Credo che
per comprendere il significato profondo della beatificazione di Oscar Arnulfo
Romero (1917-1980), celebrata come un evento mediatico volto a rilanciare
l'immagine positiva della Chiesa cattolica in America Latina, dobbiamo partire
da una ben nota riflessione di Antonio Gramsci: "Ogni religione, anche la
cattolica (anzi specialmente la cattolica, appunto per i suoi sforzi di rimanere
unitaria “superficialmente”, per non frantumarsi in chiese nazionali e
stratificazioni sociali) è in realtà una molteplicità di religioni distinte e
contraddittorie..."
A mio
parere, in generale ciò significa che, se vuole restare un'istituzione
universale e continuare a giocare un ruolo internazionale, la Chiesa cattolica
deve accogliere in sé istanze diverse, anche contrastanti, provenienti dalle
diverse entità regionali, dai differenti strati sociali, dalle difformi
sensibilità culturali, benché non sempre abbia intenzione o alla fine non sia
in grado di dare ad essi risposte concrete.
Un altro
elemento importante e utile per approfondire l'argomento lo ricaviamo dal
concetto di “modello di santità”; concetto utilizzato dagli studiosi del
cristianesimo per contestualizzare storicamente e culturalmente le scelte
operate dall'istituzione ecclesiastica per individuare coloro che possano
rappresentare al meglio lo stile di vita santa, che essa propone e che si fonda
sull'imitazione della vicenda umana di Cristo.
A questo
proposito può essere interessante riportare brevemente le considerazioni fatte
dall'arcivescovo di San Salvador Arturo Rivera Damas, dopo la morte del suo
predecessore, così come vengono menzionate da Kenneth Woodward (La fabbrica dei
santi, 1991), per spiegare la sua precedente mancata beatificazione e
canonizzazione. L'arcivescovo Rivera osservava che la figura di Romero
presentava all'epoca delle ambiguità; i movimenti di sinistra, che in America
Latina hanno anche praticato la guerrilla, lo consideravano, infatti, un
martire della loro causa politica; per questa ragione egli riteneva che non
sarebbe stato facile dimostrare che invece era un martire della Chiesa. Pur
essendosi sacrificato come Cristo, una serie di considerazioni politiche, dunque,
gli impedivano di rientrare in quel modello di santità ritenuto accettabile in
quel momento storico.
Dobbiamo a
questo punto chiederci se e perché queste ambiguità si sono dissolte, giacché
si è deciso di procedere alla beatificazione dell'arcivescovo assassinato.
Secondo la
mia opinione, probabilmente non si sono dissolte, ma è cambiato il contesto
storico: il disfacimento del cosiddetto socialismo reale, la fine della Guerra
fredda, la fine delle dittature militari in America Latina, l’esaurirsi della
guerrilla, l'avvio di un processo di integrazione regionale promosso da paesi
che si oppongono con forza anche se con difficoltà alle ingerenze statunitensi,
la lenta decrescita del cattolicesimo proprio in America centrale (ma anche in
Brasile) a vantaggio dei pentecostali, l’adozione da parte della Chiesa
cattolica della strategia missionaria dell’inculturazione, un certo
protagonismo delle masse popolari in quel continente (vedi per esempio
l'opposizione al decreto esecutivo di Obama contro il Venezuela) etc.
In questo
contesto, in cui la relativizzazione dei valori, profondamente osteggiata da
Wojtyla e da Ratzinger, si fa strada anche tra le masse popolari, la Chiesa
deve necessariamente trovare strumenti di mediazione che le consentano di
rinnovare la sua immagine, per tanti aspetti screditata, e di mantenere la sua
presenza in quello che di nuovo si sta sviluppando in America Latina.
Tale
significativo strumento di mediazione è rintracciato nella Teologia del popolo,
che costituirebbe una branca della Teologia della liberazione, attaccata e
demonizzata per i suoi legami con il marxismo; essa è sorta in Argentina dopo
il Concilio Vaticano II ed era legata a quegli ambienti universitari, che si
proponevano di individuare categorie non marxiste efficaci per analizzare la
società latinoamericana. A tale concezione teologica è assai vicino papa
Bergoglio e non solo per le sue origini argentine.
Ma in che
consiste l’elemento che consente alla Teologia del popolo di distinguersi dalla
Teologia della liberazione, nota per aspirare ad istituire in terra il regno di
Dio? Lo ricaviamo dalle stesse parole del papa riportate da Sandro Magister nel
suo blog (A domanda risponde. Bergoglio sulla Teologia della liberazione,
27-09-2013) e con le quali si ribadisce, da un lato, l’importanza dell’opzione
per i poveri, scelta praticata con coraggio da molti sacerdoti latinoamericani,
dall’altro, la necessità di interpretare tale pratica facendo riferimento
all’ermeneutica cristiana e non a quella marxista, che per esempio – aggiungo
io – aveva elaborato la teoria della dipendenza per spiegare il sottosviluppo.
Si potrebbe
dire, in termini un po’ brutali, che il riconoscimento dell’esistenza della
povertà e l’attività di assistenza nei confronti delle sue vittime sono del
tutto legittimi, ciò che crea problema è invece l’interrogarsi sulle ragioni di
tale condizione (se lo fai non puoi che essere un comunista).
Vorrei
aggiungere qualche parola sulla religiosità o pietà popolare, che la Teologia
del popolo valorizza e riscatta dopo secoli di denigrazione e oblio. Si tratta
di quella forma religiosa propria delle masse popolari, distinta per certi
versi dal cattolicesimo ufficiale, e che in America Latina è il prodotto
sincretico di molteplici tradizioni religiose, le quali si sono incontrate non
per libera scelta in quel continente. È in questo immenso deposito di esperienze
umane e di strategie per affrontare condizioni spesso disperate di vita che la
Chiesa va a ricercare nuove energie per rivitalizzarsi e per costruire uno
stile liturgico più in sintonia con il linguaggio dei suoi fedeli.
Sulle
ragioni e sull'opportunità della beatificazione di Romero il 23 maggio
l'importante canale televisivo latinoamericano Telesur ha intervistato il
filosofo Gianni Vattimo
(http://www.msn.com/es-ar/autos/noticias/cruce-de-palabras-gianni-vattimo/vp-BBk9Ny2),
assai noto in America Latina sia come sostenitore del cosiddetto “pensiero
debole” che per il sostegno che egli dà al processo di recupero della sovranità
avviato dai paesi del continente. Credo che sia interessante soffermarsi su
questa intervista, perché – mi pare – in essa non si colga l'importante
differenza tra l'analisi politica – diciamo progressista ̶ e l'interpretazione
evangelica, finendo con l'assimilare la prima alla seconda, perché entrambe si
focalizzano sul problema della povertà e dell'emarginazione.
Alla domanda
se con la beatificazione di Romero si può registrare un cambiamento di
prospettiva nella Chiesa cattolica, Vattimo risponde che a suo parere si tratta
di un passo avanti in senso progressista, anche se non crede che – come
qualcuno ha sostenuto - Francesco I sia comunista. Da parte sua, egli
auspicherebbe addirittura la beatificazione del Che, benché probabilmente
chiedere che il papa proceda in questo senso sarebbe certamente eccessivo.
Ciononostante, egli ritiene che oggi, dinanzi ai colpi di coda dell'imperialismo
statunitense in declino, bisognerebbe costituire una Internazionale religiosa
di sostegno alle lotte dei poveri del mondo; qualcosa che definisce
“Papaintern”, in analogia al Cominter, perché dovrebbe essere presieduta e
diretta dal papa, giacché nella sua opinione il papato costituisce l'unica
istituzione che può portare avanti tale progetto, senza essere sospettato di
voler affermare la sua egemonia sugli altri Stati del mondo. Tale battaglia
dovrebbe essere condotta contro il potere finanziario internazionale, che ha
imposto ai popoli le devastanti politiche neo-liberali, alle quali si stanno
ribellando solo alcuni Stati latinoamericani come il Venezuela.
Lo stesso
Vattimo riconosce che la prospettiva che egli delinea è utopica e probabilmente
lo apparirebbe ancora di più se si ricordasse ciò che il filosofo italiano ha
affermato in altra sede
(http://www.periodistadigital.com/religion/vaticano/2015/05/17/gianni-vattimo-el-banco-vaticano-es-el-banco-de-la-mafia-iglesia-religion-dios-jesus-papa.shtml),
e cioè che la Chiesa cattolica è una potenza economica e che la Banca del
Vaticano è un'istituzione mafiosa impenetrabile. Questa contraddizione viene
risolta affermando, nel periodico digitale, che Bergoglio sta conducendo una
lotta contro la Curia con lo scopo di tornare allo spirito del cristianesimo
primitivo e al Vangelo, prendendo finalmente sul serio i suoi contenuti
(Ibidem).
A questo
proposito si potrebbe osservare che, a parte le innovazioni di stile introdotte
dal nuovo papa, alcune misure prese dalla Santa Sede sono state dettate da
pressioni internazionali, come per esempio la costituzione della Segreteria
dell'economia, un nuovo dicastero che ha il compito di riformare e sorvegliare
le attività finanziarie della Chiesa, diretto dal cardinale australiano George
Pell, non certo un progressista. Tale innovazione è avvenuta in seguito alle
sollecitazioni del sistema bancario internazionale alla Santa Sede,
"affinché rompesse i muri della franchigia e della segretezza finanziaria
e fiscale"
(http://www.internazionale.it/opinione/francesco-peloso/2015/05/22/banca-del-papa-francesco-ior).
A ciò bisogna aggiungere che nel 2012 il Dipartimento di Stato della Casa
Bianca "definiva il Vaticano 'vulnerabile' alla pratica del riciclaggio
del denaro sporco" (Ibidem). Insomma, se non si fossero prese misure
idonee per rendere più trasparenti le attività finanziarie vaticane secondo gli
standard internazionali, lo Ior non avrebbe potuto più interagire con le altre
istituzioni bancarie e finanziarie, ovviamente con notevoli danni.
In
definitiva, credo si possa affermare che il richiamo alla povertà e alla
miseria non è sempre immediatamente espressione della volontà di trovare una
soluzione a questi mali che affliggono gran parte della popolazione mondiale e
sempre più anche l'Europa. Inoltre, il legame tra la Santa Sede e il potere
finanziario, promotore del peggioramento inarrestabile delle condizioni di vita
dei lavoratori negli ultimi decenni, getta bagliori inquietanti sulla
possibilità che proprio dal papa possa partire una crociata a favore delle
masse derelitte dell'umanità. Solo quando si individuano le cause, certamente
complesse e articolate, di un certo fenomeno si è in grado di operare
trasformazioni significative volte a impedire che tale fenomeno sia persistente
o si ripeta. In caso contrario, si lanciano urla, esortazioni o invocazioni che
non incidono in forma significativa sul reale, benché facciano presa
sull'immaginario collettivo e inducano alcuni a parlare delle straordinarie innovazioni
che si stanno realizzando all'interno della Chiesa cattolica (dimensione questa
in un certo senso non meno dotata di realtà).
Se le cose
stanno come sembra potersi ricavare da quanto detto in precedenza,
probabilmente bisognerebbe essere più cauti ed evitare di parlare di
rivoluzione – come molti fanno ̶ a proposito del cambiamento di stile di
Francesco I e delle misure prese per rinnovare la Chiesa certamente anche per
suo impulso. Altrimenti si ricade in quel sensazionalismo, che caratterizza i
mass media internazionali, e che si fonda sulla semplificazione e sul
riduzionismo consolatorio, con l'intento di farci credere che stiamo avanzando
verso un mondo migliore. Semplificazione che occulta naturalmente il lato
oscuro della storia del cristianesimo illustrato con dovizia di particolari
nell'opera di Karlheinz Deschner (La storia criminale del cristianesimo, 10
volumi, 2000-2013), e che non si è dissolto come neve al sole, giacché le
istituzioni che lo hanno generato sono tutt'ora vigenti e operanti.
Quanto alle
misure rivoluzionarie che la Chiesa dovrebbe prendere, condivido l'opinione del
teologo svizzero Hans Küng, espressa nel suo libro Infallibile? Una domanda
(1970), nel quale egli dichiara che si dovrebbe procedere all'abolizione del
dogma dell'infallibilità papale adottato nel Concilio Vaticano I con la
costituzione dogmatica Pastor Aeternus (1870). E ciò perché, a suo parere, la
pretesa del papa di essere infallibile, quando parla ex cathedra richiamando il
carisma donatogli da Cristo, non avrebbe fondamento, giacché non si possono
considerare i vescovi della Chiesa di Roma emanazione degli apostoli né questi
ultimi nelle Sacre Scritture appaiono dotati di tale straordinaria capacità.
Questa critica di Küng è fondata sull'idea che si debba considerare la Chiesa
un'istituzione umana sorta in seguito a una complessa vicenda storica, e non
l'espressione cristallizzata della volontà divina, che si è ramificata in una
monarchia teocratica sempre animata dal desiderio di imporre come “naturali” le
sue norme e i suoi principi.
Molto
probabilmente anche Gianni Vattimo sarebbe d'accordo con l'abolizione
dell'infallibilità (e probabilmente l'ha già scritto), perché così anche la
Chiesa si avvierebbe verso l'”indebolimento” del pensiero, da cui alcuni si
aspettavano la trasformazione radicale del nostro modo di pensare e di agire, e
che invece – a mio parere – ha determinato in gran parte la perdita di una
serie di strumenti concettuali e intellettuali indispensabili per comprendere
il complicato e tormentoso mondo contemporaneo.
Nessun commento:
Posta un commento