lunedì 11 marzo 2019

I concetti fondamentali della filosofia di Hegel (ultima parte) - Renato Caputo

     "          "     :  Dialettica*- Eric Weil** 






Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su concetti analoghi. 



Per favorire la comprensione dei diversi momenti della concezione di Hegel del processo conoscitivo ci serviamo del noto schema triadico di tesi, antitesi e sintesi

1. La tesi: l’intelletto astraendole dalla realtà nella sua verità, ovvero nella sua totalità, pone le differenze interne al reale l’una al di fuori dell’altra, mirando a conoscerle analiticamente una alla volta. Così coglie della realtà in generale, ma anche di ogni cosa in particolare unicamente un singolo aspetto, una singola determinazione e la fissa per definire i diversi aspetti della realtà o dell’oggetto che analizza, in modo analitico, a uno a uno, non riuscendo ancora ad avere una visione d’insieme. Questo, per quanto limitato, è il primo momento necessario di ogni conoscenza, in cui fissiamo di ogni ente quella che ci pare essere la sua caratteristica fondamentale. Per cui, ad esempio, definiamo Napoleone un grande condottiero, o definiamo il condannato a morte un criminale. In tal modo, esprimiamo il nostro modo di giudicare la realtà e, perciò, questo primo momento è definibile come la tesi posta dal nostro intelletto. 

2. L’antitesi: D’altra parte, a un’analisi appena un po’ più attenta non possiamo non cogliere l’unilateralità della nostra tesi, della determinazione fissata come assoluta dall’intelletto, che ha preteso di comprendere un aspetto della realtà senza tener presente la funzione che svolge nel tutto e i rapporti in cui è con gli altri aspetti, egualmente non trascurabili, del reale. Inoltre fissando una cosa e ancor più una persona a una sua caratteristica, per quanto essa ci possa apparire essenziale, non possiamo che averne una conoscenza parziale e unilaterale che non gli rende giustizia. Perciò, nessuno di noi ama essere giudicato, nel senso di essere fissato e definito sulla base di una singola determinazione, per quanto importante, dell’intelletto. Da questo punto di vista, diviene necessario il secondo momento del processo conoscitivo, il momento propriamente dialettico, in cui interviene la ragione che, consapevole che il vero è l’intero, non può che negare la verità del singolo aspetto che l’intelletto ha astratto dalla totalità di cui è e resta parte. Si tratta, dunque, della funzione negativa della ragione nei confronti delle astrazioni poste per sé dell’intelletto. 

Più nello specifico la ragione negativa, per rimettere in movimento i singoli aspetti fissati dall’intelletto, mostra il legame di ogni caratteristica universalizzata dall’intelletto nella relazione che la lega necessariamente con la determinazione opposta. In tal modo, la ragione dialettica nega la pretesa dell’intelletto di poter determinare un opposto indipendentemente dall’altro. Come se si potesse definire il bene indipendentemente dal male, o il grande dal piccolo, il bello dal brutto o il reale dal razionale. Al contrario, come sappiamo, il reale è razionale e il razionale necessariamente reale. Per tornare agli esempio posti nella tesi, la ragione negativa mostrerà come Napoleone oltre a esser stato un grande condottiero, è al contempo altrettanto indubitabilmente stato un grande criminale, visto che ha sacrificato centinaia di migliaia di uomini al suo sogno distopico di reimporre un impero universale allo spirito nazionale che, proprio con le sue imprese belliche, risvegliava nei popoli, esportando le grandi conquiste storiche della Rivoluzione francese. Dunque, all’intelletto che ad esempio fissa Napoleone al ruolo progressista di liberatore, di esportatore in tutta Europa delle conquiste della Rivoluzione francese, che costituiscono i fondamenti della società moderna, la ragione negativa mostra che lo stesso Bonaparte è stato un conquistatore e un tiranno, che ha preteso di imporre a tutta l’Europa la propria antistorica e irrazionale volontà di potenza. Allo stesso modo, per quanto riguarda il condannato a morte che l’intelletto aveva fissato nella sua determinazione di criminale, la ragione dialettica lo riabilita vedendo in lui, al contrario, un eroe che è arrivato persino a uccidere, pur di contribuire all’affermazione di una giusta causa. 

3. La sintesi: Il terzo momento, proprio della ragione nella sua funzione positiva, ricomprende in sé tanto la posizione dei differenti aspetti della realtà da parte dell’intelletto, quanto la loro negazione e riunificazione a opera della ragione negativa. La sintesi ha, dunque, un valore positivo in quanto rappresenta la negazione della negazione, ovvero la negazione dell’antitesi che, a sua volta, negava la tesi. In tal modo, dalle singole determinazioni astratte dall’intelletto, mediante il secondo momento della dialettica propria della ragione negativa – in quanto nega il porsi per sé dei differenti momenti del reale – si giunge al concreto positivo della ragione, che ricomprende il vero come intero che si articola nelle sue differenti parti. La sintesi ha sempre un valore positivo proprio in quanto è negazione della negazione del secondo momento che, a sua volta, negava il primo, secondo il movimento del superamento dialettico(Aufhebung) che supera conservando e ricomprendendo in sé i due momenti precedenti. Ogni sintesi diviene in seguito una nuova tesi che provoca a sua volta una rinnovata antitesi dialettica e, dunque, una nuova sintesi come superamento dialettico e così via.

Tornando ai nostri esempi, la sintesi ci permetterà finalmente di comprendere Napoleone nella sua complessità e ricchezza di determinazioni anche opposte, in quanto è stato al contempo liberatore dell’Europa dai residui feudali e oppressore delle stesse nazionalità che aveva risvegliato e che sorgeranno contro di lui spazzandolo via dal ruolo di primo piano che aveva svolto nella storia universale. Allo stesso modo il condannato a morte pur essendo sotto un certo aspetto un criminale, che ha violato gravemente la legge commettendo un delitto e si è arrogato il diritto di uccidere altri uomini, al contempo ha agito per una causa giusta, il cui fine giustifica anche i mezzi più deplorevoli (dal punto di vista giuridico e morale) necessari alla sua realizzazione. Entrambe queste sintesi non possono limitarsi a ricomprendere in sé ambedue i momenti opposti della tesi e dell’antitesi, ma dovranno, infine, indicare comunque qual è l’aspetto preminente. Quindi, tornando all’esempio di Napoleone, possiamo dire che la sua vana gloria, la sua distopia anacronistica imperiale, per quanto abbiano provocate tante inutili stragi, hanno un peso minore rispetto al ruolo storico che ha, comunque, svolto in quanto indispensabile tramite della diffusione in tutta Europa di aspetti determinanti del mondo moderno, sorti per la prima volta nel suo paese con la Rivoluzione francese. In tal modo, la sintesi è di nuovo divenuta una tesi, che non può che richiamare il proprio opposto, ovvero una nuova antitesi, che sottolineerà come Napoleone, una volta realizzato in modo essenzialmente inconsapevole la propria essenziale funzione storica, è stato in un batti baleno spazzato via dalla storia universale, per la sua folle e sanguinosa pretesa di restaurare l’universalismo antico e medievale dell’Impero. Per cui siamo di nuovo a un livello superiore di antitesi, sulla base della quale possiamo asserire che Napoleone è stato inconsapevolmente un personaggio storico-universaleconsapevolmente un uomo dominato da un’assurda e irrazionale volontà di potenza.

La dialettica quale metodo fondamentale della filosofia (hegeliana)
Il concetto di dialettica, nel senso stretto del termine, è utilizzato da Hegel per indicare il secondo momento, quello caratterizzato dalla funzione negativa della ragione che pone l’antitesi alle tesi dell’intelletto. Nel senso più ampio del termine, dialettico è l’intero processo conoscitivo che corrisponde al processo di sviluppo storico del reale. La dialettica, intesa come secondo momento di tale processo, rappresenta il movimento che fluidifica i differenti finitifissati per sé dall’intelletto, come se avessero in sé la propria ragione di essere e non nella relazione con tutti gli altri momenti dell’assoluto, cui li riconnette la ragione negativa. Ponendo, come fa l’intelletto, il finito si pone al contempo ciò a cui si oppone, in quanto come già sottolineava Baruch Spinoza omnis determinatio est negatio, ovvero proprio quell’infinito da cui, del resto, l’intelletto ha astratto i singoli aspetti che ha posto per sé. Il finito diviene comprensibile, in quanto parte della realtà, in riferimento alla rete di relazioni che lo lega agli altri esseri determinati, agli altri aspetti del reale, il cui complesso è la realtà ovvero l’infinito o l’assoluto, da absolutus che significa appunto ciò che è privo di legami con l’altro, che non dipende da altro, ma è causa sui e in sé e per sé. In tal modo, i singoli aspetti finitideterminati dall’intelletto divengono, grazie alla funzione fluidificante della dialettica, momenti dell’infinito di cui sono necessariamente parte costitutiva. Perciò Hegel sostiene che il finito toglie se stesso nell’infinito, proprio in quanto non ha in sé la propria ragione di essere, ma nell’altro da sé, nel suo contrario.

La dialettica di Hegel è naturalmente e necessariamente aperta allo sviluppo storico e alle interpretazioni potenzialmente infinite
Al contrario di quanto sostengono la maggior parte dei critici della filosofia di Hegel, che nella maggioranza dei casi hanno equivocato il pensiero hegeliano, la dialettica è necessariamente aperta, in quanto la filosofia di cui costituisce il fondamentale metodo è per Hegel la comprensione della propria epoca storica attraverso il pensiero, il concetto. Dunque, mutata l’epoca muta di conseguenza inevitabilmente anche il pensiero che si sforza di ricomprenderla concettualmente. Tanto più che le stesse interpretazione di un medesimo momento storico sono potenzialmente infinite e, perciò, nessuna potrà avere l’assurda pretesa di essere l’interpretazione definitiva, come se un singolo individuo potesse avere in sé la verità in quanto tale. Certo per Hegel la verità deve essere espressa nella sua forma più adeguata, ovvero in modo sistematico, per dar conto fino in fondo della complessità e delle molteplici sfaccettature del reale. Di conseguenza il sistema deve altrettanto necessariamente mirare a raggiungere la sua conclusione. Il che, naturalmente, è solo la conclusione cui poteva giungere un singolo – per quanto si tratti nel caso specifico di un eccezionale pensatore – nella ricomprensione sistematica e concettuale della sua determinata epoca storica. Evidentemente, dunque, la sua è comunque e necessariamente un’interpretazione parzialestoricamente determinata e partigiana, quindi non può certo pretendere di essere l’interpretazione definitiva. Almeno di giungere all’equivoco ancora più grossolano di chi ha voluto intendere che con il sistema hegeliano e la sua epoca storica fosse giunta a compimento la stessa storia universale il che, evidentemente, è solo uno sproposito ideologico, funzionale a chi intende naturalizzare il moderno mondo borghese.
Accusa che sarebbe assurdo rivolgere a un pensatore come Hegel che pur rimanendo sempre un progressista e un nemico acerrimo della reazione, non ha certo lesinato le critiche tanto al liberalismo, quanto alla stessa democrazia moderna e al suo modo di produzione, a proposti del quale sosteneva che le sue intrinseche contraddizioni al proprio interno sono, in fin dei conti, procrastinabili, ma non superabili, risolvibili.


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