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Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (1975), tr. it. di A. Tarchetti, Einaudi, Torino 1993.
Ritornando alla riflessione sull’architettura, se la tana di Kafka è esemplificativa di un’architettura di difesa dall’altro, il testo seguente riguarda invece un’architettura del controllo dell’altro, ossia uno spazio che diviene disciplinare, sezionato e parcellizzato per controllare l’altro: lo spazio diventa disciplina.
Durante il XVII secolo, quando la peste si manifestava in
una città, venivano immediatamente prese delle misure di sicurezza. Per
cominciare, veniva fatta una rigorosa divisione spaziale in settori della
città; di seguito, città e terreno agricolo circostante venivano chiusi con
l’interdizione di uscirne, pena la vita; infine venivano uccisi tutti gli
animali randagi. Ogni strada era posta sotto l’autorità di un sindaco che aveva
il compito di sorvegliarla; se per qualsiasi motivo l’avesse lasciata, sarebbe
stato punito, senza deroghe, con la morte. Un determinato giorno, designato
precedentemente, si ordinava che ciascuno si rinchiudesse entro la propria
casa; dopo di che, il sindaco andava personalmente a chiudere a chiave le case
e quindi rimetteva la chiave nelle mani dell’intendente di quartiere che la
conservava fino alla fine della quarantena. Ogni famiglia aveva delle sue
provviste e per fare transitare il vino e il pane venivano preparate delle
piccole condutture in legno tra strada e case; per il resto delle cibarie
venivano usate delle carrucole e delle ceste. In città non circolavano che gli
intendenti, i sindaci, i soldati della guardia e i “corvi”, miserabili che
trasportavano i cadaveri e li seppellivano.
A questo punto, è chiaro che l’architettura rappresenta il fil rouge della nostra riflessione.
Quale è il tipo di architettura che riscontriamo in questo preciso momento
storico? Troviamo un’architettura in cui lo spazio è recintato, chiuso,
delimitato; un’architettura in cui ciascuno è stivato al suo posto e se si
muove ne va della sua vita, causa la possibilità di contagio o di punizione.
Ma torniamo propriamente al testo, Foucault ci dice che
l’ispezione era continua, il controllo senza posa, ovunque erano presenti corpi
di milizia e posti di sorveglianza, mentre le sentinelle venivano appostate ad
ogni angolo della strada. Ogni giorno il sindaco visitava la strada di cui era
responsabile; ad ogni casa faceva mettere gli abitanti alle finestre per
contarli e assicurarsi che non vi fossero dei morti; il cittadino aveva
l’obbligo giuridico di presentarsi, pena la morte; si trattava di un passare in
rivista ogni singolo individuo, con un sistema che ci richiama necessariamente
a quello carcerario, quando il secondino passa di cella in cella, batte sulla
porta e il carcerato deve presentarsi.
Questo tipo di sorveglianza si basava su un apparato di
registrazione permanente: ogni figura istituzionale doveva fare rapporto a
qualcun’altra, i verbali si accumulavano l’uno sull’altro, tutti i nomi degli
abitanti venivano minuziosamente registrati con continui appelli, si
compilavano documenti ufficiali e ogni elemento (morte, malattie, reclami,
irregolarità) veniva annotato. Anche le stesse cure mediche dovevano essere
decise previa autorizzazione scritta del magistrato, in modo da evitare che si
curassero, all’insaputa del medico, malati contagiosi.
A cinque o sei giorni dall’inizio della quarantena si
procedeva a una attenta decontaminazione delle case; fatti uscire gi abitanti,
in ogni stanza si spostavano mobili e merci, quindi, dopo aver chiuso tutti i
pertugi della casa, si spargevano e si facevano bruciare delle essenze; finita
l’operazione di disinfezione, si procedeva alla perquisizione dei profumatori
per assicurarsi che non avessero arraffato oggetti di valore e quant’altro
dalla casa; finalmente, quattro ore dopo circa, gli abitanti potevano
rientrare.
Ritornando alla riflessione sullo spazio e facendo un punto
sulla situazione, potremmo affermare che quello a cui costringe la peste è uno
spazio:
– chiuso, recintato, sezionato con esattezza,
– sorvegliato in ogni suo punto,
– in cui gli individui sono inseriti in un posto fisso,
– in cui ogni pur minimo movimento è controllato,
– in cui tutti gli avvenimenti sono registrati,
– in cui un interrotto lavoro di scrittura e scritturazione
collega il centro alla periferia,
– in cui il potere si esercita senza interruzioni e secondo
una gerarchia ascendente,
– in cui ogni individuo è costantemente reperito ed
esaminato in modo da essere assegnato a tre diverse categorie: i vivi, gli
ammalati, i morti .
Tutto ciò costituisce un sistema compatto di dispositivo
disciplinare, termine fondamentale per comprendere il discorso portato avanti
da Foucault.
Al caos pestilenziale, l’uomo rispondeva con l’ordine, la
cui funzione era risolvere quelle confusioni inevitabili, laddove la malattia e
il contagio si diffondevano rapidamente e i corpi si mescolavano in promiscuità
disordinate. Quest’ordine prescriveva a ciascuno il suo posto, a ciascuno il
suo corpo, la sua malattia e la sua morte; a ciascuno il suo bene, per effetto
di un potere che si reputava onnisciente. Tale potere arrivava a determinare
completamente la scelta dell’individuo, fosse pure la morte. Se la peste era
mescolanza, la disciplina era ordine e fredda analisi.
Le misure contro la peste danno il via all’era dell’utopia
disciplinare in cui le misure correttive per un’epidemia mettono in campo
un’idea di realizzazione del potere disciplinato: un potere totale che arriva a
regolare fin nel profondo il corpo del cittadino.
Foucault afferma che dietro l’ossessione della peste, c’è
l’ossessione per ciò che è radicalmente altro, ovvero ciò che rappresenta una
diversità vischiosa e scabrosa: la paura delle rivolte, dei crimini, del
vagabondaggio, delle diserzioni, dello sciacallaggio, di persone che appaiono e
scompaiono, vivono e muoiono in un disordine incomprensibile.
Dunque, proprio la peste, elemento estraneo, (questa
l’osservazione teorica interessante nel capitolo in questione) ha suscitato il
desiderio dell’ordine e fatto nascere gli schemi disciplinari. Schema disciplinare
significa un’architettura del controllo dell’altro. Tale progetto richiama
separazioni multiple, distribuzioni individualizzanti, una profonda e capillare
organizzazione di sorveglianza e di controllo, una intensificazione e una
ramificazione del potere. Foucault aveva parlato, in altri testi, anche di
lebbra; il lebbroso era colui che veniva allontanato dalla città, era
quell’alterità pericolosa che veniva esclusa ed emarginata. Con le misure
cautelative per la peste si trova però di fronte ad un fenomeno differente e
più complicato: quello dell’organizzazione di un potere analitico che
controllava e suddivideva. Un’alterità, quella del lebbroso, è marchiata e
isolata, l’altra, quella dell’appestato, è controllata entro una società
disciplinata. A due tipi d’alterità, corrispondono due maniere di esercitare il
potere sull’altro, la prima è una forma escludente, la seconda avvolgente e
disciplinante.
Il tipo di città che si delinea a partire dalla diffusione
della peste, simboleggia la chimera della città perfetta che suddivide gli
spazi, affida ad ognuno il suo compito ed ha utopicamente come fine quello di
analizzare e trovare uno spazio, stabilito e disciplinato, per la persona.
Questo tipo di città, ci dice Foucault, è la città della modernità.
Abbiamo detto che l’autore presenta due modelli di
architettura del rapporto con l’altro, quello dell’esclusione e quello della
parcellizzazione.
Tuttavia i due schemi non sono incompatibili, anzi, Foucault
ci dice che lentamente li vediamo avvicinarsi. Infatti è peculiarità del XIX
secolo, quella di aver applicato allo spazio proprio dell’esclusione, di cui il
lebbroso era l’abitante simbolico (e i mendicanti, i vagabondi, i pazzi e i
violenti formavano la popolazione reale), la tecnica del potere propria dell’incasellamento
disciplinare. L’escluso rimane tale nelle pratiche di individualizzazione così
come l’alterità è esclusa nel momento in cui è incasellata e controllata. A
questo servono determinate istituzioni statali come l’asilo psichiatrico, il
penitenziario, la casa di correzione, lo stabilimento di educazione
sorvegliata. Queste istituzioni funzionano in base a un doppio schema: quello
della divisione binaria (pazzo-non pazzo, pericoloso-inoffensivo,
normale-anormale) e quello dell’assegnazione coercitiva o della ripartizione
differenziale (chi è o come deve essere, come caratterizzare, come riconoscere
questa alterità e come esercitare su di essa una sorveglianza costante).
L’alterità e la differenza sono inserite entro un meccanismo
di controllo disciplinare e sono alterità proprio in funzione di questo
meccanismo correttivo.
La conclusione teorica di Foucault è che fino ai giorni
nostri il rapporto all’alterità si è basato su questo doppio legame di
esclusione-controllo inserito entro istituzioni disciplinari.
Un esempio di questa istituzione disciplinare è il
Panopticon, da cui il panoptismo. Il Panopticon ritrae la figura architettonica
di questa composizione.
Costituzione del Panopticon:
-alla periferia la costruzione è ad anello
-al centro vi è una torre tagliata da larghe finestre che si
aprono verso la faccia interna dell’anello
-la costruzione periferica è divisa in celle, le quali
occupano ciascuna l’intero spessore della costruzione. Ogni cella ha due finestre, una, verso
l’interno, corrispondente alla finestra della torre, l’altra, verso l’esterno,
permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte. Pertanto è
sufficiente servirsi di un solo sorvegliante, appostato sulla torre centrale,
per tenere sotto controllo il pazzo, il condannato, il malato o l’operaio
rinchiusi all’interno delle celle. Dalla torre si possiede quindi uno sguardo a
360 gradi e questo permette un controllo assoluto sulla vita del recluso. Tante
gabbie, tanti piccoli teatri in cui ogni attore è solo a recitare il suo
canovaccio, perfettamente individualizzato e costantemente visibile. Il
dispositivo panoptico predispone unità spaziali che permettono di vedere senza
interruzione e di riconoscere immediatamente. Dei tre principi che dominavano
la segreta – rinchiudere, privare della luce, nascondere – si predilige
solamente il primo, preferendo la piena luce e la completa visibilità. Ognuno è
visto in faccia dal sorvegliante, mentre i muri laterali gli impediscono di
entrare in contatto con i compagni: egli è visto, ma non vede. Foucault ci dice
una cosa importante: la persona dentro il panopticon è oggetto d’informazione,
ma mai soggetto di comunicazione. Dice anche che, all’interno di questo
dispositivo di controllo istituzionale, la folla, la massa compatta, da sempre
luogo di molteplici scambi e d’individualità che si fondono per effetto
collettivo, è stata invece abolita, per trasformarsi in un’amorfa sorta
d’automi, d’individualità separate . La folla è sostituita da una molteplicità
numerabile e controllabile grazie all’imposizione di una solitudine sequestrata
e scrutata.
Jeremy Bentham, il filosofo utilitarista, progettò questa
macchina infernale alla fine del ‘700. Nell’elaborare questa prospettica
prigione della modernità (egli infatti non riuscì a realizzarla), ispirò
successivamente gran parte degli edifici scolastici, di cura, di detenzione e
perfino, a voler vedere, la maggior parte degli edifici abitativi. In questo
modo elaborò anche una nuova idea del potere: un potere tanto visibile quanto
inverificabile.
L’effetto principale del panopticon è indurre nel detenuto
uno stato cosciente di visibilità, capace d’assicurare quella che è la funzione
automatica del potere: far si che la sensazione del controllo sia permanente
anche laddove la sua attuazione è discontinua; obbligare il detenuto alla
sensazione di essere controllato ed osservato costantemente, pure se questa
percezione non gli è possibile da verificare. Quindi fondamentale non è la
presenza ininterrotta del sorvegliante, bensì che il detenuto ne abbia
solamente la sensazione. Siamo così giunti all’idea di un’alterità fisicamente
determinata. È l’idea che Foucault chiamerà bio-politica, ovvero la presenza
del potere fin nelle più piccole particelle del corpo della persona. Una presenza
non necessariamente fisica, ma che è sufficiente sentire-percepire.
Grazie a questa inestinguibile sensazione, il detenuto avrà
sempre davanti l’alta torre centrale, ma non saprà mai se il sorvegliante è
presente al suo interno. La torre infatti possiede delle persiane che coprono
le finestre e non ne permettono la visione interna; delle chicanes,al posto
delle porte, per evitare ad ogni minimo riverbero di lasciar trasparire la
presenza del guardiano.
Ecco perché il panopticon è una macchina per dissociare la
coppia vedere-essere visti. Infatti, mentre nell’anello periferico si è
totalmente visti, senza mai vedere, viceversa nella torre centrale si vede
sempre, senza mai essere visti.
Oltre a quanto riportato, il panopticon si basa altresì su
una relazione fittizia: non è necessario far ricorso alla forza per costringere
il condannato alla buona condotta, il pazzo alla calma, lo scolaro alla buona
educazione. Le istituzioni sulla base del panopticon non hanno inferriate o
catene perché basta che le separazioni siano nette e le aperture ben disposte.
Questa del panopticon è una geometria della certezza e non della fortezza, la
forza costrittiva e il controllo della diversità passa attraverso una chiara
superficie di applicazione.
Bentham non lo dice, Foucault però lo ricorda: il panopticon
si è principalmente ispirato al serraglio del re che l’architetto Le Vaux aveva
costruito a Versailles (poi andato distrutto, ma di cui rimangono tuttora
progetti e disegni). Esso fu importante perché rappresentò il primo serraglio
in cui gli animali non erano disseminati in un parco. Differentemente, vi era
un padiglione ottagonale che al primo piano comprendeva l’unica stanza del re e
i cui lati si aprivano con ampie finestre su sette gabbie; l’ottavo lato era
l’ingresso, dove erano rinchiuse varie specie di animali. All’epoca di Bentham
questo serraglio era scomparso, ma nel programma del panopticon si trova
un’analoga preoccupazione per l’osservazione individualizzante, per la
caratterizzazione e la classificazione, per l’organizzazione analitica dello
spazio. Il panopticon è un serraglio del re. L’animale è sostituito dall’uomo e
questo dovrebbe farci riflettere circa il modo di rapportarsi all’alterità:
rispetto all’altro si ha un atteggiamento naturalista e scientista e osservare
l’altro, senza avvicinarlo per paura del contagio, analizzarlo e catalogarlo,
entro parametri determinati, è la modalità di rapportarsi alla diversità
perseguita dalla modernità.
Il panopticon è luogo di sperimentazione, di analisi e di
controllo.
Facciamo un’ulteriore ed ultima riflessione, che qui ci
interessa per quel che concerne l’alterità e il rapporto ad essa. Nel testo di
Bentham, ad un certo punto il signore del panopticon, colui che dalla torre
controlla il dispositivo di controllo, ovvero quella figura che oggi potremmo
individuare nel direttore del carcere, del manicomio o dell’istituto di
correzione scolastica, dice una frase che può farci riflettere e che forse lo
stesso Foucault sottolinea appena. La scrive e la lascia abbozzata quasi a
costituire una piega di questo meccanismo: “Il mio destino – dice il signore
del panopticon – è legato a loro [a quello dei detenuti] da tutti i legami che
io sono stato capace d’inventare”. In soldoni, questo significa che il medico
incompetente che avrà lasciato diffondere il contagio o il direttore del
carcere che sarà stato incapace e avrà lasciato divampare la rivolta, saranno
le prime vittime l’uno dell’epidemia, l’altro della rivolta; più in generale
che il controllo si ritorce, alla fin fine, sul controllore e sull’ideatore del
sistema di controllo. Risulta quindi evidente, alla luce della mia analisi, che
la pragmatica di dominio sull’altro è un’arma a doppio taglio per questa sua
identità che si presume incolume. Dobbiamo pertanto tener sempre presente che
ogni forma di identità non è mai pura e che il prodotto delle proprie
recinzioni e delle proprie tecniche anti-contagio si ritorce inevitabilmente
contro l’ideatore stesso del progetto di difesa.
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