lunedì 7 marzo 2016

RELIGIONE, FONDAMENTALISMI, VIOLENZA* - Alessandra Ciattini

*Da:       http://www.lacittafutura.it/ 


 Cominciamo con chiederci: cos'è la religione? Tale risposta ci fornirà indizi per comprendere come dalla problematica religiosa germoglino talvolta violente manifestazioni di intolleranza, assai preoccupanti perché la guerra odierna si fonda su un raffinato armamentario tecnologico altamente distruttivo. Cercheremo di illustrare, poi, le diverse forme del fondamentalismo, mostrando che non è un fenomeno esclusivamente islamico e che, se da sola la religione non può scatenare le guerre, tuttavia, può giocare in esse un ruolo importante e decisivo.


L'ascesa del cosiddetto Stato Islamico e lo spazio che esso occupa nella cultura massmediatica contemporanea rendono urgente una riflessione equilibrata e ponderata sulla relazione tra tre elementi, spesso sbrigativamente interconnessi a fini demagogici: religione, fondamentalismi, violenza. 

Questa riflessione non può non prendere le mosse da una questione di non poco conto, che la cultura massmediatica nemmeno si pone: cosa è la religione? Come la definiamo? La risposta a questa domanda non è facile, giacché in primo luogo nella nostra società e cultura la religione è tout courtidentificata con il cristianesimo e considerata la massima espressione dell'eticità e della spiritualità, come se tali aspetti non fossero anche presenti ed operanti in altre forme di attività pratica e intellettuale, come per esempio la riflessione scientifica.

Se si prendono in considerazione le varie opere, anche monumentali, dedicate al tema della riflessione sulla religione, anche scorrendo solo l'indice, ci si renderà conto che non c'è un'unanimità di punti di vista tra gli studiosi dell'argomento, e che le risposte date alla domanda sopra formulata sono assai diverse, in funzione anche degli aspetti specifici che vengono posti in risalto da questi ultimi. Questa diversità di impostazione, del resto riscontrabile nei diversi ambiti delle scienze umane, non deve impedirci di prendere posizione, chiarendo ovviamente le ragioni che stanno alla base della prospettiva teorica che si intende scegliere. Ovviamente la natura di questo breve intervento mi impedisce di approfondire in maniera soddisfacente il senso di tali ragioni e di illustrare i vantaggi interpretativi ed esplicativi della prospettiva da me proposta. Aggiungo che la mia definizione di religione non è assolutamente nuova e si limita a cercare di integrare in maniera implicita prospettive diverse tra loro, ma non contraddittorie.

Per definire la religione bisogna partire dalla constatazione che, nel corso della storia umana, sono sorte varie forme religiose, alcune presenti anche nella società contemporanea, che si contraddistinguono per i loro caratteri specifici, fondati sulla diversità delle credenze e delle pratiche adottate dai loro fedeli. 

Per questa ragione, per comprendere la religione nelle sue diverse manifestazioni, è necessario elaborare una definizione di ordine più generale in grado di inglobare in sé queste ultime e di cogliere il loro tratto costitutivo, ossia quell'elemento che fa di esse una religione secondo il punto di vista adottato. 

Procedendo in questa direzione, mi sembra opportuno ricondurre le varie forme religiose conosciute ad un certo tipo di atteggiamento verso il mondo che definirei religiosità, dal quale tuttavia non scaturiscono solo le religioni vere e proprie, ma anche certe forme di coscienza alle quali - in particolare - ci richiamiamo nella nostra vita quotidiana, e che quindi possiamo definire cripto-religiose. 

Seguendo una ben precisa tradizione intellettuale, le cui radici stanno nell'Illuminismo, mi sembra che abbia senso identificare la religiosità con quello che possiamo indicare con il termine filosofico di “essenzialismo acritico” [1], il quale designa il procedimento pratico-cognitivo in base al quale la molteplicità cangiante dei fenomeni e degli eventi viene considerata esclusivamente manifestazione, emanazione di un'altra dimensione ad essa opposta e di natura differente, indicata con espressioni come “sovrumano”, “sovrannaturale”, “sacro”. 

Insomma, nell'ottica religiosa le cose, anche se contraddittorie e mutanti, sono sempre interpretabili in un'unica chiave e facendo riferimento ad una dimensione altra rispetto a quella umana, anche se strettamente intrecciata a quest'ultima in modalità variabili a seconda della forma religiosa esaminata. 

La giustapposizione tra la dimensione terrena e quella sovrannaturale, in quanto tale, non è problematizzata ed è sollecitata dall'urgenza di rispondere agli eventi – soprattutto di segno negativo – che incalzano l'uomo nella vita quotidiana, con il vantaggio di individuare così anche l'adeguata reazione ad essi, la cui natura è sempre di carattere ripetitivo e rituale. 

In definitiva,  per il credente anche gli eventi più minuti e insignificanti debbono esser letti in una chiave religiosa, e il loro verificarsi può ostacolare o favorire il corretto rapporto con le forze sovrannaturali; di qui la necessità impellente di rispettare tutta una serie di norme e tabù, il cui scopo è quello di mantenere la purezza del fedele, che gli garantisce il risolutivo aiuto divino [2].

Tornando brevemente alle forme che ho definito cripto-religiose, farò un rapido esempio, per render chiaro il senso del mio ragionamento. Ritroviamo la giustapposizione non problematizzata tra due dimensioni diverse, di cui ho parlato più sopra, anche in talune espressioni ideologiche e politiche, come per esempio il razzismo, secondo il quale le caratteristiche di un “popolo” - i cui contorni è spesso assai difficile delineare - sono riconducibili tout court ad un livello transtorico e per questo immutabile. Basti pensare alle giustificazioni che il pensiero quotidiano dà dell'ostracismo, talvolta anche violento, nei confronti degli “zingari”, ai quali sono attribuiti tratti profondamente negativi che sarebbero scaturiti dalla loro “natura” immodificabile, senza tenere conto né della loro storia né della loro collocazione sociale. A questi ultimi i razzisti contrappongono un “noi” radicalmente diverso sempre per esser scaturito da una “natura” originaria del tutto differente e dotata di caratteri opposti, che potrebbero essere alterati e contaminati dal contatto con ciò che le è profondamente estraneo. 

Come si vede, ci troviamo in entrambi i casi dinanzi a una semplicistica logica binaria, ben descritta da Émile Durkhein, il quale, riflettendo sulla differenza tra religione e scienza, scrive in Le forme elementari della vita religiosa (Roma 1973: 245-246): “Caratteristica della... [religione] sembra un gusto naturale sia per le confusioni smodate che per i contrasti stridenti. Eccede volentieri nei due sensi. Quando accosta confonde, quando distingue oppone. Ignora misure e sfumature, ricerca gli estremi…”.

Se effettivamente l'essenzialismo acritico costituisce il nucleo centrale della religiosità, bisogna aggiungere, tuttavia, che esso si tinge di sfumature assai diverse a seconda della struttura su cui si viene ad articolare l'intera vita religiosa. Infatti, seguendo la classica tipologia utilizzata dagli studiosi, individuiamo religioni fondate sull'animismo, che riconduce tutto il reale ad un potere sovrannaturale pervadente, sul politeismo, sul dualismo e sul monoteismo. 

Dovrebbe essere a tutta prima evidente che sono soprattutto le religioni monoteistiche ad essere caratterizzate da un atteggiamento fortemente intollerante, giacché i loro fedeli e, in particolare, i loro sacerdoti non riconoscono - come avviene, invece, nei contesti animistici e politeistici [3]- l'esistenza di altre divinità oltre quella da loro venerata. Inoltre, tale esclusivismo viene accentuato da una serie di istituzioni che garantiscono solo ad alcuni (i vertici religiosi) la corretta interpretazione del messaggio divino e il diritto di comminare pene a coloro che, con la pratica e la teoria, da essa si discostano volontariamente o involontariamente. 

Si pensi, per esempio, al dogma dell'infallibilità papale, istituito nel 1870 dal Concilio Vaticano I, e all'istituto della scomunicazione, alla quale possiamo assimilare il Decreto Vaticano del 1949, emanato sotto il pontificato di Pio XII, in cui si diceva che i cristiani aderenti alle filosofie materialistiche e anticristiane (i comunisti) erano passibili di scomunica. Sottolineo anche che l'essere infallibile del Papa, quando parlaex cathedra, deriverebbe da uno speciale carisma attribuito a Pietro e ai suoi successori dal Cristo. 

Tutte le religioni monoteistiche, che sul piano strutturale presentano la distinzione tra semplici credenti e clero, sono caratterizzate (sia pure in forme diverse e in certune loro correnti) da un atteggiamento intollerante, che sfocia nel fondamentalismo e/o integralismo. Si ricordi che l'espressione “fondamentalismo” sorge in ambiente protestante negli Stati Uniti, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, e si fonda sulla lettura letterale della Bibbia, nella quale sarebbero descritti avvenimenti realmente accaduti e che per i fondamentalisti non può essere sottoposta ad analisi critica e filologica, come pretendevano di fare i teologi liberali e modernisti. 

In definitiva, il fondamentalismo protestante, che ha plasmato in maniera profonda la cultura statunitense e il suo rapportarsi con il resto del mondo, mette l'accento su quegli elementi fondamentali contenuti nel testo sacro e su cui non si può in alcun modo discutere, anche se l'evoluzione del pensiero scientifico li ha messi da tempo in questione. Si pensi, per esempio, alla feroce opposizione contro il darwinismo e la teoria dell'evoluzione, ritenuti inaccettabili per il fatto che negano il grandioso evento della creazione, da cui sarebbe derivato l'intero universo con tutte le sue creature.

Se in origine il fondamentalismo è stato associato all'interpretazione letterale del testo sacro, esso oggi viene usato in senso più lato per indicare tutte quelle tendenze (religiose e non) [4] arroccate sulle proprie posizioni, indisponibili al dialogo e a praticare il sano esercizio dell'autocritica. 

Secondo alcuni studiosi (v. Hinglehart R., La società postmoderna. Mutamento, ideologie e valori in 43 paesi, Roma 19968, p. 61) tali posizioni sorgono in quei contesti, interni o esterni alla società occidentale, in cui l'avanzamento della post-modernità mette a rischio la stessa sopravvivenza di alcuni gruppi come entità sociali e culturali, determinandone la discesa nella scala sociale (per esempio, i piccoli imprenditori o il ceto medio che rischiano di essere proletarizzati) o le ampie masse del Terzo Mondo, che vedono addirittura peggiorare le loro condizioni di vita dalla mondializzazione. Entrambi i gruppi ritengono che il loro riscatto sarà possibile con un balzo all'indietro, il quale dovrebbe consistere nel ritorno alle condizioni preesistenti la mondializzazione, la quale ha fluidificato le barriere economiche, etniche e culturali precedenti che costituivano un argine di difesa contro tale processo omologante e dissolvente.

Abbiamo fatto un rapido riferimento all'integralismo cattolico, la cui manifestazione più cospicua ha sempre riguardato la pretesa dell'estensione dei precetti propri di questa forma religiosa all'intera società (si pensi ai noti e dibattuti casi del divorzio e dell'aborto in Italia), e al fondamentalismo protestante che, alleato negli Stati Uniti con i conservatori cattolici, ha portato alla presidenza del Paese uomini  che hanno sostenuto politiche anti-popolari e portato avanti la cosiddetta teoria del “destino manifesto”. Tale teoria, elaborata nella prima metà dell'Ottocento, attribuiva agli Stati Uniti, in virtù delle caratteristiche del loro popolo e delle loro istituzioni, il diritto-dovere, riconosciuto e attribuito dalla divinità, di espandersi e di esercitare l'egemonia sui paesi del mondo (in primis quelli dell'America), indirizzandone il loro sviluppo.

Altri fondamentalismi 

Parlando di fondamentalismi, tuttavia, dobbiamo tenere presente che essi si annidano anche nelle altre religioni monoteistiche, quali l'ebraismo e l'islamismo. Quanto al primo, dobbiamo ricordare il sionismo, movimento politico, sviluppatosi all'interno del nazionalismo europeo, che appoggia lo Stato d'Israele e le sue politiche di aggressione e di distruzione nei confronti della comunità palestinese e che, però, ha basi religiose. Queste ultime stanno nella stessa scelta del territorio sui cui si è insediato lo Stato d'Israele, terra “promessa” da Dio al suo popolo eletto, e ciò a dispetto della storia, che ha visto la Palestina per secoli essere la spazio in cui gruppi etnici e culture diverse hanno convissuto sotto la sostanziale tolleranza ottomana. A dispetto anche del fatto, sottolineato da molti storici, che solo con il sionismo stesso si è costituito un vero popolo di Israele, in precedenza diviso in comunità di diversa provenienza e tra loro anche conflittuali. 

Accanto a tale forma di fondamentalismo politico-religioso troviamo tendenze che vengono definite ultra-ortodosse, divise tra gli haredim e i datiim, i quali, pur avendo un atteggiamento diverso verso lo Stato di Israele, condividono l'esigenza di un'adesione letterale ai precetti delle Sacre Scritture e considerano miscredenti anche gli stessi ebrei, che ad essa non si allineano. Tale è la differenza tra gli ultra-ortodossi, che nel caso degli haredim non considerano legittimo lo stesso Stato di Israele [5], e gli israeliani cosiddetti laici, che taluni prefigurano sia possibile l'accendersi di conflitti che potrebbero sfociare in scontri sanguinosi.

Veniamo infine al fondamentalismo islamico, l'unico di cui si parla quotidianamente e in maniera martellante, e che è inevitabilmente associato agli attentati attuati in Europa negli ultimi anni (l'ultimo quello del 13 novembre scorso a Parigi). Con questo termine ci si riferisce a quelle tendenze religiose e politiche, sviluppatesi nel Novecento in ambiente sunnita, che – con un atteggiamento simile a quello dei fondamentalismi su esaminati – sostengono la necessità di ritornare ai contenuti dell'Islam originario, fondandosi sull'interpretazione letterale dei testi sacri quali il Corano e gli Ahadith [6]. 

Altro aspetto del fondamentalismo islamico è rappresentato dalla volontà di introdurre la shari'a (la via da seguire), ossia la legge sacra, che dovrebbe regolare ogni attività degli individui sia di carattere privato che pubblico. Ovviamente quest'ultima, per sua natura, mette in discussione il carattere laico delle organizzazioni politiche e la distinzione tra religione e politica, che oggi, d'altra parte, è messa in questione anche da ampi settori cattolici e protestanti i quali, con grande insistenza, sollecitano un ritorno della religione negli spazi pubblici. In tale contesto, nel quale si è fatta sentire in maniera pesante l'ingerenza delle potenze occidentali che hanno relegato i Paesi arabi a teatro dei loro scontri per le risorse energetiche e per la conquista di insediamenti cruciali dal punto di vista geo-strategico, il jihad [7] si è fatto sempre più aggressivo ed è diventato uno strumento di riscatto e di vendetta. 

Per capire l'atteggiamento psicologico del terrorista che lo induce a commettere crimini efferati e riprovevoli - non peggiori, tuttavia, di quelli di cui è costellata la politica aggressiva della grandi potenze nei confronti del Medio Oriente, accompagnata dal sostanziale disinteresse verso il problema de profughi [8], da quest'ultima provocato - può essere utile ricordare un passo scritto da Samuel Taylor Coleridge (1772-1834) e citato da Raymond Williams (Cultura e rivoluzione industriale. Inghilterra 1780-1950, Torino 1961). 

In questo brano si riporta un dialogo immaginario tra un lavoratore senza risorse e un benestante, tenuto agli inizi della Rivoluzione Industriale in Gran Bretagna, in cui era all'auge la teoria matlhusiana, che sembra pervadere anche i nostri tempi. Dice il benestante: “... in questo stato progredito e artificiale della società non posso permettermi di soccorrerti; devi morire di fame. Sei venuto al mondo quando questo non era in grado di mantenerti”. A queste parole così risponde il lavoratore disperato: “Tu neghi ogni legame con me; non ho diritti su di te? Allora posso non avere alcun dovere verso di te e questa pistola mi metterà in possesso della tua ricchezza. Puoi lasciare dietro di te una legge che mi impiccherà, ma quale uomo vedendo di fronte a sé la morte per fame certa, ebbe mai paura dell'impiccagione” (cit. in Williams 1961: 88). 

Naturalmente in molti casi non si tratta della morte fisica, che pure si verifica in maniera consistente (si pensi ai profughi che annegano ogni giorno nel Mediterraneo), ma dell'annichilamento culturale e sociale di ampi strati dei Paesi aggrediti e sottomessi, da cui arrivano i fuggitivi sospinti da guerre, le cui origini e cause per la cultura massmediatica restano misteriose come per il Belli  i contenuti della fede cristiana a chi ascolta la predica di un parroco pur volenteroso(G.G. Belli, Er frutto de la predica).

Resta un ultimo motivo da affrontare e certo non di facile interpretazione: quello della relazione tra religione e violenza/guerra, spesso inteso in senso meccanico e automatico, ma che, invece, non sfugge ad articolazioni e complessità. Possiamo cominciare col dire che certamente l'aggressività rappresenta uno tratti costitutivi della psiche umana, e svolge una funzione adattiva, nella misura in cui contribuisce a garantire la sopravvivenza del singolo e della specie, anche se oggi gli psicoanalisti ritengono che la pulsione aggressiva e quella sessuale non operino mai separatamente. Dal momento che la caratteristica dell'essere umano è quella di avere una “natura” che viene plasmata in maniera diversa dalla differenti forme sociali e culturali, sarebbe semplicistico e riduttivo ritenere che fenomeni grandiosi e tragici come i conflitti di vario genere e le guerre siano attribuibili semplicemente allo scatenamento di questa pulsione originaria. In una prospettiva che guardi alla relazione dialettica tra natura e cultura sembrerebbe più opportuno analizzare approfonditamente tutto l'insieme delle condizioni economiche, politiche, culturali, nelle quali si produce il fenomeno distruttivo, certamente radicato in origine nella nostra istintualità, per individuarne in maniera non riduttiva le cause e le motivazioni. 

Non è questa la strada intrapresa dal noto studioso cattolico René Girard che ha scritto varie opere sull'argomento, rifiutando – correttamente, dal mio punto di vista – che la religione da sola possa essere l'unica fonte della violenza, giacché quest'ultima precede il sorgere di questa istituzione umana. Tuttavia, egli ritiene che la violenza scaturirebbe dal desiderare quello che gli altri desiderano secondo un processo fondato sull'emulazione, con lo scopo di conquistare la superiorità e la pienezza dell'essere, scatenando così un conflitto che può vedere coinvolti due o più individui [9]. Egli chiama tale prospettiva “teoria mimetica” e ritiene che l'uscita dalla crisi, provocata dallo scontro dei desideri suscitati dallo stesso oggetto, sarebbe stata individuata dagli uomini antichi nell'istituzione del sacrificio del capro espiatorio, con il quale si designa e si uccide il responsabile del disordine, ristabilendo l'ordine messo a rischio dal conflitto. 

Come si può capire, la teoria mimetica attribuisce alla religione arcaica una funzione pacificatrice, anche se comporta l'inevitabile uccisione di un innocente. Non ci soffermiamo sulla trasformazione della relazione violenza/religione nell'epoca cristiana indagata da Girard, e rimandiamo chi volesse approfondire il tema a La violenza e il sacro (Milano 1992); ci preme sottolineare soltanto che sembra alquanto riduttivo immaginare che alla base di fenomeni sconvolgenti, quali le guerre che devastano continenti interi e che non sembrano appartenere esclusivamente al nostro passato, possano scaturire da un decontestualizzato scontro di desideri. 

A nostro parere esse sono piuttosto il risultato di un insieme aggrovigliato di fattori e del farsi sempre più stridente di contraddizioni, che covano nel seno stesso della società, in particolare di quella capitalistica avanzata, che nella sua crisi e nel suo declino sembra voler mantenere in ogni modo l'egemonia e il predominio; obiettivo cui è spinta dalla sua stessa logica predatoria. E ciò pur a costo di far esplodere un conflitto epocale e apocalittico, come si può ricavare da quanto si scrive, ma che non viene adeguatamente divulgato,sull'ammodernamento delle bombe termonucleari e sullo sviluppo della guerra robotica e fondata sull'uso dei droni

Naturalmente, se le guerre scaturiscono dall'interrelazione tra fattori diversi, in tale incastro anche la religione, in particolare nel sue forme fondamentaliste, può giocare un certo ruolo, che a mio parere si sviluppa secondo due traiettorie diverse, che qui cercherò di indicare brevemente. 

La prima è quella più nota e dibattuta e consiste nell'utilizzazione del suo messaggio quale forma di legittimazione di una certa forma di potere; sto facendo riferimento all'impiego della religione come instrumentum regni, funzione che essa può esplicare con facilità, giacché proprio per la sua prospettiva essenzialistica essa è in grado di dare un fondamento assoluto e indiscutibile ad un certo assetto sociale, occultando che esso è il frutto di un particolare dispiegarsi della storia. Secondo questa visione, per esempio, l'espansione coloniale non è solo l'estendersi del dominio europeo, ma anche l'allargamento della cristianità benvoluto e benedetto da Dio. 

Quest'uso della religione è adottato dai ceti dirigenti, caratterizzati talvolta dal cinismo e dalla miscredenza; del tutto diverso è, invece, il modo in cui le masse dei fedeli recepiscono e vivono i contenuti della loro fede, ma gli esiti possono essere ugualmente nefasti, in particolare se dall'essenzialismo [10] si sfocia nel fondamentalismo che fa apparire il proprio modo di essere l'unico degno dell'essere umano e a questi confacente. 

In tale contesti, dove scarsa è la diversificazione dei gruppi sociali o dove un singolo gruppo si chiude in una posizione difensiva, gli individui non hanno alcuna coscienza che è possibile vivere in un mondo in cui si confrontano e si scontrano visioni del reale alternative e, intimoriti, stigmatizzano la scelta ideologica diversa come abominio e devianza. Tale forma mentis, ben radicata soprattutto in quei contesti sociali in cui le contraddizioni ideologiche portano alla luce uno scontro per la vita o per la morte dei gruppi in conflitto, costituisce un'ottima base per convogliare masse inconsapevoli di individui verso nuove “crociate” a vantaggio di interessi a loro estranei e sconosciuti. 

Note

1.   Dico “essenzialismo acritico” perché credo che un certo grado di essenzialimo sia indispensabile in ogni forma di attività teoretica e pratica, anche se tale impostazione, in quanto critica, non comporta mai il rifiuto di discutere ciò che è considerato di volta in volta essenziale. Il vantaggio di definire la religiosità come espressione dell'”essenzialismo acritico” sta nel fatto che ci permette di ricondurre alcune sue funzioni alla sua stessa struttura.
2.   A mo' di esempio, possiamo menzionare le numerose evitazioni alimentari prescritte nel Levitico, il cui rispetto garantisce al fedele la conduzione di una vita pura in armonia con i voleri della divinità.
3.   Ricordo che nella Roma antica era presente un tempio dedicato al dio ignoto. Il dualismo meriterebbe un discorso a parte che qui non posso sviluppare.
4.   Si potrebbe far riferimento al fondamentalismo neo-liberale, cristallizzato nel cosiddetto “pensiero unico”.
5.   Alcuni di essi ritengono che solo con l'avvento del Messia potrà costituirsi lo Stato di Israele; altri, invece, auspicano con forza un ulteriore allargamento di quest'ultimo. In ogni caso, nella loro comunità, fortemente ostile all'introduzione delle innovazioni moderne, centrale è lo studio delle Sacre Scritture portato avanti dagli uomini, esclusi dal servizio militare, e continua ad imperare la radicale divisione tra i due sessi sia nelle scuole che sui mezzi di trasporto, recentemente messa in discussione dalle donne.
6.   Si tratta di racconti relativi alla vita del profeta Maometto e raccolti nella Sunna.
7.   Il jihad può esser inteso anche come una lotta interiore, attraverso la quale l'individuo acquisisce un sempre maggior avvicinamento alla divinità e al suo volere.
8.   Si ricordi che alcuni Paesi, come la Danimarca, hanno decretato il sequestro dei beni dei rifugiati.
9.   Ci si potrebbe chiedere quale conflitto di desideri ha determinato le guerre coloniali, dal momento che i popoli colonizzati non hanno mai tentato di conquistare i beni e le risorse degli europei?
10.   L'identificazione della religione con l'essenzialismo non deve portarci alla conclusione che solo da questo atteggiamento scaturisca l'ideologia intesa come sostegno intellettuale ad una certa struttura di potere. Infatti, la società contemporanea è pervasa da tematiche ideologiche antiessenzialistiche che mettono l'accento sull'identità plurale, sulla fluidità della vita sociale, sull'impossibilità di coagulare le singolarità in uno schema generale, le quali sono emanazioni del consumismo. Ma di questo bisognerà parlare in altra occasione, per ora ci limitiamo a sottolineare che i due atteggiamenti possono tranquillamente convivere in uno stesso individuo. 

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