lunedì 8 giugno 2015

Storiografia degli strati di tempo. Una rilettura dell’accumulazione - Massimiliano Tomba

 In  Italia, nonostante  la  finanza,  la  tecnologia  e  la  manodopera  il  capitalismo  non  riuscì  a  svilupparsi. Mancava ciò che Machiavelli esortava a mettere in forma al più presto: uno Stato. È infatti lo Stato ad operare una prima violenta sincronizzazione delle diverse temporalità storiche, a produrre, come effetto della concentrazione della Gewalt (violenza · autorità · potenza) e come reazione alle lotte di emancipazione dei serventi, lavoratori  formalmente  liberi  e  contrattualizzazione  dei  rapporti  di  lavoro.  Prodotti  gli  individui  e trasformati in proletari una parte di essi, bisognava disciplinarli al lavoro: distruggere i precedenti rapporti  consuetudinari  e  imporre  il  diritto  astrattamente  uguale  in  quella  che  sarà  la lunga  guerra dei Cent’anni contro i diritti collettivi.

Delle lotte operaie hanno così indirettamente messo in essere una maggiore concentrazione operaia e  quindi  anche  una  maggiore  potenza  di  classe.  Diversamente,  lo  sviluppo  tecnologico  può permettere  anche  una  disintegrazione  dei  grandi  concentramenti  operai,  dando  luogo  a  una centralizzazione  finanziaria  e  produttiva  senza  concentrazione  di  operai.  In  questo  caso  è  il capitale a trovarsi in una posizione di forza, complice l’ideologia del progresso e lo sviluppo tecnico.

«Questa  è  la  ragione – scrive  ancora  Marx  nella Prefazione (Das Kapital) – per  la  quale  in questo volume ho dato un posto così esteso, fra l’altro, alla storia, al contenuto e ai risultati della legislazione  inglese  sulle  fabbriche».

Se  una  massa  di proletari era così stata prodotta attraverso la dissoluzione del sistema feudale, bisognava ora disciplinarla, farla muovere al tempo cronometrico del mercato:


-alla fine del XV secolo prende forma in tutta Europa una «legislazione sanguinaria contro il vagabondaggio»;

-nel 1530 Enrico  VIII  prevede  «per  i  vagabondi  sani  e  robusti»  frusta  e  prigione. «Debbono  esser  legati  dietro  a  un  carro  e  frustati  finché il  sangue  scorra  dal  loro corpo; poi giurare solennemente di tornare al loro luogo di nascita oppure là dove hanno abitato gli ultimi tre anni e “mettersi la lavoro (to  put  himself  to  labour)”. (...) Quando un vagabondo viene colto sul fatto una seconda volta, la pena della frustata deve essere ripetuta e sarà reciso mezzo orecchio; alla terza ricaduta invece il vagabondo dev’essere considerato criminale indurito e nemico della comunità e giustiziato come tale»;

-nel 1547 Edoardo  VI  «ordina  che  se  qualcuno  rifiuta  di  lavorare  dev’essere aggiudicato come schiavo alla persona che l’ha denunciato come fannullone»;  

-nel 1572 Elisabetta  ordina  che  i  mendicanti  di  più  di  14  anni  debbano  essere frustati duramente e bollati a fuoco al lobo dell’orecchio sinistro, se nessuno li vuol prendere  a  servizio  per  due  anni,  e  alla  terza  recidiva  devono  essere  giustiziati come traditori dello Stato;

-Giacomo  I (1603-1625) ordinò poi di bollare a fuoco con una “R” sulla spalla sinistra e mettere ai lavori forzati i vagabondi incorreggibili e pericolosi.

L’obiettivo della legislazione inglese dei secoli XVI e XVII è l’immobilizzazione e il disciplinamento della forza-lavoro,  anche attraverso  la  schiavitù [...]La  schiavitù capitalistica è   una   variante   iperdisciplinata del   lavoro   salariato.

l’accumulazione  non  necessita  di  spazi  non-capitalistici,  ma  si  dà  in  un  mercato mondiale dove  tutto  ciò  che  entra  in  commercio  entra  anche  in  concorrenza  mettendo  a  profitto differenze tra salari, intensità e forze produttive del lavoro, create anche attraverso nuove divisioni etniche del  lavoro o l’assoluta ricattabilità  dei  lavoratori  migranti  sprovvisti  di  permesso  di soggiorno. L’accumulazione capitalistica non è né solo separation né solo dispossesion; queste sono  solo  alcune  delle  modalità dell’intervento  della  violenza  extraeconomica che  caratterizza l’intera storia dell’accumulazione capitalistica.

Il  materiale  storico montato da Marx nelle pagine del capitolo sull’accumulazione serve per raccontare la controstoria di uno sviluppo che ebbe luogo attraverso il «grande ratto erodiano degli innocenti». Si tratta della violenza  coloniale,  del  trattamento delle popolazioni delle colonie da parte dell’Europa cristiana, dell’amministrazione coloniale olandese, del furto di uomini a Celebes per ottenere schiavi per Giava.

Cioè  dove  il  capitale  deve  prelevare  forza-lavoro  da  impiegare  in  piantagioni  nelle  quali  il ritmo e l’intensità di  lavoro  viene  regolato  dagli orologi delle borse mondiali.                                                                                   
L’accumulazione originaria è al contempo accumulazione di capitale e di Gewalt statale. Anche perché il modo di produzione capitalistico nasce da feroci conflitti contro i precedenti  rapporti  autoritativi  e  ne  innesca  di  ancora  più  feroci  in  termini  di  contrapposizione  di classe.  Lo  Stato  si  rafforza  dirigendo  la  propria Gewalt dapprima contro  i diritti  comuni  e consuetudinari, in seguito facendo la lotta alla lotta di classe.

Non come bottega di affari di una classe, ma come strumento teso a monopolizzare la violenza e a neutralizzare  il  conflitto,  lo  Stato  interviene  nei  conflitti.  E  poiché  in  alcuni  momenti storici ci possono  essere  anche  conflitti  tra  settori  diversi  delle  classi  dominanti, e  tra  questi  e  altri  settori sociali  non  proletari  e  non  compiutamente  sincronizzati,  come  piccoli  proprietari  e  ceti  medi declassati,  ne  emerge  un  conflitto  tra  temporalità  politiche  i  cui  esiti  possono  essere  diversi. Il meccanismo  statale tenta  di operare la  sincronizzazione di  queste  temporalità,  utilizzando  anche temporalità asincrone le une contro le altre.

Il  modo  di  produzione capitalistico  incontra  nel  mercato  mondiale  forme  di  produzione  tradizionali,  non  salariate e  non specificamente  capitalistiche  che vengono  immesse  nel  mercato  capitalistico  in  forme  ibride  di sussunzione. Così, forme  patriarcali  di  sfruttamento  e  nuovo  schiavismo  non  solo  coesistono accanto  alle  produzioni  ad  alta  tecnologia,  ma  si  combinano  con  esse.

Si  profila  lo  scenario  di  un  spazio  globale completamente temporalizzato: molte produzioni occidentali riescono, attraverso nuovi macchinari, a sfruttare lavoro superpotenziato che è tale solo in relazione alla forza produttiva e all’intensità di un  lavoro  socialmente  necessario  la  cui  media non passa  attraverso  le  latitudini  e  le  longitudini nord-occidentali,  ma  lungo  assi extraeuropei  ed  extrastatunitensi.  Nonostante  il  trasferimento  di plusvalore da paesi cosiddetti “arretrati” verso quelli ipertecnologici, sono i primi a determinare la temporalità  dominante,  mentre  gli  altri  sono  diventati,  nel  mercato  mondiale,  loro  periferie.

l’accumulazione  non  è  confinabile  alla  protostoria  del  modo  di produzione  capitalistico,  come  la  traduzione inglese “primitive accumulation” lascerebbe invece supporre, ma accompagna l’intera esistenza di questo modo di produzione. Si potrebbe parlare di accumulazione   primaria: questo   perché in una molteplicità  di processi   contemporanei di accumulazione, primaria è l’accumulazione che attraverso la violenza extraeconomica impone il ritmo  del  lavoro  socialmente  necessario  a  livello  mondiale  e  lavora  alla  differenziazione  e sincronizzazione delle diverse temporalità.

Il  capitolo  sull’accumulazione originaria, mostrando la  «serie di  metodi  violenti  (Reihe gewaltsamer Methoden)» che ne scandiscono la storia, intende mostrare come il regime capitalistico si  sviluppa  a  livello  internazionale, come  «tutti  i  popoli  vengono  via  via  intricati  nella  rete  del mercato  mondiale».  Questo  capitolo non  sta all’inizio, ma alla fine del primo libro del Capitale. L’ultimissimo capitolo è il punto di inizio che segue all’analisi sull’accumulazione: esso riguarda “La teoria moderna della colonizzazione”. Le ultime pagine del capitolo sull’accumulazione sono dedicate  alla Tendenza storica dell’accumulazione capitalistica. Sappiamo  ormai  che le  tendenze hanno  concretezza  solo  in  tensione e contrapposizione alle controtendenze.  Così, se  c’è  una tendenza alla centralizzazione dei capitali e alla crescita dello sfruttamento, c’è anche una crescita della «ribellione della classe operaia». Nel senso che la tendenza capitalistica non è una linea retta, ma una spezzata dai controtempi della lotta operaia. La  parte  finale  del Capitale è un programma  politico. La  rete  del  mercato  mondiale  (das Netz   des   Weltmarkts)   tiene   assieme   non   solo   diverse   forme   di   sfruttamento   combinandole sincronicamente, ma mette anche in contatto le diverse popolazioni lavoratrici. È con ciò indicato il livello che deve assumere l’organizzazione operaia.

Il modo di produzione capitalistico è il risultato di una combinazione di circostanze diverse con la loro propria temporalità storica. La separazione non dà automaticamente luogo al capitalismo: può dare luogo ad esso, ma anche allo schiavismo. Oppure si può combinare con l’espropriazione  dei  contadini, aprendo la possibilità di  uno  sviluppo  capitalistico. L’accumulazione capitalistica si combina con la questione agraria, con l’espropriazione di piccoli proprietari e la privatizzazione delle terre comuni che spingono masse di contadini ad ingrossare le fila del proletariato. In questo modo viene creato un bacino di forza lavoro di riserva e può essere introdotto  lo  sfruttamento  capitalistico  nell’agricoltura.

Dal confronto  con i  populisti  russi Marx  coglie  l’inadeguatezza  dell’ipotesi  stadiale,  ed  inizia  a pensare l’obščina come  la  cellula  di  nuove  possibilità  di  relazione  sociale. La  questione  posta  da Černyševskij riguardava  la possibilità di saltare gli stadi storici percorsi dall’Europa occidentale salvando l’obščina come  forma  di  proprietà  comune.

Černyševskij, dopo aver precisato di non essere discepolo né di Hegel né di Schelling, utilizzò retoricamente la dialettica della storia per rovesciare la loro idea di progresso e dimostrare  come  «il  grado  superiore  dello  sviluppo  si  presenta  come  un  ritorno  allo  stadio primitivo», ma  più  ricco  ed  elevato. Černyševskij giungeva  così  ad  enunciare  i  due  principi cardine del populismo: «1. Quanto alla forma, il grado superiore dello sviluppo coincide con il suo inizio. 2. Sotto l’influenza dell’alto livello di  sviluppo  che  un  dato  fenomeno della vita sociale ha raggiunto  nei  popoli  progrediti,  questo  fenomeno  può,  presso  gli  altri  popoli,  godere  di  un  rapido sviluppo ed elevarsi dal grado inferiore direttamente al grado superiore, evitando i momenti logici intermedi».  Importante  è  il  passaggio  di  informazioni,  scienze  e  tecnologie  da  un  grado  dello sviluppo all’altro, cosicché «i momenti intermedi dello sviluppo possono essere saltati nel corso del processo reale di un determinato evento». L’invenzione del fiammifero rende superfluo a chi non è ancora pervenuto ad esso, passare attraverso l’acciarino.

Evitare  le  tappe  della  produzione capitalistica  ed  utilizzare  la  proprietà  comune  della  comunità  di  villaggio  russa  come  forma anticipata  di socialismo:  ecco il  programma  di Černyševskij. Ma  se il  problema  di Černyševskij è l’accelerazione del  processo  e  il  salto  degli stadi storici,  quello  di  Marx  è  la  compresenza  e  la frizione  tra strati storico-temporali  in  grado  di  produrre  una  via  alternativa  a  quelle  della modernizzazione capitalistica occidentale.

la   Comune   di   Parigi   mostra   che   tutti   gli   eserciti   europei   sono   ormai confederati contro il proletariato. L’alleanza con la rivoluzione liberal-nazionale non è più all’ordine del   giorno.   Il   modello   rivoluzionario   costruito   sulla   sequenza   francese  1789-1793  andava ripensato. L’imminenza di una rivoluzione in Russia apre nuovi quesiti. La Russia «si trova già da tempo  sull’orlo di  un  rovesciamento  (...).  Tutti  gli  strati  della  società  russa  sono  in  piena disgregazione  dal  punto  di  vista  economico,  morale,  intellettuale.  La  rivoluzione  comincia  questa volta in Oriente».Una rivoluzione che non sarebbe stata una sola rivoluzione, ma probabilmente la  composizione  di  diverse  rivoluzioni,  ancora  più  articolate  di  quelle  presenti  nel  corso  della rivoluzione francese.

Questa possibilità è espressa nella prefazione alla seconda edizione russa del Manifesto del partito comunista(1882): «l’obščina, questa forma in gran parte già minata dell’antichissima proprietà comune del suolo, può passare direttamente alla forma comunistica superiore  di  possesso  collettivo  della  terra,  o  dovrà  prima  attraversare  lo  stesso  processo  di disgregazione  che  costituisce lo sviluppo storico dell’Occidente? La risposta oggi possibile a tale problema è: se la rivoluzione russa diverrà il segnale di una rivoluzione proletaria in Occidente, in modo che le due rivoluzioni si completino a vicenda, allora l’odierna proprietà comune della terra in Russia   potrà   servire   come   punto   di   partenza   a   uno   sviluppo   in   senso   comunistico».

Marx rilegge lo sviluppo storico dell’Europa occidentale come periodo di passaggio dalla proprietà comune alla  proprietà privata,  da  una  formazione primaria a una secondaria, secondo la metafora geologica  qui  utilizzata  da  Marx. Nella  bozza  storiografica  di  Marx  troviamo  due  acquisizioni irrinunciabili:  da  un  lato  questo  passaggio,  limitato  alla storia  dell’Europa  occidentale,  non determina in alcun modo una legge storica della dissoluzione della proprietà comune; dall’altro, la metafora geologica esprime una sovrapposizione di strati, non una successione di stadi. Non si tratta di  fare  la  lista delle  diverse  forme  storiche  in  successione,  ma  piuttosto,  come  avviene  «nelle formazioni  geologiche  (geologischen  Formationen),  si  danno  anche  nelle  formazioni  storiche un’intera serie di tipi primari, secondari, terziari ecc.».  Il secondario si  sovrappone  al primario senza  cancellarlo.  Lo  storico  materialista,  trattando  le  epoche  storiche  come  epoche  geologiche, rende  visibili  simultaneamente  i  diversi  strati.  Le  forme  storiche,  disponendosi  non  secondo la linearità  di  passato  e  presente,  ma  come  «formazioni  geologiche»  nelle  quali  il già-stato coesiste accanto all’ora,  permettono  di  pensare  la  compresenza  di  temporalità  su  una  superficie  e  non secondo l’immagine del vettore lineare. La dissoluzione della proprietà comune e l’affermazione della proprietà privata non sono un esito  necessario  di  un  qualche  sviluppo  storico  preordinato;  dal primario potevano  e  possono sorgere   diverse   configurazioni   del secondario.   Formazioni   geologiche   diverse che,   pur appartenendo   a   diversi   momenti   storici,   sono   compresenti.

L’incontro fra temporalità storiche diverse, la comune agricola russa e la crisi del capitalismo, accende possibilità inedite di liberazione. Marx, riprendendo Morgan, scrive che ciò a cui  le  società  moderne  tendono  è  una  «rinascita  (a  revival)  in  una  forma  superiore  (in  a  superior form) del tipo arcaico di società». E glossa: «Solo non ci si deve far spaventare troppo dalla parola “arcaico”».

Marx  pensa  a  una  società  che organizza  scientemente  il lavoro in vista della soddisfazione dei bisogni della comunità umana. In un modo di produzione non capitalistico «l’uomo socializzato (der vergesellschaftete Mensch), cioè i  produttori  associati,  regolano  razionalmente  il  loro  ricambio  organico  con  la  natura,  lo  portano sotto il loro controllo comunitario (gemeinschaftliche Kontrolle) invece di essere dominati da esso come  da  una  forza  cieca».

Il modo di produzione capitalistico viene così confinato in un infimo  segmento  della  storia  umana. La  storia  va  letta  con  un  nuovo  metro: «Il  tempo  trascorso  da che  è  cominciata  la civilizzazione è solo un frammento (e certamente assai breve) della passata esistenza dell’uomo; ed un frammento delle età che verranno».

La compresenza e l’urto fra temporalità diverse mostra che le possibilità storiche non collassano nella sola temporalità unidirezionale della civilizzazione capitalistica, ma che al contrario percorsi alternativi vengono continuamente riaperti. Si tratta di leggere la convergenza di tempi storici in grado di far deflagrare il presente.

Piuttosto  la questione  riguarda  da  un  lato  il piano come limite politico  posto  alla  produzione e al  consumo.  E dall’altro la soppressione della proprietà privata in quanto jus  utendi  et  abutendi.  Marx  sottolinea come,  «dal  punto  di  vista  di  una  superiore  formazione  economica  della  società»,  la  proprietà  non passa nelle mani dell’intera società o dello Stato, e nemmeno in quelle di tutte le società di una stessa  epoca  prese  contemporaneamente.  Queste non sono  proprietari  (Eigentümer)  ma  solo possessori (Besitzer) della terra, e come suoi «usufruttuari (Nutznießer) hanno il dovere, come boni patres   familas, di   tramandarla   migliorata alle   generazioni   successive».   Il comunismo è contrapposto punto su punto al modo di produzione capitalistico. Il primo depreda e distrugge senza limiti e senza considerazione per le generazioni future; il secondo si limita all’usufrutto della terra e limita la produzione in  vista  dei  bisogni  da  soddisfare,  riducendo  al  minimo  il  tempo  di lavoro. Il piano indica  in  Marx  la  terza  opzione  tra regressione  fusionale e antiteticità  autodistruttiva;  il controllo  politico  sulla  produzione,  sulla  qualità  e  la  quantità  di  lavoro  necessario  a  soddisfare  i bisogni sociali: la produzione in vista dei valori d’uso e della comunità umana. Il «piano» non  dà luogo  a  una  società  irenicamente  trasparente  a  se  stessa,  ma  a  nuove  modalità  di  conflitto  sulle forme dello stare assieme, del comando, della distribuzione del lavoro comune.

«La  proprietà  privata  ci  ha  resi  così  ottusi  ed unilaterali (dumm und einseitig) che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi  quando  esso  esiste  per  noi  come  capitale  o  è  da  noi  immediatamente posseduto,  mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato ecc., in breve, quando viene da noi usato(...). Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali (aller physischen und geistigen Sinne) è quindi subentrata la semplice estraniazione di tutti questi  sensi,  il  senso  dell’avere (der Sinn  des  Habens)».

«l’uomo stesso è trasformato in denaro e il denaro si è incorporato in lui. L’individualità umana (menschliche Individualität), la morale umana è  ugualmente  diventata  un  articolo  di  commercio,  un materiale nel  quale  il  denaro  giunge  a esistenza».

Poiché  i  rapporti  sociali  sono  rovesciati  nella  forma  individualistica  del  rapporto uomo-cosa, il denaro diviene l’intermediario di rapporti invertiti. La modificazione antropologica è così profonda da snaturare l’essenza stessa del linguaggio, e quindi dell’uomo in quanto zoon logon echon. «L’unica lingua comprensibile che parliamo fra noi –scrive Marx –è  quella  dei  nostri oggetti nei loro rapporti reciproci. Non comprendiamo più il linguaggio umano, che rimane privo di effetti».

L’altro e i suoi bisogni diventano indifferenti.

Il  controcanto  comunista  replica  punto  su  punto  a  questa  antropologia:  «presupposta  la soppressione positiva della proprietà privata, l’uomo produce l’uomo (der  Mensch  den  mensch produziert), cioè produce se stesso e l’altro uomo». La produzione dell’uomo da parte dell’uomo ha  luogo  assieme  alla produzione  dell’altro  (den  andren  Mensch),  in  un  duplice  movimento: distruzione di ciò che si è, l’individuo relazionato  a  un  mondo  di  cose; produzione di  rapporti  tra uomini: l’essenza umana (das menschliche  Wesen)  come  vera  comunità  degli  uomini  (das  wahre Gemeinwesen  der  Menschen).  Il  senso  di  questo  passo  oscuro  sta  nella  distruzione del  rapporto uomo-cosa  della  concezione  individualista,  e  quindi  nella  creazione  di  una  nuova  antropologia: «L’individuo è l’essere  sociale (Das  Individuumist dasgesellschaftliche  Wesen)».

L’uguaglianza, vale a dire la politica, opera conflittualmente non contro la partizione  delle parti,  ma  contro  la regola della  partizione. La  regola che  costringe un  qualcuno a farsi  proletario  e a vendere  la  propria  forza-lavoro. Per  questo  Marx  parla,  nel Capitale,  delle persone come funzioni, come «categorie economiche personificate». Ciò che viene rappresentato è un complesso di rapporti sociali di dominio e di conflitti.

Le possibilità si danno nell’incontro fra temporalità diverse,  in  una  loro  nuova  combinazione. È  stato  un  errore sovrapporre il tempo della politica  rivoluzionaria alla tendenza dello sviluppo capitalistico.  La     temporalità capitalisticamente  dominante  non  coincide  con  quella  del  massimo  sviluppo  tecnologico e la temporalità della politica rivoluzionaria  può passare anche attraverso strati temporali apparentemente arcaici.

Ai  populisti, che volevano salvare la comune russa, Marx  risponde  che essa  può  essere  salvata  solo  da  una  rivoluziona russa,  non  però in  un  isolamento  suicida  dal  resto del mondo capitalistico: «è appunto grazie alla contemporaneità della produzione capitalistica, che essa  può  appropriarsene  tutte  le  conquiste  positive  senza  passare  attraverso  le  sue  peripezie terribili».  
Nell’analisi marxiana non c’è mai una sola rivoluzione, al singolare, ma un incrocio di diverse temporalità rivoluzionarie e interessi diversi di differenti classi e strati della popolazione.  

L’azione del colonialismo inglese e la distruzione della proprietà comune della terra vengono ora visti come fenomeni regressivi.

Il problema politico, posto nel dialogo con i populisti, riguarda il travaso di sapere capitalistico e operaio occidentale in quelle  formazioni  sociali  attraverso  la  contemporaneità  di  insorgenze  apparentemente  arretrate. In altre    parole   riguarda   la   contrapposizione   della   temporalità   rivoluzionaria   di   insorgenze reciprocamente  contemporanee  alla  sincronizzazione  operata  dal  mercato  al  ritmo  del  lavoro socialmente necessario.

Se la modernità capitalistica ha dissolto le forme di comunità producendo  individui  funzionalizzati  al  dominio  del  valore,  interessava  a  Marx indagare la genesi della «individualità della persona» dalla dissoluzione della gens: il nesso tra la dissoluzione della comunità  e  la  nascita  dei  moderni  individui  egoistici. Marx  è avverso  a  ogni  generalizzazione soprastorica,  perciò  gli  interessa  capire  la  costellazione nella quale sorge, assieme al  modo  di produzione capitalistico, anche il moderno concetto di individuo. Il problema che emerge in queste ultime  riflessioni marxiane  riguarda  una  alternativa alla via della civilizzazione capitalistica, una alternativa alla dissoluzione della comunità in individui reciprocamente ostili. L’obščina,  respinta da Bakunin perché non permetteva lo sviluppo dell’individuo e la separazione delle classi, viene accolta da Marx, sulla  scia  di Černyševskij, Kovalevskij ed  altri, come nuova  possibilità  di emancipazione umana su base comunitaria.

La modernità  capitalistica,  che  ha  invaso  il globo, è una delle possibili vie della modernizzazione. E’ quella intrapresa dall’Europa. Ma non era l’unica possibile. Altre modernità erano e sono possibili, ma  queste  possono sorgere solo dall’origine della  modernità,  non  tornando  indietro,  ma  da  una diversa   combinazione   delle   diverse temporalità storiche che essa continuamente cerca di sincronizzare attraverso il dominio della legge del  valore.

Più si sviluppa e più il modo di produzione capitalistico tende a naturalizzarsi, come viene mostrato attraverso la formula trinitaria esposta nel terzo libro del Capitale. Nel «mondo stregato e invertito  (verzauberte  und  verkehrte  Welt)» del  capitale  le  sue  categorie  costitutive  vengono naturalizzate  e  personificate.

Marx disocculta il «carattere mistificante che trasforma i rapporti sociali» in proprietà delle merci mostrando come la trinità capitale-profitto, terra-rendita fondiaria e lavoro-salario non  è  altro  che  lo  specchio  che  nasconde  la  «pompa  di  pluslavoro»,  e  quindi  di plusvalore, poi diviso sotto forma di rendita e profitto.

Con l’assolutizzazione  della  circolazione  e  la  naturalizzazione  del  capitale  «si  sviluppa anche  una  classe  operaia  che  per  educazione,  tradizione  e  abitudine  (Erziehung,  Tradition, Gewohnheit),  riconosce  come  ovvie  leggi  naturali  (Naturgesetze)  le  pretese  di  quel modo  di produzione». La  naturalizzazione  del modo  di  produzione  capitalistico produce individui  che riconoscono  le  sue  leggi  come leggi naturali.

La  coazione del  capitale diventa  silenziosa (stumm) come lo sono le leggi della natura.  Marx  prosegue: «La  violenza diretta,  extraeconomica (Außerökonomische,  unmittelbare Gewalt) viene certo ancor sempre impiegata, ma solo eccezionalmente. Per il corso ordinario delle cose (den gewöhnlichen Gang der Dinge) il lavoratore può essere lasciato alle “leggi naturali della produzione”, cioè alla sua dipendenza dal capitale, che scaturisce dagli stessi rapporti di produzione che la garantiscono e la perpetuano».

Il  modo  di  produzione capitalistico e la forma politica  moderna, eternizzando  se  stessi attraverso l’immagine di un presente astorico, producono anche un concetto del tempo adeguato a quell’immagine. Ciò che Walter Benjamin definì «tempo omogeneo e vuoto».

questo  cambio  di  prospettiva  è  dovuto  anche  a  una  visione  libera  dall’idea  di progresso  e  capace  di  cogliere il  lato  distruttivo,sia di uomini sia della natura, del processo di valorizzazione, un processo che può  anche  diventare  interamente  autodistruttivo; Marx coglie  il progresso non  come  potenziale  di  liberazione,  ma  di  sfruttamento  del  lavoro;  infine,  a  livello analitico,  ha  ormai  chiara  la  combinazione  mondiale  tra  le  diverse  modalità  di  estorsione  di plusvalore. Il mercato mondiale è un continuo operare la sincronizzazione di temporalità diverse. La lunga  guerra  della  modernità  capitalistica  contro  la  proprietà  comune  e  il  diritto  comune  viene combattuta  con  gli  strumenti  dell’accumulazione  e della   violenza   extraeconomica che, con l’avvento del mercato mondiale,hanno innescato la guerra civile internazionale. Una guerra che è solo all’inizio. 

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