sabato 2 marzo 2019

Antropologia, dialettica e struttura. - Stefano Garroni

Da: Stefano Garroni, Dialettica riproposta, a cura di Alessandra Ciattini, lacittadelsole.
Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 


Nel suo scritto “Système, structure et contraddictions dans le Capital” (1966), Maurice Godelier si pone immediatamente queste due domande:

(1) “È possibile analizzare le relazioni tra un evento e una struttura”?

(2) è possibile “rendere conto della genesi e dell’evoluzione di questa struttura senza condannarsi ad abbandonare il punto di vista strutturalistico?”[1]

Prima di esaminare le risposte alle domande che lo stesso marxista francese si pone, sono necessarie alcune osservazioni, anche se molto rapide.

Il pensiero dialettico, nelle sue espressioni più classiche (si pensi a Platone, a Leibniz, ad Hegel), vuole essere la risposta esatta a questioni, strettamente analoghe a quelle su cui Godelier si interroga, le quali, in definitiva, ruotano intorno alla possibilità di superare o di mediare l’opposizione fra stabilità della regola e continua eccentricità del movimento.
Per intendere come si collochi il pensiero dialettico rispetto a questa problematica, mi limito a ricordare due casi particolarmente significativi: si pensi per es., a Leibniz, che tematizza il rapporto fede/ragione e si ricordi come, per Hegel, l’idea sia il ritmo logico interno al reale stesso (dunque, non qualcosa di esterno, di altro rispetto al reale, ma sì esattamente quest’ultimo esaminato, però, dal punto di vista della linea, del tracciato, della regola del suo dinamismo)[2].

Perché, allora, il marxista Godelier (dunque, si presume, una persona a cui non sia ignota la tradizione dialettica) si pone queste due domande, ma in relazione allo strutturalismo?

Perché, in realtà, Godelier eredita il punto di vista (o, almeno, opera in un ambiente, che questo punto di vista ha ereditato) che, a partire dalla morte di Lenin, in ambito terzo-internazionalistico, si andò mano a mano cristallizzando nel cosiddetto Diamat, fino a divenire – e continuare ad essere ben oltre il XX Congresso del Pcus – la versione ufficiale del marxismo e del pensiero dialettico, sia per i simpatizzanti di esso, sia per i suoi critici.

Ed era parte organica di questa tradizione la tesi che, per Hegel, fosse l’idea a creare misticamente il mondo e che, dunque, il “materialismo” di Marx e di Engels non potesse aver nulla a che spartire con la dialettica idealistica propria di Hegel.

Certo, esistono chiari ed espliciti riconoscimenti, da parte di Marx, del suo debito rispetto ad Hegel, proprio riguardo alla dialettica (e di ciò Godelier è consapevole, come dimostra una lunga nota contenuta nel suo scritto)[3]; tuttavia, la tradizione del Diamat aveva sostanzialmente perso i caratteri, che specificano un atteggiamento dialettico e, piuttosto, si era andata imprigionando nelle maglie del positivismo, del pragmatismo e del dogmatismo; è del tutto comprensibile, dunque, che Godelier voglia liberare Marx da codesta tradizione. Ma come intende farlo?

Tra gli anni 50 e 70 del secolo scorso, per ragioni che sarebbe lungo qui analizzare, non tanto i marxisti si impegnarono nel senso di una migliore, filologicamente e storicamente più precisa interpretazione di Marx, di Engels e di Lenin; sì piuttosto cercarono in correnti culturali, recenti e spesso nate addirittura contro il marxismo, la possibilità di produrre di esso un’interpretazione più adeguata o, come spesso si dice, più “attuale”.

Ed è questa l’operazione, che Godelier tenta, facendo di Marx un netto precursore dello strutturalismo di Lévi-Strauss.

Come scrive lo stesso Godelier: “… la dialettica di Marx non ha nulla a che vedere nei suoi principi fondamentali con quella di Hegel, poiché esse non rinviano alla medesima nozione di contraddizione”[4].

Ed a proposito del rapporto con lo strutturalismo à la Lévi-Strauss, leggiamo: “la conoscenza scientifica del sistema capitalistico consiste per Marx nello scoprire al di là del suo funzionamento visibile la sua struttura interna, nascosta. Per Marx, dunque, come per Lévi- Strauss, le “strutture” non si confondono con le “relazioni sociali” visibili, ma costituiscono un livello della realtà invisibile e tuttavia presente al di là delle relazioni sociali visibili … Per Marx, il modello costruito dalla scienza corrisponde dunque ad una realtà dissimulata sotto la realtà visibile”[5].

Ed, infine, questo chiarissimo e conclusivo giudizio di Godelier: “Così Marx, supponendo che la struttura non si confonda con le relazioni visibili ma ne spieghi la logica nascosta, annuncia la corrente strutturalistica moderna. Egli raggiunge pienamente questa corrente ponendo la priorità dello studio delle strutture su quello della loro genesi e della loro evoluzione”[6].

2 – Non interessa qui mettere in chiaro quali fraintendimenti, nella lettura di Marx e di Hegel, queste affermazioni di Godelier presuppongano[7]. Ciò che a noi interessa è piuttosto richiamare l’attenzione su come Godelier giustifichi le strettissime analogie (per non dir altro) fra metodo marxiano nello studio del modo di produzione capitalistico e lo strutturalismo, nella versione di Lévi Strauss.

È ben chiaro che il principale punto di incontro fra le due costruzioni teoriche (la marxiana e la strutturalistica), secondo Godelier, si identifica con un loro comune orientamento anti-empiristico: è questo il senso, in cui va intesa l’insistenza, con cui Godelier rimarca come, sia nel caso di Marx che in quello di Lévi-Strauss, la struttura si opponga alle relazioni sociali, nella stessa misura in cui l’immediato presentarsi di uno stato di cose può risultare addirittura un impedimento alla comprensione del reale stato di quelle cose.

Questo – si legge infatti in Godelier8 – è il grande valore epistemologico della lezione di Lévi Strauss: “che una struttura sia implicita … o esplicita …, essa non è mai direttamente visibile e leggibile al livello empirico ma deve essere scoperta con un lavoro teorico che produca ipotesi e modelli” [9]; al proseguo della pagina risulta con tutta evidenza che l’osservazione di Godelier vuole avere un netto senso anti-empiristico, ovvero di critica sia dell’antropologia di Radcliffe-Brown, sia della sociologia empiristica anglosassone, per la quale la struttura “fa parte della realtà empirica.
Anche per Lévi-Strauss la struttura fa parte del reale – commenta Godelier –, ma non appartiene alla realtà empirica”[10].

Già da questa pagina cogliamo una significativa forzatura nell’accostamento di Marx a Lévi-Strauss.

Se può aver senso, infatti, trattando di strutturalismo, la giustapposizione di visibile/invisibile, la cosa appare invece assai discutibile quando il discorso riguardi Marx – sia pure unicamente il Marx, che studia il modo capitalistico di produzione[11].

È infatti vero – e Das Kapital sta lì a dimostrarlo – che l’immediato presentarsi della ricchezza capitalistica come un’immane raccolta di merci, nasconde l’«essenza», il Wesen del modo di produzione capitalistico, solo all’interno di certi errori teorici, di determinate insufficienze scientifiche e di ben precise finalità apologetiche, che erano proprie della tradizionale economia politica.

Ma una volta corretti quegli errori, superate quelle insufficienze e smascherata quella funzione ideologica, risulta che l’immediato presentarsi del modo capitalistico di produzione corrisponde esattamente alla sua maniera effettiva di funzionare o, se si vuole, che la relazione sociale è, nella sua contraddittorietà, perfettamente coerente ed omogenea rispetto alla struttura portante della società capitalistica[12].

Del resto, insistere sul carattere anti-empiristico della riflessione di Marx rischia di forzarne unilateralmente il senso autentico.

Empirismo, infatti, si dice in vari significati e secondo uno di essi questo termine sta ad indicare un sapere determinato e non universalistico, circoscritto, contestualizzato e non generico: vale a dire proprio quel sapere che Marx vuol raggiungere con il suo studio del modo capitalistico di produzione – il quale studio, lo si ricordi bene, non impedisce affatto che per Marx astrazioni del tipo «la produzione in generale» (di cui egli riconosce apertamente il carattere empiristico) siano dotate di senso e scientificamente utili.

Se, dunque, si ha da parlare di anti-empirismo di Marx, si deve sempre ricordare, però, che ciò è corretto solo in un senso del termine empirismo, ma non in ogni suo senso[13]. Torniamo alla valutazione che Godelier dà dell’importanza scientifica di Lévi-Strauss.

La svolta scientifica (di “immensa portata”), rappresentata da Lévi-Strauss è così descritta dal marxista francese: «Cercando di rendere conto di un caso singolare, aberrante, inclassificabile nelle rubriche della tipologia etnologica tradizionale, Lévi-Strauss scopriva l’esistenza e spiegava la natura di una nuova famiglia di strutture, molto più complesse di quelle conosciute allora e soprattutto molto più difficili a identificarsi perché il ciclo di scambio che determinano non è “altrettanto immediatamente percepibile”»14.

In questa pagina Godelier mostra una certa capacità di sfuggire alla retorica – in quegli anni imperversante – della coupure épistémologique, la quale finiva col descrivere la storia della scienza come un susseguirsi di “salti” o “rotture”, che rendevano persino difficile individuare
momenti di continuità, i quali consentissero, autorizzassero l’uso della stessa espressione «storia della scienza».

Le coupures épistémologiques rischiavano piuttosto di dare un’immagine del movimento scientifico, fatta di continue “fratture”, che ne rendevano le diverse fasi quasi isole, tra loro non comunicanti.

Godelier, al contrario, mette direttamente in relazione la “novità”, rappresentata da Lévi-Strauss, con difficoltà (in questo caso tassonomiche) di una determinata disciplina e per ciò stesso il marxista francese non solo mostra una concezione più realistica della storia della scienza, appunto; ma anche si ricollega, di fatto, a quelle tante pagine di Marx, in cui la ritematizzazione dell’economia politica (dunque, l’apporto teorico fondamentale di Marx) vien fatta sorgere proprio dalla necessità di risolvere impasses e contraddizioni, che la storia della disciplina in questione (l’economia politica)
aveva posto e non risolto.

In altre parole, nel Marx delle Teorie sul plusvalore viene di fatto applicata una concezione del movimento del pensiero scientifico, che riesce a mediare continuità e rottura, tradizione e innovazione – in breve, una concezione dialettica propriamente, che Godelier riprende, trascurando tuttavia – e pour cause – di evidenziarnem l’origine hegeliana. Ma torniamo, ora, ad un punto, di
grande rilievo, a cui d’altronde abbiamo già accennato: il rapporto fra analisi strutturale (o logica) e ricostruzione storica di un fenomeno sociale.

L’analisi della logica di una struttura – leggiamo in Godelier, il quale ha sempre presente la lezione di Lévi- Strauss15 – permette di porre in chiaro le sue possibilità e le sue capacità di evoluzione. Le ricerche sull’origine e la genesi di una struttura sono allora in certo qual modo “guidate dalla conoscenza del suo meccanismo proprio”16. “Questa troppo breve analisi di alcuni frammenti della più vecchia opera di Lévi-Strauss17 è … sufficiente per legittimare un paragone tra Marx e lo strutturalismo moderno. Essa ci ha permesso di isolare nella pratica di Lévi-Strauss due principi dell’analisi strutturale: il primo, che una struttura fa parte del reale ma non delle relazioni visibili, il secondo che lo studio del funzionalismo interno di una struttura deve precedere e illuminare lo studio della sua genesi e della sua evoluzione”18.

La tesi di Godelier è, ovviamente, che entrambi i motivi si trovino già in Marx: anche per quest’ultimo, infatti, “lo studio della genesi di una struttura può compiersi soltanto se «guidato» da una precedente conoscenza di questa stessa struttura”19.

Naturalmente, a questo punto sorge la seguente difficoltà: com’è possibile raggiungere la necessaria conoscenza della struttura?

Non mediante generalizzazioni dall’esperienza – perché significherebbe non solo cadere nell’empirismo, ma addirittura in quel “baconismo”, che l’empirista John Stuart Mill considerava del tutto superato scientificamente.

Attraverso, allora, una qualche conoscenza a priori? Ma, in questo caso, potrebbe Marx accettare una tale procedura?

Una ragionevole risposta a codesta difficoltà è offerta (ancora una volta) dai volumi, che Marx dedica alla Storia delle teorie sul plusvalore, in cui ogni precisazione, innovazione, ritematizzazione, che egli apporta all’economia politica risulta da una riflessione sulla storia della disciplina in questione. Il che significa che risulta da un profondo rapporto con l’esperienza economica concepita, però, per quello che effettivamente è non solo eventi, comportamenti; certo tutto ciò, ma intrecciato con la riflessione su tali eventi e comportamenti.

Ed allora bisogna sicuramente dire che, per Marx, l’analisi logico-strutturale (del modo capitalistico di produzione ad es.) determina, circoscrive (in una certa ma rilevante misura) le possibilità di movimento e di variazione del fenomeno storico in questione (il sistema capitalistico) e che, dunque, in questo senso, anticipa l’analisi propriamente storica.

Ma va contemporaneamente chiarito che quell’analisi logico-strutturale risulta da una attenta, profonda valutazione della storia del fenomeno in questione, una volta che sia chiaro che storia non significa semplice diacronia, mero svolgersi di eventi; ma che al contrario implica anche ed immediatamente riflessione su quella diacronia, giustificazione teorica dell’attuazione pratica.

Ancora un volta, se ha senso scientificamente parlare di un primato del piano logico-strutturale su quello propriamente storico, ciò consegue ad una concezione dialettica del rapporto tra logica e storia – e dico «dialettica», esattamente nel senso di Hegel e di Marx.

3 – Prima di chiudere le nostre considerazioni, soffermiamoci su una anch’essa breve ma utile pagina di Henri Lefèvbre, personaggio – sappiamo – tutt’altro che marginale della cultura marxista francese tra gli anni 60 e 70 del Novecento20.

L’oggetto dell’articolo di Lefèbvre è l’opera di Fr. Engels su L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato ed in particolare la distinzione engelsiana tra «forma» e «sistema».

Se la «forma» è una determinazione più profonda, più concreta che il sistema, a loro volta i «sistemi» sono i prodotti, i risultati di forze storiche (economiche e sociali), che li fanno sorgere ma anche, prima o poi, se ne liberano a vantaggio di altri e più funzionali sistemi.

I sistemi, continua Lefèbvre, sono qualcosa di non compiutamente definito, che hanno bisogno di un intervento umano consapevole (le ideologie), che sia capace di determinarli, di disegnarli compiutamente21.

In Engels, dunque, il movimento storico è qualcosa di articolato in livelli diversi, interattivi, ma anche, in ultima istanza, orientati da un fattore profondo, a cui bisogna pervenire mediante un’opera di riflessione sull’insieme sociale.

Questo fattore è dato dal momento (o livello) della produzione/riproduzione della vita immediata (ovvero, economica e sessuale, cioè di riproduzione della specie); tanto più si sviluppa, – aggiunge Engels – il livello produzione/riproduzione economiche, d’altrettanto regredisce il ruolo del sistema di parentela, ovvero, del sistema che regola la vita sessuale.

Dalle tesi di Engels Lefèbvre ricava una conclusione, assai importante (e che non abbisogna di alcun collegamento con la prospettiva strutturalistica): ovvero, che per quanto l’attività umana sia determinata in ultima istanza dal livello produzione/riproduzione della vita
immediata, tuttavia essa si articola in un complesso interattivo di dimensioni, che contemporaneamente agiscono l’una sull’altra.

È esattamente questa concezione – rigorosamente dialettica – dell’insieme sociale che rappresenta l’effettiva arma teorica contro il dogmatismo e dunque, anche, contro la dogmatizzazione scolastica del marxismo; così – e questo è assai importante – Lefèbvre non ha bisogno di coniugare la tradizione dialettica con un qualche apporto “esterno”, per giungere a quella concezione dell’insieme sociale e del movimento storico, che si scontra frontalmente col dogmatismo e quindi anche con la tradizione del Diamat. Un’ultima osservazione ci pare importante fare a proposito dello scritto di H. Lefèbvre.

Concludendo il suo articolo, il marxista francese elenca vari termini, che Marx usa per intendere ciò che, in francese (ma anche in Italiano), ad es. si dice struttura: Struktur, System, Gesellschaftsform, Totalität, Individuum – ma ciò che più conta di questa elencazione di vocaboli – e che ci impedisce di interpretarla come esempio di pura erudizione – è l’osservazione conclusiva di H. Lefèbvre.

“Questi termini traducono sfumature di significato, che l’uso della sola espressione struttura non permette vengano colte, ma piuttosto le confonde e, dunque, le occulta l’un con l’altra”22.

La cosa per noi è particolarmente interessante, perché ci consente di tornare su un’affermazione di Godelier, che abbiamo già citato, ma che ora possiamo valutare più esattamente, a proposito del rapporto fra dialettica, nel senso di Hegel, e dialettica, nel senso di Marx.

… la dialettica di Marx non ha nulla a che vedere nei suoi principi fondamentali con quella di                Hegel, poiché esse non rinviano alla medesima nozione di contraddizione”23.

Senonché ciò che è vero in realtà è che sia Hegel che Marx utilizzano espressioni diverse, che in francese – ma anche in italiano e temo anche in altre lingue – vengono tutte rese con l’unico termine «contraddizione».

Ed allora saranno facili entrambe le operazioni: sostenere, come abbiamo visto fare da parte di Godelier, che contraddizione in Marx ha tutt’altro senso che contraddizione in Hegel; come anche l’opposto, ovvero che esattamente lo stesso è il significato del termine nei due autori.

La realtà sta, invece, nella direzione indicata da H. Lefèbvre: espressioni come Widerspruch, Gegensatz, Entgegensatz, Dissonanz ecc. (tutte comunemente tradotte con «contraddizione») stanno, invece, ad indicare situazioni dalla forma logica diversa e che, dunque, hanno conseguenze pratiche diverse.

E si badi che ciò è vero – lo ripeto – sia nel caso di Marx che in quello di Hegel ed è per questo che, a mio parere, la questione del rapporto tra i due autori non può essere risolta in una formula semplice e unilaterale, ma solo mediante un confronto diretto fra i loro testi, che sappia cogliere anche le sfumature di significato e, così, indicare concordanze o dissonanze fra Hegel e Marx.

Va da sé che, se questo è vero, lo è a maggior ragione quando si confrontino impostazioni e problematiche così diverse, quale quella di Marx o di Lévi-Strauss.

Note

1 M. Godelier – Lucien Séve, Marxismo e strutturalismo, Torino Einaudi 1970: 11.
2 Per la trasformazione del concetto di legge in quello di regola dinamica, all’interno del pensiero scientifico moderno, cf. E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, vol. 3, Firenze 1962.
3 v. M. Godelier – L. Séve, op. cit.: 39-40.
4 v. Godelier, op. cit:.11s
5 M. Godelier, op. cit.: 12, 15. Già da questa formulazione risulta chiaro che quanto di corretto Godelier intende dire è espresso, tuttavia, in un linguaggio che rimanda ad una certa ideologia psicoanalitica, che proprio in quegli anni si andava imponendo e non solo in Francia, ma in tutta l’Europa capitalistica e negli USA.
6 M. Godelier, ivi: 15.
7 Accenniamo solo al fatto che Godelier sembra fraintendere pienamente il rapporto tra studio logico (strutturale) e/o storico della realtà economico-sociale, quale troviamo in Marx ma anche – per fare
un esempio assai significativo – nella “Vorrede” all’hegeliana Fenomenologia. Lo scopo dell’autore francese è evidente: togliere le sostanziali differenze rispetto al rapporto struttura e storia, fra la pagina di Marx e quella di Lévi-Strauss.
8 v. Godelier, op. cit.:18.
9 v. Godelier, ivi.
10 v, Godelier, op. cit.: 18s; il marxista francese sottolinea anche che Lévi-Strauss è decisamente critico dello strutturalismo formalista ed idealista.
11 Sappiamo, infatti, che per Marx non esiste nessuna necessità universale, per cui in ogni società struttura e relazione sociale siano nel rapporto di visibile/invisibile.
12 Riprendendo Hegel, Marx sottolinea come solo in (una certa) società è possibile isolarsi – il che significa che sarebbe del tutto sterile contrapporre la relazione sociale (l’isolamento) alla struttura di base (la società in questione). L’autentico compito scientifico è, piuttosto, comprendere come l’una rimandi all’altra, come l’una riveli l’altra, come attraverso l’una si legga l’altra.
13 Non possiamo qui approfondire il discorso, ma tutto ciò ribadisce, nonostante Godelier, lo stretto legame fra l’orientamento dialettico hegeliano e quello di Marx.
14 Godelier, op. cit.: 14.
15 Godelier, op. cit.: 19s.
16 Si potrebbe osservare che quanto qui sottolineato da Godelier, nonostante le apparenze, è qualcosa di generico, nel senso che già con l’empirista John Stuart Mill – dunque, a metà dell’Ottocento – era chiaro che un orientamento “baconiano” (vale a dire, «empiristico» nell’accezione comune ed immediata del termine) non era più accettabile dal punto di vista della procedura scientifica, con la conseguenza che anche da parte empiristica si riconosceva il primato della teoria sull’esperienza.
17 Godelier si riferisce ad Antropologie structurale.
18 Godelier, op. cit.: 20.
19 Godelier, op. cit.: 22.
20 H. Lefèbvre, “Le concept de structure chez Marx”, in Sens et
usages du terme structure dans les sciences humaines et sociales, edité par
Roger Bastide, The Hague-Paris 1972: 10ss.
21 H. Lèfebvre, op. cit. : 100s.
22 H. Lefèbvre, op. cit. : 105s.
23 Godelier, op. cit. : 11s.

Bibliografia

A.A.V.V., Qu’est-ce que le structuralisme?, Paris, Editions du
Seuil 1968
A.A.V.V., Sens et usages du terme structure dans les sciences humaines
et sociales, The Hague-Paris Mouton 1972.
M. Godelier – L. Sève, Marxismo e strutturalismo, Torino Einaudi
1970.
G.W.F. Hegel, Werke 3. Phänomenologie des Geistes,Vorrede
Frankfurt/Main 1998.
G.W. Leibniz, Philosophischen Schriften Band 2.1/2.2, Suhrkamp
1996
J. S. Mill, Essays on Philosophy and the Classics, editor of the text J. M. Robson, University of Toronto Press 1978.

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