*Da:
http://www.gianfrancopala.tk/
(http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
Sono ormai tanti gli anni di liturgiche litanìe passati
intorno all’altare di Maastricht – tra vicissitudini varie, crisi reali
e bolle speculative, entrate e uscite dal serpentesco sistema monetario
europeo, e tante altre amenità che certo non dipendono dai protocolli di
Maastricht, i quali ne sono semmai solo un effetto. I cosiddetti “parametri di
convergenza”, scritti in tedesco dai rappresentanti del grande capitale
monopolistico finanziario a base europea, costituiscono il simulacro dietro
il quale si celano i governi nazionali. La realtà è tutta un’altra cosa. Tra
l’altro perché essa procede per suo conto, anticipando scadenze e slittamenti
convenuti in via istituzionale. Una delle cerimonie più seguite è quella della Uem,
riguardante l’unione monetaria europea, che ha come rito simbolico il segno
della “moneta unica”. Appunto quella moneta segno, come anche Marx
intese chiamarla, che convenzionalmente caratterizza la denominazione del denaro
che circola su un mercato nazionale. Proprio di questo si tratta, e quel
mercato nazionale è ora il mercato unico della “nazione” europea.
E come tale la questione va considerata.
Il passaggio da un mercato locale a un mercato nazionale è
un processo storico che ha i suoi tempi definiti dall’allargamento della
produzione e dell’accumulazione in quell’area. La storia della nascita e
dell’ascesa del capitalismo inglese costituisce un utile insegnamento. E così
quella del passaggio dal mercato nazionale inglese al mercato mondiale
dell’ottocento, per il movimento delle merci, prima, e dei capitali
britannici, poi. In un’epoca in cui, pure, era più immediato il riferimento al
tallone aureo (gold standard), l’affermazione della sterlina come moneta
rappresentativa del denaro universale sul mercato mondiale si basava
unicamente sulla capacità di dominio e accentramento unificante del capitale
inglese sulla via dell’imperialismo.
Così stanno le cose per l’euro oggi. [Occorrerebbe
rammentare le determinazioni di “denaro”, in quanto merce, valore, distinte da
quelle di “moneta”, segno e simbolo di una misura di valore predeterminata,
insieme alle forme di passaggio da moneta locale a moneta nazionale, ossia da
moneta “nazionale” a moneta europea. Ma è un’analisi più lunga da svolgere in
altro momento]. Se si considera l’Europa come una “nazione” il cui
mercato è in formazione, conseguentemente occorre analizzarne le componenti e
le forme dominanti. Dunque, serve valutarne le tendenze e i tempi di effettiva
integrazione. Tali tendenze e tempi non tengono in alcun conto le vicissitudini
dei compromessi politici e delle rappresentazioni ideologiche. Seguono
piuttosto le fasi della crisi, in maniera che gli slittamenti e i
ritardi del processo di formazione del mercato unico corrispondano alle
difficoltà della ripresa del ciclo di accumulazione del capitale. Nel frattempo
i rapporti reali della produzione si consolidano e fanno prevalere chi ha più
forza.
Nel processo di formazione del mercato unico europeo, si sa,
il posto preso dalla Germania è assolutamente dominante. Ciò vuol dire,
semplicemente, che i tempi e i modi di definizione della moneta unica europea
seguono, e non precedono, l’assestamento del mercato (dei capitali) europeo.
Questo mercato è determinato dal capitale a base tedesca. È per questo che la
moneta europea – che si chiamasse “Euro” o in qual altro modo, dopo che “Ecu”
era ormai squalificato – non può che seguire la storia del marco. E deve
seguirla secondo le fasi della crisi del mercato mondiale. Il corso dei
cambi è – parafrasando Marx – il barometro del movimento internazionale
delle valute pregiate. La stabilizzazione, più o meno lenta, del corso dei
cambi è solo la condizione, la premessa, per approdare a un’unica moneta
prevalente su un particolare mercato. Ma a sua volta tale stabilizzazione può
conseguire solo a un assestamento del processo di produzione e accumulazione
del capitale nell’area considerata. Questo è il quadro di riferimento generale
[cfr. Marx, Il capitale, III. V,33-35]. Per capire meglio quanto si
riferisce all’Italia è bene partire dall’ultimo atto di questa storia.
L’afflusso di valuta pregiata e il miglioramento del cambio
di una determinata moneta avviene prevalentemente in due momenti: in una prima
fase di riduzione del tasso di interesse, che segue a una fase acuta della
crisi e riflette la riduzione della produzione, la recessione (ed è quanto
avvenuto in Italia nel 1996). Poi, in una seconda fase, anche quando il
tasso di interesse aumenta, ma prima che esso abbia raggiunto il suo livello
medio, può continuare l’apprezzamento della moneta considerata (e si tratterà
di verificare ciò per l’Italia, nei prossimi anni, qualora l’oscillazione al
rialzo non sia semplicemente riassorbita nella moneta unica). Infine, una terza
fase corrispondente al crollo (guidato) dei tassi d’interesse ... La seconda
fase è quella in cui l’afflusso di valute pregiate è significativo, il credito
commerciale può allargarsi, e quindi la domanda di capitale da prestito,
produttivo d’interesse potrebbe non aumentare col ritmo al quale, invece,
sarebbe capace di ampliarsi la produzione, se la speculazione non si
conquistasse sempre maggiori spazi. Certo, le contraddizioni del ciclo di
produzione del plusvalore e accumulazione su scala mondiale sono tali
per cui non necessariamente il capitale monetario può trovare sbocchi
produttivi. In ambedue le fasi ormai compiute, in cui il capitale da prestito è
relativamente abbondante, infatti, l’afflusso eccedente di capitale che esiste
nelle forme monetarie pregiate, cioè sotto una forma in cui esso può operare in
un primo momento soltanto come capitale da prestito, deve avere un’influenza
notevole sul tasso di interesse (sono questi i segnali internazionali
richiamati in Bankitalia da Fazio).
Senonché il perdurante ristagno degli investimenti
produttivi può provocare l’effetto di un ritiro continuato di capitale – come
spiega Grossmann a proposito della critica all’imperialismo – in una
forma in cui esso esiste direttamente come capitale monetario da prestito, e
stornare codesto medesimo capitale verso attività speculative: la creazione dei
“fondi pensione”, con la riforma previdenziale targata Fmi, ha precisamente
questo obiettivo tampone, attraendo verso di essi anche i precedenti crediti
privati a lungo depositati nel debito pubblico. Se un simile processo di
aggiustamento reale riesce a riscuotere anche il successo monetario, il corso
dei cambi delle monete coinvolte si stabilizza e il barometro valutario
internazionale si ferma. La moneta unica, a questo punto, esisterebbe
già, indipendentemente dai protocolli istituzionali e dalla denominazione, e
sarebbe sostanzialmente determinata dalla valuta (o insieme di valute) più
forte: nel caso in esame, il marco tedesco, mascherato da Euro o da
“marco” italiano. Guardando indietro alla storia recente, allora, si capisce il
senso della “convergenza” verso i parametri dell’Uem. L’Italia, insieme
ad altri paesi, aveva visto (e, per favorire le proprie esportazioni, anche
agevolato) la svalutazione della propria moneta nazionale. Un tale deflusso
valutario era il segno che i mercati erano saturi, e che l’apparente prosperità
(se così “appare”, come presso i neomonetaristi reaganiani) veniva mantenuta
soltanto mediante il credito, la centralizzazione finanziaria e la speculazione.
Quando l’esportazione e il deflusso di valuta pregiata
(investimenti all’estero, prestiti internazionali, manovre speculative, ecc.)
assume una dimensione significativa e si prolunga nel tempo, le riserve
bancarie sono intaccate e il mercato monetario – per prima la banca centrale –
prende immediate misure di difesa. Queste consistono essenzialmente in una
stretta monetaria e creditizia (a barriera dell’inflazione crescente) e in un
aumento del tasso di interesse. Quest’ultima è una conseguenza ovvia della
pesantezza del mercato monetario, nelle circostanze in cui la domanda di capitale
da prestito e speculativo nella forma monetaria superi notevolmente l’offerta.
Il tasso ufficiale di sconto (tus) fissato dalla banca centrale non è
una misura arbitraria o una “scelta” di politica economica (come anche numerosi
economisti illuminati suppongono), ma corrisponde alla situazione di fatto e
si impone sul mercato. La banca centrale, mediante operazioni di “mercato aperto”,
rende il “denaro scarso”, come si usa dire, creando così una situazione che
giustifichi un aumento del tasso di interesse. Senonché questa manovra di anno
in anno le diventa più difficile, poiché il corso dei cambi viene influenzato
dal rapporto tra i tassi di interesse in vigore in quei paesi del cui
corso dei cambi si fa questione. L’aumento del tasso di interesse, aumentandone
il “differenziale” con altri paesi, invece di limitare l’attività creditizia, e
con essa l’indebitamento, l’allarga e porta a impegnare all’eccesso tutte le
risorse monetarie, approfondendo la crisi e causando i periodici e improvvisi crolli
borsistici. Inoltre, se subentra il timore generale che questa tendenza si
sviluppi crescendo, gli speculatori in primo luogo formulano delle aspettative
in base alle quali cercano di “scontare il futuro” (i future, li
chiamano gli anglosassoni d’oggi) per avere a propria disposizione in quel
“futuro” la maggior quantità possibile di titoli di credito, primari o
derivati.
La pura e semplice quantità delle valute pregiate e dei
titoli in esse denominati, sia importate che esportate, non agisce però come
tale, ma agisce in primo luogo attraverso il loro carattere specifico come
capitale sotto forma monetaria, e in secondo luogo – prosegue Marx – “come la
piuma che, aggiunta al peso della bilancia oscillante, è capace di farla
traboccare da una parte”: agisce, perché sopravviene in circostanze in cui
qualsiasi cosa in più da questa o quella parte è decisiva. Già i banchieri del
secolo scorso sapevano che “tutte le oscillazioni degli affari sono vantaggiose
per coloro che conoscono il mestiere”; senza parlare – aggiunge Marx – dei
profitti privati che cadono di per se stessi in grembo ai signori direttori in
seguito alle eccezionali possibilità che essi hanno di conoscere la situazione
generale degli affari (oggi si chiama insider trading, o più volgarmente
aggiotaggio). Altri “rispettabili banditi” dicevano già allora che la politica
monetaria fatta attraverso il corso dei cambi, in tempi di crisi, provoca “un
enorme aumento del tasso di interesse. Le spese derivanti dalla
ristabilizzazione del corso dei cambi cadono sull’industria produttiva del
paese”: Inghilterra 1844 o Italia 1996?
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