lunedì 22 febbraio 2021

"OPERAI" - Aristide Bellacicco

Aristide Bellacicco (Medico) fa parte del "Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni"

Altri Brevi racconti dello stesso autore: - Wannsee -

- lezioni di volo -

- il grande Scott -

- parlare con Agave -

- morti –

- Tutti festeggiano Cusco -

- "carne" -

- Port - Royal - 

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Il vento

Alle otto di mattina, un operaio polacco chiamato Stanis, riconoscibile dalla magrezza e dall’espressione rassegnata, uscì sul balcone dell’appartamento dove stava lavorando. 

Portava un paio di pantaloni di tela azzurra, una maglietta di lana a maniche corte schizzata di verde e aveva in bocca una mezza sigaretta spenta. 

Era la fine di febbraio, l’aria era rigida e sui colli attorno alla città aveva nevicato.

Stanis accese la sigaretta riparando con una mano la fiamma dal vento gelato che gli tirava addosso. 

‘Sembra che ce l’abbia con me’ pensò. 

Anche il fumo della sigaretta si raffreddava ancora prima di penetrargli nei polmoni.

Erano in cinque nell’appartamento, ingaggiati senza contratto da una piccola ditta di ristrutturazioni. 

Due di loro erano polacchi come lui, un quarto era nero e non si capiva da dove fosse arrivato. 

C’era poi un italiano di nome Marini, un ex muratore di sessantasei anni che faceva da capomastro.

Fra i cinque operai non c’era amicizia. I loro discorsi si limitavano a quanto era necessario dirsi durante il lavoro. A Stanis sarebbe piaciuto scherzare ogni tanto e dire qualche battuta. Ma quando ci si era provato, il silenzio degli altri gli aveva fatto capire che il suo spirito non era gradito. Perciò aveva smesso e ora anche lui parlava il meno possibile..

A mezzogiorno, si sedeva con gli altri alla rozza tavola di legno montata su due cavalletti e mangiava rapidamente e in silenzio ciò che si era portato. Poi si rimetteva al lavoro.

Finita la sigaretta, Stanis la lasciò cadere giù dal terzo piano. Il mozzicone rimbalzò proprio davanti ai piedi di un passante. L’uomo alzò la testa e imprecò.

‘Scusa’ gli disse Stanis sporgendosi da sopra ‘non ti avevo visto. Scusa.’

Gli fece anche un gesto con la mano come a considerare chiuso l’incidente.

‘Un altro po’ e mi prendevi in testa’ gridò il passante, un uomo di una quarantina d’anni che portava a spasso il cane ‘la prossima volta ficcatela nel culo quella sigaretta.’

Aggiunse un insulto e se ne andò scuotendo la testa.

Stanis rientrò nell’appartamento e chiuse la porta-finestra. 

Dentro, i termosifoni erano accesi e faceva un bel caldo. Il nero e i due polacchi stavano finendo di dare la seconda mano alle pareti della cucina. C’era un forte odore di vernice.

Marini, accovacciato sulle gambe, scalpellava le mattonelle del pavimento con un grosso martello e un punteruolo. La pancia quasi gli strusciava per terra.

‘Chi è che strillava?’ chiese a Stanis senza alzare gli occhi dal lavoro.

Stanis prese in mano il pennello e si avvicinò agli altri.

‘Ma niente. Un tale, qui sotto. Niente’.

‘Come niente?’ disse Marini ‘se uno strilla ci sarà un motivo. Ce l’aveva con te?’

‘No. Sì, cioè. Si è arrabbiato perché gli è caduta la sigaretta vicino. Ma mica addosso.’

Stanis cominciò a occuparsi del settore di parete che gli spettava. Tinteggiare gli piaceva. Era un lavoro monotono e automatico, che gli lasciava la testa libera per pensare ai fatti suoi.

‘Senti Stanis’ gli disse Marini ‘lo sai che succede se qualcuno si lamenta col principale?’

Stanis non ripose, continuando a spingere il pennello su e giù lungo la parete verde chiaro.

‘Succede’ riprese Marini ‘che quello se la prende con me. E non mi sembra giusto’.

‘Va bene’ disse Stanis ‘ma non è successo niente. Solo una sigaretta sul marciapiede. E poi mi ha anche chiamato stronzo. Credo che basta.’

‘Qualsiasi cosa succede qua dentro’ disse Marini come se Stanis non avesse parlato ‘il responsabile sono io. Ragazzi, cercate di non crearmi problemi. Io sono vecchio. Non mi va che un ragazzotto di trent’anni mi faccia la ramanzina.’

‘Ramanzina?’ disse Stanis ‘ Che significa ramanzina?’

‘E’ quando uno ti tira le orecchie’ rispose Marini ‘come a scuola.’

Stanis rise in silenzio rivolto verso la parete.

‘Al mio paese non si tirano le orecchie a scuola’ disse ‘non ho mai sentito una cosa così’.

‘E al mio paese’ replicò Marini ‘non si tirano i mozziconi in testa alla gente. E credo che basta.’

Gli altri tre operai non dissero nulla. Stanis non si aspettava niente di diverso. 

Erano così abituati all’idea che il lavoro fosse la cosa più importante e preziosa che pensavano solo a come mantenerselo. Non si rendevano conto che tutti in Italia avevano un gran bisogno di loro e che se avessero fatto, mettiamo, uno sciopero, molti di quei ragazzotti di trent’anni avrebbero avuto un sacco di difficoltà. Altro che sigarette.

Ma vedi, Stanis, è come il vento freddo di poco fa. Finché non si trova il modo di farlo smettere, non c’è altro che mettersi al riparo.


Il sangue

In piena estate, un’operaia senegalese di ventidue anni che si chiamava Yandè, si fece male a un dito mentre piantava un chiodo in una cassetta di legno per ortaggi. Il chiodo gli penetrò nel pollice. Senza strillare, Yandè estrasse il chiodo e lo gettò per terra.

Il sangue cominciò a scorrergli su tutta la mano.

Allora sciolse il foulard azzurro che portava sui capelli e con quello si fasciò il dito. Subito dopo, si rimise al lavoro.

Però la voluminosa fasciatura la impacciava e non le permetteva di usare il martello e di afferrare i chiodi. Yandè se la tolse e, per quanto le dispiacesse, se ne infilò in bocca un angolo e con la mano sana me strappò una striscia. La avvolse attorno al dito ferito, la strinse forte e si rimise al lavoro.

Dopo un minuto, la sottile benda di cotone era tutta rossa e il sangue riprese a colare lungo le dita. Yandè tornò a sciogliere la benda e si infilò il pollice in bocca. Le avevano detto che la saliva disinfettava e fermava il sangue. Da lì a un poco aveva la bocca piena di sangue. Non voleva ingoiarlo e lo sputò per terra.

In quel momento la sorvegliante italiana la vide e si avvicinò.

‘Yandè, si può sapere che diavolo combini? Non ti si può lasciare sola un momento. Guarda che disastro.’

Le sue compagne, che raccoglievano pomodori e verdura nel campo sotto il sole, si girarono a guardare. Una strillò quando vide il sangue.

‘Non è successo niente’ disse la sorvegliante ‘è solo un taglietto.’

Disse a Yandè di seguirla e la portò nella baracca degli attrezzi. Lì c’era una piccola cassetta di pronto soccorso.

La sorvegliante la disinfettò con un po’ di alcol, la asciugò con della garza e le fissò un cerotto sopra la ferita.

‘Ecco’ disse ‘meglio che al Policlinico. Dai, che è tutto a posto.’

Yandè si rimise al lavoro, ma in meno di dieci minuti il sangue era tanto da sciogliere il mastice del cerotto, che si staccò e cadde.

Una sua compagna le si avvicinò.

‘Mi sa che è meglio che vai all’ospedale’ disse.

Il sangue aveva formato una piccola pozza ai piedi di Yandè, e continuava a colare.

‘Ma perché non si ferma’ disse Yandè.

La sorvegliante andò a chiamare il principale, che arrivò con una brutta faccia.

‘Ma che c’è?’ disse guardando il sangue con disgusto ‘Di’ un po’, Yandè, sei malata?’

‘No’ rispose Yandè ‘Mi sono fatta male con un chiodo. Però non si ferma.’

Il principale disse che era meglio non andare all’ospedale. Disse che lì avrebbe perso un sacco di tempo per una cosa da niente.

‘Adesso vieni nella mia roulotte e ti faccio mettere il dito nella vaschetta del ghiaccio. Vedrai che ti passa subito.’

‘All’ospedale no’ disse poi alla sorvegliante mentre si avviavano verso la roulotte ‘ci manca solo che le fanno il referto. Quelli poi finiscono alla polizia. Meglio evitare.’

La sorvegliante disse che era d’accordo.

Yandè restò quasi mezz’ora con la mano dentro una bacinella di plastica piena di cubetti di ghiaccio. Alla fine, i cubetti erano rossi come rubini e il sangue continuava a scorrere.

Il principale imprecò.

‘Telefona al dottor…insomma hai capito’ ordinò alla sorvegliante ‘e digli che venga subito, per favore.”

Il dottore arrivò al campo dopo tre quarti d’ora.

‘Eh, ma quanto sangue’ disse entrando nella roulotte.

Il principale aveva avvolto la mano di Yandè in un asciugamano e ne aveva distesi degli altri sul pavimento perché non si sporcasse, ma erano già tutti zuppi.

Il dottore esaminò il dito di Yandè.

‘Come ti senti?’ le chiese.

Yandè disse che aveva freddo e molta sete.

‘Certo, con questo caldo’ disse il dottore.

Disse che bisognava mettere un punto e che non c’era pericolo.

Yandè si mise a piangere.

‘Piantala Yandè’ disse il principale ‘che non è nulla’.

Il dottore tirò fuori i ferri dalla borsa.

‘Tenetela ferma’ disse, e mentre il principale e la sorvegliante bloccavano il braccio e le spalle di Yandè che strillava e si agitava , mise il punto e fece la medicazione.

‘Ci vorrebbe l’antitetanica’ disse prima di andarsene.

Yandè piangeva tenendosi il dito con la mano sana. Il principale le portò un bicchiere d’acqua.

‘Bevi’ le disse ‘ e per oggi niente più lavoro. Ti riposi. Va bene?’

La sorvegliante la accompagnò nella baracca.

‘Stenditi e cerca di stare buona’ le disse, e se ne andò.

Yandè aveva ancora sete ma si sentiva stanchissima e non ce la faceva ad alzarsi per chiedere l’acqua. 

Il dito le faceva male. Se lo guardò. La garza della medicazione era già tutta rossa. Dentro il suo pollice c’era qualcosa che premeva e che voleva uscire a tutti i costi, come l’aria da un palloncino troppo gonfio.

Yandè si distese sulla brandina e chiuse gli occhi. Dopo una mezz’ora sentì uno strappo forte proprio sul pollice e subito dopo il dolore cessò.

Yandè si sentiva sfinita e tremava di freddo in pieno agosto. Ma il dolore non c’era più, e si addormentò.

Il sangue uscì dal suo pollice fino all’ultima goccia. Le riempì il vestito e si sparse sul pavimento di terra battuta, che lo assorbì in gran parte.


Il fuoco

Di un operaio italiano di nome Antonio Ricci, che lavorava in un altoforno, si persero improvvisamente le tracce verso le dieci del mattino.

Un paio di compagni dissero che quel giorno era venuto al lavoro come sempre, e così risultava anche all’ufficio del personale, dove fecero una verifica sui cartellini magnetici.

Il direttore voleva evitare che la faccenda interferisse con la produzione. Convocò nel suo ufficio due funzionari e li incaricò di fare rapidamente un giro dei reparti e di avvisare la sorveglianza.

‘Non è che uno prende e sparisce nel nulla’ disse ‘forse si è sentito male da qualche parte. Che ne so, magari in bagno.’

Questa fu giudicata una buona idea. Nell’altoforno c’erano dodici bagni che furono tutti ispezionati senza che si trovasse alcun segno di Antonio. 

Inoltre, il capo della sorveglianza escluse nel modo più assoluto che qualcuno potesse entrare o uscire dalla fabbrica senza essere visto.

‘Naturalmente’ disse il direttore ‘ volevo solo una conferma tecnica. Ricci deve essere ancora qui dentro, su questo non ci sono dubbi.’

Attorno alle dodici, due addetti alle pulizie, che avevano sentito qualcosa, dissero a un delegato sindacale di aver visto Antonio dirigersi verso il settore B, quello dove si trovavano i forni di essiccazione.

‘Ma a che ora?’ chiese il delegato.

I due si guardarono.

‘Saranno state le nove’ disse uno dei due.

‘E perché non me l’avete detto prima?’

I due si guardarono di nuovo.

‘Prima quando?’ chiese lo stesso che aveva parlato prima.

Il delegato andò diritto al settore B e parlò col caporeparto.

Quest’ultimo disse che Antonio gli si era presentato verso le nove e un quarto dicendogli che doveva fare una verifica sul sistema di combustione.

‘E’ il suo lavoro’ disse ‘non ci ho trovato niente di strano. Ma perché, che è successo?’

‘Niente’ disse il delegato ‘Non si sa che fine abbia fatto.’

Il delegato e il caporeparto guadarono in ogni angolo del settore B.

Nel reparto essiccazione lavoravano in tutto cinque operai specializzati, che sorvegliavano i pannelli e i computer. Non avevano visto Antonio, ma non potevano escludere che fosse passato di lì.

‘Eppure era lui’ disse il caporeparto ‘conosco Ricci da dieci anni. Era lui.’

Il delegato attraversò l’intero altoforno e raggiunse il settore manutenzione, dove lavorava Antonio. Chiese del caporeparto.

‘Assolutamente no’ rispose quello ‘non gli ho detto io di fare la verifica della combustione. Non c’era nessun motivo.’

‘E allora perché c’è andato?’ chiese il sindacalista.

Il caporeparto alzò le spalle.

‘E’ lei che me lo sta dicendo. Io non lo so. Evidentemente, si è allontanato senza avvisarmi.’

Verso le due, il direttore convocò una riunione del suo ufficio. C’erano i capireparto, i due funzionari che avevano cercato Antonio la mattina e tre delegati sindacali,

‘Non possiamo più aspettare’ disse il direttore ‘anzi, abbiamo già aspettato troppo. La voce ormai si è diffusa. Dobbiamo avvisare la polizia.’

I sindacalisti dissero che sarebbe stata meglio avvisarla prima.

‘Prima quando?’ si arrabbiò il direttore ‘Signori, questo non è un asilo d’infanzia. Ci si può assentare anche senza la giustificazione dei genitori.’

Un funzionario alzò una mano per chiedere la parola.

‘Avvisiamo la polizia, certo, è meglio anche da un punto di vista legale. Non si sa mai. Però volevo proporre, nel frattempo, di far chiamare Antonio attraverso il sistema di altoparlanti interno. Non si sa mai.’

Il direttore disse che l’idea gli sembrava ridicola. Poi ci ripensò.

‘Va bene’ disse facciamo pure questo tentativo. Ma io intanto telefono al commissariato. No, ai Carabinieri.’

Per mezzora, i sindacalisti si misero dietro a turno dietro ai microfoni della centrale e lessero questi messaggi:

‘Antonio Ricci, la stiamo cercando. Se ci ascolta, si metta subito in contatto con un qualsiasi addetto allo stabilimento.’

E poi:

’Chiunque abbia notizie di Antonio Ricci, le comunichi al proprio caporeparto.’

Gli operai ridevano in tutto l’altoforno.

‘Questo è un carcere di massima sicurezza’ dicevano ‘da qui non evade nemmeno l’uomo invisibile. Figuriamoci Ricci.’

Il maresciallo dei Carabinieri arrivò dopo una mezz’ora. Disse chiaro e tondo al direttore che la faccenda, al momento, non era di loro competenza.

‘In caso di incidente sarebbe diverso’ disse. Ma così come stanno le cose, lei deve prima avvisare la famiglia e poi saranno loro, eventualmente, a denunciare la scomparsa. Trattandosi di un soggetto maggiorenne, voglio dire.’

‘Ma guardi che stamattina Ricci era qui’ disse il direttore ‘e non è possibile che sia uscito.’

Il maresciallo sorrise.

‘Sa’ disse ‘ la gente scappa anche di galera. Perché da una fabbrica no?’

Il direttore telefonò a casa di Ricci, ma non sapeva cosa dire.

‘Che significa scomparso?’ chiese la moglie

I sindacalisti decisero di continuare con gli appelli per un’altra mezz’ora.

Gli operai ridevano. Alcuni ridevano più forte degli altri. Si sentiva ridere per tutto l’altoforno.

A un certo punto un operaio anziano del reparto laminatoi disse: 

‘L’unico modo di uscire da qui è di gettarsi nella fornace. Allora sì che te ne vai. Te ne vai in fumo. Allora sì che non ti trovano più.’

Ma tutti dissero che era impossibile. Non c’era modo di arrivare fino alla fornace.

‘Avrebbe dovuto volare’ disse uno

‘Ma no’ disse il vecchio ‘Al limite, basta saltare dentro uno dei carrelli. Quello arriva su e ti scarica dentro. Basta che non ti vede nessuno.’

‘Ma figurati’ disse un altro ‘ qui è tutto pieno di telecamere. Ti guardano anche quando pisci. Figurati.’

‘E poi che motivo aveva?’ chiese un giovane operaio appena assunto ‘Io non lo conosco, questo Ricci. Ma perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere?’ 




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