sabato 26 marzo 2016

Migranti e keynesismo militare* - Guglielmo Carchedi

*Da:    http://www.sinistrainrete.info/

I. Nella discussione attuale sugli immigrati si fa una distinzione tra migranti economici e rifugiati politici. Solo i rifugiati politici dovrebbero essere accolti per ragioni umanitarie. I migranti economici dovrebbero essere messi in prigione (come proposto dal partito razzista olandese) o accolti a fucilate (come proposto dal partito razzista tedesco). La distinzione tra rifugiati politici ed economici è falsa, ipocrita e cinica. Se le guerre creano povertà, i rifugiati politici sono anche migranti economici. E se i migranti economici scappano dalla disoccupazione e dalla povertà creata dalle guerre, i migranti economici sono anche rifugiati politici. Tutti devono essere accolti per ragioni umanitarie.
Gli xenofobi e razzisti nostrani se ne fregano delle ragioni umanitarie. Per loro i migranti economici dovrebbero essere respinti perché essi ruberebbero il lavoro agli Italiani. Falso. L'Italia è un paese a forte decrescita. La presenza degli immigrati è tale che se improvvisamente domani partissero, il paese andrebbe a rotoli. Senza gli immigrati, interi settori fallirebbero e molti italiani perderebbero il loro lavoro.
Ma, proseguono i beceri difensori del patrio suolo, se non ci fossero stati gli immigrati, quei lavori sarebbero andati ai lavoratori Italiani. Questo è il tipico esempio in cui si dà la colpa alla vittima. La questione è: chi ruba il lavoro agli Italiani? Non certo gli immigrati. Sono certi imprenditori che, approfittandosi della debolezza contrattuale degli immigrati, possono assumerli illegalmente o comunque a salari inferiori a quelli che dovrebbero pagare ai lavoratori Italiani. Gli immigrati sono le vittime, non i colpevoli. I colpevoli della disoccupazione degli Italiani sono quegli imprenditori Italiani che assumono immigrati invece di Italiani. Sono gli imprenditori che rubano il lavoro agli Italiani per darlo agli immigrati, non sono gli immigrati che rubano lavoro ai lavoratori italiani. E sono gli imprenditori che rubano una parte del salario agli immigrati pagandoli salari inferiori se non infimi.

II. Queste e altre menzogne sono facilmente contestabili. Più difficile da confutare è un'altra menzogna, tanto subdola quanto insidiosa. Essa riguarda il Keynesismo militare e cioè i supposti effetti benefici, sia per il capitale che per il lavoro, delle spese militari indotte dallo stato e del loro effetto a cascata in tutta l'economia. Questo effetto a cascata è chiamato il moltiplicatore keynesiano. Quando applicato alle spese militari esso serve a razionalizzare le guerre (sul suolo altrui, ovviamente). È quindi necessario esaminare la logica della teoria del Keynesismo militare e rivelarne sia gli errori concettuali che il contenuto di classe.
È chiaro che è il capitale che ha generato l'attuale ondata migratoria creando e fomentando le guerre che sono alla sua origine. Le guerre fomentate dai paesi imperialisti richiedono armi che i suddetti paesi sono ben lieti di produrre e esportare. 

Vediamo prima di tutto chi sono i Paesi esportatori e importatori di armi.
Tabella 1
Esportatori percentuale globale (2014)
Importatori percentuale globale (2014)
1. USA 31
1. India 15
2. Russia 27
Saudi Arabia 5
3. China 5
3. China 5
4. Germany 5
4.UAE 4
5. France 5
5. Pakistan 4
6.UK4
6. Australia 4
7.Spain 3
7.Turkey 3
8. Italy 3
8. USA 3
9. Ukraine 3
9. South Korea 3
10Israe2
10. Singapore 3

Vediamo poi chi ne trae veramente vantaggio.
Tabella 2

Vendita di armi ($M) (2014)
Profitti ($m) (2014)
Lockheed Martin
35490
2981
Boeing
30700
4585
BAE Systems (UK)
26 820
275
Raytheon
21950
2013
Northrop Grumman
20 200
1952
General Dynamics
18660
2357
EADS (trans-Europe)
15740
1959
United Technologies
11900
5721
Finmeccanica (Italy)
10560
98
Thales (France)
10370
761

L'industria bellica arricchisce le grandi multinazionali produttrici di armi. Dei 10 maggiori produttori, ben 6 sono statunitensi. Ma, replicano gli economisti di regime, quello che fa bene all'industria bellica fa bene a tutta l'economia. E se le conseguenze sono la morte e distruzione nei paesi importatori e massicce ondate migratorie, possiamo esserne spiacenti ma così stanno le cose. Noi, insistono, non siamo responsabili dell'uso che i paesi importatori ne fanno.
Chiudiamo gli occhi sul loro ripugnante cinismo e vediamo di che pasta è fatta la loro teoria.

I. La produzione di armi non fa crescere l’economia

Consideriamo per esempio la produzione di armi della Finmeccanica e la loro esportazione per circa 10 miliardi e mezzo di dollari (si veda la tabella 2 più sopra). La Finmeccanica ha prodotto un valore di 10,5 miliardi di dollari il cui valore d'uso è di distruggere valore, non di crearlo. Questo è pacifico. Ma consideriamo le armi quando il loro valore d'uso è sospeso, quando non sono usate. Le armi contengono valore perché merci prodotte dal lavoro per il capitale. Ma dal punto di vista della riproduzione dell'economia, della creazione di valore, esse sono inutili perché non sono né beni di consumo né beni d'investimento. Esse non sono beni riproduttivi. Ma si badi bene, essi contengono valore, anche se sono beni non riproduttivi. Il lavoro che le produce è produttivo.
Supponiamo che il paese importatore sia la Corea del Sud e cioè lo stato sudcoreano. Lo stato sudcoreano paga alla Finmeccanica 10 miliardi e mezzo di dollari per merci che, nella misura in cui non sono usate, sono inutili per la creazione di valore.
La Finmeccanica ha sprecato lavoro, ha prodotto merci inutili, ma lo spreco si riversa sullo stato sudcoreano. Lo stato sudcoreano butta via dieci miliardi e mezzo di dollari per comprare quelle armi. Nella misura in cui quei dollari sono stati sottratti ai lavoratori attraverso per esempio la tassazione, beni per 10,5 miliardi sono stati sottratti ai lavoratori Sudcoreani.
Supponiamo che con quei 10 miliardi e mezzo di dollari la Finmeccanica acquisti beni civili Sudcoreani. Sia il valore che il valore d'uso prodotto dai lavoratori coreani è realizzato dalla Finmeccanica in Italia.
In breve, la Finmeccanica spreca il lavoro dei lavoratori Italiani, quello spreco si riversa sullo stato coreano che acquista beni inutili (armi) perché non-riproduttivi. Lo stato Sudcoreano paga la Finmeccanica la quale compra beni civili Sudcoreani e realizza in Italia il valore e il valore d'uso prodotto dai lavoratori Sudcoreani. La Finmeccanica realizza il plusvalore prodotto nella Corea del Sud e quindi aumenta i suoi profitti.
Tuttavia, quello che vale per un'impresa non vale necessariamente per l'economia nazionale. Per l'economia Italiana quel lavoro è stato impiegato per la produzione di merci inutili e quindi quel valore è stato sprecato. Il valore sprecato in Italia si pareggia con quello appropriato in Italia dalla Corea del Sud. È quindi errato sostenere, come fanno molti economisti, che l’economia Italiana cresca grazie alle spese militari. L'economia Italiana è statica perché il valore che realizza è l'altra faccia della medaglia di uno spreco di valore.

II. Lo scambio diseguale a favore dei produttori di armi

Ma c'è anche un altro vantaggio per la Finmeccanica e specularmente un altro svantaggio per la Corea del Sud.
Supponiamo che la Finmeccanica investa 80 milioni di dollari in beni di produzione e che impieghi lavoratori per 20 milioni di dollari. Se il tasso di plusvalore è del 100%, cioè se il plusvalore è 20 milioni, il valore delle armi prodotte dalla Finmeccanica è di 80+20+20 = 120 milioni di dollari.
Supponiamo che anche i produttori di merci civili Sudcoreani investano 80 milioni in mezzi di produzione ma che impieghino lavoratori per 40 milioni di dollari. Questa ipotesi è verosimile perché la produzione di armi richiede percentualmente molti più mezzi di produzione che lavoratori. Un'indicazione che questo è il caso si ha da uno studio del 2010 che evidenzia che negli Stati Uniti per ogni miliardo di dollari spesi, 17,000 mila posti lavoro sono creati nell'energia pulita, 20,000 nella sanità, 29,000 nel sistema scolastico ma solo 11,600 come conseguenza delle spese militari. (Is Military Keynesianism the Solution? Heidi Garrett-Peltier, March 2010, http://www.peri.umass.edu/536/). Dati sul rapporto tra il lavoro e il capitale investito nei settori civili sudcoreani confermerebbero senza dubbio che percentualmente più lavoratori sono impiegati per unità di capitale investito in tali settori che dalle grandi multinazionali produttrici di armi.
Se anche nei settori che producono beni civili nella Corea del Sud il tasso di plusvalore è del 100%, cioè 40 milioni, il valore delle merci sudcoreane è di 140 milioni di dollari.
Il prezzo a cui si scambiano le merci italiane e quelle sudcoreane è determinato dalla domanda e dall'offerta. Questa oscilla attorno al prezzo a cui i due tassi di profitto si egualizzano. Il tasso di profitto della Finmeccanica è 20/100 = 20%, quello delle merci sudcoreane è di 40/100 = 40%. Il tasso di profitto egualizzato è quindi 30%. Le armi italiane e le merci sudcoreane si scambiano quindi tendenzialmente a un prezzo di 130 milioni. I produttori sudcoreani quindi perdono 10 milioni e la Finmeccanica guadagna 10 milioni. Questo è lo scambio diseguale inerente nella formazione dei prezzi. Le oscillazioni dei prezzi dovuti a oscillazioni della domanda e dell'offerta possono solo modificare questo prezzo.
Per di più, il lavoro genera più valore nella misura in cui è più sfruttato, e cioè deve lavorare più a lungo e più intensamente. E il tasso di sfruttamento nella Corea del Sud ha livelli ben più alti che in Italia. Ciò aumenta il plusvalore estratto dai lavoratori sudcoreani e quindi l'appropriazione da parte della Finmeccanica.

III. La produzione indotta dagli investimenti statali e il moltiplicatore Keynesiano

Che la produzione e vendita di armi sia moralmente aborrente, specialmente se si vendono a regimi totalitari e sanguinari, sfugge all'occhio dell'economista di regime. Egli basa la sua teoria sul cosiddetto moltiplicatore Keynesiano.
La sua storia incomincia con lo stato che commissiona a imprese private la produzione di beni militari (armi, infrastrutture militari, ecc.). Tali investimenti, come suggerito da Keynes, devono essere finanziati dal debito pubblico piuttosto che da prelievi fiscali.
Il  moltiplicatore Keynesiano 
1. Stato Italiano commissiona armi alla Finmeccanica
2. La Finmeccanica investe in mezzi di produzione (commissiona apparecchiature elettroniche) e in forza lavoro
3.I produttori di apparecchiature elettroniche investono in mezzi di produzione (commissionano cavi elettrici) e in forza lavoro, ecc.
Ad ogni passo, aumentano gli investimenti e quindi i profitti e quindi le vendite di beni di produzione. Ma aumenta anche l'occupazione e quindi i salari e quindi le vendite di beni di consumo. Queste politiche avvantaggiano sia il capitale che i lavoro. Vi è quindi unacomunione di interessi tra capitale e lavoro. Per di più, sostiene l'economista keynesiano, se alla fine della catena l'economia è migliorata, gli introiti statali sono aumentati e i debiti contratti dallo stato per finanziare gli investimenti iniziali possono essere ripagati. Questo è in essenza il moltiplicatore Keynesiano. Vale sia per le spese militari che per quelle civili. Peccato che non funzioni.
Un esempio per tutti. Gli Stati Uniti sono di gran lunga i maggiori produttori di armi fin dalla fine della seconda Guerra Mondiale. Attualmente, la spesa militare reale degli Stati Uniti è di circa 900 miliardi di dollari annui, circa la metà di quella mondiale. Quali sono stati gli effetti sulla economia statunitense, cioè sul tasso di profitto? Questi




Il tasso di profitto è diminuito da circa il 12% dopo la fine della guerra a circa il 6% nel 2010 nonostante le spese militari.






IV. Il moltiplicatore Marxista.

Perché il moltiplicatore keynesiano non funziona? La ragione è che ignora che il motore dell'economia capitalista non sono gli investimenti e l'occupazione ma la profittabilità, il tasso di profitto, il profitto fatto su un certo investimento. Investimenti e occupazione sono conseguenze dell'andamento del tasso di profitto. In linea di principio capitalisti aumentano gli investimenti se il loro tasso di profitto cresce, ma nulla dice che gli effetti dei maggiori investimenti sul tasso di profitto siano positivi.
Quanto accade veramente in seguito agli investimenti indotti dallo stato è dimostrato da quello che io chiamo il moltiplicatore Marxista.
Il  moltiplicatore Marxista. 

Generalizzando, ai primi investimenti finanziati dallo stato, segue una catena d'investimenti per cui ogni capitalista commissiona beni d'investimento ad altri capitalisti. Il punto è che in genere le commissioni vanno ai capitalisti più efficienti perché essi producono più merci per unità di capitale investito, e cioè merci con un valore unitario più basso di quello dei concorrenti. Ma i produttori più efficienti sono anche coloro che rimpiazzano lavoratori con mezzi di produzione. Siccome si può dimostrare che solo il lavoro crea valore e plusvalore (si veda la nota 1), quegli investimenti generano meno valore e plusvalore per unità di capitale investito.
I produttori A1, B1, ecc. investono relativamente più in mezzi di produzione e meno in lavoro. Il loro tasso di profitto che essi generano è cade e quindi il tasso medio di profitto cade perché sempre più è investito in mezzi di produzione relativamente agli investimenti in forza lavoro. Tuttavia, il tasso di profitto che essi realizzano aumenta. Infatti, all'interno di un dato settore, dato che i prezzi delle merci più o meno simili tendono ad equalizzarsi, il maggior output dei produttori più efficienti è venduto ad altri settori allo stesso prezzo unitario del minor output dei produttori meno efficienti. I primi realizzano un tasso di profitto maggiore, però a scapito del tasso di profitto dei secondi. Il tasso di profitto dei primi sale ma quello dei secondi cala assieme al tasso medio di profitto. La caduta del tasso medio di profitto (come nel grafico 1 più sopra) cela un aumento del tasso di profitto dei produttori più efficienti e una maggiore caduta del tasso di profitto di quelli meno efficienti. Tendenzialmente, i produttori A2, B2 ecc. sono destinati a fallire.
II moltiplicatore Keynesiano nella sua forma più semplice come qui sopra ignora l'esistenza di merci invendute. Ma ciò è inverosimile soprattutto in periodi discendenti del ciclo economico. E quindi possibile che gli investimenti indotti dallo stato e il loro effetto a cascata abbiano come effetto iniziale quello di ridurre le riserve di merci invendute. In quel caso, l'aumento di profittabilità rispecchia una diminuzione delle perdite dovute alle mancate vendite, piuttosto che un incremento dei profitti per unità di capitale investito. La maggiore profittabilità ha quindi al massimo un effetto temporaneo e non seve a rilanciare l'economia. A fronte della caduta della profittabilità media, gli investimenti finanziati dallo stato sono solo una prima, passeggera misura di controtendenza.
Se le politiche keynesiane ravvivano l'economia solo per un corto periodo, i debiti contratti inizialmente dallo stato per finanziare tali politiche non possono essere ripagati perché le politiche, dopo un possibile miglioramento iniziale, deteriorano la profittabilità dell'economia. Il keynesismo, sia civile che militare, è inefficace contro la tendenza negativa del tasso di profitto. Ma il keynesismo militare oltre a sottrarre risorse agli usi civili, fomenta guerre e causa immense sofferenze.

V. La razionalità del Keynesismo militare e i flussi migratori
La “razionalità” delle spese militari non è economica, ma imperialista. Il grafico qui sotto lo conferma per i quattro momenti più significativi del dopoguerra statunitense (http://dailysignal.com/2015/02/14/history-defense-spending-one-chart/)
Grafico 2. 

Per inciso, le spese militari USA aumentano in valori assoluti ma diminuiscono come percentuale del PIL. Gli USA hanno sempre maggiori difficoltà a finanziare le proprie politiche imperialiste a causa della caduta della loro profittabilità media.
Ciò dimostra quanto sia ingenuo chiedersi: se le guerre sono combattute con armi prodotte dalle grandi multinazionali e se il Keynesismo militare non ravviva l'economia, perché non impedire tale produzione? Perché non riconvertire la produzione militare in produzione civile? La risposta è che la produzione di armi, anche se teoricamente potrebbe essere sostituita dalla produzione di beni civili, è necessaria per l'imperialismo. I tentacoli economici e ideologici dei produttori di armi si estendono fino alle università e emergono come teorie apparentemente senza un contenuto di classe. Come visto più sopra, nella teoria Keynesiana, gli investimenti indotti dallo stato vanno a vantaggio sia del capitale che del lavoro. Questa concezione, oltre a essere sbagliata, è una teorizzazione della collaborazione di classe. Ma in effetti, la caduta del tasso medio di profitto causata da tali investimenti provoca inevitabilmente crisi ricorrenti, politiche di austerità, guerre, ecc. i cui effetti ricadono                 principalmente sul lavoro.

Se questo sistema, compreso il Keynesismo militare, è la causa delle sofferenze degli immigrati, è nostro dovere non solo di accoglierli a braccia aperte ma anche di costruire assieme a loro le condizioni affinché essi siano compagni di lotta sia qui in Italia che nel loro paese d'origine contro un nemico comune, il capitalismo e l'imperialismo. 
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Note

1 Per il calcolo del tasso medio di profitto, si veda Carchedi, The Law of Crisis, in Carchedi e Roberts,The World in Crisis, Zero Books, di prossima pubblicazione. 

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