ma che vengono riprese e sviluppate. De Brosses ne cita alcune: una teoria della religione assai diffusa in quel periodo, ma ancora oggi valida, anche se trasformata, è l'evemerismo. Evemerismo deriva da Evemero, che è uno scrittore vissuto tra il III e il IV sec. a.c., uno scrittore greco. Evemero scrisse un'opera assai interessante, di cui noi abbiamo solo alcuni frammenti, nella quale si sosteneva la tesi che le divinità non avevano altro che esseri, individui, eroi che avevano avuto una grande rilevanza, sia storica, politica in certi contesti. Proprio in virtù di questa rilevanza alla fine venivano deificati. Di Pietro potrebbe essere un esempio.

L'altro tipo di teoria della religione è il sabeismo. Sabeismo viene da Saba, tutti avrete sentito parlare della regina di Saba. Il sabeismo è quella teoria della religione che era propria dell'Arabia preislamica e che era caratterizzata dal culto degli astri. Mentre per gli evemeristi la religione nasceva dal culto nei confronti di personaggi storici successivamente deificati, il sabeismo era una teoria che spiegava la religione come culto originario degli astri.

L'altra teoria, che si sviluppa anch'essa in epoca classica, in particolare dagli autori platonici, e che viene ripresa nel rinascimento, è l'allegorismo. De Brosses ce l'ha in particolare con l'allegorismo, vediamo perché_ l'allegorismo è quella teoria della religione seguita, sia da autori pagani che da autori cristiani, secondo la quale le credenze e le pratiche pagane non dovevano essere interpretate letteralmente, ma allegoricamente. Ad esempio, il ruolo monarchico di Zeus nell'antica religione greca potrebbe essere interpretato dal punto di vista cristiano, come l'esigenza di esprimere simbolicamente l'unità del creato nella figura del suo sovrano; in questo modo, dando una interpretazione allegorica alle credenze pagane, le si recuperavano, quindi si mostrava che anche gli antichi greci e gli antichi romani avevano carpito i segreti del cosmo, avevano capito che esisteva effettivamente il divino, e quindi in questo modo appunto tutte queste credenze venivano recuperate. Questa è stata la politica dei padri della Chiesa che ha tentato appunto un recupero del paganesimo mescolandolo in maniera intelligente con il cristianesimo, togliendo a quest'ultimo tutti i suoi aspetti più popolareschi e rozzi. È contro l'allegorismo che De Brosses scrive questo libro, perché l'allegorismo si fonda su una serie di presupposti che De Brosses assolutamente non condivide. Infatti l'allegorismo, con la sua interpretazione simbolica della religione volta a recuperare le antiche credenze pagane, consentiva di mantenere in piedi il pregiudizio che gli antichi pensatori erano portatori di una profonda sapienza da cui i moderni avrebbero dovuto imparare. Cioè l'allegorismo, in fin dei conti, ribadiva che i veri sapienti erano gli antichi, anche se esprimevano la loro sapienza in forma allegorica, e i moderni non dovevano fare altro che riprendere i testi antichi e sceverarli, studiarli in maniera analitica per riscoprire questa verità. Questa impostazione era del tutto in contraddizione con il progressismo, sia pur moderato, di De Brosses. Progressismo che vuol dire esattamente il contrario del presupposto accettato dagli allegoristi, e cioè l'idea che la storia sia un processo di sviluppo e un processo di evoluzione, per cui coloro che si trovano agli inizi della fase storica sono sicuramente più rozzi, più semplici rispetto a coloro che si trovano nelle fasi avanzate. Quindi l'allegorismo doveva essere combattuto perché aveva questa visione inaccettabile dal punto di vista del progressista De Brosses. Nel '700 si sviluppano una serie di interpretazioni dell'evoluzione della storia, della società, delle istituzioni umane. Tematiche che poi saranno riprese, e sviluppate più ampiamente dagli antropologi evoluzionisti dell'800. Comunque le basi del progressismo, che poi si trasformerà in ideologia del progresso, vengono poste nel '700. In che cosa consiste il feticismo per De Brosses? In primo luogo, occorre sottolineare che, per De Brosses, i feticci non sono simboli - ovviamente, perché, se non era d'accordo con l'interpretazione allegorica, non potevano essere simboli, cioè non stanno per qualcosa di diverso, non significano qualcosa di diverso da loro stessi, nel senso in cui un quadro rappresentante la croficissione di cristo, nè è la rappresentazione, cioè la presentazione di questo evento sotto una forma diversa da quella che esso ha effettivamente avuta; quindi, il feticcio non è mai un simbolo. Il feticcio è adorato per quello che effettivamente è, ossia si adora l'animale, sempre secondo l'interpretazione di De Brosses, in quanto animale, si adora la pietra in quanto pietra. Non è vero che colui che fa questi atti di culto nei confronti di questi oggetti così rozzi, così elementari, immagina che siano simboli di qualcosa che si colloca aldilà di questi stessi oggetti – per cui, dice De Brosses, il feticismo è culto, o latrìa (parola greca) diretta. L'altra domanda che si pone De Brosses, e che si ponevano molti autori in quel periodo, - pensate che, ad esempio, venivano alla luce reperti archeologici egiziani, per cui veniva fuori che le dinvinità egiziane avevano forme di animali (toro, uccelli eccetera) – uno dei problemi degli autori di questa epoca era questo: ma come mai gli esseri umani sono così rozzi, così stupidi da adorare degli esseri inferiori o degli oggetti che loro stessi fabbricano. Vediamo come De Brosses risolve questo enigma. A parere di De Brosses, le cause del feticismo sono sostanzialmente l'ignoranza e la paura. La permanenza del feticismo, perché De Brosses sottolinea che non è che si trovino pratiche e credenze feticistiche solo nelle società più elementari, ma anche, ad esempio, nel caso degli egiziani, che sono un civiltà abbastanza evoluta, troviamo pratiche feticistiche; ma anche nella stessa Europa occidentale, sede del cristianesimo, si trovano pratiche feticistiche. Secondo De Brosses, la permanenza di queste pratiche feticistiche è dovuta alla inerzia mentale, all'abitudine: una volta che certe pratiche, che certe credenze vengono accettate, poi diventa estremamente difficile distaccarsene, e quindi per abitudine continuiamo a praticarle. Per andare più a fondo e vedere esattamente come ignoranza e paura funzionano per fare emergere la credenza e la pratica feticistica, De Brosses se la cava abbastanza semplicemente, diciamo, riproducendo pari pari (a quel tempo il plagio non era previsto come delitto) alcune pagine della Storia naturale della religione di David Hume, che era stata pubblicata nel 1757 ma che aveva circolato in versioni manoscritte negli anni precedenti e che De Brosses aveva avuto modo di leggere - De Brosses aveva avuto anche rapporti diretti, amicali con Hume. Però non cita David Hume, dice "un autore moderno": evita di citarlo perché il nome di Hume sarebbe stato abbastanza pericoloso.

Queste pagine noi le ritroviamo pari pari in u'altra opera fondamentale per l'antropologia religiosa, pubblicata più di cento anni dopo l'opera di De Brosses, ed esattamente nel libro di Edward Burnett Tylor, un antropologo evoluzionista dell'800 inglese, dedicato appunto alla spiegazione dell'origine della religione: per Taylor, come per Hume, e in un certo senso anche per De Brosses, la religione è essenzialmente antropomorfizzazione, cioè trasformazione, interpretazione dei fenomeni naturali in senso antropomorfico. In queste pagine riportate da De Brosses, Hume spiega la credenza e la pratica religiose sostenendo che esse si sviluppano perché gli uomini sentono la precarietà della loro esistenza, sono preoccupati a ciò che il futuro potrebbe riservare loro. Cioè, Hume parte da una analisi delle condizioni esistenziali dell'uomo, anche se dalla descrizione che lui fa di questa condizione esistenziale, si può ricavare che Hume sta pensando a una società estremamente primitiva, in cui non sono stati ancora sviluppati strumenti tecnologici per contrastare le forze sconvolgenti della natura, e infatti anche Engels sottolinea come almeno certe forme di credenza religiosa siano in connessione con il basso livello di sviluppo tecnologico. Dice Hume, riportato da De Brosses: con l'animo colmo di ansia e di preoccupazione gli uomini primitivi scrutano la realtà che appare loro un teatro nel quale si scontrano forze di segno opposto: a periodi di siccità seguono periodi di piogge torrenziali, a periodi di abbondanza seguono periodi di carestia. Quindi la natura è il teatro di forze contrastanti: la stessa vita individuale è il teatro di queste forze contrastanti; uno si può ammalare, poi si può guarire ... Per tendenza naturale, dice Hume, l'uomo finisce con il considerare queste forze contrastanti come se fossero analoghe a lui stesso. Come se dietro queste forze ci siano delle entità antropomorfiche, degli esseri simili agli uomini, che agiscono come gli uomini perché spinti da certe passioni. Quindi, appunto, queste forze dotate di passioni e di sentimenti. Egli dunque antropomorfizza i fenomeni naturali, ad esempio il vento può trasformarsi in dio del vento, il mare in dio del mare. Abbiamo anche le divinità del parto, che sono il segno, l'incarnazione, la proiezione di tutte quelle ansietà che il parto può provocare alle donne. Dice Hume: l'uomo antropomorfizza e dà vita al politeismo. Per Hume la prima forma di religione è il politeismo, che nasce appunto da questa panoramica di forze contrastanti e conflittuali, che vengono entificate e personificate. Questa concezione della religione è un utile strumento per l'uomo, perché in questo modo l'uomo si è prodotto anche uno strumento di intervento su questa divinità che lui stesso ha creato; nel senso che, noto che questi esseri divini sono come esseri umani, allora nella mente dell'uomo religioso queste divinità, questi esseri umani potenziati, magnificati, potranno essere placati. Ecco allora che l'uomo ha inventato il culto. Cioè si pensa che attraverso una serie di pratiche, pensate al sacrificio, che è un rituale centrale di tutte le religioni, e anche della religione cristiana, l'uomo riesce a soddisfare queste divinità e quindi a placare per un certo periodo di tempo lo scatenarsi delle forze naturali. Utilizzando le pagine di Hume, De Brosses dà per scontato che il suo feticismo sia molto simile al politeismo di Hume. Per Hume il feticismo non è tuttavia individuabile solo in fasi determinati, in certe fasi storiche della vita, della storia, della società umana. Il politeismo e il feticismo di De Brosses sono degli atteggiamenti mentali, potenziali nei quali possiamo sempre ricadere; dai quali ci possiamo sempre liberare, ma nei quali possiamo sempre ricadere e, soprattutto, cadiamo in questo atteggiamento nei periodi di crisi sociale, nei periodi in cui ci sentiamo molto di più in balìa del caso, delle forze misteriose e incontrastate. Infatti, Hume sottolinea che i marinai e i giocatori sono le persone più superstiziose, più feticistiche, perché sono delle persone che sfidano il caso, che hanno a che fare sempre di più con il caso.

In sintonia con lo scritto di Hume, i feticci vengono descritti da De Brosses come quegli oggetti nei quali, nelle mutevoli circostanze della vita quotidiana, si focalizza l'attenzione del credente, cioè di una persona ansiosa, preoccupata, angosciata. Il credente infatti viene descritto da De Brosses come una persona incapace di stabilire nessi di causa ed effetto tra gli eventi che osserva. Proprio perché è incapace di stabilire questi nessi di causa ed effetto, finisce col collegare eventi che sono tra di loro concomitanti, cioè che accadono nello stesso momento, ma che in realtà non hanno nulla a che fare. Basti pensare, per fare un esempio tratto dal nostro folklore italiano, ma anche europeo, pensate al gatto nero: il gatto nero è un buon esempio di feticcio, nel senso che è un animale nel quale il credente, il superstizioso riversa tutte le sue ansietà e tutte le sue preoccupazione rispetto agli eventi che potrebbero accadere. Qual è il significato profondo dellopera di De Brosses? De Brosses vuole confutare l'allegorismo, per i suoi presupposti ideologici, perché ritiene (in sintonia cogli altri illuministi) che, più ci si allontana dall'epoca moderna, più si è selvaggi, anche se, in contraddizione con questo presupposto, De Brosses dice che la civiltà non è aliena dalla superstizione, quindi anche dalla civiltà noi troviamo la superstizione, però è ovvio che nelle fasi più arcaiche la superstizione è preponderante. Egli ritiene anche che le concezioni religiose feticistiche sono rozzamente primitive perché manifestazione di una forma di pensiero concreto che non riesce ad andare al di là dell'evento vissuto, dell'evento sperimentato. Abbiamo detto che il feticista osserva la concomitanza di certi eventi e li associa senza cercare di andare al di là di quella esperienza vissuta. La concretezza del feticismo sta nel fatto che il feticista da un lato non riesce a distaccarsi dal suo vissuto, dall'altro sulla base di questo accetta per buone quelle relazioni che gli si presentano nell'immediata esperienza empirica. A parere di De Brosses, l'avanzamento della civilizzazione si manifesta nel progressivo allontanamento dal pensiero concreto e dalla sua sostituzione con il pensiero astratto. Quindi con questa opera De Brosses proponeva tutta una lettura della evoluzione intellettuale dell'uomo: questa evoluzione era caratterizzata dall'abbandono del pensiero concreto per arrivare finalmente al pensiero astratto. Questa opera pubblicata nel 1760 ha ancora una certa attualità: basti pensare che Laude Lévi-Strauss, che è sicuramente l'antropologo più famoso dei tempi moderni, anche se forse non il più importante, studiando in un libro pubblicato anche in italiano (Il pensiero religioso primitivo), lo definisce come scienza del concreto, riprendendo in parte la tematica sviluppata per la prima volta da De Bros.

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STEFANO GARRONI: Un aspetto importante di quello che diceva Alessandra è il fatto che il termine "feticismo" nasce dentro una problematica molto precisa, una problematica della antropologia della religione. Le esemplificazioni che De Brosses fa, quando deve fornire esempi di pratiche feticistiche, hanno sempre a che fare con un tipo di società primitiva, medievale o dell'antica Grecia, in cui non si conosce un fenomeno tipicamente moderno, capitalistico, e cioè quello della netta separazione tra vita privata e vita pubblica. Questo momento è di grande importanza perché noi troviamo il termine "feticismo" usato da Marx per intendere in definitiva quella situazione per cui le conseguenze, del rapporto sociale che si stabilisce nel capitalismo tra capitale e lavoro, appaiono alla coscienza, che è immersa nell'esperienza della società capitalistica, e quindi che non ha un rapporto critico rispetto ad essa, come caratteristiche delle cose. Per esempio il valore è il valore della merce; la televisione ci dice che c'è l'inflazione, che cresce e si abbassa, ha la febbre, non ha la febbre; il mercato è sensibile (un po' cretino perché dà retta sempre a quello che dice Berlusconi, Scalfaro eccetera). Ecco, queste conseguenze, questo modo di strutturarsi dei rapporti sociali in un momento determinato appare, alla coscienza immersa nella società capitalistica, come una serie di qualità delle cose: della merce, del mercato ecc. Questo Marx indica con feticismo.

Il problema che si pone è il seguente: perché Marx usa questo termine? Che cosa esattamente vuole intendere? Che rapporto ha questo termine con il termine utilizzato appunto nella tradizione antropologica? Pongo questa domanda apparentemente erudita, da persona che ha il problema erudito di ricostruire l'esattezza di un testo. Il perché di questa problematica ce lo mostra per esempio Napoleoni, o per esempio Colletti; per Colletti faccio riferimento a un saggio compreso in Ideologia e società. Qui Colletti era ancora marxista, o almeno così veniva considerato. Il libro fu pubblicato nel 1969. Faccio riferimento al capitolo intitolato Teoria del valore e feticismo. Anche lasciando fuori la citazione precisa, un elemento è comune ai due i personaggi: quello di mostrare la contraddizione fondamentale della società capitalistica basata sulla contrapposizione, citando Napoleoni, di una tesi antropologica e morale di Marx da un lato, e dall'altro lato il rapporto tra capitale e lavoro.; in Colletti la contrapposizione tra individuo naturale feuerbachiano e rapporto capitale-lavoro. In sostanza dice Napoleoni: Marx ritiene che l'essenza dell'uomo sia la sua capacità produttiva. Questa è la tesi antropologica sull'uomo di Marx e, ovviamente, Napoleoni cita il Marx giovane Marx dei manoscritti parigini del '44. Questa essenza dell'uomo viene contraddetta dal rapporto capitale-lavoro, in quanto in questo rapporto il lavoro vivo, quindi l'attività, l'energia vitale dell'uomo, è subalterna rispetto al lavoro oggettivato, rispetto alla macchina, rispetto al capitale. È chiaro che qui c'è da inserire un terzo personaggio: c'è questa tesi antropologica di Marx (l'essenza dell'uomo è la sua capacità produttiva), c'è il rapporto di capitale, e terzo c'è un principio morale: l'essenza dell'uomo va rispettata, salvata e potenziata. Messo insieme il sillogismo diventa questo: l'essenza dell'uomo è la sua capacità produttiva, l'essenza dell'uomo va salvata, rispettata e potenziata, ma il capitalismo aggioga il lavoro vivo, cioè la capacità produttiva dell'uomo rispetto al lavoro morto, e quindi il capitalismo va condannato. Dal punto di vista di Colletti, la questione si presenta in questi termini: la società capitalistica produce il dominio dell'astrazione "lavoro", del lavoro in generale, del lavoro che non è nessun lavoro determinato, del lavoro in sé, quindi di un lavoro che è misurabile proprio perché ha perso qualità, differenze qualitative - non è il lavoro dell'artigiano, o del tipografo o di un altro, ma è l'astratta forza lavorativa. Questo è misurabile; questo astratto diventa la forza dominante rispetto all'individuo naturale, con i suoi problemi, la sua personalità, i suoi travagli, le sue preoccupazioni... con l'uomo naturale donde, dice Colletti, nel denunciare il carattere feticistico della società capitalistica, che appunto considera una realtà in sé questa astrazione del lavoro, che è l'astrazione dal lavoro vivo degli uomini - nel condannare questo dominio dell'astrazione, questo feticismo del lavoro, Marx si rifà a Feuerbach, ed esattamente alla critica di Feuerbach contro l'astrazione hegeliana, così come Hegel ha astratto dal concreto pensiero dell'uomo inventando il pensiero in astratto e facendolo meccanismo produttore della storia, analogamente il capitalismo astrae dai lavori reali e concreti degli uomini in carne ed ossa, produce l'astrazione lavoro e questa astrazione diventa il potere dominante e quindi diventa quel feticcio dotato di qualità propria che si impone sugli uomini concreti, reali, naturali (Feuerbach). Al fondo di questo c'è un elemento parzialmente vero; c'è però in un modo sbagliato, nel senso che c'è in modo unilaterale: c'è la contrapposizione tra società capitalistica da una parte ed esigenza etica e rispetto della persona. La società capitalistica opprime la persona proprio trasformando in feticcio le qualità umane astratte, tolte dall'uomo concreto; a queste qualità, il lavoro il valore eccetera, vengono riconosciute proprietà proprie (il mercato è nervoso, è sensibile, l'inflazione ha la febbre ecc.) e questo meccanismo astratto dotato di qualità, questo è il feticcio che domina l'uomo concreto e di qui la ribellione etica contro il capitalismo. La data di pubblicazione dei testi dice che stiamo nel clima del '68, in cui la protesta etica contro il capitalismo è cosa di massa. Voi ricordate appunto la tematica, centralissima in quegli anni, della contrapposizione tra vissuto e pensato. L'astratto, il pensato, l'organizzazione, la burocrazia, la scienza come dominio dell'astrazione contro il vissuto dell'esperienza. Questa tematica è una tematica centrale in quegli anni. Quello che è interessante è che, se questa tematica fosse vera, se fosse la chiave interpretativa del discorso di Marx, ovviamente si scoprirebbe che Marx smentisce se stesso, nel senso che più di una volta lui ha dichiarato la natura dialettica del capitale e la natura di superamento dialettico del capitalismo da parte del comunismo; ha richiamato più volte l'utilità di rileggere Hegel per capire la società moderna, per poterla analizzare cogli strumenti della dialettica ma, se valesse quell'interpretazione, Marx sarebbe antidialettico – perché? Perché, se la contrapposizione tra istanza etica e processo costituivo di funzionamento di un insieme sociale e di un modo di produzione [...]

L'apparenza di radicalità del discorso di Colletti, che è appunto il punto di riferimento della sinistra giovanile dell'epoca. Apparenza di radicalità perché questa protesta etica contro il capitalismo non ha mediazione con il capitalismo. Non ha mediazione perché non è una opposizione dialettica con il capitalismo: è la giustapposizione di dimensioni che non si toccano, e di qui l'apparenza di radicalità. La difficoltà è che bisogna cancellare tutte quelle pagine, tutte quelle dichiarazioni, in cui Marx rivendica il carattere dialettico della sua analisi. Noi sappiamo però che non si comprende nulla del discorso di Marx, e neanche di Hegel, se non si tiene conto anche di una dimensione morale, nel senso che il punto di vista dialettico si costruisce attraverso il precipitare di vari ambiti di esperienza, di riflessione, tra cui c'è anche l'ambito morale. Però bisogna fare una precisa distinzione: esiste un percorso formativo di un punto di vista che è una cosa; un'altra cosa è quel punto di vista. La storia di formazione di un punto di vista senza dubbio è fondamentale per comprendere quel punto di vista, ma una volta costituito quel punto di vista, ha una sua dimensione propria. Per quanto sia vero che nella costituzione del punto di vista dialettico entrano le componenti etiche e quindi per esempio questa convinzione profonda ereditata dal pensiero antico, classico, della radicale socialità dell'uomo per esempio... Quanto questo sia vero e per quanto sia vero che questa componente è costitutiva delle stesse categorie dialettiche, però poi una volta costituite le categorie dialettiche hanno una loro dimensione e in questa dimensione vanno valutate. Il capitalismo è contraddittorio e questa è una tesi fondamentale dell'approccio dialettico al capitalismo. Allora il problema è: è contraddittorio o no il capitalismo? Non il rapporto tra capitalismo e la mia posizione morale. Cioè questo oggetto al proprio livello, nel proprio ambito, sviluppa forze componenti contraddittorie o no? Qui non mi posso salvare in angolo dicendo: io lo rifiuto moralmente. Questo non ha nessunissima importanza. Propriamente da un punto di vista dialettico non ha nessuna importanza. Posso protestare contro la storia quanto voglio, ma il problema è sapere se il fenomeno storico è o non è contraddittorio. Che a me piaccia o non piaccia, non interessa niente a nessuno. A me non piace questa società, va bene, però questa è la realtà. Tu devi vedere se questa realtà è contraddittoria. Questo è l'approccio dialettico.

Tornando a quello che diceva Alessandra di De Brosses, allora capiamo perché è importante tener presente che De Brosses elabora la categoria di feticismo all'interno di un arco problematico determinato: l'antropologia religiosa nei termini attuali. Voglio dire, all'interno di un complesso di preoccupazioni e di problemi che appartengono a una tradizione disciplinare precisa. Secondo, il punto di riferimento, il materiale documentario è tratto sempre da situazioni sociali in cui manca quell'elemento fondamentale della società moderna che è la spaccatura tra privato e pubblico.
In termini idealistici, la società moderna è caratterizzata dall'emergere della soggettività (Cartesio, l'io, il cristianesimo protestante ecc.), ricordate Pascal quando diceva che la parte vale di più del tutto, l'individuo vale più della società perché l'individuo è depositario di quella parte di divino, e qui è la società che è vincolata a dispetto allindividuo, vincolata a dispetto della trascendenza dell'uomo. L'uomo non è risolto nella società. Questa tematica, propriamente moderna, manca nelle società a cui pensa De Brosses. De Brosses si pone un problema: quali sono le caratteristiche del dell'atto di fede; il credente come ragiona, che tipo di mentalità ha? Sono due motivi fondamentali per segnare la distanza tra Marx e De Brosses nel senso che, in buona sostanza, si occupano di cose diverse, e se ne occupano nel quadro di società e problematiche diverse. Nel Manifesto, Marx sottolinea una caratteristica della borghesia che progressivamente si afferma come classe. Questa caratteristica è espressa dal verbo tedesco, che è estremamente significativo: entkleidung; letteralmente, ent indica un atto contrario, kleidung indica "vestire", quindi "dello spogliare", "del togliere indumenti", nel senso che la società capitalistica, affermandosi, riduce le istituzioni sociali all'osso economico; le spoglia di ogni significato morale, patriarcale, religioso, psicologico e le porta al livello del nudo conto in banca, della nuda relazione economica. Nel capitolo VI, Marx sottolinea il rapporto di oppressione nel capitalismo non ha nessuna giustificazione, cioè non si dà nessuna giustificazione patriarcale, morale, religiosa – in realtà non si dà nessuna giustificazione perché non ne ha bisogno – perché? Perché il rapporto di oppressione è la diretta conseguenza del modo in cui le due merci fondamentali, il denaro e la forza-lavoro, si relazionano sul mercato. Che vuol dire questa entkleidung? Vuol dire esattamente che la borghesia crea una situazione radicalmente opposta rispetto a quella che De Brosses analizza. La borghesia caccia via la religione dalla vita sociale [...] La vita sociale è ridotta a questo spogliarello in quanto è ridotta all'osso economico, e allora ecco che si ha una spaccatura netta, rigida, tra una vita sociale appiattita alla dimensione economica (riduzionismo economico) e dall'altro lato la dimensione trascendente, e l'uomo viene collocato dentro questi due regni l'uno esterno all'altro, per cui succede che non c'è più la situazione che analizzava De Brosses, ma in quella situazione De Brosses ha elaborato il termine "feticismo": nella situazione in cui la religione fa parte della vita quotidiana in cui l'istituzione sociale, la vita quotidiana stessa nelle sue pratiche è nutrita di religione. Marx analizza una situazione in cui la religione è quella cristiana, non papista, non cattolica, ma quella cristiana, della trascendenza.
Tommaso D'Aquino mostra come la ragione, fino a un certo punto, arriva a dimostrare l'esistenza di Dio. Su questa base interviene la fede e chiarisce che cosa è Dio. Ma c'è una base a cui la ragione è arrivata: non a caso il pensiero di Tommaso D'Aquino diventa il punto di riferimento centrale della Chiesa di Roma dopo la riforma protestante. Il protestante dice che non c'è mediazione tra trascendente e umano: la ragione non arriva a nulla. Veniva citato David Hume: c'è una pagina bellissima di Hume in cui mostra la totale inconsistenza di qualunque tesi che voglia mostrare la plausibilità storica dei vangeli basandosi sulla testimonianza. L'argomento tradizionale è questo: gli apostoli hanno visto, quello che hanno visto è depositato nei vangeli, dunque c'è un supporto di testimonianza. Hume mostra che, se questo criterio andasse bene, allora è chiaro che più mi allontano dal momento della testimonianza e più perdo di credibilità. Se vale la testimonianza allora vale l'immediata testimonianza. Più mi allontano dallepoca della testimonianza e meno ha forza la testimonianza stessa. E allora il dio sarebbe continuamente costretto a verificarsi rispetto alla testimonianza dei miei sensi ora.

Questo vuol dire che non c'è fondamento a una mediazione razionale tra me e la verità cristiana; la verità cristiana dove può avere la propria sede? E qui Hume è esplicito: in una illuminazione diretta e miracolosa del divino. Questa è la tematica protestante: non c'è mediazione tra uomo e Dio, c'è separazione netta e la mediazione è possibile solo attraverso il miracolo, il quale in nessun modo è spiegabile. Questo è tipicamente moderno. Marx opera in questa realtà e sottolinea questa operazione, a merito della borghesia, di aver cacciato via Dio dal mondo. Avendolo cacciato via, Dio non fa più parte del quotidiano. Il terreno del feticcio è stato tolto, del feticcio di cui parla De Brosses. È interessante che questo dio tolto riappare, e qui possiamo fare riferimento a Hegel e senza dubbio alle cose che Marx scrive tra il '43 e il '44 (la questione ebraica, la critica alla filosofia del diritto di Hegel, l'introduzione che esce negli annali franco tedeschi, quel librone pubblicato da Della Volpe). In particolare nella questione ebraica, ricordate che c'è il giovane hegeliano (gli interpreti di sinistra di Hegel) che interviene sul problema della emancipazione degli ebrei, rivendicando l'emancipazione degli ebrei. Marx fa una contro-argomentazione (non perché sia contrario alla emancipazione degli ebrei, ma per motivi di fondo) dicendo: se l'ebreo rivendica la propria emancipazione in quanto ebreo, non ha diritto a farlo, perché giustifica la propria richiesta di emancipazione su base religiosa. Ma lo Stato moderno è emancipato dalla religione. Lo Stato religioso è esattamente quello Stato cristiano che opprime l'ebreo. Quindi se l'ebreo rivendica la propria emancipazione su base religiosa, allora deve riconoscere quello Stato cristiano che l'opprime. Se vuole rivendicare l'emancipazione, non può rivendicarla in quanto ebreo ma in quanto uomo. E allora l'ebreo dovrà rivendicare l'emancipazione del tedesco, e non contrapporre la propria emancipazione a quella del tedesco. Lo Stato moderno è proprio lo Stato che realizza la massima emancipazione perché appunto emancipa l'uomo in generale. Ma che vuol dire "l'uomo in generale"? L'uomo in generale non è l'uomo che vive nella quotidianità delle differenze, delle situazioni economiche, sociali, religiose, morali eccetera: è un uomo che prescinde da tutto questo, è un uomo in cielo, un uomo astratto, un uomo come fantasma di uomo. Lo Stato moderno è esattamente realizzatore dell'emancipazione politica, cioè dell'uomo astratto, dell'uomo come fantasma, dell'uomo che è indifferente alle differenze della società civile, dell'uomo in cielo (dice Marx); questo uomo in cielo, emancipato, proprio perché è l'uomo astratto, ovviamente può perfettamente coesistere con le differenze materiali, perché la partita dell'emancipazione è giocata sull'altro terreno, su quello dell'uomo in generale, non della particolarità: è il meccanismo della televisione, nel senso che la spaccatura dell'uomo in due – l'uomo concreto, determinato, con le  differenze proprie della società civile, e dall'altro lato l'uomo in cielo, come cittadino. Noi siamo molto fieri oggi della tematica della cittadinanza, c'è chi addirittura vuole fare la costituzione dei cittadini, e sarebbe interessante far vedere a queste persone che la costituzione dei cittadini già c'è: noi siamo perfettamente emancipati sul piano politico, cioè in cielo, e ovviamente permangono però le differenze nel meschino mondo materiale perché l'emancipazione è dell'uomo in quanto astrazione, in quanto anima – la religione cristiana. Ovviamente quest'uomo emancipato politicamente produce leggi in cui per esempio si afferma la parità di tutti, quindi per esempio dell'operaio della FIAT e di Agnelli. Ovviamente l'operaio FIAT e Agnelli sono pari, uguali in quanto non sono Agnelli e non sono l'operaio FIAT, cioè cosa sono? Sono l'uomo in generale, l'anima, il fantasma, l'uomo in cielo, non in terra. Una volta affermata l'uguaglianza degli uomini in quanto fantasmi, questa legge dell'uuguaglianza piove poi sul concreto della vita quotidiana – e allora che succede? Succede che le stesse leggi varrano per l'operaio e per Agnelli. Qui si scopre il trabocchetto: varranno per tutti e due; tutti e due, per esempio, saranno proprietari: uno della propria forza-lavoro, cioè del proprio corpo, l'altro del capitale – eccolo l'imbroglio. Allora questa emancipazione astratta, questa spaccatura dell'uomo in due in cielo e in terra, poi ripiomba sulla terra mantenendosi astratta, mantenendosi la separazione – e viene a falsificare i rapporti tra gli uomini, a spacciare per egalitario un rapporto che è tutt'altro che egalitario, e quindi a sancire il potere del più forte. Allora questo è importante: una volta spaccato radicalmente l'uomo in due, l'anima e il corpo, il mondano e il celeste, il celeste poi ritorna sotto forma di legge sul mondano, e finisce per funzionare come supporto del più forte; quindi si riempe della mondanità più spregevole,  diventa l'arma della sopraffazione. Appunto, la società capitalistica può elaborare la costituzione democratica, certamente; può affermare la più grande libertà e uguaglianza, ma dell'uomo in astratto. E quindi per esempio la massima libertà e uguaglianza è nella contrattazione sul mercato, solo che tu devi vendere il tuo corpo, e io ti do invece dei soldi e basta. E allora a questo punto ecco che l'uguaglianza si è rovesciata nel mascheramento dell'oppressione; appunto Marx dice che la società moderna capitalistica non ha bisogno di giustificare moralmente, religiosamente o in altro modo il rapporto di oppressione, ma lo realizza con i suoi meccanismi. Appunto era per questo che Lenin diceva che i comunisti dovevano rompere l'apparato statale borghese, che la repubblica democratica è l'ultima fase, quella più favorevole per i comunisti per rompere lo stato borghese. Non c'è continuità tra lo stato socialista e lo stato borghese, perché si tratta di spezzare questo circolo perverso dell'emancipazione astratta, cioè del cielo e quindi della religione e della mondanità, cioè i reali rapporti economici. E giustamente chiamava "canaglie" tutti coloro i quali pensavano invece che il socialismo fosse uno sviluppo e una continuità rispetto alla democrazia borghese: queste erano le canaglie secondo Lenin. Ora, se per questo aspetto il discorso di Marx è diverso e si colloca su un altro terreno rispetto a quello di De Brosses, perché usa il termine "feticismo"? Per una ragione banalissima: De Brosses è un autore largamente citato nell'800; è citato da Hegel, da Hume, ma non solamente da loro. Come spesso succede a tutti noi, anche coloro i quali scrivono libri importanti, a volte si usano per analogia, metaforicamente, dei termini, dei riferimenti. L'errore sta nel prendere alla lettera un riferimento che è semplicemente analogico. Ma qual è la radice di questo errore? È quella problematica di contrapposizione morale al capitalismo che, nonostante l'apparente radicalismo (è appunto la problematica del cattolico Napoleoni, eminenza grigia di Berlinguer, quindi tutt'altro che di sinistra, e dell'apostata Colletti).
Un concetto importante in Hegel è quello di "maniera", nel senso delle buone maniere. Ci sono delle pagine molto belle in cui Hegel mostra come la società civile, cioè la società borghese, quella in cui il problema fondamentale è l'egoismo privato, indossa le vesti delle buone maniere e l'adeguato cittadino della società borghese è colui il quale sa dare alla propria soggettività egoistica la veste della universalità. Questo è bellissimo perché questa operazione di incivilimento apparente (il papa che va in elicottero) cioè questa apparente accettazione del progresso, da parte della barbarie - la società capitalistica è il trionfo stesso dell'odio e delle rivalità private ma mascherate dalle buone maniere. Questo è un attacco feroce contro la società capitalistica; voi ricordate che, se Marx denuncia continuamente l'ipocrisia della società capitalistica, queste sono citazioni tutte dirette da Hegel: l'ipocrisia nel rapporto della società civile è continuamente denunciata da Hegel.
Due piccole esperienze, anche se valgono poco ovviamente: una cena con dei pittori e un pranzo con dei docenti universitari. È una illustrazione della società capitalistica: i pittori a cena che parlano della vendita dei quadri così come il panettiere parla dei dolci che ha venduto a Natale o non ha venduto. L'unico problema è: quanto posso tirar fuori dal quadro che ho fatto? I professori universitari parlano di cattedre, di carriera, di rapporti per avere avanzamenti di carriera, posti di lavoro eccetera. Questa è la realtà. Ovviamente ne parlano con una finezza enorme, casomai con la citazione in tedesco, ma è di questo che parlano. Ecco la società capitalistica è questo [...] La società capitalistica è appunto l'assemblea democratica. È interessante quella cosa di Ciampi: pensate che Ciampi dice questo, che lui ha parlato con Kohl, e Kohl gli ha chiesto se era d'accordo nel rimandare l'attuazione di Maastricht, e Ciampi ha risposto "no, dobbiamo sbrigarci": perché? Perché solo se si costruisce l'Europa possiamo impedire che la Germania diventi il potere dominante in Europa – e Kohl: "hai ragione". Credibilissimo, no?

In realtà, quella contrapposizione tra una tesi morale, che io ritenga che l'essenza dell'uomo vada rispettata, può essere un'apprezabile tesi, ma è dimostrabile? Posso produrre una dimostrazione logica di questa mia preferenza morale? Se un altro dicesse "no, l'essenza umana non va rispettata" quali argomenti logicamente consistenti potrei portare a sostegno della mia tesi? In realtà nessuno, perché qualunque dimostrazione logica ha una struttura che fa a pugni con qualunque argomentazione morale. Immaginate il solito esempio: tutti gli uomini sono mortali, i greci sono uomini, i greci sono mortali. Questa è una dimostrazione logicamente perfetta. Voi capite che, nella prima premessa c'è l'essere, così come nella seconda premessa e nella conclusione. La dimostrazione logica di un assunto morale, di un principio morale di base, dovrebbe funzionare in questa maniera: nelle due premesse ci dovrebbe essere l'essere, alla conclusione ci dev'essere un "devi". Il principio morale è una norma, un imperativo. Il principio morale non dice "così e così stanno le cose": dice "così devi fare". Come fai a passare logicamente dall'"è" al "devi"? Non è possibile logicamente il passaggio. Allora è chiaro che, se la contrapposizione al capitalismo fosse dovuta a un assunto etico, tu sei contro il capitalismo, affari tuoi, un altro non lo è. Non c'è storia, anche per questo: in realtà l'approccio dialettico ha la pretesa, giusta o non giusta, di essere oggettivo, cioè di non esprimere preferenze, ma di mostrare come vanno le cose nel mondo, come si sviluppa la storia; in questo senso è oggettivo. E allora se la contrapposizione fosse tra capitalismo e scelta morale, contrapposizione legittimissima, figuriamoci, però non dialettica. Allora dovremmo cancellare il capitale, Marx eccetera, e ricominciare da capo completamente perché con Marx invece abbiamo la continua dichiarazione che qui c'entra la dialettica. Che vuol dire questa pretesa della dialettica all'oggettività? Il discorso è complicato, e intricato perché sapete che abbiamo purtroppo una storia addosso in cui in Unione Sovietica, ma anche da altre parti, si è detto "la storia procede dialetticamente, la natura procede dialetticamente, la dialettica dà le leggi generali del movimento storico, naturale, psicologico, chimico" eccetera. Cose assolutamente insostenibili perché è troppo ovvio che quando per esempio dico "movimento" in ambito chimico dico una cosa completamente diversa da quando dico "movimento" in ambito psichico. Questo costituirsi di una sorta di superscienza, di un movimento in generale, vuol dire che in fin dei conti esiste quel superfilosofo che spiega al fisico, al chimico, allo psicologo, allo storico che cosa devono pensare: è il nuovo prete, cioè il funzionario di partito. Quando dico "obiettività della dialettica" non intendo questo. Intendo dire il fatto che l'argomento dialettico pretende di dire come si sviluppa la storia, e non di esprimere una preferenza di questo o quel filosofo, cioè non di esprimere una scelta morale e quindi un atto arbitrario. Qui la cosa potrebbe risultare più chiara se la trasformassimo in assolutamente oscura: cioè Hegel e Marx operano una differenza tra storia secondo il concetto e storia secondo il fenomeno. Può voler dire questo: immaginiamo di fare una storia del passaggio dalla società feudale alla società capitalistica, nel senso di mostrare attraverso quali contraddizioni di fondo, radicali, di base, dal feudalesimo si è passati al capitalismo. Ricordate che per Hegel la filosofia viene sempre dopo, perché deve avere un materiale su cui ragionare, quindi non insegna alla storia come deve procedere, ma rende conto di come procede la storia, che intanto è proceduta però, sennò il filosofo va ad inventarsi le cose.                                                                                   

Se io analizzo il passaggio dal feudalesimo al capitalismo negli aspetti di fondo del processo, io non parlo del passaggio dal feudalesimo al capitalismo in Francia o in Germania o in Inghilterra o in un altro paese, ma parlo del passaggio dal feudalesimo al capitalismo dal punto di vista più generale, più di fondo, dal punto di vista del concetto. Ovviamente se poi vado a studiare le storie particolari, beh, in Francia il passaggio è avvenuto in modi in parte diversi rispetto a questa storia del concetto, in Inghilterra in parte ancora in modi diversi perché ogni storia poi comprende delle caratteristiche particolari, delle tradizioni, delle contingenze eccetera. Allora l'argomento dialettico, il ragionamento dialettico, pretende di muoversi, con Hegel, a livello della ricostruzione del processo di sviluppo e di formazione del pensiero, ma non del pensiero di Bergson, di Aristotele, di Platone o altro, ma di mostrare in che modo necessariamente il pensiero sviluppandosi si costruisce. A questo livello, io sto al livello della scienza pura, dell'idea stessa di concetto, cioè al livello della storia concettuale in senso forte – non sto parlando della storia del pensiero di Bergson, di Marx o di altro, dove intervengono determinazioni storiche, casualità particolari eccetera. Pretendo di indicare un percorso che riguarda l'essenza stessa del pensiero, il quale si costruisce sviluppandosi, cioè nel corso della prorpia storia si va sviluppando e costruendo. È una storia contradditoria che passa attraverso opposizioni, superamento delle opposizioni eccetera, ma appunto la pretesa è quella di mostrare questo ritmo contorto, complesso del pensiero – non l'idea di Hegel intorno allo sviluppo del pensiero, ma il processo obiettivo di sviluppo del pensiero. Se questa è la pretesa - ovviamente Marx non si occupa di questo generico problema, non sale a questo livello di astrazione in cui si muove Hegel: sta su un terreno molto più basso, si occupa di una dimensione del reale determinata, la dimensione della formazione economico-sociale, e si pone il problema di dimostrare quali sono le articolazioni fondamentali che spiegano il passaggio dall'una all'altra; appunto, che spiegano il passaggio: le articolazioni fondamentali interne alla cosa che spiegano il passaggio da questa a un'altra cosa, cioè a un'altra formazione sociale. Allora la contraddizione dev'essere radicata nella cosa, non nella coscienza dell'osservatore: io osservo la società capitalistica e dico "mi ripugna moralmente" – affari miei. Il problema di Marx è quello di mostrare la contraddizione interna alla cosa e quindi, attraverso queste contraddizioni, motivare il passaggio all'altra cosa. Ora, qui di nuovo c'è un distacco forte rispetto a De Brosses perché quello di cui parla De Brosses è un esperienza che gli uomini hanno – gli uomini che vivono in società determinate, che vivono in un certo modo il rapporto con le proprie paure, le proprie ansie e la propria pochezza tecnologica, ed elaborano delle credenze. Il problema per Marx è un altro: è quello di mostrare, appunto, il "meccanismo contradditorio obiettivo" che da una formazione sociale conduce ad un'altra. Se questo aggiungiamo il forte senso del distacco tra il divino e il mondano, la trascendenza cristiana, allora abbiamo due motivi di fondo per arrivare alla semplice conclusione: Marx aveva usato il termine "feticismo" perché era nell'aria, ha citato analogicamente De Brosses, ma non bisogna prendere alla lettera la faccenda, e occuparsi seriamente di cui Marx si occupa: la società capitalistica è o no contraddittoria?

Hume da molto giovane scrive il Trattato della natura umana, un'opera gigantesca, che è un totale fallimento: nessuno si accorge di questa opera, quei due o tre che la recensiscono la stroncano, ed è un momento di grave crisi per Hume, da cui lui esce occupandosi di politica, viaggiando, andando molto in Francia e cominciando a scrivere saggi, non più opere e trattati. Sotto c'è il problema di fondo: cioè la compatibilità tra società moderna e scrittura di trattati. Cioè, rende la società moderna possibile l'elaborazione di un punto di vista complessivo che riannodi vari piani? È questo il problema vero. Appunto, Marx Il capitale non l'ha scritto, ci ha provato per vent'anni, ha tirato fuori un primo libro che ha consegnato all'editore, ma il resto sono appunti, che guarda caso terminano nelle questioni di fondo, per esempio il rapporto stato-economia. Quando Hume consegna la logica, la consegna per questioni di rivalità di cattedra, doveva avere la cattedra, però lui è dispiaciutissimo perché non gli piace come è scritta, non è compiuta secondo lui. Siccome Hume aveva fama di essere ateo - non è vero che fosse ateo, ma siccome lui insisteva molto sul fatto che la fede religiosa fosse una faccenda di illuminazione divina, allora non era irreggimentabile. Voi capite che le chiese ufficiali hanno sempre visto con antipatia chi dice la religione è una faccenda di illuminazione, perché allora è un fatto mio: fa fuori il prete. Allora lui aveva fama di essere ateo, e allora molte volte scriveva facendo finta di non essere lui. Scrive la recensione di un suo libro di ricerche sull'intelletto umano. Scrive la recensione, ovviamente non firmandosela, ma per cercare anche di imporre l'attenzione su questo libro. In questa recensione lui fa un esempio del gioco del biliardo: il problema è quello di mostrare come nasce l'idea di causa; la tesi è: l'idea di causa nasce perché  siamo abituati a vedere una certa successione di eventi per cui diciamo che l'evento A è causa dell'evento B. L'esempio del biliardo: la stecca che colpisce una palla, la palla colpisce quell'altra eccetera. Ora, facendo questo esempio Hume, analizzandolo, mostra che dal punto di vista dell'esperienza qui esiste semplicemente il fatto che io vedo una serie di successione di fenomeni, poi potenzio questa serie dicendo: il fenomeno primo è la causa del secondo. Cioè attribuisco al fenomeno primo una capacità creativa che non è giustificata dall'esperienza che mi dice semplicemente che B segue ad A, e C segue a B. Ma aggiunge che, dal punto di vista logico, noi potremmo esattamente immaginare che la sequenza A-B-C non avvenga, o non avvenga in questo ordine. In altri termini, potremmo dal punto di vista logico perfettamente immaginare che la prima palla tocca la seconda palla e la seconda palla non si muove. Non ci sarebbe nessuna contraddizione logica in questo. Se non cè nessuna contraddizione logica allora è possibile che avvenga questo, ma se avvenisse questo allora la nostra abitudine verrebbe smentita e allora noi non potremmo parlare di rapporto causale. Questo è il senso della cosa. Quello, che a noi interessa, è notare appunto che nell'argomento di Hume, ma anche di Kant, è importante che il rapporto logico tra gli eventi non viene considerato qualcosa di interno agli eventi stessi, ma un qualche cosa che invece la mente umana apporta inquadrando gli eventi, per esempio, per abitudine, per utilità pratiche, ma appunto questo inquadramento logico è qualche cosa che piove addosso agli eventi per finalità umane, o per caratteristiche dell'animo umano. Il discorso che facevo prima a proposito dell'obiettività della dialettica, mostra che la pretesa della dialettica è appunto mostrare come dalla società feudale alla società capitalistica si passi secondo una regolarità, cioè secondo una serie di leggi che provengano dal muoversi stesso delle contraddizioni della cosa, della società feudale; quindi, cercare di mostrare come il concetto sia la regola della serie, la regola del processo. Cioè non qualche cosa che l'uomo apporta, per utilità propria o per scelta morale o per abitudine eccetera, sulle cose, ma che sia la legge delle cose espressione del vivere stesso delle cose. In questo senso, questa è l'obiettività della dialettica.
 * Alessandra Ciattini, docente di antropologia delle religioni a La Sapienza.                                                                                                                                                          
 

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