*Da: http://www.lacittafutura.it/
Cominciamo con chiederci: cos'è la religione? Tale
risposta ci fornirà indizi per comprendere come dalla problematica religiosa
germoglino talvolta violente manifestazioni di intolleranza, assai preoccupanti
perché la guerra odierna si fonda su un raffinato armamentario tecnologico
altamente distruttivo. Cercheremo di illustrare, poi, le diverse forme del
fondamentalismo, mostrando che non è un fenomeno esclusivamente islamico e che,
se da sola la religione non può scatenare le guerre, tuttavia, può giocare in
esse un ruolo importante e decisivo.
L'ascesa del cosiddetto Stato Islamico e lo spazio che esso
occupa nella cultura massmediatica contemporanea rendono urgente una
riflessione equilibrata e ponderata sulla relazione tra tre elementi, spesso
sbrigativamente interconnessi a fini demagogici: religione, fondamentalismi,
violenza.
Questa riflessione non può non prendere le mosse da una
questione di non poco conto, che la cultura massmediatica nemmeno si pone: cosa
è la religione? Come la definiamo? La risposta a questa domanda non è facile,
giacché in primo luogo nella nostra società e cultura la religione è tout
courtidentificata con il cristianesimo e considerata la massima espressione
dell'eticità e della spiritualità, come se tali aspetti non fossero anche
presenti ed operanti in altre forme di attività pratica e intellettuale, come
per esempio la riflessione scientifica.
Se si prendono in considerazione le varie opere, anche
monumentali, dedicate al tema della riflessione sulla religione, anche
scorrendo solo l'indice, ci si renderà conto che non c'è un'unanimità di punti
di vista tra gli studiosi dell'argomento, e che le risposte date alla domanda
sopra formulata sono assai diverse, in funzione anche degli aspetti specifici
che vengono posti in risalto da questi ultimi. Questa diversità di
impostazione, del resto riscontrabile nei diversi ambiti delle scienze umane,
non deve impedirci di prendere posizione, chiarendo ovviamente le ragioni che
stanno alla base della prospettiva teorica che si intende scegliere. Ovviamente
la natura di questo breve intervento mi impedisce di approfondire in maniera
soddisfacente il senso di tali ragioni e di illustrare i vantaggi
interpretativi ed esplicativi della prospettiva da me proposta. Aggiungo che la
mia definizione di religione non è assolutamente nuova e si limita a cercare di
integrare in maniera implicita prospettive diverse tra loro, ma non
contraddittorie.
Per definire la religione bisogna partire dalla
constatazione che, nel corso della storia umana, sono sorte varie forme
religiose, alcune presenti anche nella società contemporanea, che si
contraddistinguono per i loro caratteri specifici, fondati sulla diversità
delle credenze e delle pratiche adottate dai loro fedeli.
Per questa ragione, per comprendere la religione nelle sue
diverse manifestazioni, è necessario elaborare una definizione di ordine più
generale in grado di inglobare in sé queste ultime e di cogliere il loro tratto
costitutivo, ossia quell'elemento che fa di esse una religione secondo
il punto di vista adottato.
Procedendo in questa direzione, mi sembra opportuno ricondurre
le varie forme religiose conosciute ad un certo tipo di atteggiamento verso il
mondo che definirei religiosità, dal quale tuttavia non scaturiscono solo le
religioni vere e proprie, ma anche certe forme di coscienza alle quali - in
particolare - ci richiamiamo nella nostra vita quotidiana, e che quindi
possiamo definire cripto-religiose.
Seguendo una ben precisa tradizione intellettuale, le cui
radici stanno nell'Illuminismo, mi sembra che abbia senso identificare la
religiosità con quello che possiamo indicare con il termine filosofico di
“essenzialismo acritico” [1], il quale designa il procedimento
pratico-cognitivo in base al quale la molteplicità cangiante dei fenomeni e
degli eventi viene considerata esclusivamente manifestazione, emanazione di un'altra
dimensione ad essa opposta e di natura differente, indicata con espressioni
come “sovrumano”, “sovrannaturale”, “sacro”.
Insomma, nell'ottica religiosa le cose, anche se
contraddittorie e mutanti, sono sempre interpretabili in un'unica chiave e facendo
riferimento ad una dimensione altra rispetto a quella umana,
anche se strettamente intrecciata a quest'ultima in modalità variabili a
seconda della forma religiosa esaminata.
La giustapposizione tra la dimensione terrena e quella
sovrannaturale, in quanto tale, non è problematizzata ed è sollecitata
dall'urgenza di rispondere agli eventi – soprattutto di segno negativo – che
incalzano l'uomo nella vita quotidiana, con il vantaggio di individuare così
anche l'adeguata reazione ad essi, la cui natura è sempre di carattere
ripetitivo e rituale.
In definitiva, per il credente anche gli eventi più
minuti e insignificanti debbono esser letti in una chiave religiosa, e il loro
verificarsi può ostacolare o favorire il corretto rapporto con le forze sovrannaturali;
di qui la necessità impellente di rispettare tutta una serie di norme e tabù,
il cui scopo è quello di mantenere la purezza del fedele, che gli garantisce il
risolutivo aiuto divino [2].
Tornando brevemente alle forme che ho definito cripto-religiose,
farò un rapido esempio, per render chiaro il senso del mio ragionamento.
Ritroviamo la giustapposizione non problematizzata tra due dimensioni diverse,
di cui ho parlato più sopra, anche in talune espressioni ideologiche e
politiche, come per esempio il razzismo, secondo il quale le caratteristiche di
un “popolo” - i cui contorni è spesso assai difficile delineare - sono
riconducibili tout court ad un livello transtorico e per
questo immutabile. Basti pensare alle giustificazioni che il pensiero quotidiano
dà dell'ostracismo, talvolta anche violento, nei confronti degli “zingari”, ai
quali sono attribuiti tratti profondamente negativi che sarebbero scaturiti
dalla loro “natura” immodificabile, senza tenere conto né della loro storia né
della loro collocazione sociale. A questi ultimi i razzisti contrappongono un
“noi” radicalmente diverso sempre per esser scaturito da una “natura”
originaria del tutto differente e dotata di caratteri opposti, che potrebbero
essere alterati e contaminati dal contatto con ciò che le è profondamente
estraneo.
Come si vede, ci troviamo in entrambi i casi dinanzi a una
semplicistica logica binaria, ben descritta da Émile Durkhein, il quale,
riflettendo sulla differenza tra religione e scienza, scrive in Le
forme elementari della vita religiosa (Roma 1973: 245-246):
“Caratteristica della... [religione] sembra un gusto naturale sia per le
confusioni smodate che per i contrasti stridenti. Eccede volentieri nei due
sensi. Quando accosta confonde, quando distingue oppone. Ignora misure e
sfumature, ricerca gli estremi…”.
Se effettivamente l'essenzialismo acritico costituisce il
nucleo centrale della religiosità, bisogna aggiungere, tuttavia, che esso si
tinge di sfumature assai diverse a seconda della struttura su cui si viene ad
articolare l'intera vita religiosa. Infatti, seguendo la classica tipologia
utilizzata dagli studiosi, individuiamo religioni fondate sull'animismo, che
riconduce tutto il reale ad un potere sovrannaturale pervadente, sul
politeismo, sul dualismo e sul monoteismo.
Dovrebbe essere a tutta prima evidente che sono soprattutto
le religioni monoteistiche ad essere caratterizzate da un atteggiamento
fortemente intollerante, giacché i loro fedeli e, in particolare, i loro
sacerdoti non riconoscono - come avviene, invece, nei contesti animistici e
politeistici [3]- l'esistenza di altre divinità oltre quella da loro venerata.
Inoltre, tale esclusivismo viene accentuato da una serie di istituzioni che
garantiscono solo ad alcuni (i vertici religiosi) la corretta interpretazione
del messaggio divino e il diritto di comminare pene a coloro che, con la
pratica e la teoria, da essa si discostano volontariamente o
involontariamente.
Si pensi, per esempio, al dogma dell'infallibilità papale,
istituito nel 1870 dal Concilio Vaticano I, e all'istituto della
scomunicazione, alla quale possiamo assimilare il Decreto Vaticano del 1949,
emanato sotto il pontificato di Pio XII, in cui si diceva che i cristiani
aderenti alle filosofie materialistiche e anticristiane (i comunisti) erano
passibili di scomunica. Sottolineo anche che l'essere infallibile del Papa,
quando parlaex cathedra, deriverebbe da uno speciale carisma attribuito
a Pietro e ai suoi successori dal Cristo.
Tutte le religioni monoteistiche, che sul piano strutturale
presentano la distinzione tra semplici credenti e clero, sono caratterizzate
(sia pure in forme diverse e in certune loro correnti) da un atteggiamento
intollerante, che sfocia nel fondamentalismo e/o integralismo. Si ricordi che
l'espressione “fondamentalismo” sorge in ambiente protestante negli Stati
Uniti, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, e si fonda sulla lettura letterale
della Bibbia, nella quale sarebbero descritti avvenimenti realmente accaduti e
che per i fondamentalisti non può essere sottoposta ad analisi critica e
filologica, come pretendevano di fare i teologi liberali e modernisti.
In definitiva, il fondamentalismo protestante, che ha
plasmato in maniera profonda la cultura statunitense e il suo rapportarsi con
il resto del mondo, mette l'accento su quegli elementi fondamentali contenuti
nel testo sacro e su cui non si può in alcun modo discutere, anche se
l'evoluzione del pensiero scientifico li ha messi da tempo in questione. Si
pensi, per esempio, alla feroce opposizione contro il darwinismo e la teoria
dell'evoluzione, ritenuti inaccettabili per il fatto che negano il grandioso
evento della creazione, da cui sarebbe derivato l'intero universo con tutte le
sue creature.
Se in origine il fondamentalismo è stato associato
all'interpretazione letterale del testo sacro, esso oggi viene usato in senso
più lato per indicare tutte quelle tendenze (religiose e non) [4] arroccate
sulle proprie posizioni, indisponibili al dialogo e a praticare il sano
esercizio dell'autocritica.
Secondo alcuni studiosi (v. Hinglehart R., La
società postmoderna. Mutamento, ideologie e valori in 43 paesi, Roma 19968,
p. 61) tali posizioni sorgono in quei contesti, interni o esterni alla società
occidentale, in cui l'avanzamento della post-modernità mette a rischio la stessa
sopravvivenza di alcuni gruppi come entità sociali e culturali, determinandone
la discesa nella scala sociale (per esempio, i piccoli imprenditori o il ceto
medio che rischiano di essere proletarizzati) o le ampie masse del Terzo Mondo,
che vedono addirittura peggiorare le loro condizioni di vita dalla
mondializzazione. Entrambi i gruppi ritengono che il loro riscatto sarà
possibile con un balzo all'indietro, il quale dovrebbe consistere nel ritorno
alle condizioni preesistenti la mondializzazione, la quale ha fluidificato le
barriere economiche, etniche e culturali precedenti che costituivano un argine
di difesa contro tale processo omologante e dissolvente.
Abbiamo fatto un rapido riferimento all'integralismo
cattolico, la cui manifestazione più cospicua ha sempre riguardato la pretesa
dell'estensione dei precetti propri di questa forma religiosa all'intera
società (si pensi ai noti e dibattuti casi del divorzio e dell'aborto in
Italia), e al fondamentalismo protestante che, alleato negli Stati Uniti con i
conservatori cattolici, ha portato alla presidenza del Paese uomini che
hanno sostenuto politiche anti-popolari e portato avanti la cosiddetta teoria
del “destino manifesto”. Tale teoria, elaborata nella prima metà
dell'Ottocento, attribuiva agli Stati Uniti, in virtù delle caratteristiche del
loro popolo e delle loro istituzioni, il diritto-dovere, riconosciuto e
attribuito dalla divinità, di espandersi e di esercitare l'egemonia sui paesi
del mondo (in primis quelli dell'America), indirizzandone il loro
sviluppo.
Altri fondamentalismi
Parlando di fondamentalismi, tuttavia, dobbiamo tenere
presente che essi si annidano anche nelle altre religioni monoteistiche, quali
l'ebraismo e l'islamismo. Quanto al primo, dobbiamo ricordare il sionismo,
movimento politico, sviluppatosi all'interno del nazionalismo europeo, che
appoggia lo Stato d'Israele e le sue politiche di aggressione e di distruzione
nei confronti della comunità palestinese e che, però, ha basi religiose. Queste
ultime stanno nella stessa scelta del territorio sui cui si è insediato lo
Stato d'Israele, terra “promessa” da Dio al suo popolo eletto, e ciò a dispetto
della storia, che ha visto la Palestina per secoli essere la spazio in cui
gruppi etnici e culture diverse hanno convissuto sotto la sostanziale
tolleranza ottomana. A dispetto anche del fatto, sottolineato da molti storici,
che solo con il sionismo stesso si è costituito un vero popolo di Israele, in
precedenza diviso in comunità di diversa provenienza e tra loro anche
conflittuali.
Accanto a tale forma di fondamentalismo politico-religioso
troviamo tendenze che vengono definite ultra-ortodosse, divise tra gli haredim e
i datiim, i quali, pur avendo un atteggiamento diverso verso lo
Stato di Israele, condividono l'esigenza di un'adesione letterale ai precetti
delle Sacre Scritture e considerano miscredenti anche gli stessi ebrei, che ad
essa non si allineano. Tale è la differenza tra gli ultra-ortodossi, che nel
caso degli haredim non considerano legittimo lo stesso Stato
di Israele [5], e gli israeliani cosiddetti laici, che taluni prefigurano sia
possibile l'accendersi di conflitti che potrebbero sfociare in scontri
sanguinosi.
Veniamo infine al fondamentalismo islamico, l'unico di cui
si parla quotidianamente e in maniera martellante, e che è inevitabilmente
associato agli attentati attuati in Europa negli ultimi anni (l'ultimo quello
del 13 novembre scorso a Parigi). Con questo termine ci si riferisce a quelle
tendenze religiose e politiche, sviluppatesi nel Novecento in ambiente sunnita,
che – con un atteggiamento simile a quello dei fondamentalismi su esaminati –
sostengono la necessità di ritornare ai contenuti dell'Islam originario,
fondandosi sull'interpretazione letterale dei testi sacri quali il Corano e gli
Ahadith [6].
Altro aspetto del fondamentalismo islamico è rappresentato
dalla volontà di introdurre la shari'a (la via da seguire),
ossia la legge sacra, che dovrebbe regolare ogni attività degli individui sia
di carattere privato che pubblico. Ovviamente quest'ultima, per sua natura,
mette in discussione il carattere laico delle organizzazioni politiche e la
distinzione tra religione e politica, che oggi, d'altra parte, è messa in
questione anche da ampi settori cattolici e protestanti i quali, con grande
insistenza, sollecitano un ritorno della religione negli spazi pubblici. In
tale contesto, nel quale si è fatta sentire in maniera pesante l'ingerenza
delle potenze occidentali che hanno relegato i Paesi arabi a teatro dei loro
scontri per le risorse energetiche e per la conquista di insediamenti cruciali
dal punto di vista geo-strategico, il jihad [7] si è fatto
sempre più aggressivo ed è diventato uno strumento di riscatto e di
vendetta.
Per capire l'atteggiamento psicologico del terrorista che lo
induce a commettere crimini efferati e riprovevoli - non peggiori, tuttavia, di
quelli di cui è costellata la politica aggressiva della grandi potenze nei
confronti del Medio Oriente, accompagnata dal sostanziale disinteresse verso il
problema de profughi [8], da quest'ultima provocato - può essere utile
ricordare un passo scritto da Samuel Taylor Coleridge (1772-1834) e citato da
Raymond Williams (Cultura e rivoluzione industriale. Inghilterra 1780-1950, Torino
1961).
In questo brano si riporta un dialogo immaginario tra un
lavoratore senza risorse e un benestante, tenuto agli inizi della Rivoluzione
Industriale in Gran Bretagna, in cui era all'auge la teoria matlhusiana, che
sembra pervadere anche i nostri tempi. Dice il benestante: “... in questo stato
progredito e artificiale della società non posso permettermi di soccorrerti;
devi morire di fame. Sei venuto al mondo quando questo non era in grado di
mantenerti”. A queste parole così risponde il lavoratore disperato: “Tu neghi
ogni legame con me; non ho diritti su di te? Allora posso non avere alcun
dovere verso di te e questa pistola mi metterà in possesso della tua ricchezza.
Puoi lasciare dietro di te una legge che mi impiccherà, ma quale uomo vedendo
di fronte a sé la morte per fame certa, ebbe mai paura dell'impiccagione” (cit.
in Williams 1961: 88).
Naturalmente in molti casi non si tratta della morte fisica,
che pure si verifica in maniera consistente (si pensi ai profughi che annegano
ogni giorno nel Mediterraneo), ma dell'annichilamento culturale e sociale di
ampi strati dei Paesi aggrediti e sottomessi, da cui arrivano i fuggitivi
sospinti da guerre, le cui origini e cause per la cultura massmediatica restano
misteriose come per il Belli i contenuti della fede cristiana a chi
ascolta la predica di un parroco pur volenteroso(G.G. Belli, Er
frutto de la predica).
Resta un ultimo motivo da affrontare e certo non di facile
interpretazione: quello della relazione tra religione e violenza/guerra, spesso
inteso in senso meccanico e automatico, ma che, invece, non sfugge ad
articolazioni e complessità. Possiamo cominciare col dire che certamente
l'aggressività rappresenta uno tratti costitutivi della psiche umana, e svolge
una funzione adattiva, nella misura in cui contribuisce a garantire la
sopravvivenza del singolo e della specie, anche se oggi gli psicoanalisti
ritengono che la pulsione aggressiva e quella sessuale non operino mai
separatamente. Dal momento che la caratteristica dell'essere umano è quella di
avere una “natura” che viene plasmata in maniera diversa dalla differenti forme
sociali e culturali, sarebbe semplicistico e riduttivo ritenere che fenomeni
grandiosi e tragici come i conflitti di vario genere e le guerre siano
attribuibili semplicemente allo scatenamento di questa pulsione originaria. In
una prospettiva che guardi alla relazione dialettica tra natura e cultura
sembrerebbe più opportuno analizzare approfonditamente tutto l'insieme delle
condizioni economiche, politiche, culturali, nelle quali si produce il fenomeno
distruttivo, certamente radicato in origine nella nostra istintualità, per
individuarne in maniera non riduttiva le cause e le motivazioni.
Non è questa la strada intrapresa dal noto studioso
cattolico René Girard che ha scritto varie opere sull'argomento, rifiutando –
correttamente, dal mio punto di vista – che la religione da sola possa essere
l'unica fonte della violenza, giacché quest'ultima precede il sorgere di questa
istituzione umana. Tuttavia, egli ritiene che la violenza scaturirebbe dal
desiderare quello che gli altri desiderano secondo un processo fondato
sull'emulazione, con lo scopo di conquistare la superiorità e la pienezza
dell'essere, scatenando così un conflitto che può vedere coinvolti due o più
individui [9]. Egli chiama tale prospettiva “teoria mimetica” e ritiene che
l'uscita dalla crisi, provocata dallo scontro dei desideri suscitati dallo
stesso oggetto, sarebbe stata individuata dagli uomini antichi nell'istituzione
del sacrificio del capro espiatorio, con il quale si designa e si uccide il
responsabile del disordine, ristabilendo l'ordine messo a rischio dal
conflitto.
Come si può capire, la teoria mimetica attribuisce alla
religione arcaica una funzione pacificatrice, anche se comporta l'inevitabile
uccisione di un innocente. Non ci soffermiamo sulla trasformazione della
relazione violenza/religione nell'epoca cristiana indagata da Girard, e
rimandiamo chi volesse approfondire il tema a La violenza e il sacro (Milano
1992); ci preme sottolineare soltanto che sembra alquanto riduttivo immaginare
che alla base di fenomeni sconvolgenti, quali le guerre che devastano
continenti interi e che non sembrano appartenere esclusivamente al nostro
passato, possano scaturire da un decontestualizzato scontro di desideri.
A nostro parere esse sono piuttosto il risultato di un
insieme aggrovigliato di fattori e del farsi sempre più stridente di
contraddizioni, che covano nel seno stesso della società, in particolare di
quella capitalistica avanzata, che nella sua crisi e nel suo declino sembra
voler mantenere in ogni modo l'egemonia e il predominio; obiettivo cui è spinta
dalla sua stessa logica predatoria. E ciò pur a costo di far esplodere un
conflitto epocale e apocalittico, come si può ricavare da quanto si scrive, ma
che non viene adeguatamente divulgato,sull'ammodernamento delle bombe termonucleari e sullo sviluppo
della guerra robotica e fondata sull'uso dei droni.
Naturalmente, se le guerre scaturiscono dall'interrelazione
tra fattori diversi, in tale incastro anche la religione, in particolare nel
sue forme fondamentaliste, può giocare un certo ruolo, che a mio parere si sviluppa
secondo due traiettorie diverse, che qui cercherò di indicare brevemente.
La prima è quella più nota e dibattuta e consiste
nell'utilizzazione del suo messaggio quale forma di legittimazione di una certa
forma di potere; sto facendo riferimento all'impiego della religione come instrumentum
regni, funzione che essa può esplicare con facilità, giacché proprio per la
sua prospettiva essenzialistica essa è in grado di dare un fondamento assoluto
e indiscutibile ad un certo assetto sociale, occultando che esso è il frutto di
un particolare dispiegarsi della storia. Secondo questa visione, per esempio,
l'espansione coloniale non è solo l'estendersi del dominio europeo, ma anche
l'allargamento della cristianità benvoluto e benedetto da Dio.
Quest'uso della religione è adottato dai ceti dirigenti,
caratterizzati talvolta dal cinismo e dalla miscredenza; del tutto diverso è,
invece, il modo in cui le masse dei fedeli recepiscono e vivono i contenuti
della loro fede, ma gli esiti possono essere ugualmente nefasti, in particolare
se dall'essenzialismo [10] si sfocia nel fondamentalismo che fa apparire il
proprio modo di essere l'unico degno dell'essere umano e a questi
confacente.
In tale contesti, dove scarsa è la diversificazione dei
gruppi sociali o dove un singolo gruppo si chiude in una posizione difensiva,
gli individui non hanno alcuna coscienza che è possibile vivere in un mondo in
cui si confrontano e si scontrano visioni del reale alternative e, intimoriti,
stigmatizzano la scelta ideologica diversa come abominio e devianza. Tale forma
mentis, ben radicata soprattutto in quei contesti sociali in cui le
contraddizioni ideologiche portano alla luce uno scontro per la vita o per la
morte dei gruppi in conflitto, costituisce un'ottima base per convogliare masse
inconsapevoli di individui verso nuove “crociate” a vantaggio di interessi a
loro estranei e sconosciuti.
Note
1. Dico “essenzialismo acritico” perché credo che un certo
grado di essenzialimo sia indispensabile in ogni forma di attività teoretica e
pratica, anche se tale impostazione, in quanto critica, non comporta mai il
rifiuto di discutere ciò che è considerato di volta in volta essenziale. Il
vantaggio di definire la religiosità come espressione dell'”essenzialismo
acritico” sta nel fatto che ci permette di ricondurre alcune sue funzioni alla
sua stessa struttura.
2. A mo' di esempio, possiamo menzionare le numerose
evitazioni alimentari prescritte nel Levitico, il cui rispetto garantisce al
fedele la conduzione di una vita pura in armonia con i voleri della divinità.
3. Ricordo che nella Roma antica era presente un tempio
dedicato al dio ignoto. Il dualismo meriterebbe un discorso a parte che qui non
posso sviluppare.
4. Si potrebbe far riferimento al fondamentalismo
neo-liberale, cristallizzato nel cosiddetto “pensiero unico”.
5. Alcuni di essi ritengono che solo con l'avvento del Messia
potrà costituirsi lo Stato di Israele; altri, invece, auspicano con forza un
ulteriore allargamento di quest'ultimo. In ogni caso, nella loro comunità,
fortemente ostile all'introduzione delle innovazioni moderne, centrale è lo
studio delle Sacre Scritture portato avanti dagli uomini, esclusi dal servizio
militare, e continua ad imperare la radicale divisione tra i due sessi sia
nelle scuole che sui mezzi di trasporto, recentemente messa in discussione
dalle donne.
6. Si tratta di racconti relativi alla vita del profeta
Maometto e raccolti nella Sunna.
7. Il jihad può esser inteso anche come una lotta interiore,
attraverso la quale l'individuo acquisisce un sempre maggior avvicinamento alla
divinità e al suo volere.
8. Si ricordi che alcuni Paesi, come la Danimarca, hanno
decretato il sequestro dei beni dei rifugiati.
9. Ci si potrebbe chiedere quale conflitto di desideri ha
determinato le guerre coloniali, dal momento che i popoli colonizzati non hanno
mai tentato di conquistare i beni e le risorse degli europei?
10. L'identificazione della religione con l'essenzialismo non
deve portarci alla conclusione che solo da questo atteggiamento scaturisca
l'ideologia intesa come sostegno intellettuale ad una certa struttura di
potere. Infatti, la società contemporanea è pervasa da tematiche ideologiche
antiessenzialistiche che mettono l'accento sull'identità plurale, sulla
fluidità della vita sociale, sull'impossibilità di coagulare le singolarità in
uno schema generale, le quali sono emanazioni del consumismo. Ma di questo
bisognerà parlare in altra occasione, per ora ci limitiamo a sottolineare che i
due atteggiamenti possono tranquillamente convivere in uno stesso individuo.
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