2. Dialettica e temporalità
3. Storia e concetto in Hegel un’alternativa teorica
4. Le ragioni di un equivoco (ipotesi per una ricerca)
5. Conclusioni su Hegel ed Engels
Lo scopo del presente lavoro è quello di seguire i
momenti principali del dialogo che Friedrich Engels intrattiene con Hegel nella
sua Dialettica della natura.. Il rapporto di Engels col pensiero
hegeliano presenta un immediato motivo di interesse: la lettura engelsiana di
Hegel è stata il canale principale della ricezione del pensiero di questo per
buona parte della tradizione marxista (Lenin, Lukács e “diamat”, ma anche
Gramsci e Bloch). Lo Hegel di Engels è il pensatore che ha formulato le “leggi
della dialettica”, ed introdotto in filosofia un modo di pensare dinamico che
si adatta perfettamente agli sviluppi delle scienze naturali e storiche, e può
favorirne ulteriori progressi se consapevolmente adottato dagli scienziati.
Ora, l’immagine della dialettica hegeliana che Engels trasmette ai suoi lettori
ha come ingrediente fondamentale la dimensione della temporalità. È
un’immagine, questa, che ha avuto un’enorme fortuna praticamente sino ai nostri
giorni, e che Engels d’altronde condivide con molti esponenti della cultura
filosofica del secondo Ottocento. Nelle prossime pagine tenterò di dimostrare
che si tratta di un’immagine sostanzialmente falsa, che pone in ombra aspetti
decisivi del pensiero di Hegel.
1. Hegel secondo Engels: le “tre leggi della dialettica”
e la dinamicità delle categorie
Importanza e limiti del metodo di Hegel per la formulazione
di ciò che Engels definisce “dialettica” sono tratteggiati come segue: nelle
opere di Hegel abbiamo a disposizione “un compendio della dialettica, ampio e
comprensivo, se anche sviluppato da un punto di partenza completamente falso”;
questo punto di partenza è l’“impostazione idealistica”, ossia la concezione
che “lo spirito, il pensiero, l’idea sia l’elemento primigenio, e il mondo
reale sia soltanto il ricalco dell’idea”;[3] da
rigettare è inoltre “la costruzione del sistema, arbitraria nei confronti dei
fatti”.[4]
Però, appunto, “togliendo tutto questo rimane ancora la dialettica hegeliana”.
Beninteso, “in Hegel regna nella dialettica la stessa inversione del nesso
reale che ha luogo in tutti gli altri rami del sistema”;[5] ossia, come Engels sostiene più oltre, “la
categoria appare come preesistente e la dialettica del mondo reale solo come un
suo riflesso. In realtà la cosa va capovolta: la dialettica del cervello è solo
un riflesso delle forme di movimento del mondo reale, della natura così come
della storia”.[6]
Però le sue forme sono valide, una volta private del loro involucro mistico.[7]
Ma come caratterizza Engels in concreto la dialettica
hegeliana? In due modi: da un lato la definisce indirettamente facendo
riferimento alle sue tre “leggi”; dall’altro le attribuisce un carattere
fondamentale: la fluidità, la processualità. Vediamo nell’ordine i due aspetti.
Quanto alle “tre leggi della dialettica”, Engels le
individua nella “conversione della quantità in qualità”, nella “compenetrazione
degli opposti”, e nella “negazione della negazione”.[8] Si
può osservare che per Hegel è fondamentale solo la “negazione della negazione”,
che egli chiama perlopiù “negazione determinata”, anche se non la definisce mai
“legge della dialettica” (d’altronde, della stessa ‘dialettica’ Hegel non parla
spesso, e il termine per lui definisce un
momento particolare del metodo razionale a cui Engels affibbia il
termine);[9]
per quel che riguarda le altre due “leggi”, la “conversione della quantità in
qualità” non ha grandissimo rilievo, e la “compenetrazione degli opposti” ha un
significato differente da quello attribuitogli da Engels (in primo luogo
perché la “riflessione” in Hegel non ha luogo soltanto tra opposti).
Ora, Engels vuole dimostrare che “le leggi dialettiche sono
leggi reali dell’evoluzione della natura e che quindi sono valide anche per la
ricerca scientifica teorica”;[10]
talvolta è addirittura categorico: “la dialettica spogliata del misticismo diventa
una necessità assoluta per la scienza”.[11]
Si veda in proposito anche l’Anti-Dühring: “nella natura sono operanti,
nell’intrico degli innumerevoli cambiamenti, quelle stesse leggi dialettiche
del movimento che anche nella storia dominano la apparente accidentalità degli
avvenimenti”;[12]
in particolare quest’ultimo passo chiarisce gli intenti monistici di Engels:
riaffermare l’unicità del reale al di là della pluralità delle scienze.[13]
In questa sede non sarà possibile occuparsi in dettaglio delle “tre leggi”.
Esse hanno trovato difensori anche in anni recenti,[14]
ma prestano il fianco soprattutto ad una critica: quella di costituire in
definitiva un formulario generico buono a tutti gli usi che si colloca su un
versante ben lontano da quella “logica specifica dell’oggetto specifico” che
Marx aveva invocato contro Hegel.
Mi fermerò invece su un altro aspetto dell’interpretazione
engelsiana della dialettica di Hegel: l’attribuzione della “fluidità” alle
categorie del pensiero. Troviamo questa notazione connessa alla seconda legge
alle pp. 472-473 (489-90) della Dialektik der Natur, che varrà la pena
di citare direttamente: “Due indirizzi filosofici: quello metafisico con categorie
fisse, quello dialettico (in particolare Aristotele ed Hegel) con categorie
fluide; la dimostrazione che l’opposizione rigida di premessa e conseguenza,
causa ed effetto, identità e differenza, apparenza e realtà è insostenibile:
che l’analisi mostra l’un polo come già contenuto in nuce nell’altro: che a un certo momento l’un polo si muta nell’altro, e che tutta la
logica si sviluppa proprio nello svolgersi di questi contrasti”.[15]
La chiave dell’interpretazione che Engels ci offre di Hegel,
e del suo tentativo di mettere in rapporto il pensiero del filosofo di
Stoccarda con gli sviluppi delle scienze, sta proprio qui: nella caratteristica
fluidità delle categorie della dialettica hegeliana, e nella capacità di
render conto della dinamicità del reale che Engels attribuisce loro. E’ facile
avere una riprova di ciò scorrendo la rassegna engelsiana delle scoperte
scientifiche fondamentali dell’’800;[16]
esse sono: la convertibilità
dell’energia, la scoperta della cellula (intesa come l’“unità dalla quale
hanno origine e si sviluppano, per moltiplicazione e differenziazione, tutti
gli organismi ad eccezione dei più bassi”),[17] e
la teoria dell’evoluzione. Ora, è noto che in particolare le ultime due scoperte
vanno in direzione opposta
rispetto a presupposti e posizioni di Hegel: infatti la scoperta della
cellula rese possibile la riducibilità fisico-chimica dei processi biologici,
ponendo fine alla loro separazione ontologica da quelli fisici e chimici;
quanto alla teoria di Darwin, essa dimostrò l’evoluzione nel tempo delle forme
naturali viventi, che Hegel al contrario poneva in una gradazione ascendente
(al pari del resto di quelle inanimate), ma situava in una dimensione
atemporale. Però secondo Engels tutte queste scoperte sono perfettamente
compatibili, se non con la lettera, con lo spirito della filosofia hegeliana:
proprio in quanto il nucleo valido del messaggio di Hegel è la
fluidità-dinamicità delle categorie. E in effetti, per un verso la convertibilità
dell’energia richiede categorie di pensiero dinamiche, mentre la scoperta del
“processo organico di sviluppo per differenziazione sia dell’individuo che
della specie” costituirebbe addirittura “la prova più evidente della dialettica
razionale”.[18]
Su questa base lo Engels della Dialettica della natura rilegge l’Enciclopedia di Hegel.[19]
2. Dialettica e temporalità
Ora, la dinamicità che Engels trova in Hegel (o meglio: alla
luce della quale lo interpreta) è una dinamicità di tipo particolare: essa ha
costitutivamente entro di sé la dimensione della temporalità, la
storicità. D’altronde, la
razionalità del mutamento storico è per Engels il carattere fondamentale della
filosofia di Hegel, come appare in tutta evidenza dalle sue famose riflessioni
circa il motto hegeliano sull’identità di “razionale” e “reale”.[20]
Per trovare eloquenti conferme della temporalizzazione della
dialettica in Engels ci sarà sufficiente prendere spunto dalle argomentazioni
prodotte da questi in appoggio alla critica hegeliana dell’“identità astratta”,
quella critica che ha il suo risultato più frappant nel famoso attacco al principio di (non)
contraddizione. Parafrasando in parte l’Enciclopedia di Hegel, Engels
dice nella Dialettica della natura: “Identità (astratta, a=a; e
in forma negativa: a non è nello stesso tempo uguale ad a e diverso
da a), non applicabile [...] nel mondo organico. La pianta, l’animale,
ogni cellula in ogni attimo della sua vita è identico a sé e pure
differenziantesi da sé, attraverso assimilazione ed eliminazione di sostanze,
respirazione, attraverso formazione ed estinzione di cellule...”.[21]
Queste parole, eccetto ovviamente l’accenno alle cellule, Hegel avrebbe potuto
tranquillamente sottoscriverle: si tratta infatti dell’autentico concetto
hegeliano di contraddizione, secondo il quale ‘x’ è al tempo stesso ‘=
x’ e ‘≠ x’: in altre parole, si tratta della contraddizione logica.
La centralità in Hegel di questo significato di ‘contraddizione’ non
deve venir persa di vista, se pure è incontestabile che spesso tale categoria
sia utilizzata nelle opere hegeliane come una sorta di “contenitore
concettuale”.[22]
Ma Engels prosegue: “quanto più si sviluppa la fisiologia, tanto più importanti
diventano per essa queste modificazioni incessanti, infinitesime, tanto più
importante quindi per essa la considerazione della differenza nell’identità;
il vecchio punto di vista dell’identità astrattamente formale, che vuole si
tratti un organismo come qualcosa di costante, semplicemente identico a
se stesso, ha fatto il suo tempo”.[23]
In quest’ultimo passo troviamo un elemento aggiuntivo: una determinazione
temporale (“costante”). L’ingresso della temporalità nella caratterizzazione
engelsiana della dialettica ha luogo ancora più chiaramente poco oltre: “ogni
corpo è continuamente esposto ad azioni meccaniche, fisiche, chimiche, che
cambiano sempre qualcosa in esso, modificano la sua identità”.[24]
E ancora, nella stessa pagina: “La continua modificazione, cioè
superamento, dell’astratta identità con sé anche nel cosiddetto mondo
inorganico. La geologia è la sua storia”.[25]
L’accento posto sulla storicità è chiaramente alla base
della critica engelsiana al principio d’identità anche in un appunto di poco
successivo: “Il principio di identità nella accezione della vecchia
metafisica, principio fondamentale della vecchia concezione: a=a. Ogni
cosa era uguale a se stessa. Tutto era permanente, sistema
solare, stelle, organismi”.[26]
Il discorso di Engels è qui basato, infatti, sull’equivalenza implicita di “identità” e “permanenza”. Non si tratta di un caso isolato nei testi
engelsiani: nell’Anti-Dühring, ad esempio, leggiamo che il metodo della
scienza moderna ci ha “lasciata l’abitudine di concepire le cose e i fenomeni
della natura nel loro isolamento (Vereinzelung), al di fuori del loro
vasto contesto complessivo (Gesamtzusammenhang); di concepirli perciò
non nel loro movimento, ma nel loro stato di quiete (Stillstand), non
come essenzialmente mutevoli, ma come entità fisse e stabili, non nella loro
vita, ma nella loro morte”;[27]
in questo passo troviamo dunque affiancati da un lato “isolamento (Vereinzelung)”,
“quiete (Stillstand)” e “modo di pensare metafisico”, dall’altro nesso o
“contesto complessivo (Gesamtzusammenhang)”, “movimento”, e -
implicitamente - modo di pensare dialettico. Ancora una volta, la dialettica è
associata all’idea di movimento, ancora una volta una determinazione logica
importante di Hegel, quale quella di “nesso”, di contesto, trapassa inavvertitamente,
nelle parole engelsiane, in quella di movimento nel tempo.[28]
Se torniamo alla pagina della Dialettica della
natura da cui eravamo partiti, troviamo
altre affermazioni degne di nota: “L’identità astratta, come tutte le categorie
metafisiche è sufficiente solo nell’uso spicciolo quotidiano, là dove
vengono presi in considerazione rapporti limitati o brevi intervalli di
tempo [...]. Ma [...] la maggior parte degli scienziati ha l’idea che
identità e differenza siano opposti inconciliabili, e non poli unilaterali la
cui verità risiede nella loro azione mutua, nella inclusione della differenza nell’identità”.[29]
Anche questo passo in fondo può essere letto come una libera parafrasi
hegeliana: ad ogni lettore di Hegel capita spesso di imbattersi in luoghi in
cui l’importanza delle categorie dell’“intelletto” è relativizzata e confinata
nell’ambito dell’uso pratico e quotidiano del pensiero. Ma, ancora una volta,
quello stesso lettore ben difficilmente troverebbe menzionati a titolo
esemplificativo i “brevi intervalli di tempo” di cui parla Engels.
Insomma, come si vede, nelle pagine di Friedrich Engels
fanno continuamente capolino richiami alle nozioni di storia, processo,
evoluzione, per caratterizzare gli ambiti di validità (e di verifica) del
pensiero dialettico. In alcuni luoghi dell’Anti-Dühring, poi, esse sono
direttamente utilizzate, con emblematica chiarezza, per caratterizzare il
pensiero di Hegel: “nel sistema hegeliano [...] per la prima volta, e questo è
il suo grande merito, tutto quanto il mondo naturale, storico e spirituale
venne presentato come un processo, cioè in un movimento, in un cangiamento, in
una trasformazione, in uno sviluppo che mai hanno tregua, e fu fatto il
tentativo di dimostrare il nesso intimo esistente in questo movimento e in
questo sviluppo”.[30]
Sulla falsariga di questa lettura del pensiero hegeliano è facile per Engels
scorgere nel sistema del filosofo una “contraddizione interna insanabile”,
sintetizzabile nell’opposizione - che ha goduto di notevole fortuna sino ad
anni non lontani - di “sistema” e “metodo”: il sistema hegeliano infatti “da
una parte aveva come suo presupposto essenziale la visione storica delle
cose, secondo la quale la storia umana è un processo di sviluppo che, per
sua natura, non può trovare la sua conclusione intellettuale nella scoperta di
una verità cosiddetta assoluta, mentre dall’altra parte afferma di essere la
quintessenza proprio di questa verità assoluta”.[31]
Sulla base di questa rassegna delle opinioni di Engels
intorno alla dialettica di Hegel, mi sembra si possano sottolineare con energia
due punti: 1) in primo luogo la riduzione del rapporto tra “identità” e
“differenza” alla formula della “differenza nell’identità” rende giustizia ad
un solo aspetto (oltretutto piuttosto marginale) della critica hegeliana al
concetto di “identità”; 2) per quanto riguarda poi il tema della “contraddizione”,
lo spostamento della questione su un piano temporale (o almeno: il peso
determinante attribuito a questo aspetto) non è semplicemente riduttivo rispetto alla portata ad esso realmente
assegnata da Hegel, ma addirittura da questi ritenuto fuorviante
rispetto alla corretta impostazione del problema.
Infatti Hegel non si limita ad insistere indirettamente sul
fatto che la “contraddizione” è in primis
contraddizione logica.[32]
Di più: egli mette esplicitamente in guardia da una minimizzazione della
questione; e fa questo, tra l’altro, proprio opponendosi ad uno spostamento della
contraddizione su un piano temporale, ossia su un piano di semplice successione
di determinazioni diverse: per Hegel, infatti, solo il “pensiero formale” -
ossia l’“intelletto” - “lascia che il contenuto contraddittorio che ha davanti
a sé ricada nella sfera della rappresentazione, nello spazio e nel tempo, dove
il contraddittorio viene tenuto in una estrinsecità reciproca nell’esser l’uno accanto all’altro e dopo l’altro”.[33]
Beninteso, Hegel stesso talora non manca di applicare il concetto di contraddizione
a rapporti che si svolgono nel tempo: è il caso, ad esempio, della dialettica
impulso-sua soddisfazione negli esseri viventi. Ma in questi casi il fatto
stesso che la contraddizione si risolva e si riproponga nel tempo è per Hegel
un indicatore della finitezza degli esseri viventi stessi: “ora la vita è questo,
togliere la contraddizione, soddisfare il bisogno, portarlo alla pace, ma in
modo tale che tuttavia riappare la contraddizione; è l’alternanza della
differenziazione, della contraddizione e del suo superarsi”.[34]
La progressiva interiorizzazione della temporalità osservabile nelle sfere
più elevate del reale ha il suo culmine nell’idea assoluta, nella quale
infatti la stessa contraddizione è posta e risolta ma non in successione: “la
vitalità di Dio o dello spirito è niente altro che un determinarsi, [...] il
porsi nella finitezza, nella differenza, nella contraddizione, ma nello
stesso tempo superare eternamente questa contraddizione”.[35]
Il divieto hegeliano di intendere la contraddizione in senso temporale è
dunque attestato, e gioca un ruolo rilevante, anche al di fuori della Scienza
della logica.
Ed è tanto più importante insistere su questo punto, in
quanto proprio l’infrazione di questo divieto costituisce il medio teorico
attraverso cui Engels può fare di Hegel il pensatore della storicità e del
divenire. Questa operazione ha di
fatto orientato la ricezione di Hegel in ambito marxista sino ai giorni nostri;
a puro titolo di esempio possiamo citare a questo riguardo quanto ha scritto
intorno alla contraddizione un marxista certamente non incasellabile nel “diamat”
quale Ernst Bloch: “la logica formale scolastica insegna che A non può essere
nello stesso tempo non-A. La dialettica non contesta completamente questo
principio, ma lo rettifica, poiché insegna che A non può nello stesso tempo restare
non-A”.[36]
Ma questo non è tutto: va infatti notato che la lettura di
Hegel come filosofo della storicità accomuna lo stesso Engels a critici e
filosofi del secondo Ottocento anche assai lontani dalle sue posizioni
teoriche. Non è difficile considerare l’accostamento di Hegel a Darwin come la
cartina di tornasole delle letture “temporalizzanti”’ di Hegel: e questo è un
vero e proprio luogo comune nell’ambiente filosofico tedesco del tardo
Ottocento. Se infatti Engels vedeva in Hegel “in germe la teoria
dell’evoluzione”,[37]
uno storico della filosofia di antica osservanza hegeliana quale Kuno Fischer
poteva scrivere quanto segue: “Hegel...è il filosofo del XIX secolo, infatti è
il filosofo della teoria dell’evoluzione”.[38] E
il Nietzsche della Gaia scienza giungeva
ad affermare che “senza Hegel non ci sarebbe Darwin”.[39]
3. Storia e concetto in Hegel: un’alternativa teorica
La pervasività, nella cultura tedesca di fine Ottocento, di
questa immagine di Hegel filosofo del divenire, della storia, dello
svolgimento, ci costringe ad affrontare di petto la questione e a domandarci:
corrispondono effettivamente ad Hegel questi tratti? Per dare una risposta a
questo interrogativo non pare sufficiente fare riferimento al problema della
“contraddizione”: occorre invece cercare, più in generale, nel sistema hegeliano
se e dove la dimensione della temporalità giochi un ruolo di rilievo.
Ci basteranno pochi cenni per ricordare l’esplicito rifiuto
hegeliano di assegnare alla dimensione temporale una qualsiasi rilevanza
all’interno della filosofia della natura: si tratta di un rifiuto che si
esprime - come è noto - in una posizione marcatamente anti-evoluzionistica. “È
totalmente vano” - leggiamo nell’Enciclopedia - “rappresentare le
specie come in progressiva evoluzione nel tempo (nach und nach in der Zeit
evolvierend); le differenze temporali non hanno assolutamente alcun
interesse per il pensiero”. [40]
Questo aspetto del pensiero hegeliano, sul quale i testi del filosofo non danno
adito a dubbi, è acquisito per Engels, che si guarda bene dal negarlo ed anzi
individua in esso il principale punto debole della filosofia della natura di
Hegel; nel Feuerbach, poi, esso è portato ad esempio di come il sistema
costringa il metodo a diventare “infedele a se stesso”.[41]
Diversamente stanno le cose per quanto riguarda la Filosofia
dello spirito. A proposito della storia umana, come è noto, Hegel non solo
non nega che si producano novità nel corso del tempo, ma è addirittura uno dei
più convinti assertori dell’“idea di progresso”. Ma, per quanto la cosa possa
a prima vista apparire paradossale, ciò non è affatto decisivo ai fini del
nostro discorso. Infatti, benché la determinazione del tempo giochi un ruolo
importante all’interno di quella parte dello “spirito oggettivo” che è
costituita dalla “filosofia della storia”, la temporalità è pur sempre per
Hegel una “forma dell’esteriorità dello spirito”.[42]
Essa, in altre parole, è niente più che uno dei campi di manifestazione del
razionale: nella storia lo spirito si manifesta nel tempo, mentre nella natura
si manifesta nello spazio;[43]
ed è bene non si dimentichi, a questo riguardo, che tempo e spazio sono le
determinazioni più povere della filosofia della natura.[44]
L’aspetto peculiare della stessa concezione hegeliana della storia non consiste
né nel riconoscimento del ruolo del “fattore tempo”, né nella convinta
affermazione del progresso storico: essa consiste invece nel tentativo di
rendere ragione degli eventi storici inserendoli all’interno di un percorso
necessario e razionale, le cui tappe sono segnate da differenti modelli di
organizzazione etico-politica.
Possiamo aggiungere che se anche si attribuisse ad Hegel -
come è certamente lecito e forse doveroso fare - una particolare sensibilità
nei confronti dei fenomeni storici, tale da distinguerlo, poniamo,
dall’impostazione di Fichte e di Schelling, questo riconoscimento ancora non
equivarrebbe a fare di lui il “filosofo della storia”, colui che ha dischiuso
al XIX secolo la dimensione della storicità. Per chiarire questo punto possiamo
aiutarci con qualche cenno sommario alle lezioni hegeliane sulla storia della
filosofia, le quali costituiscono ad avviso di molti studiosi proprio il
momento di massima penetrazione della realtà storica da parte del filosofo.
Ora, per Hegel è certamente vero che una data filosofia trova il suo terreno
solo in un certo tempo (e in un certo popolo), ma il rapporto che intercorre
tra i suoi precedenti storici ed essa è lo stesso che sussiste tra una categoria
della logica e la successiva: si rammenti d’altronde da un lato la asserita
corrispondenza tra le categorie della logica ed i momenti principali della
storia della filosofia,[45]
dall’altro l’insistenza di Hegel sulla superiorità dell’esposizione della
filosofia in sede logica.[46]
La condizionatezza storica (la “freccia del tempo”) è importante, così come
sono importanti i condizionamenti che derivano al pensiero dal diverso contesto
etico-politico entro cui di volta in volta si sviluppa: ma i risultati del
pensiero filosofico debbono e possono essere valutati, secondo Hegel, su basi
rigorosamente razionali, e contengono sempre un nucleo eterno di verità:[47]
qui come altrove, insomma, per Hegel quello che importa è “conoscere, nella
parvenza di ciò che è temporale e transeunte, la sostanza che è immanente e
l’eterno che è presente”.[48]
Per questo, tra l’altro, Hegel non è un relativista: anzi,
proprio l’approdo involontariamente relativistico di ogni “spiegazione” (e, a
fortiori, di ogni “giustificazione”) di un determinato assetto giuridico in
base alle circostanze storiche del suo sorgere costituisce uno dei principali
motivi della polemica hegeliana nei confronti della “scuola storica” del
diritto. A questo proposito sarà sufficiente citare l’annotazione al § 3 dei Lineamenti
di filosofia del diritto, ove possiamo leggere tra l’altro: “Considerare il
sorgere e svilupparsi di determinazioni giuridiche che appare nel tempo,
- questa fatica puramente storica (rein geschichtliche Bemühung), - così
come la conoscenza della consequenziarietà di esse dal punto di vista
dell’intelletto, la quale vien fuori dalla comparazione delle medesime con
rapporti giuridici preesistenti, ha nella sua propria sfera il suo merito e la
sua dignità e sta al di fuori del rapporto con la considerazione filosofica,
nella misura cioè in cui lo sviluppo da fondamenti storici (aus
historischen Gründen) non confonde se stesso con lo sviluppo dal concetto,
e la spiegazione e giustificazione storica (geschichtliche Erklärung und
Rechtfertigung) non viene estesa al significato di una giustificazione valida
in sé e per sé” .[49]
Insomma, “che le determinazioni giuridiche siano anche giuste e razionali, una
cosa è mostrar questo di esse, ciò che può veracemente avvenire soltanto ad
opera del concetto, e un’altra cosa esporre l’aspetto storico (das
Geschichtliche) del loro sorgere, le circostanze, i casi, i bisogni e gli
avvenimenti, i quali hanno prodotto il loro stabilirsi. Un tale presentare (Aufzeigen)
e (pragmaticamente) conoscere sulla base delle cause storiche (geschichtliche
Ursachen) più vicine o più lontane si chiama frequentemente: spiegare
(Erklären) o ancor più volentieri comprendere (Begreifen), nell’opinione
che con questa presentazione di ciò che è storico sia fatto tutto, o piuttosto
l’essenziale, quel che unicamente ha importanza per comprendere la
legge o l’istituzione giuridica; mentre invece quel che è veracemente
essenziale, il concetto della cosa, qui non è venuto affatto in discussione”.[50]
Ed ecco come Hegel descrive il cul de sac relativistico in cui questo
modo di procedere finisce col trovarsi: “alla giustificazione storica, quand’essa
confonde l’origine esteriore con l’origine dal concetto, accade
ch’essa fa inconsapevolmente il contrario di quel che si propone. Quando
l’origine di un’istituzione sotto le sue determinate circostanze si mostra
completamente adeguata allo scopo e necessaria e quindi è compiuto ciò che il
punto di vista storico (der historische Standpunkt) esige, ne segue, se
ciò deve passare per una giustificazione universale della cosa stessa,
piuttosto il contrario, che cioè, poiché tali circostanze non ci sono più,
l’istituzione quindi ha piuttosto perduto il suo senso e il suo diritto”.[51]
Il Leitmotiv
dei lunghi passi che abbiamo riportato è la contrapposizione di modo di
procedere storico e modo di
procedere conforme al concetto. Per designare il primo Hegel adopera qui
il termine “geschichtlich”, più di rado “historisch”. In molti
luoghi hegeliani invece proprio quest’ultimo vocabolo è utilizzato per designare
un metodo imperfetto, esteriore, semplicemente enumerativo, insomma
afilosofico di esposizione. Mi limito a ricordare alcune occorrenze
particolarmente significative. Nel primo capoverso della Prefazione alla Fenomenologia
dello spirito il “modo d’indagine
storico”, consistente in una semplice enumerazione (Hegel reca a questo
proposito l’esempio dell’anatomia) viene contrapposto a quello “concettuale”.[52]
In altri testi l’aggettivo “historisch” designa un’imperfezione da cui
le presentazioni iniziali del contenuto di un’opera filosofica sono
necessariamente affette: è il caso della Scienza della logica, in cui, a
proposito della “Partizione generale” preliminare, Hegel afferma che “l’autore”
- in quanto “conosce già la scienza” - “è in grado di dichiarare qui in
precedenza storicamente a quali differenze principali si determinerà il
concetto nel suo sviluppo”;[53]
secondo Hegel tale enunciazione preliminare dei contenuti della “scienza” è
estrinseca, non filosoficamente fondata, e tutti i passi e categorie logiche
anticipati in questa sede potranno ricevere la loro validazione (assurgendo
così finalmente al rango di conoscenza filosofica) soltanto nel percorso effettivo
della Scienza della logica.[54]
Sempre nella Scienza della logica troviamo un altro luogo importante in
cui la “Historie” è contrapposta alla “verità” filosofica; il contesto
di questa occorrenza è la pagina della “logica del concetto” in cui Hegel, trattando
“del concetto in generale”, mostra come il “concetto” stesso sorga dai gradi
precedenti (“sentimento”, “intuizione”, “coscienza sensibile” ecc.) avendoli a
“sue condizioni, ma soltanto nel senso che il concetto sorge dalla loro
dialettica e nullità come loro ragion d’essere, e non già nel senso che sia
condizionato dalla loro realtà” .[55]
Il richiamo a tali condizioni come se esse determinassero il sorgere del
concetto stesso è un peccato mortale per la filosofia: “un errore capitale
[...] è di credere che il principio naturale ossia il cominciamento, da
cui si prendon le mosse nello sviluppo naturale o nella storia
(Geschichte) dell’individuo che si sta formando, sia il vero e
quello che nel concetto è il primo” .[56]
Quest’ultimo passo, in cui è evidente il ricollegarsi hegeliano alla
distinzione aristotelica tra ciò che è primo e ciò che è primo ,[57]
è seguito a breve distanza dalla contrapposizione di “Historie” e
“verità”, a cui corrisponde di fatto una delimitazione reciproca dell’ambito
delle discipline scientifiche particolari e del sapere filosofico che riecheggia
quella da noi già incontrata nei Lineamenti di filosofia del diritto: “quando si ha di mira non la verità, ma
soltanto la storia (Historie), il modo come va la cosa nella
rappresentazione e nel pensare fenomenico, ci si può ad ogni modo fermare alla
narrazione (Erzählung) che noi cominciamo con sentimenti e intuizioni e
che l’intelletto dal molteplice di quelli cava una universalità ossia un
astratto [...]. Ma la filosofia non ha da essere una narrazione di ciò che
accade, sibbene una conoscenza di ciò che in quello vi ha di vero, e in
base al vero dev’essa poi comprendere ciò che nella narrazione appare come un
semplice accadere”.[58]
L’accostamento di “Historie” ed “Erzählung” contenuto
nel passo della Logica appena citato non è meno importante del
parallelo tra “cominciamento”, “sviluppo naturale” e “Geschichte dell’individuo” visto più sopra; considerati
assieme, essi ci dicono che, se Hegel è ben lontano dal negare uno sviluppo nel
tempo delle stesse determinazioni e funzioni del pensiero, al tempo stesso
egli ritiene filosoficamente irrilevante la narrazione di questo sviluppo nel
tempo, e la schernisce affiancandola all’esposizione delle diverse parti di un
corpo o all’elenco delle diverse specie viventi: insomma, l’accezione di “historisch”
testimoniata nelle opere del pensatore tedesco va intesa nel senso in cui,
prima dell’affermarsi delle teorie evoluzionistiche, si adoperava l’espressione
di “storia naturale”. Ed anche dove il fattore tempo gioca un ruolo, ogni
narrazione pura e semplice degli eventi è per Hegel irrilevante sul piano della
conoscenza filosofica. Insomma, ciò che è “historisch” ed il “tempo”
hanno in comune un aspetto di fondo: la dimensione dell’esteriorità,
dell’estrinsecità, regolarmente contrapposta alla profondità dell’indagine
razionale.
Proviamo ad enunciare in una formula una delle conclusioni
che si possono trarre dai luoghi citati: Hegel non è uno storicista.
a) Non lo è se si intende ‘storicismo’ come un atteggiamento
tendente al giustificazionismo storico: per Hegel un evento non è giustificato
per il semplice fatto di essere avvenuto, né l’eventuale (e comunque, come abbiamo visto, filosoficamente non
rilevante) rinvenimento delle cause della sua genesi in circostanze e
condizioni precedenti può offrirci una giustificazione razionale della sua
esistenza. A questo proposito, oltre ai rilievi metodologici prodotti
nell’annotazione al § 3 dei Lineamenti, si può fare riferimento a due
polemiche più circoscritte contenute nella stessa opera. In primo luogo quella
rivolta contro i tentativi di giustificare storicamente la schiavitù: nel
corso di tale polemica Hegel parla di “veduta storica (historische Ansicht)”,
intendendo con tale espressione il rivolgersi estrinseco alla storia .[59]
In secondo luogo la polemica indirizzata contro la ricerca delle ragioni di
eccellenza dello stato nell’“origine storica” dello stato stesso: tale origine,
sostiene al contrario Hegel, non è altro che “apparenza”, nulla più che una
“cosa storica (historische Sache)”;[60]
in altre parole: lo stato deve trovare la sua giustificazione razionale
altrove, e precisamente nella sua struttura e nella funzione a cui attualmente
assolve (anche sotto questo profilo la semplice “esistenza” di qualcosa non
costituisce di per sé sola la prova della sua “realtà effettiva” e
“razionalità”).[61]
b) Ma, al di là del problema della giustificazione in base
alla storia, Hegel non può dirsi ‘storicista’ neppure in un significato più
profondo: per lui, infatti, la conoscenza della genesi di un oggetto non
implica la conoscenza della sua struttura e della sua funzione (né,
tantomeno, si identifica con essa).[62]
In altre parole, la risoluzione di un oggetto nella sua genesi, il punto di
vista che Herbert Schnädelbach ha recentemente indicato riassumendolo nella
formulazione secondo cui “comprendere (Verstehen) qualcosa significa comprendere
come è divenuto”,[63]
è totalmente estranea ad Hegel. Per caratterizzare questa estraneità da un
punto di vista teorico è sufficiente far riferimento al tratto distintivo di
quella linea di pensiero che lo stesso Schnädelbach include nella definizione
(invero un po’ generica) di “tradizione ermeneutica”: questa “nel suo complesso
tende ad identificare l’interpretazione del “cosa” e del “da dove”, dell’essenza
di una cosa e del suo divenire [...]; essa propende verso un’ontologia in base
alla quale ciò che deve essere compreso non dev’essere altro che la sua storia”.[64]
Proprio questo è il punto decisivo: per Hegel la risposta
alla domanda “che cosa?” ha un ruolo centrale, e non si risolve nella risposta
alla domanda “come?”, e neppure nella risposta alla domanda “perché?”. Tale
riduzione, e più in generale lo spostamento dell’interesse sulla domanda
‘perché?’, ed il conseguente maggior peso attribuito alle spiegazioni genetiche
rispetto alle definizioni caratterizzanti, fanno parte di una storia in buona
parte successiva e fondamentalmente estranea ad Hegel. Di questo nuovo
indirizzo lo storico dell’ellenismo J.G. Droysen fu uno dei primi e più lucidi
teorici, come testimonia un’affermazione quale la seguente, molto prossima al
“motto ermenutico” coniato da Schnädelbach: “non vi è dubbio che noi comprendiamo
del tutto ciò che qualcosa è soltanto quando conosciamo come è divenuto”.[65] In base a quanto si è visto più sopra, è
facile constatare che queste parole sono assai lontane sia dalla lettera che
dallo spirito dei testi hegeliani, ed al contrario assai vicine a quella
“scuola storica” del diritto contro cui Hegel polemizzò. A quest’ultimo
riguardo si possono richiamare, per esempio, le parole rivolte da Savigny
contro A. von Feuerbach: “è dunque possibile comprendere (begreifen) il
presente di una situazione organica altrimenti che in connessione col suo
passato, cioè altrimenti che in
modo genetico?”.[66]
Ancora una volta, questo passo ci pone di fronte ad una decisa alternativa
metodologica: “metodo genetico” (“scuola storica” e storicismo posteriore)
contro “metodo sistematico-concettuale” (Hegel); anche da questo punto di
vista mi sembra nel giusto chi oppone all’accento della triade idealistica
sul “sistema” una diversa linea ideale di pensiero - che passa per Schiller (lo
Schiller della Akademische Antrittsrede del 1789), W. von Humboldt ed
approda allo storicismo -, direttrice di pensiero che pone invece
polemicamente l’accento sul “senso storico” e ritiene di poter essere fedele ad
esso soltanto accantonando le esigenze e le costruzioni sistematiche.[67]
Ma è probabilmente il caso di spingersi oltre una
considerazione puramente metodologica delle differenze. In ultima analisi,
infatti, è lo stesso obiettivo cognitivo che finisce per mutare: nella
misura in cui la risposta al “perché” ed al “come” di un oggetto finisce per
ricomprendere in sé la risposta al “cosa”, quest’ultima esce di fatto
dall’orizzonte teorico. Non mi sembra arbitrario connettere a questa
riconduzione della domanda sulla struttura a quella sulla genesi - riduzione
che ha i suoi più convinti sostenitori nello storicismo tardo-ottocentesco
(cfr. per tutti W. Dilthey) - il “narrativismo” (per il quale la forma adeguata
della comprensione storica è la narrazione degli eventi), anche nella sua
variante più marcatamente soggettivistica, che caratterizza il cosiddetto
“post-moderno” (Lyotard, Derrida, ecc.). La distanza della speculazione
hegeliana dal punto di approdo di questa linea di pensiero è veramente
abissale: secondo il filosofo tedesco, infatti, in philosophicis si può
parlare soltanto di comprensione sistematica della storia, e, come
abbiamo visto, lo stesso accostamento di “Historie” e “narrazione” è
effettuato con l’obiettivo di gettare discredito sulla “scientificità” della “Historie”.
Quanto ad Engels, credo che egli, come pure Marx, occupi una sorta di posizione
intermedia tra quella hegeliana e quella che caratterizza lo storicismo:
infatti non si può dire che alla centralità della storia indubbiamente riscontrabile
nel suo pensiero (nella Ideologia tedesca leggiamo: “conosciamo una sola
scienza, la scienza della storia”)[68]
corrisponda un predominio incontrastato delle spiegazioni genetiche degli
eventi.
4. Le ragioni di un equivoco (ipotesi per una ricerca)
Il dirigersi verso spiegazioni genetiche, il peso sempre
maggiore assegnato alla temporalità, l’approfondimento della tematica della
storia, costituiscono i diversi affluenti di uno dei principali percorsi della
riflessione ottocentesca. Nelle pagine precedenti ho cercato di dimostrare come
queste diverse componenti siano, nelle loro grandi linee, posteriori ed
estranee ad Hegel, quando non addirittura in un rapporto di opposizione
esplicita rispetto ai contenuti del suo pensiero. A questo punto sorge però
spontanea una domanda, che è poco meno che un’obiezione: se le cose stanno come
si è detto, per quali ragioni e per quali vie si è potuta affermare l’immagine,
il luogo comune filosofico e storiografico di un Hegel “pensatore della
storia”, immagine che abbiamo visto percorrere non solo le pagine engelsiane,
ma anche quelle di autori per certi versi agli antipodi rispetto alle sue
posizioni? In queste ultime pagine mi limiterò ad accennare ad alcuni motivi
di quell’equivoco in certa misura interni alle opere stesse di Hegel, ossia a ciò che
nei testi hegeliani può avere dato spunto alle letture ricordate. Non mi
fermerò, invece, sul più generale terreno storico-culturale su cui quelle
letture, e le posizioni teoriche a cui possono essere fatte risalire, affondano
le loro radici.
a) Lo spostamento su un piano temporale di “divenire”,
“contraddizione”, “sviluppo”. Sul déplacement temporale della “contraddizione” ho avuto
modo di insistere nelle prime pagine di questo lavoro. Sarebbe facile reperire
materiale in abbondanza per esemplificazioni analoghe a proposito dei concetti
di “divenire” e di “sviluppo”. E in verità non è difficile vedere come in
particolare una lettura temporalizzante (o anche solo... romantica!) del
concetto di “divenire” possa portare ad un passo dal fare di Hegel uno
storicista. Prendiamo l’affermazione, apparentemente incontestabile, di un
critico recente: “ciò che qualcosa è, è per Hegel lo stesso di ciò che diviene”.[69]
Nulla da eccepire; purché, a proposito del “divenire”, si tenga a mente quanto
segue: in primo luogo il “divenire” è semplicemente la terza categoria della Logica; in secondo luogo esso non è semplicemente
opposto all’“essere”, ma lo contiene in sé (come, del pari, il “divenire”
stesso è a suo volta contenuto nel “concetto”, che potremmo definire quanto
meno come un ‘divenire strutturato’); infine, e soprattutto, il “divenire”
secondo Hegel deve essere pensato come il passaggio delle prime due
determinazioni logiche l’una nell’altra, e non come una sorta di fuga di determinazioni
nel tempo.[70]
Se, al contrario, ci lasciamo semplicemente catturare dall’immagine di Hegel
che quella frase suggerisce, senza alcuna puntualizzazione ulteriore,
trasferiamo indebitamente - direbbe Hegel - un contenuto puro di pensiero sul
terreno della “rappresentazione”. E ci troviamo ad un passo dall’accettare
anche la solenne affermazione di Droysen: “noi comprendiamo cio che è presente (was
da ist) in quanto lo concepiamo come qualcosa di divenuto”:[71]
in fondo, se la realtà delle cose consiste nel loro divenire, cosa vi è di
teoricamente più conseguente del riandare di volta in volta dagli eventi, i
fenomeni e le strutture che la storia umana ci dispiega dinanzi agli occhi al
processo di formazione di quegli eventi, di quei fenomeni, di quelle strutture?
Ma questo è proprio il passo che, come abbiamo visto più sopra, Hegel non si sogna
minimamente di fare.
b) L’interpretazione della distinzione natura-storia come
semplice esaltazione della storicità. Numerosi
sono i luoghi in cui Hegel sottolinea la distinzione tra natura e “spirito”.
Particolarmente famose sono, in tal senso, alcune pagine delle Lezioni sulla
filosofia della storia, dove leggiamo tra l’altro: “nella natura i
mutamenti, per infinitamente molteplici che siano, manifestano solo un moto
circolare, che si ripete sempre: nella natura non accade nulla di nuovo sotto
il sole [...]. Solo nei mutamenti che hanno luogo sul terreno spirituale
nascono novità”;[72]
e ancora: “nella spiritualità il mutamento ha luogo non solo nella superficie,
ma nel concetto. [...] Nella natura la specie non progredisce; nello spirito,
invece, ogni cambiamento è progresso”. La ragione di questa peculiarità delle
vicende umane è peraltro così spiegata da Hegel: “la natura non comprende se
stessa, e perciò non esiste per essa il momento negativo delle sue forme. Nella
sfera spirituale, invece, si fa manifesto come la forma superiore sia prodotta
dall’elaborazione di quella precedente e inferiore. Questa perciò ha cessato di
esistere; ed è appunto perché si manifesti questo, cioè il fatto che ogni forma
sia la trasfigurazione della precedente, che l’apparire delle forme spirituali
cade nel tempo.”[73]
Da quest’ultimo passo appare in tutta evidenza come Hegel insista sul fatto che
l’elemento distintivo fondamentale dell’uomo dagli enti naturali è l’autocoscienza, la capacità di riflettere su se stesso:
proprio questa riflessività fa sì che l’attività umana dia luogo al “momento
negativo delle sue forme”; in altre parole, fa sì che vi sia progresso.[74]
In ogni caso, è sul piano dell’autocoscienza che ha luogo nel mondo umano
l’adeguazione tra l’individuo ed il suo “genere (Gattung)”: mentre il
genere nel mondo animale è una forza che sovrasta gli individui, gli uomini possono
prendere coscienza del loro “universale”, e dunque non soggiacere più, bensì
adeguarsi ad esso.
Ora, è sufficiente eliminare la sottolineatura dell’elemento
dell’autocoscienza per ottenere un modello assai differente, in cui ciò che per
Hegel è un risultato - la storia come work in progress, e come il campo
di progressiva realizzazione dei risultati del pensiero autocosciente - diviene
l’essenza stessa dell’uomo, il suo “genere”. È ciò che accade in Droysen (prima
di lui su questa linea si erano mossi diversi esponenti della sinistra
hegeliana, nonché Marx ed Engels),[75]
che pronunzia frasi come queste, il cui tenore ‘hegeliano’ è soltanto
apparente: “ciò che per gli animali e per le piante è il concetto del loro
genere (ihr Gattungsbegriff) [...], per gli uomini è la storia”; “la
storia è il concetto di genere dell’uomo”.[76]
Ancora una volta, eccoci ben oltre Hegel: mentre per il filosofo di Stoccarda
la “Gattung” dell’uomo era l’autocoscienza, ed egli di conseguenza vedeva
in atto nel progresso storico una progressiva interiorizzazione del tempo, una
sua strutturazione afferrabile sistematicamente (ossia, in ultima analisi, per
così dire trasferibile su un piano esclusivamente logico, e comunque semplice
preludio della dimensione sovratemporale dell’assoluto),[77]
affermazioni come quelle ora citate ci conducono al contrario in una
dimensione in cui in fondo al centro dell’attenzione vi è il trapassare delle
forme di organizzazione della vita degli uomini.
c. La diffusione delle Lezioni sulla filosofia della
storia e sulla storia della
filosofia. L’interpretazione della Fenomenologia
della spirito in chiave di filosofia della storia. Tra le cause
della ricezione di Hegel come “pensatore della storia” va senza dubbio posta
la notevolissima diffusione di alcuni cicli di lezioni hegeliane. In particolare,
l’influsso delle Lezioni sulla filosofia della storia e quello delle Lezioni
sulla storia della filosofia (oltretutto
pubblicate in edizioni in cui non era possibile distinguere il testo originale
hegeliano dagli appunti degli uditori e dagli stessi interventi redazionali)
superò presto di gran lunga quello esercitato dalla Scienza della
logica e costituì di fatto il
principale canale di penetrazione del pensiero di Hegel nella cultura europea.
E se delle Lezioni sulla filosofia della storia furono recepiti
soprattutto la forte insistenza hegeliana sul progresso storico e la teoria
stadiale della storia, il nucleo del messaggio delle Lezioni sulla storia
della filosofia fu individuato in una sorta di ingegnosa ed informatissima
serie di variazioni sul tema della veritas filia temporis. A ciò
possiamo aggiungere la lettura della Fenomenologia della spirito in chiave di filosofia della storia e come
storia del progressivo sviluppo dell’autocoscienza nel tempo (mentre in realtà
le diverse parti sono distribuite in un modo che spesso contraddice
esplicitamente l’ordine cronologico).[78]
Per quanto riguarda, infine, l’Enciclopedia, essa venne (e viene) letta
utilizzando le annotazioni (ed aggiunte) senza la cautela necessaria, ossia
senza dar peso all’insistenza di Hegel nel considerarle utili più su un piano
esemplificativo-“rappresentativo” che su quello della conquista della verità
filosofica: è a questi materiali che fa riferimento Engels quando dice che
“Hegel, in centinaia di passi, trae in singoli casi dalla natura e dalla storia
le prove più convincenti per le leggi dialettiche”;[79] e
si tratta di un’osservazione che in fondo va nella stessa direzione
dell’“inversione del nesso reale” imputato ad Hegel da Marx e dallo stesso
Engels (e prima di loro da Feuerbach), nonché dell’accusa di introduzione
surrettizia di materiale empirico per dimostrare le proprie tesi “logiche”
(Trendelenburg). Tutto questo può ben avere le sue ragioni sul piano critico.
Ma qui il punto in discussione è un altro: se vogliamo interpretare “Hegel
secondo Hegel”, ossia prendere sul serio le sue intenzioni filosofiche e ciò
che egli riteneva essere il proprium della sua speculazione, non sembra
possibile fare di lui il “pensatore della storia” o una sorta di inventore di
un “metodo storico di filosofare”.
5. Conclusioni su Hegel ed Engels
Se quanto precede ha qualche motivo di fondatezza, possiamo
affermare innanzitutto che in Engels non abbiamo “l’immissione pura e semplice
della dialettica idealistica entro il marxismo”:[80]
Engels ci offre invece un’intepretazione del pensiero hegeliano, che ne
trasforma alcuni tratti fondamentali, e ne trascura altri di pari importanza.
Più in particolare, da quanto ho tentato di argomentare dovrebbe risultare che
la “dialettica” hegeliana, o meglio i principi fondamentali del metodo di
Hegel, non si prestano ad essere semplicemente estratti dal “guscio” del
sistema per venire assunti ad elemento costitutivo del “materialismo storico”,
od essere semplicemente riempiti del contenuto delle scienze.
Quanto alla questione che ci ha occupati in queste pagine,
ossia il ruolo della temporalità nella dialettica di Hegel e nella sua
interpretazione ad opera di Engels, può essere interessante ricordare in
chiusura un punto di vista ottocentesco non lontano dal nostro: è quello di
Labriola, che scrisse ad Engels rifiutando la distinzione di “metafisico” e
“dialettico” in pro di quella tra “metafisico” e “genetico”, e argomentando
così la propria preferenza: “crederei che la designazione di concezione
genetica [a proposito della concezione materialistica, N.d.R.] riesce più
chiara; e di certo riesce più comprensiva, perché abbraccia così il contenuto
reale delle cose che divengono come la virtuosità logico-formale di intenderle
per divenienti. Con la parola dialettica si rappresenta solo l’aspetto formale
(che per Hegel, come ideologo, era tutto). E dicendo concezione
genetica così il darwinismo come la
interpretazione materialistica della storia, ed ogni altra spiegazione di cose
che divengono e si formano, pigliano il loro posto”.[81]
[1]. F. Engels non poté infatti portare a termine la Dialektik der
Natur. Anche se la prima idea di quest’opera risale al 1858, Engels stese il
primo piano definito del lavoro solo nel 1873, e vi attese sino al 1883; dopo
la morte di Marx, Engels fu costretto a lavorare alla stampa del secondo e
terzo libro del Capitale; apportò comunque
integrazioni e modifiche ai materiali della Dialettica della natura negli anni 1885/6, e poco prima di morire
raccolse tutti i materiali in quattro cartelle (compilando gli indici di due di
esse). Questi materiali contengono fra l’altro parti scartate
dall’Anti-Dühring e dall’opuscolo su
Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca. La
prima pubblicazione completa dei materiali pervenutici si ebbe in tedesco e
russo a Leningrado nel 1925, a cui seguì una nuova edizione nel 1941; le
citazioni nel testo sono tratte da Dialektik der Natur, in K. Marx, F. Engels,
Werke, vol. XX, Berlin 1962, pp. 307-620 (Dialettica della natura, trad. it. di
L. Lombardo Radice, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, vol. xxv, Roma 1974,
pp. 315-590).
[2]. Herrn Eugen Dühring’s Umwälzung der Wissenschaft (“Anti-Dühring”)
(18943), K. Marx, F. Engels, Werke, vol. xx, Berlin 1962, pp. 5-303, qui p. 14
(Anti-Dühring, tr. it. di G. De Caria riv. da F. Codino in K. Marx, F. Engels,
Opere complete, vol. xxv, Roma 1974, pp.1-314, qui p.12).
[3]. F. Engels, Dialektik der Natur cit., p. 334 (343).
[4]. Ivi, p. 334 (344).
[5]. Ivi, p. 335 (344).
[6]. Ivi, p. 475 (490); cfr. Ludwig Feuerbach und der Ausgang der
klassischen deutschen Philosophie (1888), in K. Marx, F. Engels, Ausgewählte
Werke, vol. vi, Berlin 1990, pp. 263-314, qui pp. 296-297 (Ludovico Feuerbach e
il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, tr.it. Mosca 1947, p. 40);
di passaggio possiamo notare come per Hegel in realtà non sia in gioco - come
qui Engels sembra credere - la “dialettica del cervello”, bensì quella del
lògos universale).
[7]. A questo riguardo è obbligato il riferimento alla celebre
metafora marxiana di “guscio mistico” e “nocciolo razionale”, che Engels
peraltro cita direttamente: Dialektik der Natur cit., p. 335 (344).
[8]. Ivi, p. 348 sgg. (357
sgg.).
[9]. Cfr. ad es. G.W.F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen
Wissenschaften im Grundrisse, §§ 79-82, e soprattutto § 81: G.W.F. Hegel,Werke
in zwanzig Bänden, a cura di E. Moldenhauer e K.M. Michel, Frankfurt a.M. 1969
sgg., vol. viii, pp. 172-176 (Enciclopedia delle scienze filosofiche in
compendio, Parte prima. La Scienza della logica, tr. it. di V. Verra, Torino 1981, pp.
249-253).
[10]. F. Engels, Dialektik der Natur cit., p. 349 (358).
[11]. Ivi, p. 476 (491).
[12]. F. Engels, Anti-Dühring cit., p. 11 (9).
[13]. Cfr. ancora ivi, pp. 131-132 (135): la dialettica è “scienza
delle leggi generali del movimento e dello sviluppo della natura, della società
umana e del pensiero”; un passo praticamente identico si trova nel Feuerbach: la dialettica è la “scienza delle leggi generali
del movimento, tanto del mondo esterno, quanto del pensiero umano”: Ludwig
Feuerbach cit., p. 297 (41).
[14]. Si veda da ultimo B. Müller-Hill, I filosofi e l’essere vivente,
tr. it. Milano 1984, partic. pp. 148-149.
[15]. I corsivi sono miei. Si noti che le categorie riportate da Engels
fanno tutte parte della hegeliana “logica dell’essenza”.
[16]. F. Engels, Dialektik der Natur cit., pp. 466-468 (484-6); cfr.
anche Ludwig Feuerbach cit., p. 282 (26) e soprattutto pp. 299-300 (43-44).
[17]. F. Engels, Dialektik der Natur cit., p. 468 (485).
[18]. Ivi, p. 475 (490).
[19]. E’ bene precisare che si tratta, come numerose pagine della
Dialettica della natura testimoniano,
di una rilettura in senso stretto, che va ben al di là dei passi riportati alle
pp. 476-480 (491-495) contro Büchner.
[20]. F. Engels, Ludwig Feuerbach cit., pp. 266-267 (8-9).
[21]. F. Engels, Dialektik der Natur cit., p. 483 (498); il corsivo è
mio. Cfr. anche Anti-Dühring cit., pp. 21 (21), 76 (79), 112-113 (115 sg).
[22]. Su questo punto vedi almeno Landucci, La contraddizione in Hegel,
Firenze 1978, passim. Sul fatto che “in Hegel la contraddizione è d’ordine
logico” ha insistito tra gli altri M. Piclin (Les Philosophies de la triade,
Paris 1980, p. 192; cfr. p. 195), che ha pure posto in rilievo come Marx, a
partire dall’Ideologia tedesca, intenda la contraddizione hegeliana come
“opposizione”, e dunque ne veda una possibile risoluzione nel tempo; in Hegel,
al contrario, essendo la contraddizione di ordine logico, “si può dire che
l’antitesi soppressa sia ancora presente
nella sintesi ulteriore” (ivi, p. 196).
[23]. F. Engels, Dialektik der Natur cit., p. 484 (499); l’ultimo
corsivo è mio.
[24]. Ibidem (corsivo mio). Per
il rapporto tra contraddizione e movimento, mutamento cfr. Anti-Dühring
cit., p. 112 (115).
[25]. Ibidem (i corsivi sono
miei).
[26]. Ivi, p. 484 (500).
[27]. F. Engels, Anti-Dühring cit., p. 20 (20).
[28]. Altrove l’’idea di nesso sembra comunque giocare un ruolo in
certa misura autonomo nella caratterizzazione engelsiana della dialettica; si
veda in proposito il Feuerbach: “concepire in modo dialettico, cioè secondo il
loro nesso (im Sinn ihres eignen Zusammenhangs), i risultati dello studio della
natura...” (Ludwig Feuerbach cit., p. 300 (44)).
[29]. F. Engels, Dialektik der
Natur cit., p. 485 (500).
[30]. F. Engels, Anti-Dühring cit., pp. 22-23 (23). Segue
immediatamente queste parole un accenno alla “storia dell’umanità” e alla sua
“Gesetzmäßigkeit” oltre le apparenti accidentalità: ivi, p. 23 (23). Si cfr.
anche l’abbozzo relativo a queste pagine.
[31]. Ivi, p. 23-24 (24);
corsivo mio. Cfr. anche Ludwig Feuerbach cit., pp. 267-269 (9-11). Nell’Anti-Dühring si trovano anche molti esempi di carattere
storico a riprova del valore euristico della “negazione della negazione”: v.
pp. 120 sgg. (124 sgg.).
[32]. Ad es., utilizzando espedienti linguistici quali gli avverbi
“zugleich”, “unmittelbar”, “schlechtin”, “einfach” ogni qual volta tratta di attributi
contraddittori pertinenti ad un determinato soggetto. Su questo si veda
Landucci, La contraddizione... cit., pp. 48 sgg.; qualche esempio concreto si
può trovare in V. Giacché, Finalità e soggettività. Forme del finalismo nella
Scienza della logica di Hegel, Genova 1990, p. 165 e n. 106.
[33]. G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, in Werke... cit., vol. vi,
pp. 562-563 (Scienza della logica, trad. it. di A. Moni riv. da C. Cesa,
Roma-Bari 1968, rist. 1984, p. 947); gli ultimi corsivi sono miei.
[34]. G.W.F. Hegel,Vorlesungen über die Philosophie der Religion, a
cura di W. Jaeschke, Hamburg 1983 sgg., 3 voll. in 4 tomi corrispondenti ai
voll. 3-5 delle Vorlesungen, vol. v, p. 207 (Lezioni sulla filosofia della
religione, tr. it. di E. Oberti e G. Borruso, Bologna 1973, vol. ii, p. 288.
Nella traduzione italiana (che è condotta sulla ed. Lasson) il passo citato è
seguito dalla frase seguente: “secondo il tempo ambedue sono diverse, cosicché
esiste successione e perciò l’intero processo è finito” (ibidem.); benché si tratti di un’aggiunta di G. Lasson,
mi sembra che questo passo riproduca con fedeltà il pensiero di Hegel.
[35]. G.W.F. Hegel, Vorlesungen cit., vol. v, p. 196 (ii, 230) (corsivo
mio).
[36]. E. Bloch, Subjekt-Objekt. Erläuterungen zu Hegel; tr. it. di R. Bodei, Soggetto-Oggetto.
Commento a Hegel, Bologna 1975, p. 128.
[37]. F. Engels, Dialektik der Natur cit., p. 566 (586).
[38]. K. Fischer, Hegels Leben, Werke und Lehre (1901, 19112), rist.
Darmstadt 1963, p. 1179.
[39]. F. Nietzsche, Die fröhliche Wissenschaft, § 357, in F. Nietzsche,
Sämtliche Werke; München, Berlin/New York 1980, vol. iii, p. 598 (La gaia
scienza, tr. it. di F. Masini, Milano, Adelphi 1979, p. 227). Vale la pena di
riportare tutte le affermazioni intorno ad Hegel contenute in questo aforisma:
“prendiamo [...] il piglio sorprendente con cui Hegel tagliò corto con tutte le
consuetudini e i vizi della logica, allorché osò insegnare che i concetti di
specie (Artbegriffe) si sviluppano l’uno dall’altro; con questa proposizione
gli spiriti in Europa furono preformati per l’ultimo grande movimento
scientifico: il darwinismo - perché senza Hegel non ci sarebbe Darwin. [...]
Questa innovazione hegeliana [...] ha portato nella scienza il concetto di
‘svolgimento’ [...].Noi Tedeschi siamo hegeliani, anche se un Hegel non fosse
mai esistito, in quanto noi (contrariamente a tutti i latini) attribuiamo per
istinto al divenire, allo svolgimento un senso più profondo e un più ricco
valore che a tutto quanto ‘è’.” E più oltre leggiamo che Hegel fu il
“ritardatore par excellence” della vittoria dell’ateismo, in forza del
“grandioso tentativo che egli compì per persuaderci, in definitiva, della
divinità dell’esistenza, ricorrendo anche all’aiuto del nostro sesto senso, ‘il
senso storico’ (historischer Sinn) “: ivi, pp. 598-599 (227-228). Va aggiunto
che questo luogo di Nietzsche è tutt’altro che isolato nelle sue opere (almeno
a partire da Umano, troppo umano ) e nei suoi frammenti postumi.
[40]. G.W.F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im
Grundrisse, § 249 Z, inWerke in zwanzig Bänden cit., vol. ix, p. 32 (corsivo
mio).
[41]. Cfr. risp. F. Engels, Anti-Dühring cit., pp. 11-12 (9-10), e Ludwig Feuerbach
cit., pp. 280-281 (24 sg.).
[42]. G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der
Philosophie, inWerke in zwanzig Bänden
cit., vol. xviii, p. 51 (e cfr. vol. xx, p. 481).
[43]. G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der
Weltgeschichte, I. Die Vernunft in der Geschichte, hrsg. von J. Hoffmeister,
Hamburg 1955, p. 154 (tr. it. di G. Calogero e C. Fatta, Lezioni sulla
filosofia della storia, Firenze 1941, rist. 1981, vol. i, p. 156).
[44]. Cfr. G.W.F. Hegel,
Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, §§ 253-259, in
Werke... cit., vol. ix, pp. 41-55 (Enciclopedia delle scienze filosofiche in
compendio, tr.it. di B. Croce con intr. di C. Cesa, Roma-Bari 1980, pp.
229-237). Un interessante esempio dell’accostamento di spazio e tempo come
“condizioni di esteriorità” ci è offerto dall’annotazione al § 20
dell’Enciclopedia, dove leggiamo tra l’altro: “la distinzione del sensibile
dal pensiero va posta nel fatto che la determinazione del sensibile è la
singolarità; in quanto poi il singolare [...] sta anche in un nesso, il
sensibile è un tipo di estrinsecità reciproca
(Außereinander) le cui forme più astratte, più prossime, sono la giust
apposizione e la suc cessione (das Neben- und das Nach-einander) “; il riferimento a spazio e
tempo è reso esplicito più oltre, quando tra i tipi di “estrinsecità” delle
determinazioni troviamo non solo l’“estrinsecità sensibile propria dello
spazio”, ma anche il fatto che “il loro contenuto” venga “rappresentato come
improntato (behaftet) dal tempo, come
transeunte e mutevole in esso”: Enzyklopädie... in Werke... cit., vol. viii,
pp. 72-73 (tr. it. di V. Verra cit., p. 155).
[45]. Le varie tappe di questa ‘corrispondenza’ - non di rado assai
problematica - sono sinteticamente ripercorse, a partire dall’abbinamento di
“essere” e filosofia di Parmenide, da Klaus Düsing nel suo “Dialektik und
Geschichtsmetaphysik in Hegels Konzeption philosophiegeschichtlicher
Entwicklung” in Logik und Geschichte in
Hegels System, a cura di H.-C. Lucas e G. Planty-Bonjour, Stuttgart-Bad
Cannstatt 1989, pp. 127-145, partic. p. 132 sgg.; tra le conclusioni di questa
disamina va segnalata la seguente, totalmente condivisibile: “i fondamenti
della comprensione filosofica di un’epoca storica, così come i fondamenti
della considerazione filosofica dello svolgimento della storia della filosofia,
restano in Hegel astorici; essi appartengono direttamente alla logica
speculativa e astorica, alla metafisica” (ivi, p. 142 sg.).
[46]. “Lo stesso sviluppo del pensiero che viene esposto nella storia
della filosofia, viene pure esposto nella filosofia stessa, ma liberato da
quella esteriorità storica e puramente nell’elemento del pensiero”:
Enzyklopädie, § 14, in Werke cit., vol.
viii, p. 59 (tr. it. Verra cit., p. 141).
[47]. Questo aspetto, su cui peraltro Hegel stesso insiste con energia
nelle lezioni introduttive tra quelle dedicate alla storia della filosofia, è
sintetizzato con efficacia da R. Bodei: “col processo del ‘duro lavoro’ Hegel
nelle sue opere tenta di esorcizzare la caducità, di congiungere il tempo
all’eternità e connettere l’apparire storico alla verità” (R. Bodei, “Die
‘Metaphysik der Zeit’ in Hegels Geschichte der Philosophie” in Hegels Logik der Philosophie, a cura di D.
Henrich e R.-P. Horstmann, Stuttgart 1984, pp. 79-98, qui p. 98).
[48]. G.W.F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, in Werke...
cit., vol. vii, p. 25 (Lineamenti di filosofia del diritto, tr.it. di G.
Marini, Roma-Bari 1987, p. 14). Nel contesto del nostro discorso l’interesse
del passo della prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto ora citato è
tanto maggiore in quanto proprio questa prefazione è in qualche modo
responsabile, attraverso la definizione della filosofia come “il proprio tempo
appreso in pensieri”, dell’appiattimento della filosofia hegeliana su una
dimensione storicistico-relativistica, quando non addirittura su una sorta di
non meglio definito sapere storico-sociologico: cfr. ivi: p. 26 (15).
[49]. G.W.F. Hegel, Grundlinien.. § 3 A: ivi, pp. 35-36 (22).
[50]. Ivi, p. 36 (22 sg.). Beninteso, “poiché il significato storico
(geschichtliche Bedeutung) , lo storico presentare e render comprensibile
(Begreiflichmachen) l’origine, e la
veduta filosofica pure dell’origine e del concetto della cosa sono a casa loro
in sfere diverse, ne segue ch’essi possono in tal misura mantenere uno di
fronte all’altro una posizione indifferente”: ivi, p. 37 (23).
[51]. Ivi, p. 37 (23); corsivi miei.
[52]. G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, in Werke... cit., vol.
iii, pp. 11-12 (Fenomenologia dello spirito, tr. it. di E. De Negri, Firenze
19602, vol. i, p. 2). Più oltre, nella stessa prefazione, le “verità storiche”,
filosoficamente irrilevanti (loro carattere non è la ‘verità’ ma la semplice
‘correttezza’, dirà Hegel altrove) vengono contrapposte alla sintesi razionale
prodotta dalla ragione: ivi, p. 41 (i, 32). Un luogo di fatto parallelo a
quello riportato nel testo si trova nell’Enciclopedia, ove la logica
tradizionale è sprezzantemente definita come una “storia (Historie) di
determinazioni di pensiero variamente raccolte”: Enzyklopädie, § 82 A, in Werke cit., vol. viii, p. 177 (tr.
it. Verra cit., p. 254).
[53]. G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, in Werke... cit., vol. v,
p. 56 (tr. it. A. Moni-C. Cesa cit., p.
42).
[54]. Per un luogo di contenuto analogo cfr. il § 79 A
dell’Enciclopedia sul carattere “anticipatorio e storico” dei momenti della
logica dialettica: Werke... cit., vol. viii, 168 (tr. it. V. Verra cit., p.
246).
[55]. G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, in Werke... cit., vol. vi,
p. 259 (tr. it. A. Moni-C. Cesa cit., p.
664).
[56]. Ivi, p. 259-260 (664).
[57]. Sulla ripresa hegeliana di questo tema vedi almeno R. Bodei,
Sistema ed epoca in Hegel, Bologna 1975, p. 113; cfr. anche p. 114
sull’“inversione” di “serie storica” e “serie logica”.
[58]. G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, in Werke... cit., vol. vi,
p. 260 (tr. it. A. Moni-C. Cesa cit., p.
664-665); l’ultimo corsivo è mio.
[59]. G.W.F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, § 57 A, in
Werke... cit., vol. vii, p. 123 (tr.it. di G. Marini cit., p. 60).
[60]. Ivi, § 258 A, p. 400 (196).
[61]. Cfr. Enzyklopädie, § 6 A,
in Werke cit., vol. viii, pp. 47-48 (tr. it. Verra cit., p. 129 sg.).
[62]. Non di rado, anzi, ed è il caso delle spiegazioni teleologiche
che troviamo nei Lineamenti e altrove,
la funzione di una struttura spiega la sua genesi stessa: ad es., la genesi
della proprietà dal bisogno è spiegata col suo essere la prima manifestazione
della volontà: vedi in proposito G.W.F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des
Rechts, § 45 A, in Werke... cit., vol. vii, p. 107 (tr.it. di G. Marini cit.,
p. 53).
[63]. Vedi in proposito l’articolo “‘Etwas Verstehen heißt Verstehen,
wie es geworden ist’ - Variationen über eine hermeneutische Maxime”, in H.
Schnädelbach, Vernunft und Geschichte. Vorträge und Abhandlungen, Frankfurt
a.M. 1987, pp. 125-151.
[64]. H. Schnädelbach, Vernunft und Geschichte cit., p. 125.
[65]. J.G. Droysen, Historik, a cura di P. Leyh, Stuttgart-Bad
Cannstatt 1977, p. 162.
[66]. Thibaut und Savigny. Ihre
programmatischen Schriften, a cura di Hattenbauer, München 1973, p. 236; cit. in
Schnädelbach, Vernunft und Geschichte cit., p. 226.
[67]. Vedi in proposito C. Cesa, “System und Geschichte im
Spannungsfeld zwischen Schelling und Hegel”
in Pragmatik. Handbuch pragmatischen Denkens. Band I: Pragmatisches
Denken von den Ursprüngen bis zum 18. Jahrhundert, a cura di H. Stachowiak con
la collaborazione di C. Baldus, Hamburg, 1986, pp. 508-527, qui p. 509 sg..
[68]. K.Marx, F. Engels, Werke, vol. iii, Berlin, 1983, p. 18.
[69]. O.D. Brauer, Dialektik der Zeit. Untersuchungen zu Hegels
Metaphysik der Weltgeschichte,
Stuttgart-Bad Cannstatt 1982, p. 147.
[70]. Sotto questo rispetto va insomma data ragione allo Erdmann del
Grundriss der Logik und Metaphysik, il quale appunto affermava che il
“divenire” deve “venir preso come puro trapassare, come eliminazione di ogni
rappresentazione temporale” (Compendio di logica e metafisica, tr. it. di G.V.
Di Tommaso, Napoli 1983, § 32 n., p. 40).
[71]. J.G. Droysen, Historik
cit., p. 461.
[72]. G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der
Weltgeschichte, I. Die Vernunft in der Geschichte, cit., p. 149 (tr. it. di G.
Calogero e C. Fatta cit., vol. i, p. 150).
[73]. Ivi, 153-154 (i, 155-156).
[74]. Di più: l’insistenza hegeliana su questo punto è tale da condurlo
- nel luogo delle Lezioni citato sopra
- a proporci un modello finalistico piuttosto rozzo, in cui sembra che lo scopo
della presenza del tempo nella storia umana sia quello di porre in evidenza la
dinamicità propria dell’operare dell’uomo.
[75]. Si pensi anche solo alle annotazioni sul “Gattungswesen” umano contenute nei Manoscritti economico-filosofici di Marx.
[76]. J.G. Droysen, Historik cit., rispettivamente p. 444 e p. 411.
[77]. Altrove, a proposito dell’utilizzo hegeliano del modello (o
meglio, dei modelli) della finalità per designare l’assoluto, ho posto in
rilievo come il fatto che la temporalità sia “tolta” nell’idea assoluta comporti
tensioni e difficoltà all’interno della Logica
hegeliana (V. Giacché, Finalità e soggettività... cit., pp. 229-234). Ma
l’individuazione dei problemi a cui la sovratemporalità dell’“idea” conduce non
può indurci a negare quanto chiaramente emerge dai testi di Hegel.
[78]. A questo proposito può essere ricordato che all’inizio del
momento “Religione” della Fenomenologia Hegel nega esplicitamente che il
decorso dei momenti precedenti, dalla coscienza allo spirito, sia rappresentabile
nel tempo: cfr. Phänomenologie des Geistes, in Werke... cit., vol. iii, p. 498
(tr. it. di E. De Negri cit., vol. ii, p. 201); devo alla cortesia del prof.
Chiereghin la segnalazione di questo luogo..
[79]. F. Engels, Dialektik der Natur
cit., p. 342 (358).
[80]. Così, invece, L. Colletti, Il marxismo ed Hegel. I. Sui “Quaderni
filosofici” di Lenin, Roma-Bari 1969, rist. 1976, pp.99-100.
[81]. A. Labriola, lettera ad Engels del 13 giugno 1894, in Lettere a
Engels, Roma 1949, pp. 146-150, qui p. 147.
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