Da: https://www.lacittafutura.it - Università Popolare Antonio Gramsci - https://www.unigramsci.it -
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renatocaputo insegna storia e filosofia.
Affrontiamo i concetti fondamentali della filosofia di Hegel per avere gli strumenti necessari a comprendere le sue immortali opere filosofiche, liberandoci delle più comuni incomprensioni.
La realtà (Wirklichkeit)
nel senso forte del termine, la realtà
effettuale,
è per Hegel una totalità
organica e
non indica dunque – come spesso avviene nel linguaggio quotidiano –
un singolo essere determinato. Quest’ultimo è definito da Hegel
come esistente ed
è in quanto tale parte di tale totalità, è il finito che
come tale non può che morire, non avendo in
sé la propria verità ma
nel suo altro.
Al contrario l’assoluto o
infinito è ab-solutus,
ovvero privo di legami già nel significato etimologico del termine;
ha in
sé la
propria ragione di essere, la propria verità e necessità e, perciò,
è reale unicamente una totalità organica. Ciò che è invece
finito, particolare, esistente è in quanto tale limitato.
Non è vero, in quanto non è in sé razionale. Non ha in sé senso e
necessità, ma li acquista solo nella
relazione che lo lega a tutti gli altri finiti quali momenti
dell’infinito,
parti del tutto in cui soltanto assumono il loro vero significato.
L’assoluto
come soggetto-oggetto
Finito e infinito non
devono perciò essere contrapposti, come fa ingenuamente il senso
comune che non va al di là della facoltà analitica dell’intelletto,
che tende a considerare la realtà una parte alla volta, senza
comprendere che la parte è tale solo in relazione al tutto. Il
finito preso da solo, considerato in
quanto tale è
qualcosa di accidentale.
D’altra parte anche l’infinito contrapposto al finito non è
altro che un finito più grande, in quanto per essere realmente
infinito deve ricomprendere in sé il finito, altrimenti questo
ultimo lo limiterebbe negandone il suo necessario essere, come
abbiamo visto, ab-solutus.
Hegel
si volge contro il dualismo proprio
della filosofia
moderna,
che definisce filosofia
della riflessione,
che si è storicamente sviluppata dal cogito
cartesiano fino
all’idealismo
soggettivo di
Fichte. Hegel è, perciò, maggiormente interessato al
sistema monista
di Spinoza –
filosofo “maledetto” che il nostro contribuisce a riscoprire e
rivalutare – ma mentre nella filosofia spinozista l’assoluto è
pensato come assoluta
sostanza,
come la totalità della natura, quindi come un qualcosa
di oggettivo e necessario,
per Hegel l’assoluto è soggetto e
oggetto soggettivo,
è essenzialmente spirito storico
umano che si fonda sulla propria libertà.
La
verità
La
verità non è per Hegel un dato,
un fatto o qualcosa di statico, ma un processo costantemente
in divenire,
lo spirito (umano) è, in effetti, storico. La verità è, dunque, il
processo del suo svolgimento e il risultato che ne consegue. Il vero
è, infatti, l’intero, la totalità.
Del resto solo dal risultato, dall’anatomia dell’uomo si può
risalire e comprendere l’anatomia della scimmia. In effetti il
processo di sviluppo della natura diviene consapevole di sé e può
comprendersi nel suo punto di massimo sviluppo, ossia solo nell’uomo,
che può quindi essere considerato il suo risultato. La natura nel
processo del suo sviluppo produce l’uomo che rende a sua volta
comprensibile tale processo che in lui diviene infine autocosciente.
Il
razionale e il reale
La
verità è per Hegel idea,
non però intesa, come si tende a credere, quale concetto
astratto,
puro pensiero, ma come concetto e sua realizzazione
pratica,
storica. L’idea dunque, ancora una volta al contrario di quello che
generalmente si intende nel linguaggio quotidiano, in Hegel unifica
sempre pensiero ed essere,
ragione e realtà. Non tenere presente questo aspetto ha portato a
tutta una serie di critiche prive di qualsiasi reale valore
dell’idealismo hegeliano, sulla base del pregiudizio che esso
sostenesse che la realtà è il prodotto dell’idea astratta,
ovvero di quello che Hegel definisce il mero concetto, proprio in
contrapposizione alla reale
idea.
Ciò
ha portato, da ormai quasi duecento anni, a equivocare e a criticare
grossolanamente, spesso in nome del realismo più ingenuo o del
materialismo più rozzo, un noto passaggio della Prefazione
ai Lineamenti
di filosofia del diritto di
Hegel in cui il filosofo sostiene, in polemica con l’astratto
utopismo,
che solo ciò che è razionale è (veramente) reale e solo ciò che è
(effettualmente) reale è (al contempo) razionale. Tale provocatoria
presa di posizione di Hegel, per cui il razionale non è un che di
astratto, come il dover
essere,
ma la ha forma stessa
di ciò che è veramente reale, è stata maliziosamente
o ingenuamente interpretata come
un grossolano giustificazionismo
dell’esistente e,
in particolare, dello Stato prussiano del tempo, in genere presentato
non per quello che effettivamente era allora, ma per quello che
diverrà poco dopo la morte di Hegel, ovvero un bastione
della reazione.
La
realtà (effettuale) infatti, come abbiamo già sottolineato, non può
essere confusa, se non da chi è ignorante degli stessi capisaldi del
sistema hegeliano, o semplicemente è in cattiva fede, come ciò che
è meramente esistente, accidentale. La realtà – nel senso forte del termine sottolineato da Hegel con
l’utilizzo del lemma Wirklichkeit appunto
a indicare la realtà effettuale – è in quanto tale necessaria,
dal momento che rappresenta la realizzazione
di un concetto razionale,
il suo farsi storia, ovvero in termini hegeliani l’idea. Dunque, il
razionale non può rimanere, proprio al contrario di quello che
credono generalmente i critici di Hegel, qualche cosa di puramente
ideale, o un mero dover-essere, un’aspirazione
soggettiva,
ma è tale, ossia razionale, solo nel momento in cui dimostra la sua
capacità di divenire
realtà effettuale.
Il
mero essere, che il realista ingenuo o il crasso materialista scambia
con il reale nella sua effettualità, è al contrario per Hegel
qualcosa di inessenziale,
di accidentale e, dunque, non necessario né razionale, dal momento
che anche le cose più basse e volgari, di cui a ragione giustamente
ci dimentichiamo immediatamente, come ciò che soffiamo dal naso nel
fazzoletto, è dotato di essere. Da qui la nota polemica di Hegel con
l’esigenza stessa dei filosofi precedenti di provare o confutare
l’esistenza
di dio.
Questione quanto mai assurda ai suoi occhi, visto che ci si interroga
se dio abbia lo stesso inessenziale attributo
dell’esistenza,
che ha persino ciò che abbiamo soffiato nel fazzoletto dal naso, in
quanto da noi ritenuto del tutto inessenziale, anzi nocivo. Mentre
evidentemente dio è reale in quanto è un concetto
razionale elaborato dalla mente umana e che ha assunto diverse
configurazioni storiche,
che è possibile comprendere nella loro necessità studiando
scientificamente la storia
delle credenze religiose (cosa
che Hegel fa nelle sue lezioni di Filosofia
della religione,
pubblicate postume).
La
critica al dover essere in quanto astratto e meramente soggettivo
Come
abbiamo visto, Hegel sottolinea provocatoriamente la
razionalità della realtà, proprio in polemica contro la presunzione
infantile del soggettivistico dover-essere che
viene vanamente contrapposto alla realtà, quale necessario prodotto
del processo
storico,
che ha una sua razionalità e necessità. In altri termini, al
contrario della donchisciottesca e infantile pretesa che la realtà
si confaccia ai nostri ideali soggettivistici, occorre per Hegel
comprendere filosoficamente e scientificamente il reale, come
necessario prodotto di un altrettanto necessario processo storico, se
si vuole realmente intervenire su di esso per
ulteriormente razionalizzarlo.
La
realtà, proprio perché ha in sé una sua razionalità, in quanto
prodotto dell’agire
finalisticamente orientato dell’umanità,
può essere ulteriormente sviluppata solo quando la si è non
idealisticamente, ma realisticamente,compresa.
Dunque, al contrario di quello che credono o fingono di credere la
maggior parte dei critici di Hegel, quest’ultimo è tutt’altro
che un idealista, nel senso corrente del termine, anzi la critica che
gli si dovrebbe rivolgere è di essere, proprio al contrario, troppo
spietatamente realista, nella sua costante
critica dell’astratto e soggettivista utopismo.
Hegel
è, infatti, sin troppo duro nella critica di chi pensa di aver detto
qualcosa di realmente incisivo o addirittura rivoluzionario
sostenendo, ad esempio, che un
altro mondo è possibile.
A suo avviso, in effetti, la categoria del possibile è
la categoria più insignificante, proprio per la sua astrattezza,
in quanto in teoria tutto è possibile. Dunque, ancora una volta, la
reale comprensione dei concetti di fondo della filosofia hegeliana ci
permettono di smentire le critiche ingiustificate, semplicistiche,
ingenerose e irriguardose che gli sono state rivolte, per il suo
presunto ingenuo idealismo.
Per
Hegel, al contrario, ben al di sopra di ciò che è meramente
possibile, dal momento che potenzialmente tutto lo è, c’è la
categoria generalmente tanto ingiustamente incompresa e squalificata
del reale che,
a differenza del meramente esistente, è anche razionale. Tanto che
in tal modo il reale, divenendo atto,
diviene al contempo un qualcosa di necessario,
in quanto tale ben più rilevante di ciò che è solo
astrattamente possibile e,
quindi, resta qualcosa di essenzialmente accidentale, di
meramente contingente.
Un po’ come quando si chiede a un bimbo che cosa vuoi essere da
grande, la sua risposta è generalmente contingente e meramente
potenziale, ma non ha generalmente nulla di reale e, spesso, nemmeno
di realistico e, tantomeno, di necessario.
Al
di sopra del necessario non vi è dunque il soggettivistico
possibile, ma piuttosto ciò
che non è solamente necessario, ma al contempo libero.
Il che significa, ovviamente, una concezione della libertà
antitetica a quella ingenua del liberalismo che
la confonde con il mero
arbitrio.
Per cui la libertà sarebbe il fare ognuno come gli pare, persino le
cose più sciocche, infantili, meschine, assurde o ciniche etc. È
infatti al solito l’intelletto, che non riesce a concepire il
pensiero astratto, che pretende di definire
la libertà in contrapposizione alla necessità,
rendendola qualcosa di “pericoloso” come il completo arbitrio,
proprio unicamente di un bambino ancora incapace di ragionare che può
sentirsi libero di uscire, ad esempio, dal settimo piano di una casa
passando dalla finestra, invece che dalla porta, mostrando così di
pretendere di esercitare contro le necessarie leggi della fisica il
suo soggettivistico libero arbitrio. La cosa è talmente insensata
che non esiteremo, liberali compresi, a definire folle un adulto che
si sentisse “libero” di agire in tale modo infantile.
Al
contrario, il realista
e antidealista Hegel,
all’opposto di quanto ne dice e pensa la “vulgata”, non può
che considerare la libertà
la razionale comprensione della necessità,
a partire dalle leggi naturali, per cui dovendo uscire, tornando al
nostro esempio, da una casa al settimo piano sarò libero di uscire
solo utilizzando necessariamente la porta, passando dalla finestra
non solo non lo sarei più, ma rinuncerei persino alla mera
possibilità dell’esistente.
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