lunedì 30 marzo 2020

CONTRO LA GUERRA! - Stefano Garroni

Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni.
Vedi anche: Coronavirus: origini, effetti e conseguenze - R.O.R. intervista Ernesto Burgio 
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Pubblichiamo  questo breve testo inedito di Stefano Garroni, scritto durante la prima guerra del Golfo, dove deve essere contestualizzato. 

Ci sembra contenga nelle sue riflessioni indicazioni validissime anche ai nostri giorni e non solo nei riguardi della guerra nella specificità di "quella" guerra, ma in astratto, di tutte le guerre. 

E, a maggior ragione, diventa un'indicazione particolarmente cogente nei confronti degli accadimenti odierni riguardo l'utilizzazione dell'informazione "mine stream" per costruire l'opinione pubblica intorno al problema della epidemia/pandemia. (il collettivo)


Spesso è stato osservato quale ruolo nefando stia giocando l’informazione rispetto alla guerra del golfo. I critici, non tanto ne sottolineano l’unilateralità e la non attendibilità, quanto la densità ideologica: che le notizie dai fronti di battaglia siano sottoposte a censure preventive ed a deformazioni interessate può addirittura essere comprensibile e opportuno (ad esempio, rispetto ad esigenze diplomatiche e militari). Ciò che indigna è, invece, la pertinace, totalitaria utilizzazione dell’informazione per costruire l’opinione pubblica (cioè, delle larghe masse) intorno ad alcuni concetti non semplici ma rozzi, non precisi ma netti, non plausibili ma indiscussi.
In realtà, tale indignazione , in un certo senso, è ingiustificata: è assai probabile (ad esser cauti) che un analogo imbarbarimento culturale caratterizzi ogni guerra (anche non guerreggiata), in particolare nell’epoca moderna, se non altro a partire dalla prima guerra mondiale – intendo da quando il conflitto ha assunto carattere totale, da quando l’assassinio di massa coinvolge indifferentemente soldati e civili, e da quando il reale teatro dello scontro militare non è che l’aspetto più evidente e drammatico di un coinvolgimento in verità universale (e questo è, appunto, anche oggi il caso).
Il denunciato ruolo dell’informazione sembra piuttosto dover orientare verso altre inferenze e deduzioni. Una in particolare: non è serio chiedersi – come oggi torna a farsi sentire – se questa o quella guerra sia o non sia giusta.
Se giusto/ingiusto è polarità morale, allora, implica una radicalità, universalità e libertà, assolutamente non riconoscibili né alla guerra, né a qualunque rilevante vicenda politica. Infatti, ogni volta che l’azione politica assume carattere rilevante (quindi, non solo nelle guerre) il potere statuale getta, a dir così, la maschera, rivelando appieno la sua funzione manipolatrice, la sua destinazione di strumento per imporre credenze, la cui forza non dipende dalla plausibilità razionale, sì piuttosto da valori estrinsechi , come l’insistenza, la valenza emozionale, la rozza semplicità.
Se così stanno le cose, ecco che allora una condizione della vita morale – intendo il mio trovarmi libero di fronte alla responsabilità della scelta – è oggettivamente tolta: la società intera è cacciata in una condizione priva di alternative, in cui la retorica propagandistica si fa del tutto invasiva. Dotata dei potenti strumenti manipolatori di cui lo Stato e le classi dirigenti dispongono, la propaganda entra in ogni modo nel profondo, nei livelli meno controllati della mente individuale e di massa, per cementare il “fronte interno”, per distruggere il desiderio stesso di un punto di vista autonomo e razionale.
La prospettiva morale, inoltre, non tollera certe separazioni (tra noi e gli altri, tra amici e nemici), da cui l’azione politica non solo non può prescindere, ma di cui è addirittura costituita. Si pensi – per prender la cosa in un suo vertice estremo e, dunque, più chiaro – a quel principio, che già la riflessione greco-classica elaborò, per cui è moralmente preferibile patire un torto che non rendersene responsabile.
Si tratta di un principio che, come è chiaro, taglia alle radici ogni ottica utilitaristica, da cui, invece, la politica non può certo prescindere. Dunque, non vale indignarsi per un certo uso dell’informazione, né è serio discutere il valore morale anche di questa guerra.
La realtà è che la vicenda politica, in quanto tale, si svolge secondo grammatiche particolari, presuppone agenti e finalità che non sono quelli operanti in sede morale. È di questa determinatezza, specificità del politico, che dobbiamo realisticamente prendere atto – come d’altronde una lunga tradizione di pensiero ci insegna.
Cosa deriva da questa necessità? Dobbiamo forse accettare la guerra ed in particolare questa guerra?
No. Ne deriva, invece, che proprio immergendoci dentro la dimensione politica, prendendo atto delle sue regole, dei suoi attori e delle sue finalità, dunque, radicandosi nell’effettivo terreno politico, è così collocandoci che dobbiamo definire le nostre ragioni contro la guerra, contro questa guerra.
Appunto, diversi sono gli attori dell’agire politico: ed alcuni – per i loro progetti, interessi e credenze – debbono portar guerra (anche non guerreggiata); in caso contrario, dovrebbero rinunciare a ciò che rappresentano, dovrebbero dismettere il ruolo che storicamente loro appartiene.
Ma vi sono anche altri soggetti, i cui interessi e finalità si coniugano con forme crescenti di autogoverno democratico, con lo sviluppo della razionale, consapevole gestione della vita sociale. Essi si coniugano con la pratica presa d’atto che “il mondo è interconnesso”, che ognuno di noi non tanto appartiene a questa o quella patria, quanto piuttosto è cittadino di un’unica patria, è membro di un’unica umanità, la quale non conosce né differenze di razza, né di fedi religiose. Conosce, invece, solo ostilità profonda per quegli interessi particolari e costituiti, che producono divisione, sfruttamento e guerra.
Questi, al fondo, i termini attuali dello schieramento politico possibile. E noi ci schieriamo, appunto, contro la guerra!

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