Le banche occidentali fanno di tutto per tenersi l’oro altrui e per non restituirlo.
Nel
suo celebre libro, Las
venas abiertas de América Latina (2004),
Eduardo Galeano riporta le parole di un testo nahuatl conservato
nel Codice fiorentino [1], che qui traduco “Come se fossero scimmie
gli spagnoli sollevavano l’oro, si sedevano soddisfatti, il loro
cuore prendeva nuova forza e si illuminava. È certo che sentivano
una straordinaria sete dell’oro, se ne inorgoglivano e mostrano di
provare una furiosa fame di esso. Come
porci affamati anelano l’oro”
(p. 43).
A tutta prima si potrebbe pensare che tale fame sia stata provata da
soldatesche ed avventurieri estenuati, ma entusiasmati dalle vicende
della rapida Conquista del Nuovo Mondo, e che oggi essa costituisca
un sentimento del tutto sconosciuto soprattutto tra gente di una
certa cultura e di un certo rango sociale. Ma i recenti avvenimenti
riguardanti paesi sotto attacco da parte delle potenze
imperialistiche mostrano tutto il contrario, benché le informazioni
su di esse siano alquanto scarse e contraddittorie.
Seguiamo
l’ordine cronologico e cominciamo a parlare dell’oro libico
depositato nella Banca centrale libica, una delle poche banche
centrali di proprietà dello Stato [2], dove prima
della “rivoluzione” del 2011 vi dovevano essere 143 tonnellate di
oro (alcuni parlano di 150), mentre le riserve in valuta straniera
ammontavano a 321 miliardi di dollari.
Sembra
che una parte consistente di queste risorse fosse custodita nella
filiale della Banca a Bengasi, dove i cosiddetti ribelli, nel giro di
pochi giorni, fondarono il Transitional
National Council,
quale autentica espressione del popolo libico, rapidamente
riconosciuta dall’ONU. Questo nuovo organismo ha costituito una
nuova Banca centrale e la Lybian
Oil Company,
che avrebbe dovuto sovrintendere all’estrazione e alla vendita del
petrolio. Ha nominato anche il Governatore della Banca e ha fatto
scassinare le camere blindate in cui erano depositati i lingotti e le
riserve monetarie.
Alcuni
analisti hanno visto in questa operazione qualcosa di sospetto: i
ribelli sarebbero stati usati da qualcuno dalle conoscenze più
raffinate in ambito economico e finanziario per trasferire il
controllo delle risorse monetarie e petrolifere libiche in altre
mani,
che gli eventi non lasciano certo sconosciute.
Un’ipotesi
è che l’oro
libico sia servito alla Banca d’Inghilterra per restituire nel 2011
a Hugo Chávez le 100 tonnellate di oro che vi erano state depositate
e che probabilmente ormai non esistevano più,
evitando di ricomprarlo sul mercato e provocando così un aumento del
suo valore. Tale trasferimento era avvenuto per garantire i prestiti
ottenuti dai governi precedenti a quello di Chávez, e non aveva più
ragione di persistere, giacché il Venezuela a quell’epoca aveva
pagato tutti i suoi debiti [3]. Altri, invece, parlano di come parte
del cosiddetto tesoro
di Gheddafi sia stato negli anni contrabbandato per raggiungere gli
Emirati arabi uniti;
notizia questa sostenuta da fonti vicine ai Fratelli musulmani ostili
agli emiri.
Inoltre, Julian
Assange ci dice che la guerra contro Gheddafi e la Libia è
stata una guerra intensamente voluta da Hilary
Clinton perché
il petrolio libico era a buon mercato, e perché la distruzione di
quel paese, che avrebbe prodotto 40.000 morti e una quantità
incredibile di emigranti e un certo numero di jihadisti diretti verso
l’Europa, destabilizzando l’Africa del Nord, avrebbe potuto
favorire la sua elezione. Tutto ciò è documentato dalle migliaia di
email ricevute dalla Clinton dal suo agente Sidney Blumenthal e rese
di pubblico dominio.
Altre
fonti ci informano (una email ricevuta dalla Clinton il 2 aprile
2011) delle ragioni francesi della guerra alla Libia:
oltre all’oro c’era un analogo quantitativo di argento, che
avrebbe dovuto servire a Gheddafi per dar vita a una valuta
panafricana basata sul dinaro d’oro libico,
liberando quei paesi africani francofoni dalla subordinazione al
franco francese e alla Francia, cui ancora pagano una tassa per i
“benefici” dovuti alla colonizzazione. Progetto che, del resto,
avrebbe dato fastidio anche agli Stati Uniti, giacché il leader
libico aveva anche intenzione di vendere il petrolio in cambio di oro
e non di dollari. D’altra parte, Saddam Hussein era stato fatto
fuori prima di Gheddafi, perché
nel 2000 intendeva sostituire l’euro al dollaro nella
vendita del petrolio, rafforzando così l’Unione Europea, che
sarebbe stata il vero obiettivo della futura guerra dichiarata dagli
Stati Uniti successivamente.
Da questi elementi si potrebbero ricavare alcune conclusioni: uno
scontro tra il colonialismo europeo e francese da un lato, e quello
statunitense, dall’altro, un conflitto tra Francia e Italia, che
con l’ENI, il nostro vero ministero degli esteri, era ben radicata
in Libia, forse anche un disegno destabilizzatore dell’Europa,
favorendo l’afflusso dei migranti e dei jihadisti; progetto
probabilmente ignorato dagli stessi leader europei. Senza menzionare
poi che Nicolas Sarkozy doveva disfarsi fisicamente di Gheddafi che
avrebbe potuto rendere noti i finanziamenti alle sue campagne
elettorali.
Altre
inchieste hanno messo in luce che, benché il fondo sovrano libico
istituito da Gheddafi (LIA) sia stato congelato, continui
a generare profitti per quelle società, come ENI, ENEL,
Fiat-Chrysler, Unicredit etc., nelle quali era stato investito.
Non
del tutto diversa è la questione dell’oro del Venezuela, cui
recentemente il
Sole 24 ore ha dedicato un preoccupato articolo,
nel quale si fa presente che lo scorso agosto il governo del
Venezuela richiede alla Banca d’Inghilterra la restituzione urgente
di 1,4 tonnellate di oro in lingotti dal peso di 12,4 chili ciascuno.
Finora neppure un lingotto è stato restituito, sulla base della
clausola “La Banca d’Inghilterra si riserva il diritto di non
restituire l’oro sovrano in custodia e di impedirne anche la
visione”.
Sulla mancata restituzione il quotidiano della Confindustria fa due
ipotesi. La prima è che “i lingotti di altre nazioni verrebbero
dati in prestito (a loro insaputa) a banche ed hedge fund, o
cartolarizzati in Gold Certificates, dietro l’impegno delle parti a
non reclamare mai la proprietà dei lingotti alla scadenza
dell’operazione”. Pratica questa ovviamente vietata.
L’altra
ipotesi è che si tratti in realtà di un’operazione politica volta
a mettere ulteriormente in difficoltà il Venezuela, continuo oggetto
delle sanzioni statunitensi, ed accusato da Trump di voler derubare
il popolo venezuelano delle sue ricchezze e di volerlo impiegare per
beneficare il presidente Maduro e il suo entourage.
Dinanzi a tale comportamento il Sole 24ore fa presente che la stessa
banca inglese ha in deposito i fondi in oro di altre 70 nazioni, tra
cui l’Italia, che ha affidato alla sua custodia ben 300 tonnellate
del prezioso metallo. Queste nazioni hanno consegnato alla Banca di
Inghilterra ben 200.000 lingotti che ammontano a 1.500 tonnellate di
oro purissimo; inoltre, quest’ultima e la Federal Reserve detengono
circa la metà dei 1.360 miliardi delle riserve aurifere mondiali e
non sembrano ben disposte alla loro restituzione ai loro legittimi
proprietari. Infatti, prima del Venezuela, la Germania della Merkel
nel 2017 aveva richiesto indietro alla Federal Reserve le sue 130
tonnellate di lingotti, che ha riavuto solo dopo una lunga trattativa
durata circa un anno. E naturalmente la Germania non è il Venezuela.
Del resto, chi ha l’autorizzazione a visionare i forzieri di questi
fantomatici istituti?
Probabilmente perché lo scenario internazionale è cambiato (lo
stesso Venezuela ha varato una nuova moneta ancorata al petrolio, il
petro), molti sono i paesi che richiedono di avere indietro l’oro
depositato nelle banche centrali della Gran Bretagna e degli Stati
Uniti. Infatti, nel giro di qualche anno, la Banca di Inghilterra ha
perso il controllo di 400 tonnellate del prezioso metallo, mentre la
Federal Reserve si è vista sfuggire circa 7.000 tonnellate tra il
2009 e il 2017, e si è ridotta a controllare solo 5.000 tonnellate.
A
questi significativi eventi bisogna aggiungere che la Cina e la
Russia si sono accordate per utilizzare sempre più le loro valute
nazionali per i mutui scambi commerciali, con lo scopo di
fronteggiare la politica finanziaria ostile nei loro confronti
sviluppata dagli Stati Uniti. A questo proposito è interessante
ricordare che la
Russia, la Cina, l’UE hanno elaborato un piano per
far sì che l’Iran continui tranquillamente a vendere il suo
petrolio, nonostante le sanzioni statunitensi. Il sistema aggirerebbe
le transazioni bancarie ed avverrebbe in sterline e in euro,
colpendo chi
– ha dichiarato Federica Mogherini – ha la pretesa di decidere
con chi un paese sovrano debba intrattenere relazioni commerciali. Un
altro segno di declino del mostro statunitense minacciato di perdere
il signoraggio della sua moneta e di veder dirottati altrove gli
investimenti degli altri paesi?
Note
[1]
La lingua che parlavano gli aztechi, anche noti come mexica.
Conservato in una biblioteca fiorentina, il Codice fiorentino
contiene, invece, la Historia
universal de las cosas de Nueva España in
spagnolo e in nahuatl, terminata dal frate Bernardino de Sahagún nel
1569.
[2]
Per chi non lo sapesse anche la Federal
Reserve è
di proprietà di azionisti privati.
[3] Oltre a ciò annunciò di nazionalizzare l’estrazione dell’oro,
prima data in concessione a certe multinazionali, e di tutte le
attività ad esso connesse.
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