La nozione di
feticismo nasce all'interno della riflessione sulla “religiosità primitiva” ma
da questa è trasferita ad altri ambiti culturali. Contiene in sé una
prospettiva critica che consente di scomporre i nostri “feticci” nel sistema di
relazioni che in essi si cristallizzano.
In una fase storica in cui alcuni sentono la nostalgia di
rapporti uomo / natura improntati alle antiche e simbiotiche concezioni animistiche [1], forse è opportuno
ricostruire brevemente la storia di una nozione centrale del pensiero moderno.
Mi riferisco alla nozione di feticismo usata da Hegel, Marx, Comte, Freud per
citare solo i pensatori più grandi, anche se in contesti diversi e con obiettivi
differenti. E ciò non per amore di pura erudizione, ma cercare di far chiarezza
- per quanto è possibile nel breve spazio concessomi in questa sede - su due
punti: 1) cosa suscita l'interesse per leforme religiose extra-occidentali ?
2) perché guardare ad altre forme di vita sociale per comprendere alcuni
elementi costitutivi della propria società e cultura?
L'interesse per nozioni coniate per definire un'esperienza
storica “altra” o direttamente provenienti dalle forme sociali
extra-occidentali non è ovviamente isolato al feticismo; si pensi ad esempio al
concetto di tabù - reso noto da James Cooknei suoi
diari di bordo alla fine del '700 - che pure ha avuto tanto successo e che è un
parola di origine polinesiana, il cui significato è “marcato con una foglia”.
Tale marcatura indicava che l'oggetto così segnato non poteva essere violato,
altrimenti sarebbe scattata sul violatore una punizione automatica di origine sovrannaturale,
la quale si sarebbe quindi realizzata anche nel caso in cui il trasgressore non
fosse stato scoperto. Nell'analisi freudiana tale processo, contrassegnato
dalla contraddizione tra l'impulso a realizzare un desiderio
proibito e il terrore di cedere ad esso, conduce
all'insorgere del senso di colpa e alla creazione di pratiche
ossessive che soddisfano in qualche maniera la pulsione proibita. Ma torniamo
al feticismo e a colui che ha elaborato questo termine, ossia Charles
de Brosses (1709- 1777).
Questi era presidente del Parlamento di Borgogna, un
illuminista di provincia che coltivava numerosi interessi che vanno dallo
studio delle nuove forme di vita sociale e culturale scoperte fino a quel
momento, dalla storia comparativa delle religioni al problema dell'origine del
linguaggio. È anche noto per le brillanti lettere che scrisse durante un
viaggio in Italia, esperienza fondamentale degli intellettuali europei
interessati alla scoperta degli antichi monumenti e al godimento delle opere
d'arte presenti nel nostro paese (Viaggio in Italia, Bari 1992).
Benché in un opera precedente egli già menzioni il termine
feticismo, a questa nozione dedica una ricerca specifica intitolata Sul
culto degli dei feticci o parallelo dell'antica religione egiziana con la
religione attuale della Nigrizia, parola con la quale si intende l'Africa
subsahariana. Questo libro, il cui scopo principale è polemizzare con le
credenze e le pratiche religiose del tempo, viene pubblicato anonimo a Ginevra
nel 1760, perché de Brosses non voleva rischiare la Bastiglia, e
successivamente viene ripubblicato durante la Rivoluzione Francese.
Non esisteva di esso una versione italiana, fino a quando nel 2000 è uscita
l'edizione curata daStefano Garroni e da me con l'aggiunta di
un'introduzione e di un apparato di note (Bulzoni, Roma 2000), il cui scopo è
quello di identificare tutti gli autori (antichi e moderni) che de Brosses cita
e che hanno dato un significativo contributo alla millenaria riflessione sulla religione.
Marx aveva letto il libro di de Brosses, giacché
cita nel suo articolo uscito nel 1842 nella Gazzetta renana, Dibattiti
sulla legge contro i furti di legna, episodi presenti nel trattato sul
feticismo [2]. E inoltre, nei quaderni di appunti, scritti a Bonn nel 1841,
compaiono passaggi tratti dall'edizione tedesca anonima pubblicata nel 1785 del
libro del presidente.
Nel libro di de Brosses sono presenti aspetti di grande
rilevanza teorica, tra i quali menziono la centralità della religione e sulle
sue diverse forme all'interno della riflessione europea a partire dall'epoca
classica, l'esplicito intento comparativo tra pratiche e credenze proprie
di contesti assai lontani nello spazio e nel tempo volto a cogliere gli
elementi invarianti della “natura umana” e dello “Stato sociale”,
la battaglia contro l'insensatezza e l'irragionevolezza di molti modi di agire
e di pensare dell'uomo, che pure sono altamente rispettati sino al punto di
essere sacralizzati. Soffermandoci su questi punti, possiamo già ricavare una
considerazione importante che smentisce tutti coloro che, criticando l'ipotizzato
progressismo del pensiero moderno, hanno attribuito ad esso la convinzione che
la società industriale moderna si sarebbe avviata verso un inarrestabile
processo di secolarizzazione, smentito dalrevival religioso degli
ultimi decenni e salutato con favore da alcuni sociologi della religione [3].
I cosiddetti progressisti, identificati con gli illuministi e
con i pensatori vittoriani, non si mostrano mai acriticamente tali,
giacché sono fortemente convinti dellafragilità umana, tema enfatizzato
dalla Riforma, e che si manifesta nella necessità di un sostegno
religioso. Infatti, riflettendo sugli antichi egizi, a cui si
attribuiva il raggiungimento di un formidabile livello culturale, de Brosses
scrive che “la storia ci prova… che, per quanto una nazione potesse essere più
civile di un'altra, tuttavia le assurdità non mancavano nei suoi riti: la
civiltà non esclude la superstizione” (2000, p. 235).
Queste considerazioni sorgono dalla revisione dell'antica
tesi, ripresa da autori moderni, secondo la quale ogni popolo ha due religioni:
la prima spirituale e raffinata propria dell'uomo colto, identificata con il Teismo,
l'altra rozza e materialistica praticata dalla plebe. Già Hume aveva
sottolineato che, giacché la religione scaturisce dai sentimenti di inquietudine e
di ansietà ineliminabili dall'animo umano, anche il saggio, se
tormentato da tali stati psichici, non può non ricadere nelle più assurde
credenze. A questo proposito si potrebbe menzionare la credenza nella jettatura descritta
e accettata, sia pure con una certa ironia, dall'ambiente illuministico
napoletano all'insegna del classico motto “non è vero, ma ci credo” (v. E. De
Martino, Sud e magia, Milano 1982).
Ma cos'è il feticismo per de
Brosses e da cosa nasce? Questa parola deriva dal termine portoghese feitiço,
a sua volta proveniente dal latino facticius (dal verbo facere),
che vuol dire artificiale, fabbricato. Con questa parola i
navigatori portoghesi, che nel XV secolo cominciarono a costeggiare l'Africa
occidentale con lo scopo di conoscere nuove terre e di avviare rapporti
commerciali con le popolazioni locali, indicano taluni beni scambiati con
queste ultime; beni che in molti casi presentano connotazioni di carattere
religioso, giacché funzionano soprattutto come amuleti etalismani.
Tale componente religiosa suscita perplessità nel viaggiatore portoghese che
non comprende l'incapacità di isolare il valore puramente economico
dell'oggetto quale comincia a configurarsi nell'economia mercantile.
A parere di de Brosses, il feticismo sorge nello stadio
infantile dello spirito umano, nel quale gli uomini sono dominati
dall'esperienza immediata e sulla base delle passioni elementari, quali il timore,
l'ammirazione, la sorpresa per gli eventi eccezionali e
anomali, finiscono col divinizzare piante, animali, fenomeni naturali e oggetti
appositamente costruiti. Sulle orme di Hume, dunque, de Brosses
ritiene che le forme religiose primitive, i cui tratti salienti si ritrovano
anche nell'Antico Testamento, abbiano un'origine puramente emotiva;
aspetto che giustifica la necessità dell'intervento divino per far conoscere ad
esseri tanto fragili e inconsistenti - quali sono gli uomini - la vera religione attraverso
la rivelazione.
Anche da queste rapide considerazioni possiamo ricavare
alcuni elementi utili a rispondere alla prima domanda che ci siamo posti.
L'interesse per le forme religiose extra-occidentali, alimentato dalla
letteratura di viaggio e dai resoconti dei missionari e dei colonizzatori, del
resto accompagnato dalla riflessione sulla religiosità antica, consente di
sviluppare un confronto dal quale scaturisce l'assurdità e la bizzarria di
talune credenze e pratiche proprie della civiltà occidentale, le quali - come
suggerisce Marx nello scritto su citato - appaiono così caratterizzate anche
perché viste con gli occhi di chi di essa non fa parte [4]. Se, dunque, il
confronto contribuisce alla creazione di un punto di vista critico, d'altra
parte lo stesso confronto consente di delineare la psicologia dell'uomo
religioso.
Seguendo la riflessione di de Brosses tale psicologia
presenta caratteri interessanti, le cui basi si radicano nella dimensione
invariante della già menzionata fragilità umana, ma che d'altra
parte oscillano e variano a seconda dei contesti storici e culturali in cui
l'uomo, tendenzialmente religioso e superstizioso, si trova a vivere e a
operare. C'è dunque nell'opera di de Brosses un certo dinamismo, derivatogli
anch'esso da Hume, che rende più complessa l'analisi degli stati d'animo da cui
germoglia la credenza religiosa. Infatti, egli scrive: “Prima che gli Stati
fossero sottoposti a un buon corpo di leggi e a una forma di governo regolare
ed articolata, la mancanza di previdenza e di buon ordine rendeva gli uomini
ben più sottoposti al caso di quanto non sarebbe poi avvenuto” (2000, p. 230).
Appare in questo breve passo il tema centrale del caso già
sviluppato da Hume, la cui riflessione viene menzionata, ma il cui nome non
viene citato, limitandosi il presidente a fare riferimento a un “celebre
scrittore straniero”. Questi aveva notato – scrive de Brosses – che i marinai e
i giocatori, perché maggiormente sottoposti aldominio del caso degli
altri uomini, immaginano che “la buona e la cattiva sorte… si lega a tante
piccole e futili circostanze, che li tengono in costante inquietudine” (2000,
p. 230). Con tale osservazione viene correttamente messa in risalto la
relazione tra le concrete condizioni di vita dell'individuo e il grado di
intensità e di profondità del suo atteggiamento religioso. Viene anche messa in
rilievo la particolare condizione psicologica di chi, assillato da complicate
circostanze e angustiato dall'incertezza, interpreta anche gli eventi
più minuti come segni del destino, fasto o nefasto, che lo attende.
Forse a questo punto abbiamo indicato alcuni elementi che ci
possono aiutare a comprendere il forte interesse per la “religiosità primitiva”
presente in autori che si occupano di questioni da essa assai distanti.
Osservando dall'esterno la religiosità altrui e i simboli in cui si manifesta,
è possibile tracciare una netta distinzione tra ilsignificante (il
supporto materiale) e il significato (il senso attribuito dal
fedele al primo); distinzione che quest'ultimo non fa né può fare perché i due
elementi gli appaiono indissolubilmente e “naturalmente” congiunti. L'analisi
di tale intreccio simbolico conduce all'individuazione di meccanismi proiettivi
ed entificanti, in base ai quali riverso i miei stati d'animo al
di fuori di me, li unifico e li cristallizzo in un'entità, che appare
dotata di attività e intenzionalità, perché intesa secondo la logica dell'antropomorfismo.
Insomma, troviamo nella “religiosità primitiva”, contro cui si polemizza sin
dai tempi di Senofane (570 a. C. - 475 a. C.), tutti quei meccanismi che stanno
alla base della visione del reale inteso come luogo, in cui operano forze di
carattere personalistico, e da cui scaturiscono entità inconsistenti, se criticamente
analizzate, ma saldamente “reali” per chi le ha create.
È questo l'antico sfondo culturale da cui emergono i vari
modi di usare il termine “feticismo” da parte di autori tanto diversi ma
ugualmente importanti, e da cui deriva anche l'atteggiamento analitico
decostruttivo, che smonta i fenomeni sociali e culturali nel
sistema di relazioni che legano l'uomo alla società e alla sua stessa dimensione
interiore; atteggiamento che costituisce solo il primo passo per il superamento
del feticismo, e che taluni hanno voluto attribuire alla postmodernità,
quasi fosse una sua esclusiva scoperta.
Note
1. L'animismo, che considera animate anche le entità inerti
di varia natura, è una nozione di carattere più generale rispetto al feticismo
e per questo lo comprende. Carattere specifico del feticismo è attribuire
attività e vita anche agli oggetti prodotti dall'attività umana, finendo col
divinizzarli. E ciò fa del feticismo qualcosa di paradossale.
2. In particolare, in tale articolo – collegato ad altri due
usciti in precedenza - si illustra come, per difendere le prerogative dei
proprietari terrieri, la dieta renana trasformi in furto la raccolta di legna
secca, non tenendo conto dei bisogni della povera gente che ad essa attingeva.
Se avessero contezza di tale decisione – scrive Marx - i nativi cubani
avrebbero pensato che per la dieta renana la legna fosse un feticcio, così come
l'oro per gli spagnoli che li avevano colonizzati (http://www.nilalienum.it/Sezioni/Marx/Opere/LeggeFL.html).
3. Questi ultimi vedono, infatti, nella religione
(cristiana) la sola istituzione che può garantire la permanenza di un elemento
solidaristico, in virtù del quale sarebbe possibile attenuare la lotta di tutti
contro tutti fattasi ancora più feroce nell'attuale fase capitalistica.
4. Mettendo in luce il carattere aporetico della società
capitalistica, nella quale si scontrano classi con interessi diversi, Marx non
avrà bisogno di ricorrere alla comparazione con i “selvaggi” per far emergere
un punto di vista critico, giacché esso scaturisce dalla riflessione
politicamente orientata sullo stesso funzionamento di quest'ultima.
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