Delle lotte operaie hanno così indirettamente messo in
essere una maggiore concentrazione operaia e
quindi anche una
maggiore potenza di
classe. Diversamente, lo
sviluppo tecnologico può permettere anche
una disintegrazione dei
grandi concentramenti operai,
dando luogo a una
centralizzazione finanziaria e
produttiva senza concentrazione di
operai. In questo
caso è il capitale a trovarsi in una posizione di forza,
complice l’ideologia del progresso e lo sviluppo tecnico.
«Questa è la
ragione – scrive ancora Marx
nella Prefazione (Das Kapital) – per
la quale in questo volume ho dato un posto così
esteso, fra l’altro, alla storia, al contenuto e ai risultati della
legislazione inglese sulle
fabbriche».
Se una massa
di proletari era così stata prodotta attraverso la dissoluzione del
sistema feudale, bisognava ora disciplinarla, farla muovere al tempo
cronometrico del mercato:
-alla fine del XV secolo prende forma in tutta Europa una
«legislazione sanguinaria contro il vagabondaggio»;
-nel 1530 Enrico
VIII prevede «per
i vagabondi sani
e robusti» frusta
e prigione. «Debbono esser
legati dietro a un carro
e frustati finché il
sangue scorra dal
loro corpo; poi giurare solennemente di tornare al loro luogo di nascita
oppure là dove hanno abitato gli ultimi tre anni e “mettersi la lavoro (to put
himself to labour)”. (...) Quando un vagabondo viene
colto sul fatto una seconda volta, la pena della frustata deve essere ripetuta
e sarà reciso mezzo orecchio; alla terza ricaduta invece il vagabondo
dev’essere considerato criminale indurito e nemico della comunità e giustiziato
come tale»;
-nel 1547 Edoardo
VI «ordina che
se qualcuno rifiuta
di lavorare dev’essere aggiudicato come schiavo alla
persona che l’ha denunciato come fannullone»;
-nel 1572 Elisabetta
ordina che i
mendicanti di più
di 14 anni
debbano essere frustati duramente
e bollati a fuoco al lobo dell’orecchio sinistro, se nessuno li vuol
prendere a servizio
per due anni,
e alla terza
recidiva devono essere
giustiziati come traditori dello Stato;
-Giacomo I
(1603-1625) ordinò poi di bollare a fuoco con una “R” sulla spalla sinistra e
mettere ai lavori forzati i vagabondi incorreggibili e pericolosi.
L’obiettivo della legislazione inglese dei secoli XVI e XVII
è l’immobilizzazione e il disciplinamento della forza-lavoro, anche attraverso la
schiavitù [...]La schiavitù
capitalistica è una variante
iperdisciplinata del lavoro salariato.
l’accumulazione
non necessita di
spazi non-capitalistici, ma
si dà in
un mercato mondiale dove tutto
ciò che entra
in commercio entra
anche in concorrenza
mettendo a profitto differenze tra salari, intensità e
forze produttive del lavoro, create anche attraverso nuove divisioni etniche
del lavoro o l’assoluta ricattabilità dei
lavoratori migranti sprovvisti
di permesso di soggiorno. L’accumulazione capitalistica non
è né solo separation né solo dispossesion; queste sono solo
alcune delle modalità dell’intervento della
violenza extraeconomica che caratterizza l’intera storia
dell’accumulazione capitalistica.
Il materiale storico montato da Marx nelle pagine del
capitolo sull’accumulazione serve per raccontare la controstoria di uno
sviluppo che ebbe luogo attraverso il «grande ratto erodiano degli innocenti».
Si tratta della violenza coloniale, del
trattamento delle popolazioni delle colonie da parte dell’Europa
cristiana, dell’amministrazione coloniale olandese, del furto di uomini a
Celebes per ottenere schiavi per Giava.
Cioè dove il
capitale deve prelevare
forza-lavoro da impiegare
in piantagioni nelle
quali il ritmo e l’intensità di lavoro
viene regolato dagli orologi delle borse mondiali.
L’accumulazione originaria è al
contempo accumulazione di capitale e di Gewalt statale. Anche perché il modo di
produzione capitalistico nasce da feroci conflitti contro i precedenti rapporti
autoritativi e ne
innesca di ancora
più feroci in
termini di contrapposizione di classe.
Lo Stato si
rafforza dirigendo la
propria Gewalt dapprima contro i
diritti comuni e consuetudinari, in seguito facendo la lotta
alla lotta di classe.
Non come bottega di affari di una classe, ma come strumento
teso a monopolizzare la violenza e a neutralizzare il
conflitto, lo Stato
interviene nei conflitti.
E poiché in
alcuni momenti storici ci
possono essere anche
conflitti tra settori
diversi delle classi
dominanti, e tra questi
e altri settori sociali non
proletari e non
compiutamente sincronizzati, come
piccoli proprietari e
ceti medi declassati, ne
emerge un conflitto
tra temporalità politiche
i cui esiti
possono essere diversi. Il meccanismo statale tenta
di operare la sincronizzazione di queste
temporalità, utilizzando anche temporalità asincrone le une contro le
altre.
Il modo di
produzione capitalistico
incontra nel mercato
mondiale forme di
produzione tradizionali, non
salariate e non
specificamente capitalistiche che vengono
immesse nel mercato
capitalistico in forme
ibride di sussunzione. Così, forme patriarcali
di sfruttamento e
nuovo schiavismo non
solo coesistono accanto alle
produzioni ad alta
tecnologia, ma si
combinano con esse.
Si profila lo
scenario di un
spazio globale completamente
temporalizzato: molte produzioni occidentali riescono, attraverso nuovi
macchinari, a sfruttare lavoro superpotenziato che è tale solo in relazione alla
forza produttiva e all’intensità di un
lavoro socialmente necessario
la cui media non passa attraverso
le latitudini e le longitudini nord-occidentali, ma
lungo assi extraeuropei ed
extrastatunitensi.
Nonostante il trasferimento
di plusvalore da paesi cosiddetti “arretrati” verso quelli
ipertecnologici, sono i primi a determinare la temporalità dominante,
mentre gli altri
sono diventati, nel
mercato mondiale, loro
periferie.
l’accumulazione
non è confinabile
alla protostoria del
modo di produzione capitalistico, come
la traduzione inglese “primitive
accumulation” lascerebbe invece supporre, ma accompagna l’intera esistenza di
questo modo di produzione. Si potrebbe parlare di accumulazione primaria: questo perché in una molteplicità di processi
contemporanei di accumulazione, primaria è l’accumulazione che
attraverso la violenza extraeconomica impone il ritmo del
lavoro socialmente necessario
a livello mondiale
e lavora alla
differenziazione e
sincronizzazione delle diverse temporalità.
Il capitolo sull’accumulazione originaria, mostrando la «serie di
metodi violenti (Reihe gewaltsamer Methoden)» che ne
scandiscono la storia, intende mostrare come il regime capitalistico si sviluppa
a livello internazionale, come «tutti
i popoli vengono
via via intricati
nella rete del mercato
mondiale». Questo capitolo non
sta all’inizio, ma alla fine del primo libro del Capitale. L’ultimissimo
capitolo è il punto di inizio che segue all’analisi sull’accumulazione: esso
riguarda “La teoria moderna della colonizzazione”. Le ultime pagine del
capitolo sull’accumulazione sono dedicate
alla Tendenza storica dell’accumulazione capitalistica. Sappiamo ormai
che le tendenze hanno concretezza
solo in tensione e contrapposizione alle controtendenze. Così, se
c’è una tendenza alla
centralizzazione dei capitali e alla crescita dello sfruttamento, c’è anche una
crescita della «ribellione della classe operaia». Nel senso che la tendenza
capitalistica non è una linea retta, ma una spezzata dai controtempi della
lotta operaia. La parte finale
del Capitale è un programma
politico. La rete del
mercato mondiale (das Netz
des Weltmarkts) tiene
assieme non solo
diverse forme di
sfruttamento combinandole
sincronicamente, ma mette anche in contatto le diverse popolazioni lavoratrici.
È con ciò indicato il livello che deve assumere l’organizzazione operaia.
Il modo di produzione capitalistico è il risultato di una
combinazione di circostanze diverse con la loro propria temporalità storica. La
separazione non dà automaticamente luogo al capitalismo: può dare luogo ad
esso, ma anche allo schiavismo. Oppure si può combinare con l’espropriazione dei
contadini, aprendo la possibilità di
uno sviluppo capitalistico. L’accumulazione capitalistica
si combina con la questione agraria, con l’espropriazione di piccoli
proprietari e la privatizzazione delle terre comuni che spingono masse di
contadini ad ingrossare le fila del proletariato. In questo modo viene creato
un bacino di forza lavoro di riserva e può essere introdotto lo
sfruttamento capitalistico nell’agricoltura.
Dal confronto con
i populisti russi Marx
coglie l’inadeguatezza dell’ipotesi
stadiale, ed inizia
a pensare l’obščina come la cellula
di nuove possibilità
di relazione sociale. La
questione posta da Černyševskij riguardava la possibilità di saltare gli stadi storici
percorsi dall’Europa occidentale salvando l’obščina come forma
di proprietà comune.
Černyševskij, dopo aver precisato di non essere discepolo né
di Hegel né di Schelling, utilizzò retoricamente la dialettica della storia per
rovesciare la loro idea di progresso e dimostrare come
«il grado superiore
dello sviluppo si
presenta come un ritorno allo
stadio primitivo», ma più ricco
ed elevato. Černyševskij giungeva così
ad enunciare i due principi cardine del populismo: «1. Quanto
alla forma, il grado superiore dello sviluppo coincide con il suo inizio. 2.
Sotto l’influenza dell’alto livello di
sviluppo che un
dato fenomeno della vita sociale
ha raggiunto nei popoli
progrediti, questo fenomeno
può, presso gli
altri popoli, godere
di un rapido sviluppo ed elevarsi dal grado
inferiore direttamente al grado superiore, evitando i momenti logici intermedi». Importante
è il passaggio
di informazioni, scienze
e tecnologie da
un grado dello sviluppo all’altro, cosicché «i momenti
intermedi dello sviluppo possono essere saltati nel corso del processo reale di
un determinato evento». L’invenzione del fiammifero rende superfluo a chi non è
ancora pervenuto ad esso, passare attraverso l’acciarino.
Evitare le tappe
della produzione
capitalistica ed utilizzare
la proprietà comune
della comunità di
villaggio russa come
forma anticipata di
socialismo: ecco il programma
di Černyševskij. Ma se il problema
di Černyševskij è l’accelerazione del
processo e il
salto degli stadi storici, quello
di Marx è la compresenza
e la frizione tra strati storico-temporali in
grado di produrre
una via alternativa
a quelle della modernizzazione capitalistica
occidentale.
la Comune di
Parigi mostra che
tutti gli eserciti
europei sono ormai confederati contro il proletariato.
L’alleanza con la rivoluzione liberal-nazionale non è più all’ordine del giorno.
Il modello rivoluzionario costruito
sulla sequenza francese
1789-1793 andava ripensato.
L’imminenza di una rivoluzione in Russia apre nuovi quesiti. La Russia «si
trova già da tempo sull’orlo di un
rovesciamento (...). Tutti
gli strati della
società russa sono
in piena disgregazione dal
punto di vista
economico, morale, intellettuale. La
rivoluzione comincia questa volta in Oriente».Una rivoluzione che non
sarebbe stata una sola rivoluzione, ma probabilmente la composizione
di diverse rivoluzioni,
ancora più articolate
di quelle presenti
nel corso della rivoluzione francese.
Questa possibilità è espressa nella prefazione alla seconda
edizione russa del Manifesto del partito comunista(1882): «l’obščina, questa
forma in gran parte già minata dell’antichissima proprietà comune del suolo,
può passare direttamente alla forma comunistica superiore di
possesso collettivo della
terra, o dovrà
prima attraversare lo
stesso processo di disgregazione che
costituisce lo sviluppo storico dell’Occidente? La risposta oggi
possibile a tale problema è: se la rivoluzione russa diverrà il segnale di una
rivoluzione proletaria in Occidente, in modo che le due rivoluzioni si
completino a vicenda, allora l’odierna proprietà comune della terra in
Russia potrà servire
come punto di
partenza a uno
sviluppo in senso
comunistico».
Marx rilegge lo
sviluppo storico dell’Europa occidentale come periodo di passaggio dalla
proprietà comune alla proprietà
privata, da una
formazione primaria a una secondaria, secondo la metafora geologica qui
utilizzata da Marx. Nella
bozza storiografica di
Marx troviamo due
acquisizioni irrinunciabili:
da un lato
questo passaggio, limitato
alla storia dell’Europa occidentale,
non determina in alcun modo una legge storica della dissoluzione della
proprietà comune; dall’altro, la metafora geologica esprime una sovrapposizione
di strati, non una successione di stadi. Non si tratta di fare
la lista delle diverse
forme storiche in
successione, ma piuttosto,
come avviene «nelle formazioni geologiche
(geologischen Formationen), si
danno anche nelle
formazioni storiche un’intera
serie di tipi primari, secondari, terziari ecc.». Il secondario si sovrappone
al primario senza
cancellarlo. Lo storico
materialista, trattando le
epoche storiche come
epoche geologiche, rende visibili
simultaneamente i diversi
strati. Le forme
storiche, disponendosi non
secondo la linearità di passato
e presente, ma
come «formazioni geologiche»
nelle quali il già-stato coesiste accanto all’ora, permettono
di pensare la
compresenza di temporalità
su una superficie
e non secondo l’immagine del
vettore lineare. La dissoluzione della proprietà comune e l’affermazione della
proprietà privata non sono un esito
necessario di un
qualche sviluppo storico
preordinato; dal primario potevano e
possono sorgere diverse configurazioni del
secondario. Formazioni geologiche
diverse che, pur
appartenendo a diversi
momenti storici, sono
compresenti.
L’incontro fra temporalità storiche diverse, la comune
agricola russa e la crisi del capitalismo, accende possibilità inedite di
liberazione. Marx, riprendendo Morgan, scrive che ciò a cui le
società moderne tendono
è una «rinascita
(a revival) in
una forma superiore
(in a superior form) del tipo arcaico di società».
E glossa: «Solo non ci si deve far spaventare troppo dalla parola “arcaico”».
Marx pensa a
una società che organizza
scientemente il lavoro in vista
della soddisfazione dei bisogni della comunità umana. In un modo di produzione
non capitalistico «l’uomo socializzato (der vergesellschaftete Mensch), cioè
i produttori associati,
regolano razionalmente il
loro ricambio organico
con la natura,
lo portano sotto il loro
controllo comunitario (gemeinschaftliche Kontrolle) invece di essere dominati
da esso come da una
forza cieca».
Il modo di produzione capitalistico viene così confinato in
un infimo segmento della
storia umana. La storia
va letta con
un nuovo metro: «Il
tempo trascorso da che
è cominciata la civilizzazione è solo un frammento (e
certamente assai breve) della passata esistenza dell’uomo; ed un frammento
delle età che verranno».
La compresenza e l’urto fra temporalità diverse mostra che
le possibilità storiche non collassano nella sola temporalità unidirezionale
della civilizzazione capitalistica, ma che al contrario percorsi alternativi
vengono continuamente riaperti. Si tratta di leggere la convergenza di tempi
storici in grado di far deflagrare il presente.
Piuttosto la
questione riguarda da
un lato il piano come limite politico posto alla produzione e al consumo.
E dall’altro la soppressione della proprietà privata in quanto jus utendi
et abutendi. Marx
sottolinea come, «dal punto
di vista di
una superiore formazione
economica della società»,
la proprietà non passa nelle mani dell’intera società o
dello Stato, e nemmeno in quelle di tutte le società di una stessa epoca
prese contemporaneamente. Queste non sono proprietari
(Eigentümer) ma solo possessori (Besitzer) della terra, e
come suoi «usufruttuari (Nutznießer) hanno il dovere, come boni patres familas, di
tramandarla migliorata alle generazioni
successive». Il comunismo è contrapposto punto su punto
al modo di produzione capitalistico. Il primo depreda e distrugge senza limiti
e senza considerazione per le generazioni future; il secondo si limita
all’usufrutto della terra e limita la produzione in vista
dei bisogni da soddisfare, riducendo
al minimo il
tempo di lavoro. Il piano indica in
Marx la terza
opzione tra regressione fusionale e antiteticità autodistruttiva; il controllo
politico sulla produzione,
sulla qualità e la quantità
di lavoro necessario
a soddisfare i bisogni sociali: la produzione in vista dei
valori d’uso e della comunità umana. Il «piano» non dà luogo
a una società
irenicamente trasparente a
se stessa, ma
a nuove modalità
di conflitto sulle forme dello stare assieme, del comando,
della distribuzione del lavoro comune.
«La proprietà privata
ci ha resi
così ottusi ed unilaterali (dumm und einseitig) che un
oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando
esso esiste per
noi come capitale
o è da
noi immediatamente
posseduto, mangiato, bevuto, portato sul
nostro corpo, abitato ecc., in breve, quando viene da noi usato(...). Al posto
di tutti i sensi fisici e spirituali (aller physischen und geistigen Sinne) è
quindi subentrata la semplice estraniazione di tutti questi sensi,
il senso dell’avere (der Sinn des
Habens)».
«l’uomo stesso è
trasformato in denaro e il denaro si è incorporato in lui. L’individualità
umana (menschliche Individualität), la morale umana è ugualmente
diventata un articolo
di commercio, un materiale nel quale
il denaro giunge
a esistenza».
Poiché i rapporti
sociali sono rovesciati
nella forma individualistica del
rapporto uomo-cosa, il denaro diviene l’intermediario di rapporti invertiti.
La modificazione antropologica è così profonda da snaturare l’essenza stessa
del linguaggio, e quindi dell’uomo in quanto zoon logon echon. «L’unica lingua
comprensibile che parliamo fra noi –scrive Marx –è quella
dei nostri oggetti nei loro
rapporti reciproci. Non comprendiamo più il linguaggio umano, che rimane privo
di effetti».
L’altro e i suoi bisogni diventano indifferenti.
Il controcanto comunista
replica punto su
punto a questa
antropologia: «presupposta la soppressione positiva della proprietà
privata, l’uomo produce l’uomo (der
Mensch den mensch produziert), cioè produce se stesso e
l’altro uomo». La produzione dell’uomo da parte dell’uomo ha luogo
assieme alla produzione dell’altro
(den andren Mensch),
in un duplice
movimento: distruzione di ciò che si è, l’individuo relazionato a
un mondo di
cose; produzione di rapporti tra uomini: l’essenza umana (das
menschliche Wesen) come
vera comunità degli
uomini (das wahre Gemeinwesen der
Menschen). Il senso
di questo passo
oscuro sta nella
distruzione del rapporto
uomo-cosa della concezione
individualista, e quindi
nella creazione di
una nuova antropologia: «L’individuo è l’essere sociale (Das
Individuumist dasgesellschaftliche
Wesen)».
L’uguaglianza, vale a dire la politica, opera
conflittualmente non contro la partizione
delle parti, ma contro
la regola della partizione.
La regola che costringe un
qualcuno a farsi proletario e a vendere
la propria forza-lavoro. Per questo
Marx parla, nel Capitale,
delle persone come funzioni, come «categorie economiche personificate». Ciò
che viene rappresentato è un complesso di rapporti sociali di dominio e di
conflitti.
Le possibilità si danno nell’incontro fra temporalità
diverse, in una
loro nuova combinazione. È stato
un errore sovrapporre il tempo della
politica rivoluzionaria alla tendenza
dello sviluppo capitalistico. La temporalità capitalisticamente dominante
non coincide con quella del
massimo sviluppo tecnologico e la temporalità della politica
rivoluzionaria può passare anche
attraverso strati temporali apparentemente arcaici.
Ai populisti, che
volevano salvare la comune russa, Marx
risponde che essa può
essere salvata solo
da una rivoluziona russa, non
però in un isolamento
suicida dal resto del mondo capitalistico: «è appunto
grazie alla contemporaneità della produzione capitalistica, che essa può
appropriarsene tutte le
conquiste positive senza
passare attraverso le
sue peripezie terribili».
Nell’analisi marxiana non c’è mai una sola
rivoluzione, al singolare, ma un incrocio di diverse temporalità rivoluzionarie
e interessi diversi di differenti classi e strati della popolazione.
L’azione del colonialismo inglese e la distruzione della
proprietà comune della terra vengono ora visti come fenomeni regressivi.
Il problema politico, posto nel dialogo con i populisti,
riguarda il travaso di sapere capitalistico e operaio occidentale in
quelle formazioni sociali
attraverso la contemporaneità di
insorgenze apparentemente arretrate. In altre parole
riguarda la contrapposizione della
temporalità rivoluzionaria di
insorgenze reciprocamente
contemporanee alla sincronizzazione operata
dal mercato al
ritmo del lavoro socialmente necessario.
Se la modernità capitalistica ha dissolto le forme di
comunità producendo individui funzionalizzati al
dominio del valore,
interessava a Marx indagare la genesi della «individualità
della persona» dalla dissoluzione della gens: il nesso tra la dissoluzione
della comunità e la
nascita dei moderni individui
egoistici. Marx è avverso a
ogni generalizzazione
soprastorica, perciò gli
interessa capire la
costellazione nella quale sorge, assieme al modo
di produzione capitalistico, anche il moderno concetto di individuo. Il
problema che emerge in queste ultime
riflessioni marxiane
riguarda una alternativa alla via della civilizzazione capitalistica,
una alternativa alla dissoluzione della comunità in individui reciprocamente
ostili. L’obščina, respinta da Bakunin
perché non permetteva lo sviluppo dell’individuo e la separazione delle classi,
viene accolta da Marx, sulla scia di Černyševskij, Kovalevskij ed altri, come nuova possibilità
di emancipazione umana su base comunitaria.
La modernità
capitalistica, che ha
invaso il globo, è una delle
possibili vie della modernizzazione. E’ quella intrapresa dall’Europa. Ma non
era l’unica possibile. Altre modernità erano e sono possibili, ma queste
possono sorgere solo dall’origine della
modernità, non tornando
indietro, ma da una
diversa combinazione delle diverse temporalità storiche che essa
continuamente cerca di sincronizzare attraverso il dominio della legge del valore.
Più si sviluppa e più il modo di produzione capitalistico
tende a naturalizzarsi, come viene mostrato attraverso la formula trinitaria esposta
nel terzo libro del Capitale. Nel «mondo stregato e invertito (verzauberte
und verkehrte Welt)» del
capitale le sue
categorie costitutive vengono naturalizzate e
personificate.
Marx disocculta il «carattere mistificante che trasforma i
rapporti sociali» in proprietà delle merci mostrando come la trinità
capitale-profitto, terra-rendita fondiaria e lavoro-salario non è
altro che lo
specchio che nasconde
la «pompa di
pluslavoro», e quindi
di plusvalore, poi diviso sotto forma di rendita e profitto.
Con l’assolutizzazione
della circolazione e
la naturalizzazione del
capitale «si sviluppa anche una
classe operaia che
per educazione, tradizione
e abitudine (Erziehung,
Tradition, Gewohnheit),
riconosce come ovvie
leggi naturali (Naturgesetze) le
pretese di quel modo
di produzione». La
naturalizzazione del modo di
produzione capitalistico produce individui che riconoscono le
sue leggi come leggi naturali.
La coazione del capitale diventa silenziosa (stumm) come lo sono le leggi
della natura. Marx prosegue: «La
violenza diretta, extraeconomica (Außerökonomische, unmittelbare Gewalt) viene certo ancor sempre
impiegata, ma solo eccezionalmente. Per il corso ordinario delle cose (den
gewöhnlichen Gang der Dinge) il lavoratore può essere lasciato alle “leggi
naturali della produzione”, cioè alla sua dipendenza dal capitale, che
scaturisce dagli stessi rapporti di produzione che la garantiscono e la
perpetuano».
Il modo di
produzione capitalistico e la forma politica moderna, eternizzando se
stessi attraverso l’immagine di un presente astorico, producono anche un
concetto del tempo adeguato a quell’immagine. Ciò che Walter Benjamin definì
«tempo omogeneo e vuoto».
questo cambio di
prospettiva è dovuto
anche a una
visione libera dall’idea
di progresso e capace
di cogliere il lato distruttivo,sia di uomini sia della natura, del
processo di valorizzazione, un processo che può
anche diventare interamente
autodistruttivo; Marx coglie il
progresso non come potenziale
di liberazione, ma
di sfruttamento del
lavoro; infine, a
livello analitico, ha ormai
chiara la combinazione
mondiale tra le
diverse modalità di
estorsione di plusvalore. Il
mercato mondiale è un continuo operare la sincronizzazione di temporalità
diverse. La lunga guerra della
modernità capitalistica contro
la proprietà comune
e il diritto
comune viene combattuta con
gli strumenti dell’accumulazione e della
violenza extraeconomica che, con
l’avvento del mercato mondiale,hanno innescato la guerra civile internazionale.
Una guerra che è solo all’inizio.
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