Come certamente sapete, un luogo comune è una frase fatta,
un argomento banale e non motivato. Sapete anche che cos’è uno stereotipo? Le
definizioni che ne danno due dizionari della lingua italiana sono: “Opinione
precostituita, non acquisita sulla base di un’esperienza diretta, e scarsamente
suscettibile di modifica” (Garzanti); “Percezione o concetto rigido e
semplificato o distorto di un aspetto della realtà, in particolare di persone o
gruppi sociali” (Zingarelli). Anche se non ce ne rendiamo conto, viviamo in
mezzo a luoghi comuni e stereotipi che seguiamo senza rendercene conto,
semplicemente perché sono comodi. Ci consentono infatti di avere opinioni su
tante cose, anche senza conoscerle. Capita che, anche quando facciamo
un’esperienza diretta, questa venga falsata dagli stereotipi che abbiamo già in
mente (e che diventano perciò pregiudizi). Gli stereotipi riguardano gli
argomenti più diversi: le donne e gli uomini, le categorie sociali (ad esempio
i carabinieri, bersagli di tante barzellette…), le popolazioni di determinate
regioni (l’avarizia dei genovesi…), paesi e popoli (l’ordine e la disciplina
dei tedeschi…). Luoghi comuni, stereotipi, pregiudizi, in un certo senso sono
altrettanti gradini di una scala che ci allontana da una conoscenza corretta e
scientifica. La storia – come tutte le altre scienze, sia quelle sociali che
quelle della natura, ciascuna nei suoi campi di pertinenza –può e deve servire
anche a riconoscere e a rimuovere gli stereotipi, un po’ come fal’anticalcare
contro le incrostazioni in bagno e in cucina. In entrambi i casi, ovviamente,
l’efficacia dipende anche dalla durezza delle incrostazioni!
Tra i molti temi sui quali gli stereotipi abbondano, vi è
quello delle migrazioni: tema che nell’Italia di oggi significa soprattutto
l’immigrazione dalla sponda opposta del Mediterraneo, oltre che da altre parti
del mondo.
Nel mondo del XXI secolo è ormai comune l’idea che le grandi
migrazioni non siano un motore primario della società, ma piuttosto una
componente anarchica del cambiamento sociale, la tessera deformata di un
mosaico che non trova la sua appropriata collocazione, un “rumore” di fondo che
disturba il regolare ronzio della vita sociale. In realtà le migrazioni hanno
sempre assolto un ruolo fondamentale nella storia.
L’ultimo secolo, dalla prima guerra mondiale a oggi, è stato
segnato da un percorso irregolare, da politiche contradditorie, dall’impatto
dei grandi shock bellici sui trasferimenti di persone, dalla separazione
dell’oriente europeo dal resto del continente (durante la guerra fredda),
dall’inversione del ciclo migratorio – con l’Europa che da esportatrice diventa
nuovamente importatrice di risorse umane – e dall’impatto profondo del ciclo
demografico. Negli ultimi decenni, dagli anni 70 del Novecento, le politiche
migratorie si sono fatte più restrittive e più selettive, mentre le pressioni
aumentano per ragioni sia demografiche che economiche generate dai divari
Nord-Sud.
La demografia depressa del continente rende dunque
inevitabile un forte aumento dell’immigrazione, che ha sia una funzione di
rimpiazzo generazionale, sia una funzione di risposta alle esigenze del mercato
del lavoro. Nonostante l’attuale crisi economica, infatti, c’è una domanda del
mercato per le qualifiche più modeste, poco remunerate (edilizia, lavori
stagionali agricoli, lavoro manuale nell’industria e nei servizi, come le
pulizie, assistenza agli anziani, ecc.) e scarsamente appetite dalla manodopera
nazionale.
In questo contesto, senza una rilevante immigrazione, le
forze di lavoro scenderebbero dal 226 milioni nel 2005 a 160 nel 2050. Anche
riassorbendo l’attuale disoccupazione e aumentando i tassi di occupazione
femminile, bisognerebbe alzare di 10 anni l’età del pensionamento, in modo che
alla metà del XXI secolo dovrebbero essere al lavoro tre persone su quattro tra
i 60 e i 75 anni (oggi, in quella classe di età è attiva solo una persona su
sette).
Come il Novecento è stato il secolo della grande crescita
della popolazione mondiale, il Duemila sarà quello del suo invecchiamento, con
tempi diversi nelle differenti parti del mondo. Forse dal prossimo secolo si
avrà una decrescita generalizzata, ma nel futuro prossimo la decrescita, se non
corretta da immigrazioni, porterà problemi che saranno tanto maggiori nei paesi
(come l’Italia) ove essa è più intensa.
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