sabato 5 marzo 2016

Rosa Luxemburg*- Edoarda Masi


 Scritto per il convegno internazionale “Una candela che brucia dalle due parti. Rosa Luxemburg e la critica dell’economia politica” (organizzato da Riccardo Bellofiore, 16-18 dicembre 2004, Università degli studi di Bergamo). 


I rivoluzionari, specie comunisti, vengono oggi comunemente rappresentati come gente di ferro, senza anima, oppure come fanatici: comunque spietati e disumani, combattenti per principi astratti e lontani dalla concreta reale vita degli individui – i soli apparentemente privilegiati dalle ideologie correnti. Qualora si tratti di donne, ovviamente le si rappresenta prive di quanto genericamente (e spesso impropriamente) vien definito femminilità. 

Leggo sul numero dello scorso 14 ottobre della Far Eastern Economic Review una recensione, di Jason Overdorf, del romanzo autobiografico War Trash di Ha Jin, dove si dice «[Yu, il protagonista] più osserva le decisioni dei dirigenti del partito nel campo – per esempio, lotte simboliche per sventolare la bandiera cinese – più arriva a credere che la loro fede non lascia spazio all’umanità. ‘Ero ambivalente sul tentativo di recuperare la bandiera’. Yu riflette: ‘Da un lato, ammiravo il coraggio mostrato dai nostri uomini, e per un verso ero colpito da reverente timore per la loro passione e per l’audacia che – dovevo ammetterlo – io non possedevo. Dall’altro lato, mi chiedevo se valesse la pena di perdere la vita di un uomo per una bandiera che, per quanto simbolica, era solo un pezzo di stoffa.’ Rendendo esplicito il sorprendente parallelo fra fervente comunismo e fanatismo religioso, Yu conclude: ‘Avevo notato una sorta di fanatismo religioso in alcuni di quegli uomini, capaci di rinunciare alla loro vita per un’idea’». 

La mozione che nella difesa dell’individuo anche al livello minimo implica una rivendicazione di umanità contro la mistificazione delle grandi idee, religiose o laiche, ha una valenza positiva e anzi rivoluzionaria ogni qual volta quanti sono in possesso degli strumenti di dominio, valendosi strumentalmente e falsamente delle grandi idee, mirano ad assoggettare gli individui per altri fini. Un grande significato positivo ha avuto una simile mozione al tempo della prima guerra mondiale, quando le bandiere dei vari patriottismi venivano sventolate a coprire la carneficina promossa da quelli che Lenin chiamò “i briganti coronati” e gli sporchi interessi di cui erano rappresentanti. Ma allora contro il patriottismo – valido in tempi precedenti e ormai esaurito, la cui bandiera era divenuta effettivamente solo un pezzo di stoffa – la difesa degli individui si accompagnava all’affermazione di valori altri e più alti, assunti da moltitudini associate nella lotta; portatrici di nuove bandiere: di nuove idee, corrispondenti alle esigenze reali del tempo, e tali da motivare, nuovamente, anche il sacrificio dei singoli individui che in esse si riconoscevano: non una menzogna al fine della propria dipendenza ma uno strumento per la propria affermazione. 

Invece, secondo il modo di pensare oggi corrente, il fervore religioso e la fede in un’idea equivalgono in ogni caso al fanatismo; chiunque impegna la propria vita o si sacrifica “per un’idea” è un fanatico; una bandiera infine è sempre solo un pezzo di stoffa. Allora, da Socrate a Gesù, e via via dovunque e per i secoli – fino a Rosa Luxemburg assassinata e gettata in un canale della Sprea – la storia appare come un susseguirsi di sacrifici privi di senso cui si sono offerti individui privi di considerazione per la propria individualità; non solo, ma con la conseguenza di imporre questa morale distorta ad altri individui, sacrificandoli a loro volta. 

La conclusione è una morale che privilegia l’arroccarsi di ciascuno nella difesa del proprio “particulare”. Non solo privandolo di quella “idea” o “religione” che esprima il suo rapporto e la sua comunione con gli altri e potenzi la ricchezza della propria umanità, ma anche lasciandolo, così isolato, privo dei mezzi di difesa effettivi contro chi – in possesso di strumenti di dominio (economico, militare, sociale, culturale) – intenda assoggettarlo. All’assenza di fede religiosa e di adesione a grandi idee non si supplisce con la buona volontà. 

Ma una cosa è possibile: evitare che la disgraziata condizione del presente sia proiettata all’indietro, a deformare il passato. Si può almeno educare chi oggi è spossessato, privo di una speranza attiva, a conoscere che questa perdita è contingente ma non inerisce alla condizione umana in quanto tale. A questo fine – fondamentale per la rinascita di una resistenza efficace alle forze distruttive che oggi operano anche all’interno delle coscienze – è essenziale la trasmissione della storia. Non a caso le correnti ideologie funzionali alla distruzione pretendono annullare la nozione stessa di storia e l’insegnamento della storia come disciplina – quanto meno ai livelli più popolari. L’attenzione alla biografia delle grandi personalità può essere un tramite al recupero della storia. 

Per quanto riguarda la storia del comunismo nel ventesimo secolo, la conoscenza dei grandi comunisti nella loro individualità aiuta a smentire la visione deformata e calunniosa che ne viene proposta da quanti, annientandola alla radice, intendono garantirsi da una eventuale rinascita nelle menti di qualsiasi ipotesi comunista. Nel contempo, aiuta a restituire agli individui la giusta collocazione – non nel solitario isolamento ma nell’adesione a grandi idee, che fa tutt’uno con la comunicazione e la comunità con gli altri individui. 

Nelle lettere di Rosa Luxemburg a persone intime e ad amici emergono tratti non sempre immediatamente visibili nella superficie della figura pubblica, che la illuminano e arricchiscono. Scrive nell’aprile 1899 a Leo Jogiches – il suo compagno per diciassette anni:

       È la forma della mia scrittura che non mi soddisfa più. Va maturando nella mia “anima” una forma nuova, originale, che ignora ogni regola e convenzione. Le spezza col potere delle idee e della forte convinzione. Voglio colpire come un tuono, infiammare le menti non con i particolari ma con l’ampiezza della mia visione, la forza della mia convinzione e il potere della mia espressione.

È la coscienza del proprio eccezionale valore e il coraggio di manifestarla in termini appassionati. Il pensiero come passione è la forza del genio femminile – della femminilità che si libera dalla soggezione e si afferma, al di sopra “delle regole e delle convenzioni”. Uno dei grandi equivoci dei mediocri nemici delle donne (condiviso in parte dal femminismo di bassa lega) sta nel confondere il pensiero forte femminile con la durezza, l’assenza di sensibilità, il “tutto cervello” e “niente corpo”; e in genere credere che la profondità dei sentimenti e la sensibilità umana si identifichino col sentimentalismo, il dolciastro “latte alle ginocchia”, la mollezza scambiata per non violenza, il “pensiero debole”. 

In una lettera del dicembre 1916 scritta dalla prigione a Emanuele e Mathilde Wurm, nei riguardi del pessimismo e del tono meschinamente lamentoso dei suoi interlocutori Rosa Luxemburg usa toni così violenti da apparire quasi incredibili, giacché si rivolgono a una cara amica; ma la polemica è tanto più forte quanto più profondo è l’affetto, come si sente nelle ultime righe:

       Ti basta così, come auguri di Natale? Allora bada a rimanere uomo [Mensch]! Essere Mensch è la cosa più importante! E questo significa: essere fermi, lucidi e allegri. Sì, allegri nonostante tutto e tutto – giacché il piagnisteo è affare dei deboli. Essere Mensch significa gettare gioiosamente tutta la propria vita sulla bilancia della sorte, quando è necessario, ma nello stesso tempo godere di ogni giorno chiaro e di ogni bella nuvola; oh, non posso scrivere nessuna ricetta su come essere Mensch, so soltanto come lo si è, e anche tu lo sapevi quando passeggiavamo qualche ora insieme nei campi di Südende e la luce rossa del crepuscolo si stendeva sul grano. Il mondo è così bello nonostante tutto l’orrore e sarebbe ancora più bello se non ci fossero i deboli e i vili.

E alla stessa amica nel febbraio 1917, sempre dalla prigione:

       Tutto il tuo argomento contro il mio motto “Qui sto, non posso altrimenti” si riduce a: Bene, sia pure, ma le masse sono troppo vili e deboli per tanto eroismo. Ergo, si deve adattare la tattica alla loro debolezza e all’assioma: “Chi va piano va sano e va lontano”. Che visione storica limitata, agnellino mio! Non c’è nulla di più mutevole della psicologia umana. La psiche delle masse come l’eterno mare porta in sé ogni possibilità latente: la calma mortale e la tempesta, la più bassa viltà e il più fiero eroismo. La massa è sempre quello che deve essere secondo le circostanze del tempo e la massa sta sempre per diventare qualcosa di completamente differente da quello che sembra essere. Che capitano sarebbe uno che tracciasse la sua rotta dall’apparenza momentanea della superficie dell’acqua e fosse incapace di prevedere l’arrivo di una tempesta dai segni nel cielo o dalle profondità! Mia cara ragazza, la “delusione sulle masse” è la prova di maggiore vergogna per un dirigente politico. Un vero dirigente adatta la sua tattica non all’umore momentaneo delle masse ma alle leggi ferree dello sviluppo; si attiene a questa tattica, a dispetto di ogni “delusione” e per il resto lascia tranquillamente che la storia porti a maturazione il suo lavoro. [...] Che fare di questa particolare sofferenza degli ebrei? Le povere vittime delle piantagioni di gomma di Putumayo [Colombia], i negri dell’Africa con i cui corpi gli europei giocano a una partita di caccia, mi sono più vicini […].

Qui, come in molte altre occasioni, si rivela il fortissimo senso del proprio io, la responsabilità della dirigente che non risponde solo di sé, che fa storia, e una sorta di profonda serenità che le viene da questo, e le consente di porsi al di sopra dei giudizi basati sullo psicologismo; e come ebrea, al di sopra del misero piagnisteo per esprimere invece la più alta qualità dello spirito universalistico ebraico. L’interesse umano immediato per la gente colonizzata e calpestata non è senza rapporto con l’internazionalismo autentico e la ricerca teorica sul capitalismo nelle zone periferiche. Da una lettera a Sonja Liebknecht nel maggio 1917 [Wronke]:

       Una mattina l’aprile scorso, ricordi, vi ho chiamati d’urgenza al telefono alle dieci per andare a sentire l’usignolo che dava un concerto nell’orto botanico. [...] Che cosa leggo? Per la maggior parte, scienze naturali: geografia delle piante e degli animali. Sempre più la silvicoltura sistematica, il giardinaggio e l’agricoltura vanno distruggendo a passo a passo la nidificazione e la riproduzione naturale. Alberi cavi, terreni incolti, roveti, foglie secche sul suolo dei giardini. Mi ha talmente addolorata leggerlo. Non per i canti che cantano per la gente, ma è piuttosto l’immagine della silenziosa, irresistibile estinzione di quelle piccole creature senza difesa che mi colpisce fino a farmi piangere. Mi ricordava un libro russo che avevo letto quando ero ancora a Zurigo, , un libro del professor Sieber sul massacro dei pellerossa nel Nord America. Esattamente nello stesso modo, a passo a passo, sono stati scacciati dalla loro terra agli uomini civili e abbandonati a perire in silenzio e crudelmente. Forse sono un po’ spostata a sentire tutto così intensamente. Sai a volte mi sembra di non essere realmente una creatura umana ma piuttosto un uccello o una bestia in forma umana. Mi sento molto più a casa in un giardinetto come qui, e ancor più nei campi quando l’erba ronza per le api, che in uno dei nostri congressi di partito. Posso dirtelo, giacché tu non mi sospetterai immediatamente di tradire il socialismo! Sai che, nonostante tutto, veramente spero di morire al mio posto, in un combattimento di strada o in prigione. Ma il mio io più intimo appartiene più alle mie cinciallegre che ai “compagni”. Non perché io trovi nella natura un rifugio riposante come tanti politici moralmente falliti. Al contrario, anche nella natura, a ogni passo, trovo tanta crudeltà che ne soffro molto. Per esempio, pensa che non posso cacciare dalla mente questa piccola esperienza. La scorsa primavera stavo rientrando a casa da una passeggiata nei campi lungo la mia via silenziosa, stretta, quando notai un piccolo segno scuro sul pavimento. Mi chinai e vidi una tragedia silenziosa: un grosso scarabeo giaceva sul dorso, difendendosi disperatamente con le zampe, mentre un gruppo di formichine brulicava su di lui e lo mangiava vivo! Mi si accapponò la pelle! Tirai fuori il mio fazzoletto e presi a scacciare quegli animaletti brutali. Ma erano così insolenti e ostinati che dovetti combattere contro di loro una lunga battaglia. Quando finalmente liberai la povera vittima e la raddrizzai sull’erba, vidi che due delle zampe erano già state mangiate.... Me ne andai col sentimento angoscioso che alla fine gli avevo reso un assai dubbio favore. [...]

Qui, come da un brano di un’altra lettera a Sonja Liebknecht di metà dicembre 1917 [Breslau], ricordato nel film di Margarethe von Trotta, dove si rappresenta l’appassionata condivisione dello strazio di un bufalo malmenato, emerge l’empatia per tutte le sofferenze non solo degli uomini ma di ogni creatura, la comunione fra gli esseri viventi. Questo sentire, che è anche un pensare, si collega, ripeto, alla visione autenticamente internazionalista che porta Rosa Luxemburg al di là dell’etnocentrismo, al suo tempo presente se pur non dichiarato in tanti marxisti; la porta pure ad anticipare di quasi un secolo l’allarme per la distruzione dell’ambiente e delle specie viventi. Leggo un brano da un’altra lettera del dicembre 1917, sempre indirizzata a Sophie Liebknecht:

       [...] La scorsa notte andavo pensando: “Come è strano che io sia sempre in una sorta di allegra ubriachezza, senza motivo sufficiente. Qui giaccio in una cella scura su un materasso duro come la pietra; l’edificio ha la sua solita quiete da camposanto, tanto che si potrebbe essere già seppelliti; attraverso la finestra cade sul letto un barlume di luce dalla lampada accesa tutta la notte davanti alla prigione. A intervalli posso udire debole nella distanza il rumore di un treno che passa o, qui vicino, la tosse secca del guardiano della prigione che nei suoi pesanti stivali fa quattro passi per stirarsi le membra. Lo scricchiolio della ghiaia sotto i suoi piedi suona così disperato che tutto il tedio e la futilità dell’esistenza sembrano irradiarsi nella notte umida e cupa. Io giaccio qui sola e in silenzio, avvolta nel multiforme involucro di oscurità, tedio, non-libertà, e inverno – eppure il mio cuore batte con una incommensurabile e incomprensibile gioia interiore, come se mi muovessi nella radiante luce del sole attraverso un prato fiorito. E nell’oscurità sorrido alla vita, come possedessi un talismano che mi permettesse di trasformare tutto ciò che è male e tragico in serenità e felicità.” Ma se cerco nella mia mente la causa di questa gioia, non la trovo, non posso che ridere di me. Credo che la chiave dell’enigma sia semplicemente la vita stessa. Questa profonda oscurità della notte è morbida e bella come velluto, se solo la si guarda nel modo giusto. Lo scricchiolio della ghiaia umida sotto il passo lento e pesante del guardiano della prigione è simile a un’amabile canzoncina della vita – per una che abbia le orecchie per udire. In momenti simili penso a te, e vorrei poter consegnare anche a te questa chiave magica. Allora, in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo, potresti vedere la bellezza e la gioia della vita; allora anche tu potresti vivere nella dolce ubriacatura, e camminare attraverso un prato fiorito. Non pensare che ti offra gioie immaginarie, o che vada predicando l’ascetismo. Voglio che tu gusti tutti i reali piaceri dei sensi. Il mio solo desiderio è di darti in più il mio inesauribile senso di benedizione interiore[...].

Il dolore individuale si perde in quello collettivo e l’individuo si risolve in forza (non solo di tipo stoico, né nel solo ottimismo della volontà) ma nel sentire della gioia. Così nei grandi mistici (san Francesco, molti buddhisti) e nei grandi materialisti, dove la gioia è nel sentimento stesso della vita, e nel dare forma. Anche, forma al futuro. 


Nessun commento:

Posta un commento