lunedì 28 marzo 2016

UNA RILETTURA TEORICA E POLITICA DEL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA - Riccardo Bellofiore

  «Si dissolvono tutti i rapporti stabili ed irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti». 
(Karl Marx e Friedrich Engels, Manifesto del Partito comunista, p. 87)


LE CONDIZIONI DELLA LIBERTÀ DINAMICA CAPITALISTICA E QUESTIONE DEL SOGGETTO NELL’EPOCA DELLA “GLOBALIZZAZIONE”: UNA RILETTURA TEORICA E POLITICA DEL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA.

Introduzione.

«Lo spettro del comunismo ha cessato di inquietare l’Europa, ma il Manifesto non ha cessato di inquietare i rivoluzionari». 
Wal Suchting, What is Living and What is Dead in the Communist Manifesto?, p. 163.

Riprendere in mano, a centocinquant’anni dalla sua comparsa, il Manifesto del partito comunista può essere fatto con metodi e obiettivi diversi (1). E’ possibile, evidentemente, collocare l’opuscolo nella temperie politica e culturale degli anni in cui vide la luce; come è possibile soggiacere alla tentazione di un confronto immediato tra il testo e la realtà che abbiamo di fronte. Un approccio “storico”, il primo; un approccio “attualizzante”, il secondo.

Esemplare, in un certo senso, del primo è la riedizione della Einaudi, con la lunga e utile postfazione di Bruno Bongiovanni, mentre esemplare del secondo, è l’introduzione che Eric Hobsbawm ha premesso alla ristampa inglese della Verso, uscita anch’essa quest’anno. Entrambe, però, mettono bene in rilievo i rischi di operazioni del genere. Da una parte, la riduzione del Manifesto a “classico”, quando non a documento di un’altra epoca, con una nascosta, ma non meno efficace, sterilizzazione dell’impatto presente di quelle pagine. Dall’altra parte, all’opposto, la rivendicazione al Manifesto di una dimensione profetica, sia pure dimezzata: dove la profezia sta nell’avere anticipato - con la sola colpa di averlo fatto con troppo grande anticipo - i caratteri del capitalismo mondializzato dei nostri giorni; e il suo essere dimezzata sta nella spiacevole circostanza che, giusto quando le previsioni “analitiche” di Marx si sarebbero concretizzate, esse avrebbero al contempo distrutto il soggetto sociale che doveva farsi messaggero di una società futura, meno disumana e portatrice di una libertà più autentica nell’eguaglianza2 . Vi è qui, a me pare, un difetto dovuto a un eccesso di “empirismo”. Si ragiona quasi come se i “fatti” fossero lì, neutri, a consentire di saggiare la validità del costrutto teorico; dal che consegue un ammirato stupore nel verificare quanto lo sviluppo delle forze produttive tratteggiato da Marx nel Manifesto assomigli al nostro presente. E’ evidente, peraltro, che, visto che i fatti neutri non lo sono mai, in questo modo ci si ritrova pressoché sempre a spacciare come non problematica la ricostruzione dominante della realtà attuale, e ci si limita a rivestire l’interpretazione di senso comune di una retorica radicale - tanto più radicale, in effetti, quanto più la descrizione prevalente di come stanno le cose nega qualsiasi possibilità di intervento alle classi dominate.

In queste pagine percorrerò - per mestiere, per così dire, ma anche per convinzione - una via diversa. Il criterio di valutazione cui sottoporrò il Manifesto sarà di natura eminentemente “logica” e “categoriale”. Assumerò lo scritto di Marx ed Engels come parte di un percorso teorico e ,sempre, implicitamente o esplicitamente, politico più complessivo, che raggiunge la sua maturità soltanto nei lavori del Marx “critico dell’economia politica”, cioè nei Grundrisse e nel Capitale. La domanda che mi porrò sarà, insomma, in che misura una rilettura “all’indietro” di Marx - una rilettura, cioè, che interpreti alla luce delle successive conquiste concettuali del Marx delle opere maggiori le proclamazioni brillanti ed efficaci del Manifesto - sia produttiva.

Produttiva, innanzitutto, nel senso di mostrare la permanente attualità degli affondi che il Manifesto lancia per una interpretazione della dinamica di classe dell’ultimo secolo e mezzo, senza lasciarsi intralciare dalle parti più datate e deboli di quel pamphlet.

Produttiva, inoltre, nel senso di fornirci le armi per una diversa rappresentazione del capitalismo contemporaneo, “globalizzato” e “postfordista”, che sfugga a quella visione senza conflitto e senza politica che va oggi per la maggiore tanto a destra quanto, purtroppo, anche a sinistra; e che discenda invece dal metodo, che a me sembra prettamente marxiano, di mettere sotto processo i “fatti”, rilevandone la natura contraddittoria.

Produttiva, infine, per rimettere sul tappeto il nodo politico della teoria marxiana, cioè, da un lato, l’inseparabilità della dimensione analitica da quella politica nel Manifesto come nella critica dell’economia politica, e, dall’altro lato, la questione della natura e della costruzione del soggetto antagonista.

La struttura di questo contributo è la seguente.

Nella seconda sezione, ricapitolerò brevemente le tesi portanti del Manifesto, mettendo in evidenza le questioni controverse e le critiche principali a cui esso ha dato origine.

Nella terza sezione, presenterò quello che è a mio parere il nocciolo della “critica dell’economia politica” sviluppata da Marx principalmente negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, e mostrerò in che senso da questo punto di vista molte delle difficoltà ad una interpretazione convincente del processo capitalistico che emergono dal Manifesto possano essere superate.

Nella quarta sezione, accennerò in modo sintetico alle conseguenze che una esegesi del lascito marxiano di questo tipo ha per una diagnosi del capitalismo contemporaneo.

Nella quinta e ultima sezione, interverrò sul tema del soggetto sociale e del soggetto politico come questione “aperta”, nel Manifesto così come nel marxismo3 .

1. Il Manifesto del partito comunista.         (Leggi tutto:    http://web.tiscalinet.it/visavis/sezmarx3.pdf)

Note

(1). Lo scritto che qui viene pubblicato costituisce la versione integrale di una relazione che è stata originariamente presentata al Convegno su “Il Manifesto del Partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels 150 anni dopo” (tenutosi a Roma il 4-5 dicembre 1998, per iniziativa del quotidiano “il manifesto” e delle riviste “Critica Marxista” e “Finesecolo”), e che sarà inclusa, in una versione ridotta, negli Atti in corso di pubblicazione per i tipi dell edizioni manifestolibri. L’ultima sezione su “La questione del soggetto” è comparsa con questo titolo sul fascicolo n. 6 de “la rivista del manifesto”, in forma leggermente modificata e senza l’apparato di note. I numeri di pagina delle citazioni dal Manifesto fanno riferimento a Karl Marx e Friedrich Engels, Manifesto del Partito comunista, Laterza, Roma-Bari, 1985. Per quel che riguarda i riferimenti bibliografici contenuti nelle note essi non hanno alcuna pretesa di completezza, e rimandano semplicemente a pochi testi di critica al Manifesto che reputo in qualche modo significativi, alle posizioni di alcuni amici le cui letture di Marx mi sembrano non lontane da quelle che qui presento, e infine a miei lavori che il lettore interessato ad approfondimenti del ragionamento presentato nelle pagine che seguono potrebbe trovare utili.

(2). «Mai la classe lavoratrice è stata tanto internazionale, mai il programma socialista […] è stato tanto impotente, se non addirittura assente», scrive Bruno Bongiovanni. Ciò non vuol dire, prosegue il commentatore, che il Manifesto, «così irrimediabilmente antico e così sorprendentemente moderno», sia da ritenersi inattuale. Esso sarebbe «più che mai indispensabile per comprendere criticamente il mondo che ci circonda e per riafferrare, obiettivo credo condiviso da tutti gli uomini di buona volontà, l’imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole». Certo, purgando Marx della «dicotomia classistica sempre improponibile», e ammettendo, da buon storico, che il giungere a compimento del processo storico individuato da Marx arriva «largamente fuori tempo massimo dal punto di vista delle roventi aspettative politiche e palingenetico-religiose degli anni ’40 del XIX secolo» (Postfazione di Bruno Bongiovanni a Karl Marx e Friedrich Engels, Manifesto del Partito Comunista, Einaudi, Torino, 1998, pp. 214-5). Non potrebbe essere più evidente la scissione tra piano analitico e piano pratico-politico, legati oramai soltanto da una urgenza etica di cui non si saprebbero indicare le basi materiali, se non limitandosi a osservare che la risposta alla dinamica capitalistica non può che collocarsi sullo stesso terreno internazionale dove si muove oggi l’agire delle imprese.  


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