*Da: http://www.psychiatryonline.it/
Vedi anche: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=9071
http://www.piazzacarlogiuliani.it/index.php?option=com_content&view=article&id=58:dvd&catid=20:dvd&Itemid=678
Vedi anche: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=9071
http://www.piazzacarlogiuliani.it/index.php?option=com_content&view=article&id=58:dvd&catid=20:dvd&Itemid=678
Parte I. Genova non ha scordato. Perché è difficile dimenticare. F. Guccini, Piazza Alimonda, 2004 (https://www.youtube.com/watch?v=KbfIscqYKOE)
2001-2016. 15 anni dopo: another word was possible?
Sono passati 15 anni da quelle tumultuose giornate del luglio 2001 e una domanda mi pare che oggi s’imponga: un altro mondo è stato possibile? Credo di no, o se sì, è decisamente un mondo peggiore. Credo che questo dimostri come la domanda di un altro mondo, migliore, che la moltitudine scesa in piazza a Genova rivolgeva agli otto grandi fosse una domanda colma di urgenza e di significato. La scelta di non prenderla neppure in considerazione ha avuto le conseguenze devastanti che ci sono ogni giorno sotto gli occhi.
Sono passati 15 anni da quelle tumultuose giornate del luglio 2001 e una domanda mi pare che oggi s’imponga: un altro mondo è stato possibile? Credo di no, o se sì, è decisamente un mondo peggiore. Credo che questo dimostri come la domanda di un altro mondo, migliore, che la moltitudine scesa in piazza a Genova rivolgeva agli otto grandi fosse una domanda colma di urgenza e di significato. La scelta di non prenderla neppure in considerazione ha avuto le conseguenze devastanti che ci sono ogni giorno sotto gli occhi.
Nei giorni del G8 sono accadute a Genova cose che, ragionandoci a 15 anni di
distanza, paiono surreali, incredibili. Appare incredibile, ripercorrendo oggi
quelle strade dove “viaggia il traffico solito, scorrendo rapido e irregolare”
(Guccini), che esse - automobili, bancomat, vetrine - siano state per due
giornate abbandonate al saccheggio della (piccola) parte più adolescenziale,
superomista e irresponsabile del movimento, in un’ubriacante illusione di
anarchia. Mentre “un pensionato ed un vecchio cane” magari passeggiavano lì
accanto, senza timore. Ancora più surreale e angosciante si avverte la carica
di ferocia che dal seno delle forze dell’ordine di una Repubblica europea nata
dalla Resistenza ha potuto sprigionarsi per le strade, alla scuola Diaz-Pertini
e a Bolzaneto. La foga, la rabbia e la passione con le quali si vedono nei
video alcuni poliziotti, carabinieri, finanzieri accanirsi a picchiare persone
intrappolate, inermi, spesso già sanguinanti lasciano allibiti. Come pure il
fatto che l’accertamento dei fatti e delle responsabilità sia stato ostacolato
in modo così pervicace e arrogante e reso solo in minima parte possibile,
nonostante il nobile e ostinato impegno della Procura genovese, e ricordo il PM
Enrico Zucca in particolare.
Questa impudente impunità, che ha riguardato anche il personale medico al cui
coinvolgimento abbiamo già fatto riferimento, oltre a dimostrare un’incapacità
dello Stato a criticare se stesso (che in democrazia non è mai buona cosa),
costituisce una grave insidia in primo luogo proprio per chi apparentemente se
ne è avvantaggiato, e poi per la società nel suo complesso; la straordinaria
capacità di approfondire aspetti psicologici e ricadute sociali di questo
fenomeno, che Dostoëvskij dimostrava scrivendone nelle Memorie di una
casa di morti del 1862, dovrebbero essere di monito:
«Chi ha provato una volta questo potere, questa illimitata signoria sul corpo, il sangue e lo spirito di un altro uomo come lui, fatto allo stesso modo, suo fratello secondo la legge di Cristo; chi ha provato il potere e la possibilità senza limiti di infliggere il supremo avvilimento a un altro essere che porta su di sé l'immagine di Dio, costui, senza volere, cessa in certo qual modo di essere padrone delle proprie sensazioni. La tirannia è un'abitudine; essa è capace di sviluppo, e si sviluppa fino a diventare malattia. Io sostengo che il migliore degli uomini può, in forza dell'abitudine, farsi ottuso e brutale fino al livello della bestia. Il sangue e il potere ubriacano: si sviluppano la durezza di cuore, la depravazione; all'intelligenza e al sentimento si fanno accessibili e infine riescono dolci le manifestazioni più anormali. L'uomo e il cittadino periscono nel tiranno per sempre, e il ritorno alla dignità umana, al pentimento, alla rigenerazione diviene ormai quasi impossibile per lui. Inoltre l'esempio, la possibilità di siffatta licenza agisce in modo contagioso anche su tutta la società: un simile potere è tentatore. La società che assiste con indifferenza a un simile fenomeno è già infetta essa stessa nelle sue fondamenta. Insomma il diritto della punizione corporale concesso a un uomo su di un altro è una delle piaghe della società, e uno dei più forti mezzi per distruggere in essa ogni germe, ogni tentativo di civile libertà, ed è premessa sicura del suo immancabile e ineluttabile sfacelo».
«Chi ha provato una volta questo potere, questa illimitata signoria sul corpo, il sangue e lo spirito di un altro uomo come lui, fatto allo stesso modo, suo fratello secondo la legge di Cristo; chi ha provato il potere e la possibilità senza limiti di infliggere il supremo avvilimento a un altro essere che porta su di sé l'immagine di Dio, costui, senza volere, cessa in certo qual modo di essere padrone delle proprie sensazioni. La tirannia è un'abitudine; essa è capace di sviluppo, e si sviluppa fino a diventare malattia. Io sostengo che il migliore degli uomini può, in forza dell'abitudine, farsi ottuso e brutale fino al livello della bestia. Il sangue e il potere ubriacano: si sviluppano la durezza di cuore, la depravazione; all'intelligenza e al sentimento si fanno accessibili e infine riescono dolci le manifestazioni più anormali. L'uomo e il cittadino periscono nel tiranno per sempre, e il ritorno alla dignità umana, al pentimento, alla rigenerazione diviene ormai quasi impossibile per lui. Inoltre l'esempio, la possibilità di siffatta licenza agisce in modo contagioso anche su tutta la società: un simile potere è tentatore. La società che assiste con indifferenza a un simile fenomeno è già infetta essa stessa nelle sue fondamenta. Insomma il diritto della punizione corporale concesso a un uomo su di un altro è una delle piaghe della società, e uno dei più forti mezzi per distruggere in essa ogni germe, ogni tentativo di civile libertà, ed è premessa sicura del suo immancabile e ineluttabile sfacelo».
Credo che gran parte dei fascismi trovi la sua comprensibilità in queste
antiche considerazioni.
Sul piano della ricostruzione storica è andata meglio rispetto a quello della sanzione giudiziaria, amministrativa e politica. La produzione documentaria (video, libri ecc.) è iniziata subito dopo i fatti e non ha ancora avuto termine[v]; ai giorni del G8 genovese e al cuore repubblicano e ribelle della città di Paolo da Novi, di Balilla e di Mazzini, del 25 aprile ‘45 e del 30 giugno ‘60, Francesco Guccini ha dedicato una canzone robusta e bellissima, Piazza Alimonda (2004). Genova che capì subito da che parte stare: le coraggiose mani sconosciute a dare dalle finestre indicazioni, e ad aprire per subito richiudere usci che a molti in fuga dalle cariche furono provvidenziali.
Sul piano della ricostruzione storica è andata meglio rispetto a quello della sanzione giudiziaria, amministrativa e politica. La produzione documentaria (video, libri ecc.) è iniziata subito dopo i fatti e non ha ancora avuto termine[v]; ai giorni del G8 genovese e al cuore repubblicano e ribelle della città di Paolo da Novi, di Balilla e di Mazzini, del 25 aprile ‘45 e del 30 giugno ‘60, Francesco Guccini ha dedicato una canzone robusta e bellissima, Piazza Alimonda (2004). Genova che capì subito da che parte stare: le coraggiose mani sconosciute a dare dalle finestre indicazioni, e ad aprire per subito richiudere usci che a molti in fuga dalle cariche furono provvidenziali.
Il film Carlo Giuliani, ragazzo di Francesca Comencini
(Italia, 2001) è il dialogo tra due madri sulla morte di un ragazzo e in mezzo
a loro “scorrono le folle che invasero Genova per essere pietra d'inciampo alla
riunione dei signori del mondo, per essere pietra d'angolo di una nuova
casa-mondo”; Black Block di Carlo Augusto Bachschmidt (Italia,
2011) è la raccolta di sette testimonianze semplici, commuoventi, scioccanti,
profondamente umane; Diaz. Non pulire questo sangue di Daniele
Vicari (Italia, 2012), nonostante qualche critica forse ingenerosa della quale
è stato oggetto, ha più l’aspetto del prodotto artistico, capace dunque di
trasmettere al grande pubblico - e questo è importante - l’orrore, la violenza,
le emozioni di quanto si è verificato alla Diaz-Pertini e a Bolzaneto. Immagini
e testimonianze destano ancora, appunto, a 15 anni di distanza, angoscia,
sgomento, terrore.
Quella che Amnesty International ha definito la più grande sospensione dei
diritti umani in un paese occidentale dal 1945 è una dolorosissima lacerazione
nella storia dell’Italia democratica destinata a rimanere aperta e a continuare
a interrogare fastidiosa, la “traccia aperta di una ferita” (Guccini).
Peraltro, a 15 anni dal G8, la trasformazione in legge della convenzione ONU
contro la tortura del 1984, ratificata nel 1988, continua a trovare ostacoli e,
se lo sarà, si va delineando una versione più timida e omertosa di ciò che
l’ONU chiederebbe. Ed è significativo che proprio in questi giorni del
quindicesimo anniversario dei fatti del G8 il disegno di legge abbia subito un
ulteriore rinvio.
Il 17 marzo 2015 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha
condannato il ritardo nell’adeguamento della legislazione italiana alla
Convenzione proprio in merito a uno dei fatti della Diaz, esplicitamente
qualificato in quell’occasione come “atto di tortura”. La Corte, che si è
basata sulle sentenze emanate dalla Magistratura italiana nei tre ordini di
giudizio, ha inoltre disapprovato in quell’occasione l’impossibilità di
identificare mediante un codice i singoli partecipanti all’operazione, si è
rammaricata del fatto che «la polizia italiana si sia potuta rifiutare
impunemente di fornire alle autorità competenti la collaborazione necessaria
all’identificazione degli agenti che potevano essere coinvolti negli atti di
tortura», ha criticato l’entità delle pene di fatto comminate proprio
in relazione all’inadeguatezza della legislazione italiana a punire in modo
proporzionato i comportamenti qualificabili come tortura in base alla
Convenzione, lamentato la mancata sospensione dei funzionari pubblici imputati
di atti di tortura nel corso del procedimento penale, e relativamente
all’evoluzione della loro carriera dopo le condanne «prende atto del
silenzio del Governo al riguardo nonostante la domanda di informazioni
espressamente formulata».
Parole che suonano vergognose, mi pare, per le istituzioni italiane; avvilenti
davvero. Immeritatamente vergognose anche per il popolo italiano. Pagine che
rendono poi imbarazzante e difficile, credo, per l’Italia fare la voce grossa
quando un italiano viene spietatamente massacrato dalle istituzioni di un altro
Paese, o quando in altri Paesi si assiste a violazioni dei diritti umani,
certo, di altro livello anche rispetto a quelle, pur gravi, avvenute a Genova
in quelle tristi giornate. E se poi abusi vengono lamentati oggi sui migranti
bloccati a Ventimiglia, cosa si deve pensare?
Credo che la sensazione di irrealtà, sgomento, terrore che oggi coglie nel
rivedere e riascoltare quelle scene di sangue - un sentimento fisico di vuoto,
annichilimento, disperazione che corrisponde all’esperienza di poter essere in
balia della violenza e dell’arbitrio dell’altro - sia alla base di un desiderio
generalizzato ma pericoloso di rimuovere i fatti, non saperne più cogliere fino
in fondo la gravità con la sensazione di una cosa troppo grande per essere
stata vera. E insieme rimuovere la domanda angosciante che si ha paura, forse,
di farsi: quale misteriosa forza esiste oggi in Italia dietro lo strato
pubblico della politica, che ha potuto rendere i responsabili di quegli atti a
tutti i livelli decisionali, nonostante l’avvicendarsi dei governi,
invulnerabili alla sanzione giudiziaria?
Quanto al “movimento”, esso ha continuato dopo Genova a riunirsi e a promuovere
esperienze importanti dal basso, dall’Asia all’America latina, dove ha
probabilmente contribuito all’affermarsi di esperienze progressive in gran
parte del continente, effimere esperienze che hanno fatto sperare per una breve
stagione e hanno consentito l’inizio di un minimo di ridistribuzione della ricchezza,
ma oggi paiono ritornare a soccombere sotto il peso di una nuova offensiva
conservatrice.
In Palestina continua, intanto, nell’indifferenza del mondo il lento ma inesorabile arretramento della popolazione araba e lo stillicidio quotidiano di giovani vittime in un territorio illegalmente occupato e conteso casa per casa, palmo per palmo dalla maggiore potenza militare dell’area a un popolo quasi inerme. Negli Stati Uniti, gli afroamericani hanno una probabilità di morire per mano della polizia o di essere incarcerati molto più elevata rispetto ai concittadini di pelle bianca[vi]. Nelle e tra le repubbliche dell’ex Unione Sovietica sono esplose in questi 15 anni guerre fratricide, che rimangono in gran parte temporaneamente come congelate e sempre pronte a riesplodere.
In Palestina continua, intanto, nell’indifferenza del mondo il lento ma inesorabile arretramento della popolazione araba e lo stillicidio quotidiano di giovani vittime in un territorio illegalmente occupato e conteso casa per casa, palmo per palmo dalla maggiore potenza militare dell’area a un popolo quasi inerme. Negli Stati Uniti, gli afroamericani hanno una probabilità di morire per mano della polizia o di essere incarcerati molto più elevata rispetto ai concittadini di pelle bianca[vi]. Nelle e tra le repubbliche dell’ex Unione Sovietica sono esplose in questi 15 anni guerre fratricide, che rimangono in gran parte temporaneamente come congelate e sempre pronte a riesplodere.
Ma il mondo è peggiorato da allora soprattutto nello dimensione più globale,
quella della guerra e della cronaca di macelleria quotidiana alla quale abbiamo
ormai fatto l’abitudine (purché, ovviamente, sia là, da loro e non qua[vii]).
Mentre gli otto “grandi” discutevano a Genova, ingabbiati e superprotetti, la
storia era già gravida a loro insaputa del crollo delle Torri gemelle, un
evento solo il giorno prima inimmaginabile destinato a trasformare radicalmente
il mondo e a rendere le cose discusse in quel vertice, qualunque esse siano
state, da subito obsolete. La reazione occidentale ha investito per primo
l’Afghanistan degli ex alleati antisovietici, i talebani, dando inizio a una
guerra che quindici anni dopo non si è ancora interrotta. Nel frattempo la
guerra, come un angelo sterminatore, ha investito l’Iraq, la Siria, la Libia,
lo Yemen seminando devastazione e destabilizzazione. Non ha risparmiato
operatori sanitari e feriti, massacrandoli anche negli ospedali, a partire da
Kunduz in Afghanistan, mai poi ad Aleppo e in altre aree della Siria, e nello
Yemen. Le bombe occidentali, insieme ad ambiguità, doppiopesismi, deportazioni
amministrative, torture e umiliazioni ampiamente documentate hanno contribuito
a evocare per contrasto dal seno dei settori più retrivi del mondo islamico una
ferocia di altri tempi, che in maggior parte si manifesta in guerre fratricide
ma - seppure solo in minima parte (quella però della quale qui ci accorgiamo di
più) - colpisce anche l’Occidente seminando stragi di uomini, donne, bambini
resi vulnerabili dall’essere innocentemente riuniti nei luoghi dell’assembramento
e del divertimento. Il fascismo in clima islamico, stretto alleato
dell’Occidente insieme alle feroci arcaiche petromonarchie del Golfo, si è
imposto in Egitto e in Turchia, di nuovo a prezzo di massacri contro una parte,
discriminata su base politica o etnica, della popolazione civile. Da 15 anni la
fetta del mondo che va dalle coste occidentali dell’Africa alla penisola
indiana, che aveva visto l’alba della civiltà, è entrata in uno stato di
perenne ebollizione e non trova pace, pagando un prezzo di sangue davvero
spaventoso.
Non solo. La prima giornata della contestazione al G8 era stata caratterizzata
dal tema dell’accoglienza ai migranti: sembrava un fenomeno nuovo allora ma,
guardandoci indietro oggi, era solo un inizio. Gli stranieri regolarmente
residenti in Italia in quel lontano 2001 superavano di poco il milione, oggi
sono più di cinque milioni. Solo una minoranza dei migranti in arrivo in Italia
sospinta dalla guerra e la miseria arriva attraverso la micidiale rotta del
Canale di Sicilia, considerata in questo momento la frontiera più pericolosa e
letale al mondo, ma anche in questo caso le guerre in Siria e in Libia hanno
aumentato in modo esponenziale i tentativi di traversata. Di fronte a questa
massa in arrivo l’Europa si è rivelata luogo inospitale, altro che diritto di
asilo[viii]! Muri e reticolati hanno reso di fatto
impraticabile la via dei Balcani, meno pericolosa e non ci si fa scrupolo di
riconsegnare i malcapitati arrivati e respinti nelle mani del fascista Erdogan,
come ieri l’Italia li riconsegnava a Gheddafi chiudendo gli occhi su cosa poi
ne avrebbe fatto. Organismi internazionali come Medici Senza Frontiere hanno
condannato l’Europa per questa scelta pilatesca. Con sempre maggiore frequenza,
nella massima indifferenza, di migrazione si muore. Secondo stime affidabili le
persone morte nel tentativo di attraversare le frontiere in tutto il mondo
negli ultimi 15 anni supererebbero 40.000; quelle perite nel tentativo di
attraversare il Mediterraneo che separa nord e sud del mondo sarebbero circa
30.000, circa un terzo delle quali nel Canale di Sicilia. Ad esse dovrebbero
essere aggiunti i morti nel deserto e per gli stenti, che non sono neppure
arrivati a vedere la costa africana per l’imbarco. Tutti morti evitabili, morti
sul limite della nostra porta chiusa. Sarebbe stato sufficiente socchiuderla.
Erano 976 i decessi del 2016 nel canale di Sicilia al 15 maggio: 976 morti che
avrebbero potuto essere evitati e interpellano l’opulenza e indifferenza
dell’Europa. Morti spesso senza un nome; spesso donne e molto spesso bambini.
Io credo che la Storia chiederà conto alla nostra generazione di Europei di
queste migliaia di morti annegati: e non potremo certo dire che noi non
sapevamo. Ci chiederà conto uno per uno dei piccoli corpi dei bambini, di
quelli che il mare ci ha restituito come atti di accusa sulle spiagge e di
quelli ripescati ancora avvinghiati al corpo della madre nelle stive dei
barconi affondati…
Gli otto grandi non hanno creduto che un altro mondo fosse possibile, si sono
rifiutati di provare ad esplorarlo; hanno voluto propinarci ad ogni costo il
loro mondo, che oggi Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel argentino per la pace
nel 1980, descrive in questi termini:
«Migliaia di persone fuggono dalla
guerra, dalla fame, dalla miseria, straziati senza pietà dalle bombe e dagli
attentati, navigano per il Mediterraneo a bordo di barconi senza meta e senza
un orizzonte certo. Sono persone che spinte dalla paura e dall’angoscia
intraprendono un viaggio carico di rischi e dal destino incerto. La loro
bussola indica solo la meta della tragedia umana e il dolore per orizzonti
irraggiungibili. L’Europa e altre potenze mondiali come gli Stati Uniti, il
Canada e l’Australia non sono né capaci né vogliono affrontare il dramma che
loro stessi hanno provocato. Fanno finta di ignorare di essere stati gli
artefici delle guerre in Medio Oriente e di aver armato, per i propri
interessi economici, strategici, e politici nella regione, i gruppi di
combattenti ribelli. I grandi centri di potere, con il complesso industriale
militare, vogliono affermare la propria egemonia mondiale utilizzando la
violenza e ogni altro mezzo, come ad esempio la droga, per finanziare le guerre
e manipolare la vita dei popoli. Le invasioni contro Iraq, Afghanistan Siria,
Libia e l’interminabile colonizzazione della Palestina da parte di Israele
provocano gli erroneamente denominati “danni collaterali” mentre le potenze
responsabili ignorano e giustificano l’ingiustificabile»[ix].
Ne avremmo fatto a meno. A Genova chi ha battuto alle griglie della zona rossa
per farsi sentire lo ha fatto per cogliere nella presenza in città degli otto
uomini più potenti del mondo un’occasione storica irripetibile per dire loro
che l’orizzonte che avrebbe voluto per il mondo non era quello verso cui in
questi 15 anni lo hanno portato. Un altro mondo era dunque possibile? Beh,
sarebbe stato un mondo nel quale queste migliaia di stranieri che la crudeltà
degli uomini - non del mare - ha strappato alla vita potessero viaggiare in
sicurezza ed essere accolti. Guardandoci alle spalle mentre quel 19 luglio
sfilavamo in un allegro corteo colorato e multietnico, non ancora traumatizzato
dalla violenza, da piazza Sarzano alle strade della Foce, costeggiando quel
Mediterraneo, sentiamo il peso di tutti questi uomini morti cercando solo un
posto tra noi. E’ passata la prima parte dell’estate, e con essa sono giunte le
notizie dei primi naufragi e dei primi morti in mare: anche quest’anno il
Mediterraneo ha cominciato a riscuotere il suo tributo di morte. Quanti morti
dovremo contare prima che l’estate finisca? E saremo disposti a fare di nuovo
finta di niente, a non chiedere conto ai governanti dell’Europa della nuova
carneficina che si va delineando?
Viviamo un mondo sospeso, ma non - come avremmo voluto 15 anni fa - sul ciglio
della speranza di un altro mondo possibile, di un mondo migliore; viviamo un
mondo che non sa quando l’inutile strage che insanguina il sud e l’est del
Mediterraneo - e occasionalmente ma tragicamente ricorda alle nostre città che
il mondo è uno, e non può esserci pace per nessuno se non c’è pace per tutti -
avrà fine. E che non sa quando e come la pressione inquieta dei corpi che
premono per un posto tra noi potrà trovare l’accoglienza cui ha diritto. Il
capitalismo sta facendoci pagare un costo in termini di vite umane elevatissimo
per continuare a mantenere migliaia di corpi eccedenti fuori dal banchetto che
è imposto loro di desiderare, ma al quale devono rassegnarsi a non essere
invitati.
Così va il mondo, di fronte al quale 15 anni fa in decine di migliaia ci siamo
trovati a Genova per dire:«NO. Un altro mondo è possibile!». Alcuni,
designati dal caso, sono stati massacrati per questo per le strade e in una
scuola-dormitorio, e/o torturati e umiliati in un carcere improvvisato. Uno è
stato ucciso. Poi il mondo è andato avanti così, di male in peggio; e se ancora
ci sforziamo di coltivare la speranza che un altro mondo, forse, sia possibile,
oggi a 15 anni di distanza il bilancio è negativo e sembra più difficile di
allora ritrovarci in tanti sotto la sua bandiera, quella della pace; e
cominciare a spostarci, almeno di qualche passo, nella sua direzione.
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