mercoledì 24 giugno 2015

Gli stereotipi sulle migrazioni - Cesare Grazioli

 Come certamente sapete, un luogo comune è una frase fatta, un argomento banale e non motivato. Sapete anche che cos’è uno stereotipo? Le definizioni che ne danno due dizionari della lingua italiana sono: “Opinione precostituita, non acquisita sulla base di un’esperienza diretta, e scarsamente suscettibile di modifica” (Garzanti); “Percezione o concetto rigido e semplificato o distorto di un aspetto della realtà, in particolare di persone o gruppi sociali” (Zingarelli). Anche se non ce ne rendiamo conto, viviamo in mezzo a luoghi comuni e stereotipi che seguiamo senza rendercene conto, semplicemente perché sono comodi. Ci consentono infatti di avere opinioni su tante cose, anche senza conoscerle. Capita che, anche quando facciamo un’esperienza diretta, questa venga falsata dagli stereotipi che abbiamo già in mente (e che diventano perciò pregiudizi). Gli stereotipi riguardano gli argomenti più diversi: le donne e gli uomini, le categorie sociali (ad esempio i carabinieri, bersagli di tante barzellette…), le popolazioni di determinate regioni (l’avarizia dei genovesi…), paesi e popoli (l’ordine e la disciplina dei tedeschi…). Luoghi comuni, stereotipi, pregiudizi, in un certo senso sono altrettanti gradini di una scala che ci allontana da una conoscenza corretta e scientifica. La storia – come tutte le altre scienze, sia quelle sociali che quelle della natura, ciascuna nei suoi campi di pertinenza –può e deve servire anche a riconoscere e a rimuovere gli stereotipi, un po’ come fal’anticalcare contro le incrostazioni in bagno e in cucina. In entrambi i casi, ovviamente, l’efficacia dipende anche dalla durezza delle incrostazioni!

 Tra i molti temi sui quali gli stereotipi abbondano, vi è quello delle migrazioni: tema che nell’Italia di oggi significa soprattutto l’immigrazione dalla sponda opposta del Mediterraneo, oltre che da altre parti del mondo.

 Nel mondo del XXI secolo è ormai comune l’idea che le grandi migrazioni non siano un motore primario della società, ma piuttosto una componente anarchica del cambiamento sociale, la tessera deformata di un mosaico che non trova la sua appropriata collocazione, un “rumore” di fondo che disturba il regolare ronzio della vita sociale. In realtà le migrazioni hanno sempre assolto un ruolo fondamentale nella storia.

 L’ultimo secolo, dalla prima guerra mondiale a oggi, è stato segnato da un percorso irregolare, da politiche contradditorie, dall’impatto dei grandi shock bellici sui trasferimenti di persone, dalla separazione dell’oriente europeo dal resto del continente (durante la guerra fredda), dall’inversione del ciclo migratorio – con l’Europa che da esportatrice diventa nuovamente importatrice di risorse umane – e dall’impatto profondo del ciclo demografico. Negli ultimi decenni, dagli anni 70 del Novecento, le politiche migratorie si sono fatte più restrittive e più selettive, mentre le pressioni aumentano per ragioni sia demografiche che economiche generate dai divari Nord-Sud.

 La demografia depressa del continente rende dunque inevitabile un forte aumento dell’immigrazione, che ha sia una funzione di rimpiazzo generazionale, sia una funzione di risposta alle esigenze del mercato del lavoro. Nonostante l’attuale crisi economica, infatti, c’è una domanda del mercato per le qualifiche più modeste, poco remunerate (edilizia, lavori stagionali agricoli, lavoro manuale nell’industria e nei servizi, come le pulizie, assistenza agli anziani, ecc.) e scarsamente appetite dalla manodopera nazionale.

 In questo contesto, senza una rilevante immigrazione, le forze di lavoro scenderebbero dal 226 milioni nel 2005 a 160 nel 2050. Anche riassorbendo l’attuale disoccupazione e aumentando i tassi di occupazione femminile, bisognerebbe alzare di 10 anni l’età del pensionamento, in modo che alla metà del XXI secolo dovrebbero essere al lavoro tre persone su quattro tra i 60 e i 75 anni (oggi, in quella classe di età è attiva solo una persona su sette).

 Come il Novecento è stato il secolo della grande crescita della popolazione mondiale, il Duemila sarà quello del suo invecchiamento, con tempi diversi nelle differenti parti del mondo. Forse dal prossimo secolo si avrà una decrescita generalizzata, ma nel futuro prossimo la decrescita, se non corretta da immigrazioni, porterà problemi che saranno tanto maggiori nei paesi (come l’Italia) ove essa è più intensa. 



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