venerdì 1 luglio 2016

L’imperialismo nel XXI secolo* - John Smith**

**John Smith insegna politica economica internazionale alla Kingston University di Londra. Il presente saggio è un estratto dal suo libro Imperialism in the Twenty-First Century, Monthly Review Press, 2016.

Introduzione

La globalizzazione della produzione e il suo spostamento verso i paesi a basso reddito costituiscono una delle più significative e dinamiche trasformazioni dell’era neoliberista. La sua forza trainante fondamentale consiste in quello che numerosi economisti chiamano “arbitraggio globale del lavoro”: lo sforzo compiuto dalle imprese in Europa, Nord America e Giappone al fine di tagliare i costi e aumentare i profitti rimpiazzando il relativamente ben pagato lavoro domestico con manodopera estera a basso costo, ciò sia attraverso l’emigrazione della produzione (la cosiddetta “esternalizzazione”) sia tramite l’emigrazione dei lavoratori. La riduzione dei dazi e la rimozione delle barriere ai flussi di capitali hanno stimolato la migrazione della produzione in direzione dei paesi a basso reddito, ma la militarizzazione delle frontiere e il crescere della xenofobia hanno creato l’effetto opposto sulla migrazione dei lavoratori provenienti da questi stessi paesi – non fermandoli del tutto, bensì inibendo il loro flusso e aggravando il già vulnerabile status di serie B dei migranti. 

Di conseguenza, le fabbriche attraversano liberamente il confine USA-Messico e passano agevolmente i muri della fortezza Europa, così come le merci in esse prodotte e i capitalisti  che le possiedono, mentre gli esseri umani che vi lavorano non godono del diritto di passaggio. Si tratta di una parodia di globalizzazione – un mondo senza frontiere per tutto e tutti a esclusione dei lavoratori.

I differenziali salariali globali, in larga misura derivanti dalla soppressione della libertà di movimento del lavoro, forniscono un riflesso distorto delle differenze globali nel tasso di sfruttamento (in parole semplici, la differenza tra il valore generato dai lavoratori e ciò che viene loro pagato). Lo spostamento verso sud della produzione significa che i profitti delle aziende con sede in Europa, Nord America e Giappone, il valore di tutte le tipologie di attività finanziarie provenienti da tali profitti, e i livelli di vita dei cittadini di queste nazioni, sono divenuti fortemente dipendenti dagli alti tassi di sfruttamento dei lavoratori nelle cosiddette “nazioni emergenti”. È necessario, dunque, riconoscere nella globalizzazione neo-liberale una nuova e imperialista fase dello sviluppo capitalistico, laddove “l’imperialismo” è caratterizzato dalla sua essenza economica: lo sfruttamento del lavoro vivo del Sud da parte dei capitalisti del Nord.

Nella prima parte verranno esposti i risultati di un’analisi empirica del trasferimento globale della produzione verso le nazioni a basso reddito, nonché identificato la sua caratteristica fondamentale: il super-sfruttamento imperialista (1); la seconda parte cercherà di spiegare tale fenomeno nei termini della teoria del valore di Marx, innanzitutto ripercorrendo il dibattito degli anni Sessanta e Settanta tra la teoria della dipendenza e i suoi critici marxisti “ortodossi”, successivamente riflettendo sulla teoria dell’imperialismo di Lenin e, per concludere, offrendo una rilettura critica delCapitale di Marx.

Prima parte: globalizzazione e imperialismo

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