Una replica ad Antonio Carioti
Estratto da: Pace. Una storia tormentata tra idee e realt
Intervista di Emiliano Alessandroni, su marx21.it
Estratto da: Pace. Una storia tormentata tra idee e realt
Intervista di Emiliano Alessandroni, su marx21.it
... Su «La Lettura» del «Corriere della Sera»
(03/07/2016), Antonio Carioti sembra implicitamente riabilitare una logica
argomentativa cara ad Ernst Nolte, sia pure aggiornata ai giorni nostri:
l'Occidente e gli Stati Uniti hanno commesso crimini atroci, ma si tratta di
congiunture, effetti collaterali sopportabili pur di scongiurare quella che
costituisce la più grande minaccia per la pace: il superamento del sistema
capitalistico. Questo, qualora si verificasse, trasformerebbe invero il pianeta
in un cumulo di "formicai" o di "cimiteri". Sì che le
guerre di Wilson o Bush jr sarebbero ben poca cosa in confronto alla
spietatezza di Lenin o Mao, campioni, assieme al socialismo, non già
dell’ideale di pace, ma dell'intolleranza e della violenza di classe. Che cosa risponderesti a
queste accuse? Il sistema capitalistico resta pur sempre, come il Corriere
vuole indurre a pensare, il più pacifista, il meno violento, dei sistemi
realmente possibili?
Nel tracciare il bilancio degli ultimi due secoli di storia,
l’ideologia dominante, assunta da Carioti come un dogma indiscutibile, fa
astrazione dalle colonie. Se invece superiamo questa astrazione arbitraria e
falsificante, ecco che il quadro cambia in modo radicale. A metà
dell’Ottocento, a proposito dell’Irlanda, colonia della Gran Bretagna,
Beaumont, il compagno di Tocqueville nel corso del viaggio in America, parla di
«un'oppressione religiosa che supera ogni immaginazione»; le angherie, le
umiliazioni, le sofferenze imposte dal «tiranno» inglese a questo «popolo
schiavo» dimostrano che «nelle istituzioni umane è presente un grado d'egoismo
e di follia, di cui è impossibile definire il confine». In quello stesso
periodo di tempo, Herbert Spencer, filosofo liberale e neoliberista, descrive
in che modo procede l’espansionismo coloniale (portato avanti in primo luogo da
paesi di consolidata tradizione liberale): all'espropriazione degli sconfitti
fa seguito il loro «sterminio»: a farne le spese non sono solo gli «indiani del
nord-America» e i «nativi dell'Australia». Il ricorso a pratiche genocide in
ogni angolo dell’Impero coloniale britannico: in India «è stata inflitta la
morte a interi reggimenti», colpevoli di «aver osato disobbedire ai comandi
tirannici dei loro oppressori».
Circa cinquant’anni dopo, Spencer si sente
costretto a rincarare la dose: «siamo entrati in un'epoca di cannibalismo
sociale in cui le nazioni più forti stanno divorando le più deboli»; occorre
riconoscere che «i bianchi selvaggi dell'Europa stanno di gran lunga superando
i selvaggi di colore dappertutto». L’espansionismo coloniale stimola una
competizione sfociata nella carneficina della prima guerra mondiale: per dirla
con lo storico statunitense Fritz Stern, è «la prima calamità del ventesimo
secolo, la calamità dalla quale scaturiscono tutte le altre». Sì, Hitler si
propone di imitare Gran Bretagna e Stati Uniti: mira a stabilire le «Indie
tedesche» in Europa orientale oppure a promuovere qui un’espansione coloniale
simile a quella a suo tempo verificatasi nel Far West della repubblica
nord-americana. In modo analogo si atteggia l’Impero del Sol Levante: perché
dovrebbe essere disconosciuto al Giappone il diritto all’espansionismo
coloniale e imperiale di cui fa larghissimo uso la Gran Bretagna? Solo
l’accecamento ideologico e manicheo può negare il merito storico acquisito dal
movimento comunista nel mettere in discussione il sistema colonialista
mondiale.
Disgraziatamente, la lotta tra colonialismo e
neocolonialismo da un lato e anticolonialismo dall’altro è ben lungi
dall’essersi conclusa. Ai giorni nostri, in particolare in Medio Oriente, le
guerre scatenate da Washington e da Bruxelles, e il cui carattere neocoloniale
è non poche volte riconosciuto e sottolineato dalla stessa stampa occidentale,
stanno provocando un disastro dopo l’altro. Invece di prendere atto di questa
realtà, Carioti grida allo scandalo per il fatto che il sottoscritto si esprime
con «benevolenza» anche a proposito della «Siria sotto il regime della famiglia
Assad, descritta come un’”oasi di pace di pace e libertà religiosa”». Il
giornalismo brillante non ha tempo e voglia per la precisione filologica.
Diversamente Carioti si sarebbe accorto che a suscitare la sua indignazione è
un articolo dell’«International Herald Tribune» del 30-31 luglio 2011, p. 4
(Tim Arango, Despite upheaval, Syria beckons to Iraqis). Conviene riportarne
alcuni passaggi.
«In Irak, la Siria rappresenta ancora qualcosa di simile
a un’oasi. Gliirakeni cominciarono a rifugiarsi di là per sfuggire la
guerra diretta dagli USA e il susseguente bagno di sangue della violenza
settaria. Nel corso della guerra, la Siria ha accolto circa 300 mila rifugiati irakeni,
più di qualsiasi altro paese nella regione (a quello che riferisce l’Alto Commissariato
ONU per i rifugiati). In questi giorni, anche se la Siria deve fronteggiare i
suoi disordini, sono pochi gli irakeni che ritornano in patria. In
effetti, sono molto più numerosi gli irakeni che partono per la Siria
di quelli che ritornano in patria».
Oggi, la situazione è cambiata in modo radicale. Ma chi è il
responsabile della catastrofe che è sotto gli occhi tutti? Una cosa è certa.
Come documenta il mio libro, già nel 2003 i neoconservatori USA progettavano in
modo esplicito e pubblico il cambiamento di regime a Damasco. D’altro canto,
anche Sergio Romano ha osservato: già da un pezzo la Siria era stata inserita
dai neoconservatori nel novero dei paesi «considerati un ostacolo alla “normalizzazione”»
del Medio Oriente; «nell’ottica dei neoconservatori, se gli Stati Uniti fossero
riusciti a provocare un cambio di regime a Baghdad, Damasco e Teheran, la
regione, soggetta ormai all’egemonia congiunta degli Stati Uniti e di Israele,
sarebbe stata finalmente “pacificata”». Sennonché, i custodi dell’ortodossia
atlantica gridano allo scandalo anche per tesi che si possono leggere
tranquillamente sull’«International Herald Tribune» o che sono espresse da
autorevoli editorialisti del «Corriere della Sera» (il quotidiano al quale
collabora anche Carioti)...
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