Da: https://www.lacittafutura.it - Approfondimenti
teorici (Unigramsci) - Renato
Caputo insegna
storia e filosofia.
Leggi anche: “Chi
pensa astrattamente?” - G. W. F. Hegel
" " : Dialettica*-
Eric Weil**
Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su concetti analoghi.
Per favorire la comprensione dei diversi momenti della concezione di Hegel del processo conoscitivo ci serviamo del noto schema triadico di tesi, antitesi e sintesi
1. La
tesi:
l’intelletto astraendole dalla
realtà nella sua verità, ovvero nella sua totalità,
pone le differenze interne al reale l’una
al di fuori dell’altra, mirando a conoscerle analiticamente una
alla volta. Così coglie della realtà in generale, ma anche di ogni
cosa in particolare unicamente un singolo aspetto, una
singola determinazione e
la fissa per
definire i diversi aspetti della realtà o dell’oggetto che
analizza, in modo analitico, a uno a uno, non riuscendo ancora ad
avere una visione d’insieme. Questo, per quanto limitato, è il
primo momento necessario di ogni conoscenza, in cui fissiamo di ogni
ente quella che ci pare essere la sua caratteristica
fondamentale.
Per cui, ad esempio, definiamo Napoleone un grande condottiero, o
definiamo il condannato a morte un criminale. In tal modo, esprimiamo
il nostro modo di giudicare la realtà e, perciò, questo primo
momento è definibile come la tesi posta
dal nostro intelletto.
2. L’antitesi:
D’altra parte, a un’analisi appena un po’ più attenta non
possiamo non cogliere l’unilateralità della
nostra tesi, della determinazione fissata come assoluta
dall’intelletto, che ha preteso di comprendere un aspetto della
realtà senza tener presente la funzione che svolge nel tutto e
i rapporti in
cui è con gli altri aspetti, egualmente non trascurabili, del reale.
Inoltre fissando una cosa e ancor più una persona a una sua
caratteristica, per quanto essa ci possa apparire essenziale,
non possiamo che averne una conoscenza parziale e unilaterale che non
gli rende giustizia. Perciò, nessuno di noi ama essere giudicato,
nel senso di essere fissato e definito sulla base di una singola
determinazione, per quanto importante, dell’intelletto. Da questo
punto di vista, diviene necessario il secondo
momento del processo conoscitivo,
il momento propriamente dialettico,
in cui interviene la ragione che,
consapevole che il
vero è l’intero,
non può che negare la verità del singolo aspetto che l’intelletto
ha astratto dalla totalità di cui è e resta parte. Si tratta,
dunque, della funzione negativa della
ragione nei confronti delle astrazioni poste per sé dell’intelletto.
Più
nello specifico la ragione negativa, per rimettere
in movimento i
singoli aspetti fissati dall’intelletto, mostra il legame di ogni
caratteristica universalizzata dall’intelletto nella relazione
che la lega necessariamente con la determinazione
opposta.
In tal modo, la ragione dialettica nega la pretesa dell’intelletto
di poter determinare un opposto indipendentemente dall’altro. Come
se si potesse definire il bene indipendentemente dal male, o il
grande dal piccolo, il bello dal brutto o il reale dal razionale. Al
contrario, come sappiamo, il
reale è razionale e il razionale necessariamente reale.
Per tornare agli esempio posti nella tesi, la ragione negativa
mostrerà come Napoleone oltre a esser stato un grande condottiero, è
al contempo altrettanto indubitabilmente stato un grande criminale,
visto che ha sacrificato centinaia di migliaia di uomini al suo
sogno distopico
di reimporre un impero universale allo spirito nazionale che,
proprio con le sue imprese belliche, risvegliava nei popoli,
esportando le grandi conquiste storiche della Rivoluzione
francese.
Dunque, all’intelletto che ad esempio fissa Napoleone al ruolo
progressista di liberatore, di esportatore in tutta Europa delle
conquiste della Rivoluzione francese, che costituiscono i fondamenti
della società moderna, la ragione negativa mostra che lo stesso
Bonaparte è stato un conquistatore
e un tiranno,
che ha preteso di imporre a tutta l’Europa la propria antistorica e
irrazionale volontà
di potenza.
Allo stesso modo, per quanto riguarda il condannato a morte che
l’intelletto aveva fissato nella sua determinazione di criminale,
la ragione dialettica lo riabilita vedendo
in lui, al contrario, un eroe che è arrivato persino a uccidere, pur
di contribuire all’affermazione di una giusta causa.
3. La
sintesi:
Il terzo momento, proprio della ragione
nella sua funzione positiva,
ricomprende in sé tanto la posizione dei differenti aspetti della
realtà da parte dell’intelletto, quanto la loro negazione e
riunificazione a opera della ragione
negativa.
La sintesi ha, dunque, un valore positivo in quanto rappresenta
la negazione
della negazione,
ovvero la negazione dell’antitesi che, a sua volta, negava la tesi.
In tal modo, dalle singole determinazioni astratte dall’intelletto,
mediante il secondo momento della dialettica propria
della ragione negativa – in quanto nega il porsi per sé dei
differenti momenti del reale – si giunge al concreto positivo della
ragione, che ricomprende il vero come intero che si
articola nelle sue differenti parti.
La sintesi ha sempre un valore positivo proprio in quanto è negazione
della negazione del
secondo momento che, a sua volta, negava il primo, secondo il
movimento del superamento
dialettico(Aufhebung)
che supera conservando e ricomprendendo in sé i due momenti
precedenti. Ogni sintesi diviene in seguito una nuova
tesi che
provoca a sua volta una rinnovata antitesi dialettica e, dunque, una
nuova sintesi come superamento dialettico e così via.
Tornando
ai nostri esempi, la sintesi ci permetterà finalmente di comprendere
Napoleone nella sua complessità e ricchezza di determinazioni anche
opposte, in quanto è stato al contempo liberatore
dell’Europa dai residui feudali e
oppressore delle stesse nazionalità che aveva risvegliato e
che sorgeranno contro
di lui spazzandolo via dal ruolo di primo piano che aveva svolto
nella storia
universale.
Allo stesso modo il condannato a morte pur essendo sotto un certo
aspetto un criminale, che ha violato gravemente la legge commettendo
un delitto e
si è arrogato il diritto di uccidere altri uomini, al contempo ha
agito per una causa giusta, il cui fine giustifica anche i mezzi più
deplorevoli (dal punto di vista giuridico e morale) necessari
alla sua realizzazione.
Entrambe queste sintesi non possono limitarsi a ricomprendere in sé
ambedue i momenti opposti della
tesi e dell’antitesi, ma dovranno, infine, indicare comunque qual è
l’aspetto preminente. Quindi, tornando all’esempio di Napoleone,
possiamo dire che la sua vana gloria, la sua distopia anacronistica
imperiale, per quanto abbiano provocate tante inutili stragi, hanno
un peso minore rispetto al ruolo storico che ha, comunque, svolto in
quanto indispensabile tramite della diffusione in tutta Europa di
aspetti determinanti del mondo moderno, sorti per la prima volta nel
suo paese con la Rivoluzione francese. In tal modo, la sintesi è di
nuovo divenuta una tesi, che non può che richiamare il proprio
opposto, ovvero una nuova antitesi, che sottolineerà come Napoleone,
una volta realizzato in modo essenzialmente inconsapevole la propria
essenziale funzione storica, è stato in un batti baleno spazzato via
dalla storia universale, per la sua folle e sanguinosa pretesa di
restaurare l’universalismo
antico e medievale dell’Impero.
Per cui siamo di nuovo a un livello superiore di antitesi, sulla base
della quale possiamo asserire che Napoleone è
stato inconsapevolmente un personaggio
storico-universalee consapevolmente un uomo
dominato da un’assurda e
irrazionale volontà
di potenza.
La
dialettica quale metodo fondamentale della filosofia (hegeliana)
Il
concetto di dialettica, nel senso stretto del termine, è utilizzato
da Hegel per indicare il secondo momento, quello caratterizzato dalla
funzione negativa della ragione che pone l’antitesi alle tesi
dell’intelletto. Nel senso più ampio del termine, dialettico è
l’intero processo conoscitivo che corrisponde al processo
di sviluppo
storico del reale.
La dialettica, intesa come secondo momento di tale processo,
rappresenta il movimento che
fluidifica i differenti finitifissati
per sé dall’intelletto,
come se avessero in
sé la propria ragione di essere e
non nella relazione con tutti gli altri momenti dell’assoluto, cui
li riconnette la ragione negativa. Ponendo, come fa l’intelletto,
il finito si
pone al contempo ciò a cui si oppone, in quanto come già
sottolineava Baruch Spinoza omnis
determinatio est negatio,
ovvero proprio quell’infinito da cui, del resto, l’intelletto ha
astratto i singoli aspetti che ha posto per sé. Il finito diviene
comprensibile, in quanto parte della realtà, in riferimento alla
rete di relazioni che lo lega agli altri esseri determinati, agli
altri aspetti del reale, il cui complesso è la realtà ovvero
l’infinito o
l’assoluto, da absolutus che
significa appunto ciò che è privo di legami con l’altro, che non
dipende da altro, ma è causa
sui e in
sé e per sé.
In tal modo, i singoli aspetti finitideterminati
dall’intelletto divengono, grazie alla funzione
fluidificante della dialettica,
momenti dell’infinito di cui sono necessariamente parte
costitutiva. Perciò Hegel sostiene che il finito toglie se
stesso nell’infinito,
proprio in quanto non ha in sé la propria ragione di essere, ma
nell’altro da sé, nel suo contrario.
La
dialettica di Hegel è naturalmente e necessariamente aperta allo
sviluppo storico e alle interpretazioni potenzialmente infinite
Al
contrario di quanto sostengono la maggior parte dei critici della
filosofia di Hegel, che nella maggioranza dei casi hanno equivocato
il pensiero hegeliano, la dialettica è necessariamente aperta,
in quanto la filosofia di cui costituisce il fondamentale metodo è
per Hegel la comprensione
della propria epoca storica attraverso il pensiero,
il concetto. Dunque, mutata l’epoca muta di conseguenza
inevitabilmente anche il pensiero che si sforza di ricomprenderla
concettualmente. Tanto più che le stesse interpretazione di un
medesimo momento storico sono potenzialmente
infinite e,
perciò, nessuna potrà avere l’assurda pretesa di essere
l’interpretazione definitiva, come se un singolo individuo potesse
avere in sé la verità in quanto tale. Certo per Hegel la verità
deve essere espressa nella sua forma più adeguata, ovvero in
modo sistematico,
per dar conto fino in fondo della complessità e delle molteplici
sfaccettature del reale.
Di conseguenza il sistema deve altrettanto necessariamente mirare a
raggiungere la sua conclusione. Il che, naturalmente, è solo la
conclusione cui poteva giungere un singolo – per quanto si tratti
nel caso specifico di un eccezionale pensatore – nella
ricomprensione sistematica e concettuale della sua determinata epoca
storica. Evidentemente, dunque, la sua è comunque e necessariamente
un’interpretazione parziale, storicamente
determinata e partigiana,
quindi non può certo pretendere di essere l’interpretazione
definitiva. Almeno di giungere all’equivoco ancora più grossolano
di chi ha voluto intendere che con il sistema hegeliano e la sua
epoca storica fosse giunta a compimento la stessa storia
universale il
che, evidentemente, è solo uno sproposito ideologico,
funzionale a chi intende naturalizzare il
moderno mondo borghese.
Accusa
che sarebbe assurdo rivolgere a un pensatore come Hegel che pur
rimanendo sempre un progressista e un nemico acerrimo della reazione,
non ha certo lesinato le critiche tanto al liberalismo, quanto alla
stessa democrazia moderna e al suo modo di produzione, a proposti del
quale sosteneva che le sue intrinseche contraddizioni al proprio
interno sono, in fin dei conti, procrastinabili, ma non superabili,
risolvibili.
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