Da: https://mondodomani.org/dialegesthai - Carla Maria Fabiani, Università del Salento. Department of Humanities - dialettica.filosofia - FRANCESCO-VALENTINI
Leggi anche: Il tema hegeliano del "riconoscimento". - Stefano Garroni
Studio su Hegel: Filosofia, Storia, Etica - Stefano Garroni
HEGEL, SCIENZA DELLA LOGICA (1812)
Vedi anche: Hegel: Fenomenologia dello spirito. La questione ontologica della "cosa stessa" - Remo Bodei
- La conversazione cadde sulla dialettica. “In fondo — disse Hegel — la dialettica non è altro che lo spirito di contraddizione [Widerspruchsgeist], regolato e metodicamente coltivato, insito in ogni uomo; uno spirito che celebra la sua grandezza nella distinzione tra il vero e il falso [Unterscheidung des Wahren vom Falschen].” “Purché — intervenne Goethe — questa capacità e queste arti dello spirito non siano così spesso male impiegate e utilizzate per rendere vero il falso e falso il vero.” “Certo — ribatté Hegel — questo succede, ma soltanto ad uomini che hanno lo spirito malato [die geistig krank sind].” - [J.P. Eckermann, Colloqui con Goethe, 18 ottobre 1827].
1. Ineffabile e Anima in alcuni testi di Hegel
Consideriamo qui alcuni testi ‘anomali’ della produzione hegeliana: l’Antropologia, la prima parte dello spirito soggettivo della Grande Enciclopedia del 18301 e le Vorlesungen über die Ästhetik, raccolte e pubblicate da H. Gustav Hotho (1836-38 e poi 1842).2 L’anomalia consiste nel prendere come base filologica del nostro intervento testi in gran parte non pubblicati dall’autore: l’Estetica, per es., è frutto di una sistemazione da parte di Hotho di appunti e manoscritti di Hegel e dei suoi allievi senza distinzione e con forzature (ormai ampiamente riconosciute) operate sui testi di lezione per garantire un impianto organico dell’opera a stampa; l’Antropologia è un testo corposo e degno di nota solo a patto che si leggano le Aggiunte, cioè quelle note ai singoli paragrafi, non pubblicate dall’autore, ma frutto anch’esse di appunti e/o manoscritti di lezione.3
Lavorare principalmente su testi non pubblicati da Hegel, tuttavia, non può essere considerato anomalo, visto che la maggior parte della critica più recente sta operando proprio in questa direzione.4 L’anomalia allora si sposta dal piano strettamente filologico a quello filosofico e di contenuto. Come e perché tenere insieme e leggere insieme l’Estetica e l’Antropologia.
La nostra proposta, al riguardo, è quella di articolare una nozione hegeliana che compare nell’incipit della Logica: unsagbar, tradotto come indicibile o ineffabile:
S’intende, o si opina [Man meint], che l’essere sia anzi l’assoluto Altro che il nulla, e niente è più chiaro che la loro assoluta differenza, e niente sembra più facile, che di poterla assegnare. Ma è altrettanto facile convincersi che ciò è impossibile e che cotesta differenza è ineffabile [unsagbar].5
È qui che Hegel pone il problema del Cominciamento, a cui è connessa tutta la trattazione della monotriade Essere-Nulla-Divenire.
L’unità immediata degli opposti Essere e Nulla, a questo livello logico d’astrazione, è una indeterminatezza, ovvero è la categoria del Divenire, che li ricomprende entrambi, senza però distinguerli. Tale indistinguibilità di ciò che il linguaggio invece dice e intende come distinti, è un paradosso o una “contraddizione che si distrugge da sé”, che precipita in un “resultato calmo”: cioè nella quiete del linguaggio determinato, del logos vero e proprio. Laddove, le contraddizioni vengono superate, almeno nell’intendimento di Hegel.
Sul piano della comunicabilità di tale categoria (il Divenire come unsagbar) si crea una situazione paradossale: il linguaggio naturale, ordinario, ma anche il linguaggio colto e filosofico (si pensi all’estí di Parmenide), distinguono nettamente l’essere dal nulla. Eppure, sostiene Hegel, l’essere e il nulla, in quanto tali, sono entrambi astrazione, immediatezza e soprattutto indeterminatezza. Ciò che allora si può dire è il passare dell’essere nel nulla e viceversa. Nel momento in cui io dico essere, esso è già passato nel nulla e viceversa. Il mio dire “essere” dice “nulla”; il mio dire “nulla” dice “essere”. E questa indistinzione dei distinti, cioè questa contraddizione paradossale, investe il linguaggio comune (la Meinung) e la logica dell’astratto.
Questo passare indeterminato o questa difficoltà che il logos esperimenta al suo inizio, è il Divenire: unità immediata di Essere e Nulla. Tuttavia, anche il divenire, per essere detto e pensato, presuppone la distinzione di ciò che in lui è unito come indistinto. Se diciamo infatti che il Divenire è l’unità di Essere e Nulla, intendiamo che i due siano in qualche modo distinti. Viceversa, qui, tra essere e nulla, non sussiste distinzione di sorta. E dunque, anche il Divenire come monocategoria, questo sparire o essere già sparito dell’essere nel nulla e del nulla nell’essere, è indicibile, ineffabile. È “dileguare del dileguare” che conduce la volontà allo stremo e la logica all’aporia.6
La difficoltà logico-linguistica di comunicare l’inizio, l’astratto, indeterminato, immediato in quanto tale, ricompare significativamente nell’Antropologia, a proposito dell’anima e delle sue patologie e nell’Estetica — a più riprese — a proposito, per es., dell’unità immediata di significato e forma nel Simbolismo incosciente. Dove leggiamo parole analoghe a quelle dell’inizio della Logica:
In questa prima unità, dunque, non vi è alcuna differenza di anima e corpo, concetto e realtà; il corporeo e il sensibile, il naturale e l’umano non sono solo un’espressione di un significato che deve essere da essi distinto, ma quel che appare è esso stesso colto come la realtà e la presenza immediata dell’assoluto […]. [Hegel, Estetica, trad. it., p. 367]
L’unità immediata di significato universale (Dio, l’assoluto) e forma sensibile che lo designa simbolicamente come realtà presente ai sensi, qui ed ora, caratterizza il simbolismo incosciente dell’arte religiosa d’Oriente (Hegel pensa al culto dei lama, a Zoroastro, ma anche ad alcuni aspetti del cattolicesimo: tutti esempi di animismo religioso). Qui non si è consapevoli della distinzione che deve sussistere fra segno o forma naturale e significato, cosicché tale connessione dei distinti (di forma naturale e di significato sovranaturale) non può nemmeno essere rappresentata artisticamente (la distinzione è ineffabile); laddove, il simbolico vero e proprio presuppone la distinzione-scissione di significato e forma. L’arte simbolica vera e propria nasce infatti da quella scissione come esigenza di ricongiunzione dei distinti-scissi.
Avremmo qui, nel simbolismo incosciente, cioè nel simbolismo che non distingue forma e significato, una sorta di ineffabile sul piano della rappresentazione artistica, analogo a quello della logica.
Leggiamo l’Antropologia:
In questa determinazione ancora astratta, [l’anima] non è però che il sonno dello spirito: — il nous passivo di Aristotele, che secondo la possibilità in potenza è tutto. [Enz. , §389]
L’unione indistinta di ciò che è distinto solo in potenza — anima e corpo — caratterizza un primo livello della psiche umana che, secondo Hegel, coincide con l’indeterminatezza sul piano del soggettivo-spirituale. Assistiamo alla nascita dello spirito. Il nous passivo aristotelico, il sonno dello spirito, la passività dell’inconscio, la potenzialità indeterminata di assumere qualsivoglia determinatezza. Esperienze umane in stato di semicoscienza, cioè inconsce, come nel sonno-sogno, prive di logica discorsiva.
L’anima, in questo senso, è sì l’assoluto, ma astratto, indeterminato. Essa è tutto e niente. Tutto e il contrario di tutto. L’ineffabile sul piano psico-antropologico. Come la monotriade Essere-Nulla-Divenire dell’inizio della Logica.
E ancora l’Estetica, a proposito del bello naturale e dell’idea come vita:
Se interroghiamo la nostra coscienza comune nei riguardi della vitalità, abbiamo in essa da un lato la rappresentazione di corpo, dall’altro quella di anima. […] Tuttavia l’interesse altrettanto importante della conoscenza riguarda l’unità di anima e di corpo, la quale ha sempre opposto le più grandi difficoltà alla considerazione del pensiero. […] Noi non dobbiamo quindi intendere l’identità di anima e corpo semplicemente come connessione [Zusammenhang], ma in un senso più profondo. [Estetica, trad. it., p. 137]
E quale sarebbe questo senso più profondo. Forse l’Antropologia può risponderci nel merito:
La sensazione [die Empfindung] è la forma del torpido agitarsi dello spirito nella sua individualità priva di coscienza e d’intelletto, nella quale ogni determinatezza è ancora immediata, posta come non sviluppata sia riguardo al contenuto sia riguardo all’opposizione di un qualcosa di oggettivo di fronte al soggetto […]. [Enz. , § 400]
La Empfindung non come sensazione di qualcosa, ma come sensazione animica, luogo inconscio della umana psiche — ancora priva di coscienza e d’intelletto — nel quale il soggetto non è totalmente presente a se stesso. Questo primo livello spirituale, in cui ci sentiamo uniti con il tutto, senza distinzione di sorta, può dar luogo a malattia e alienazione mentale; disagio psico-fisico nella formazione di sé come Sé (Selbst), soggetto o Geist. Può impedire la realizzazione di contesti intersoggettivi. Nell’Antropologia è ampiamente trattato il tema dell’alienazione mentale e della patologia psichica.
Nell’Estetica, questa condizione torbida e tendenzialmente patologica attribuita alla sensazione, livello psichico pre-coscienziale in cui anima e corpo sono indistinti, e in cui viene a mancare ogni principio di individuazione di un soggetto difronte a un oggetto o a un altro soggetto (la coscienza, l’autocoscienza, l’Io), è attribuita all’esperienza dell’amore romantico, in quanto perdita di coscienza:
Questo perdersi della propria coscienza nell’altro, questa parvenza di abnegazione e di disinteresse, con cui soltanto il soggetto ritrova se stesso e diviene un Sé, questa dimenticanza di sé, di modo che l’amante non esiste per sé, non si cura, né vive per sé, ma trova in un altro le radici della propria esistenza e pur tuttavia in quest’altro gode interamente se stesso, costituisce l’infinità dell’amore. [Estetica, trad. it., p. 630]
Nell’esperienza dell’amore romantico accade quello che accade all’anima senziente: perdita totale del principio d’individuazione. Perdita di coscienza. Perdita di determinatezza e distinzione. L’unità dei distinti — l’unità degli amanti o dell’anima col suo corpo — non è racchiusa entro una rete di connessioni, di mediazioni, ma, come nella psicologia della forma, è sé e contemporaneamente altro da sé, uniti come indistinti. Non sembra esserci dialettica. È una contraddizione paradossale, una contraddizione che non si risolve, a meno che non si distrugga da sé.7 Ovvero, non può essere riferita alla logica tout court, cioè alla logica discorsiva. Gli amanti sono muti. Così come è muto il folle. Per Hegel infatti, parlare e pensare è determinare.
Così, ad esempio, un Inglese cadde in una mancanza d’interesse per ogni cosa, prima per la politica, poi per i propri affari e la propria famiglia; se ne stava seduto in silenzio, con lo sguardo rivolto davanti a sé; per anni non disse una parola […] Lo si guarì facendogli sedere di fronte un altro, vestito esattamente come lui, il quale lo imitava in ogni suo gesto. Questo causò nel malato un’intensa eccitazione, durante la quale la sua attenzione fu costretta a rivolgersi all’esterno, e quell’uomo che si era sprofondato in se stesso fu durevolmente portato fuori di se stesso. [Enz., §408Z]
Ricordiamo l’esperienza fenomenologica dell’anima bella e il suo rifiuto di parlare-perdonare.8 Il suo rifiuto di riconoscimento e di tradurre in linguaggio — cioè nell’esserci dello spirito — l’alterità, costituisce un vero e proprio ritorno indietro. Tanto più se pensiamo all’incipit fenomenologico, all’iniziale balbettio della certezza sensibile difronte alla richiesta di mettere per iscritto che cos’è il Questo. Almeno al suo inizio, la coscienza non parla, è muta, scrive quasi sotto dettatura, prestandosi al “gioco del concetto” e della mediazione quasi in stato di semicoscienza. L’esperienza mostra il dileguare istantaneo dell’immediato (del Questo, del singolo come tale, dell’opinione) se solo pronunciato, se detto:9 la logica discorsiva subentra, ma non supera l’ineffabilità.
Ora, a partire dalle brevi citazioni riportate supra, noi vorremmo provare a indicare una via di ricerca interna ai testi di Hegel, con la pretesa di far interagire quei testi fra loro, con l’intento di chiarire il nodo filosofico intorno a cui tutte quelle citazioni sembrano ruotare.
Hegel individua un ambito, propriamente umano, in cui l’immediato, l’astratto, l’indeterminato e l’indistinto, assumono portata e dignità ontologica: essi sono l’assoluto. Sono tutta la realtà. Sono l’aurora dello spirito, il logos al suo inizio, la filosofia di Parmenide, sono l’anima di Aristotele, sono l’amore romantico, ma sono anche il patologico, l’alienazione mentale, la follia e la malattia psichica del soggetto umano.
Sono esperienze di coscienza, logiche, antropologiche, artistiche, con spiccato carattere di assolutezza. Eppure, tali realtà, tali esperienze, sono fondamentalmente ineffabili.
Ciò che le accomuna è l’indistinzione di ciò che è linguisticamente distinto; l’indeterminatezza; la paradossalità; la mancanza di linguaggio; l’assenza di logica non contraddittoria; l’irrazionalità; la patologia. Il permanere e l’insistere o il ricadere nella dimensione pre-coscienziale e inconscia, in cui ciò che ancora manca (o che viene a mancare) è il principio di individuazione del soggetto o Geist. Una dimensione antropologica deficitaria di forma soggettiva e di forma circolare della soggettività.10 Siamo così immersi nell’Anfang.
Riteniamo che l’indagine su questi testi, possa restituire un percorso tutto interno alla sistematica hegeliana, ma, per così dire, a rovescio: Hegel, campione della trasparenza e della razionalità tout court, o del soggetto assoluto, della perfetta intersoggettività, viene qui considerato come filosofo dell’anima, del patologico, dell’ineffabile, del soggetto dimidiato e scisso, a un passo dal tramonto del proprio sé.
2. Anfang come Ursprung. Sull’origine dell’uomo in Hegel
Alla luce di quanto detto finora, potrebbe essere posta la domanda se in Hegel sia rintracciabile o meno una precisa concezione dell’uomo e della natura umana: a partire dall’anima — dalla nascita dello spirito — fino alla modalità con cui il Geist prende forma autocoscienziale, pienamente soggettiva, individuata come soggetto oggettivamente intersoggettivo (l’oggettività è data dal linguaggio del perdono come Dasein dello spirito assoluto). Esiste un problema antropologico dell’origine in Hegel? Hegel ritiene possibile definire concettualmente l’uomo?11
La risposta sembrerebbe affermativa: sì, lo spirito hegeliano, il Geist, ha fattezze e movenze decisamente antropomorfe e tematizzabili antropologicamente. La natura umana in Hegel sarebbe quindi nozione rintracciabile nella triade Antropologia-Fenomenologia-Psicologia.12
Avvalora questa tesi la lotta per il riconoscimento (della Fenomenologia del 1807),13 la cui miccia scatenante è il desiderio, desiderio di riconoscimento, che contraddistingue l’anthropos, cioè l’autocoscienza. Da quella lotta tutta umana prende avvio poi un cammino di liberazione affidato al lavoro (servile). La mediazione del lavoro pone la natura umana nella storia come seconda natura, attribuendole piena consistenza ontologica superiore alla natura tout court. La natura umana come seconda natura o come cammino di liberazione dal naturale come tale.14
Tuttavia, la determinazione dell’anthropos in quanto seconda natura, lascia intendere che esso sia intimamente scisso fin dall’origine, cioè strutturalmente bino e duale. La difficoltà di definire, secondo logica dell’identità, la natura dell’uomo, risiede proprio in questa sua irriducibile duplicità/dicotomicità che Hegel definisce come una “straordinaria scissione”, tra finito e infinito, tra natura e spirito, fra libertà e necessità. Ed è proprio questa difficoltà che ritorna in alcuni testi hegeliani. La difficoltà cioè di identificare la natura umana, attribuendole univoca consistenza ontologica. In questo quadro di riferimento, la libertà viene ad assumere connotazione negativa: essa è il male o il peccato originario che dà metaforicamente avvio alla “straordinaria scissione”. Sorprendentemente la natura umana compare “in capo alla Logica”, in una Aggiunta al §24 dell’Enciclopedia (1830). Si tratta della lettura hegeliana del “mito mosaico del peccato originale”, della caduta originaria dell’uomo. Il mito del peccato originale viene considerato estremamente significativo soprattutto perché illumina l’origine — nozione non proprio cara ad Hegel — come luogo propriamente umano poiché strutturalmente scisso.15
Ma c’è un altro luogo della Logica in cui la natura umana acquisisce addirittura carattere metamorfico:
L’animo dell’uomo e la natura sono il Proteo che continuamente si trasforma [Das Gemüt des Menschen und die Natur sind der sich stets verwandelnde Proteus] ed è una riflessione che viene molto naturale quella che le cose non sono in sé come si presentano in modo immediato.16
Qualcosa diventa un altro, ma l’altro è esso stesso qualcosa, e quindi diventa ugualmente un altro, e così all’infinito [Unendliche].17
La natura umana è sottoposta a modificazioni interne ed esterne che si presentano fissandosi come dualismi. Alla riflessione (Nachdenken) appaiono proprio come stati alternativi ed escludentisi reciprocamente: Proteo-leone esclude Proteo-serpente, che a sua volta esclude Proteo-uomo, ecc. Un cattivo infinito. Il mito racconta che Proteo, l’omerico guardiano di foche, non interrompesse mai il ciclo delle sue infinite metamorfosi per tenere lontano gli uomini che da lui si recavano per conoscere il futuro. Per afferrare Proteo (la natura umana) e farlo parlare (e definirla), bisogna perciò coglierlo nel sonno o con l’inganno (implica paradossi).
Tuttavia, tenere fermo l’animo umano non è un errore. Qualora si voglia riflettere sull’in sé (chi è veramente Proteo?) o si voglia pre-vedere la forma trasformata che il nostro animo attende di assumere (l’oracolarità dell’azione ovvero la talpa o l’oscuro tessere dello spirito, ecc.) o, ancora, si voglia intravedere la rete di relazioni (interne ed esterne) che le nostre trasformazioni producono. Esiste anche la possibilità, ossia vi sono tutte le condizioni, affinché tale proteiformica natura dell’animo umano si acquieti e, pur rimanendo tale, trovi dentro e fuori di sé un livello di coscienza o semplicemente un punto di vista che le permetta di procedere, nelle sue trasformazioni, per liberarsi. Liberarsi dal ‘due’; da una visione che si ostina a considerare il ‘due’, l’aut aut, come inconciliabile. Invece, lo spirito, secondo Hegel, concepisce una terza via, che corrisponde al riconoscimento, al perdono del male, al raffinamento di quel processo di individuazione/universalizzazione, che caratterizza il Selbstbewusstsein.
E tuttavia, la possibilità di un ritorno indietro dall’autocoscienza, dallo spirito è sempre presente. Se consideriamo la natura umana come seconda natura, ovvero come pseudonatura,18 in ambito spirituale (soggettivo e oggettivo) si ripropongono meccanicismi o processi di universalizzazione che sopprimono il singolo, non lo superano (nel senso dell’aufheben). Il riferimento è ad alcuni luoghi dello spirito oggettivo, al mondo dell’economia — la bestia selvaggia di Jena — ma anche al tema della violenza in ambito internazionale, laddove, dice Hegel, si realizza il vero stato di natura. All’altezza dello spirito soggettivo, pensiamo alla follia in cui cade l’anima che non si trascende in coscienza — cioè che ritorna indietro all’inizio, all’origine, all’ineffabile — o l’ipocondria in cui cade un’anima bella a seguito della scelta di non perdonare, di non parlare e di non riconoscere, rappresentando un caso emblematico di ritorno indietro da condizioni ormai altamente spirituali ed intersoggettive della coscienza.
3. Considerazioni conclusive
Potrebbe essere individuato un filo conduttore che metta in risalto, nei testi hegeliani sopra citati, i passaggi aporetici,19 non tanto per decostruire l’argomentazione sistematica di Hegel, ma per rintracciare in essa le difficoltà nelle quali Hegel pone il soggetto moderno. Partiamo dal presupposto che Hegel abbia tematizzato e ricostruito la formazione della soggettività in età moderna e l’abbia contestualmente criticata alla radice.20 Il soggetto moderno di Hegel è perciò quell’idealtipo umano d’Occidente che, se da una parte raggiunge sul terreno della storia — a far tempo dalla bella eticità greca fino all’Europa napoleonica — compattezza e consistenza ontologica su tutti i campi e fronti umanamente praticabili (arte, religione, filosofia, politica, pensiero ed azione), tuttavia, tale formazione, lascia dietro di sé costi umani inestimabili — la storia del mondo come mattatoio o l’impossibilità di una pace perpetua nell’articolazione internazionale del mondo — o addirittura vuoti e mancanze di soggettività tout court.21 L’apparente ottimismo hegeliano, teso verso una compiutezza spirituale dell’uomo, può forse essere percorso al contrario, alla rovescia.
Quale l’utilità di questo cammino all’inverso? Forse quella di riattualizzare un eminente pensatore della modernità, rintracciando nei suoi testi quello che, tra le righe e certo non immediatamente visibile, viene tratteggiato come la serpe che la modernità si è coltivata in seno. Il soggetto e il proprio mondo, in età moderna, all’apice del loro comune processo di formazione/conciliazione, lasciano trasparire elementi di criticità che ne investono, a lungo andare o se portati all’estremo, la stessa sostenibilità e stabilità ontologica.
In questo senso, si potrebbe pensare a un sistema hegeliano aperto. Aperto nel senso che, qualora i punti critici dovessero emergere dallo sfondo o dall’oscuro pozzo della ragione,22 avremmo la prefigurazione di scenari totalmente inediti, nient’affatto precorsi dal sistema filosofico che pure li ha suggeriti o idealmente anticipati. È la filosofia come nottola nella sua relazione dialettica con la talpa.23 È una filosofia totalmente aperta ad essere anche reinterpretata, criticata, superata.
Ringrazio il prof. F. Valentini per i consigli che mi ha dato in merito ad alcuni punti. Va da sé che errori e limiti presenti nel testo sono solamente miei.
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G. W. F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse (1830), in Werke in 20 Bänden, Bänden VIII-X, Suhrkamp Verlag, Berlin 1970. Da ora in poi W. [Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio con le Aggiunte a cura di L. von Henning, K. L. Michelet e L. Boumann. Parte prima: La scienza della logica, a cura di V. Verra, Torino 1981; parte seconda: Filosofia della natura, a cura di V. Verra, Torino 2002; parte terza: Filosofia dello spirito, a cura di A. Bosi, Torino 2000] Da ora in poi Enz. con indicazione del paragrafo. ↩︎
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In W., Bänden XIII-XV, trad. it.: Estetica, 2 tomi, a cura di N. Merker e N. Vaccaro, Introduzione di S. Givone, Torino 1997 (2). ↩︎
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Su questo cfr. G. Severino, Inconscio e malattia mentale in Hegel, Genova 1983. L’autore ricostruisce la tessitura del testo hegeliano dell’Antropologia basandosi sostanzialmente sul commento alle Zusätze. In questa sede seguiamo anche la lezione di: R. Bonito Oliva, La magia dello spirito e il gioco del concetto. Considerazioni sulla filosofia dello spirito soggettivo nell’Enciclopedia di Hegel, Milano 1995, pp. 15- 194, e di F. Chiereghin L’Antropologia come scienza filosofica in: AAVV, Filosofia e scienze filosofiche nell’«Enciclopedia» hegeliana del 1817, a cura di F. Chiereghin, Trento 1995, pp. 429-454. ↩︎
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Teniamo presente il lavoro di traduzione e di studio che si sta compiendo in Italia delle Vorlesungen. Ausgewählte Nachschriften und Manuskripte, In Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft, herausgegeben von der Nordrhein-Westfälichen Akademie der Wissenschaften, Hamburg, Felix Meiner Verlag, 1983-: Bd 2, Vorlesungen über die Philosophie der Kunst (1823), trad. it. a cura di P. D’Angelo, Roma Bari 2005 (2) e Bd. 13, Vorlesungen über die Philosophie des Geistes del 1827/1828, trad. it. a cura di R. Bonito Oliva, Milano 2000. ↩︎
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Die Wissenschaft der Logik in W., Bd. 5, p. 94. [Scienza della logica, trad. it. a cura di A. Moni e C. Cesa, 2 voll., Roma Bari 1988 (3), vol. I, p. 81] ↩︎
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Per il commento a questo passo cfr. F. Valentini, Soluzioni hegeliane, Milano 2001, pp. 143-157. Secondo Valentini il togliere del divenire non è un passaggio mediato cioè dialettico ovvero una negazione della negazione. Quel “dileguare del dileguare” va inteso come fluire incessante e irrefrenabile del divenire, al quale possiamo opporre solo un atto di puro arbitrio al fine di passare al logos vero e proprio. Per lo “stremo” cfr. F. Chiereghin, Principio e inizio in Hegel, in AAVV, Hegel contemporaneo, a cura di L. Ruggiu e I. Testa, Milano 2003, pp. 523-543. ↩︎
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«Il divenire si contraddice dunque in se stesso, poiché unisce in sé quello che è contrapposto a se stesso; ma una tale unione si distrugge [eine solche Vereinigung aber zerstört sich].» (Scienza della logica, trad. it., cit., p. 99) ↩︎
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Cfr., P.Vinci, L’azione e il suo perdono, in “Pólemos”, Anno I Febbraio 2006, (Roma), pp. 26-53. Vinci parla di trascendenza orizzontale propria del movimento del riconoscimento. Parlare-riconoscere sarebbe perciò un vero e proprio trascendimento della propria individualità naturale. ↩︎
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«In realtà dire questo è impossibile [aber dies zu sagen ist unmöglich].» (Hegel, Fenomenologia dello Spirito, trad. it. a cura di V. Cicero, Milano 2000, pp. 176-77. [in W, Bd. 3, p. 86]) ↩︎
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Cfr. R.Finelli, Un parricidio mancato. Hegel e il giovane Marx, Torino 2004, pp. 102 e ss. ↩︎
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Che in Hegel sia presente una rappresentazione concreta di uomo è certo: cfr. Rph.§ 190 Anm. [Grundlinien der Philosophie des Rechts, in W, Bd. 7; trad. it. a cura di G. Marini, con le Aggiunte di E. Gans tradotte da B. Henry, Roma-Bari 2001] Il riferimento è a quello che Hegel definisce come la “rappresentazione concreta di uomo” che compare per la prima volta nell’ambito del sistema dei bisogni. Moltiplicazione e scomposizione-differenziazione dei bisogni - e dei mezzi per soddisfarli - è ciò che distingue l’essere umano dall’essere animale: il termine ‘uomo’ corrisponde alla rappresentazione materiale di modalità autoriproduttive di sé, tramite un sistema di connessioni messo in atto spontaneamente, senza un piano o inintenzionalmente. Dunque, la concezione dell’uomo in Hegel - stando a questo passo - potrebbe essere ridotta essenzialmente agli aspetti strettamente materiali del riprodursi in comunità. Tuttavia, qui Hegel fa espresso riferimento al termine “rappresentazione” [Vorstellung] e non “concetto” [Begriff] di uomo. Ciò, per dire che, evidentemente, il piano antropologico che qui si vuole evidenziare è legato a dinamiche ancora naturali, perciò non ancora pienamente spirituali (culturali). Gli uomini qui rappresentati, non sono ancora veri e propri soggetti spirituali. Ricordano più degli automi che degli esseri coscienti. Certo, qualora la Vorstellung abbia anche una valenza autoriflessiva, allora tali uomini, nel loro fare essenzialmente poietico, sanno ciò che fanno e lo sanno-fanno insieme. Su “concetto” e “rappresentazione” e sulla “logica combinatoria” della Filosofia del diritto, cfr.: A. Nuzzo, Rappresentazione e concetto nella ‘logica’ della Filosofia del diritto di Hegel, Napoli 1990. L’autrice ritiene che la Vorstellung sia operante e operativa autonomamente dal concetto nella Filosofia del diritto, realizzando non solo una anticipazione dell’elemento logico in un ambito ontologico che non ha ancora il suo proprio concetto, ma essa va ad esprimere l’esistenza empirica concreta di ciò che nel corso dell’esposizione assumerà una sua figurazione (Gestaltung) completa e fondata concettualmente. La rappresentazione è per la coscienza - assume valenza fenomenologica e intellettualistica - il concetto è per noi. Rimane tuttavia il dualismo e l’irriducibilità delle due logiche all’interno della Filosofia del diritto. Ci chiediamo se a fronte della rappresentazione di uomo/natura umana esista anche il suo concetto. ↩︎
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Cfr. R. Bonito Oliva, Introduzione a Hegel, Lezioni sulla filosofia dello spirito 1827-1828, cit., pp. 9-82. Della stessa autrice cfr. anche: La “magia dello spirito”…, cit., pp. 51 e ss. ↩︎
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Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., pp. 275 e ss. [in W, B.d III, pp. 145 e ss.] ↩︎
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Cfr. L. Cortella, Autocritica del moderno. Saggi su Hegel, Padova 2002, pp. 234 e ss. Cortella ritiene significativo il fatto che in Hegel l’autocoscienza sia posta dalla presenza data (come fatto naturale e immediato) di un’altra autocoscienza. Questa oggettività posta fuori del Selbstbewusstsein viene poi sviluppata come condizione trascendentale del riconoscimento e dell’intersoggettività non pienamente contenuta-realizzata nei soggetti in gioco (p. 277). Cortella parla significativamente di una originarietà dell’etico che andrebbe rielaborata anche oltre Hegel. Dunque, l’origine è condizione trascendentale (strutturale) del nostro fare, agire morale e del nostro stare insieme. Origine sì naturale, immediata e data, ma presupposta trascendentalmente nel processo di formazione della soggettività. È la soggettività che la pone come suo presupposto etico-intersoggettivo. ↩︎
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“Un’antica rappresentazione dell’origine [Ursprung] e delle conseguenze di quella scissione [Entzweiung] ci è data nel mito mosaico del peccato originale. […] Ora nel nostro mito è detto che Adamo ed Eva, i primi uomini, l’uomo in generale [der Mensch überhaupt], si trovavano in un giardino dove c’era un albero della vita e un albero della conoscenza del bene e del male.” (Enz., Zusatz n.3 al §24). Hegel prosegue poi la lunga aggiunta sottolineando l’originaria condizione di dualità in cui si trova l’uomo: “Quanto poi al fatto che Dio avrebbe scacciato l’uomo dal giardino dell’Eden affinché non mangiasse anche dell’albero della vita, questo vuol dire che l’uomo per il suo lato naturale certamente è finito e mortale, ma nel conoscere è infinito.” ↩︎
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Enz., Zusatz al §28. ↩︎
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Enz. § 93. ↩︎
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Cfr E. Weil, Hegel e lo Stato e altri scritti hegeliani, a cura di A. Burgio, Milano 1988, p. 131 [Id., Hegel e l’Etat, Paris 1950 (19805)]. Weil definisce la società civile hegeliana come pseudonatura che ripropone, in ambito spirituale, la stessa violenza meccanicistica del naturale in quanto tale. Cfr. F. Valentini (Op. cit., pp. 23 e ss.) secondo il quale vi sono due fattori di irrazionalità irrisolta nell’ambito dello spirito oggettivo hegeliano: plebe sul fronte nazionale interno e guerra sul piano internazionale. ↩︎
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È M. Riedel ad aver introdotto significativamente la nozione di aporia nella sistematica hegeliana, a proposito del passaggio dalla società civile allo Stato: cfr. M. Riedel, [Bürgerliche Gesellschaft und Staat bei Hegel. Grundproblem und Struktur der Hegelschen «Rechtsphilosophie», Neuwied-Berlin, Luchterhand, 1970 pp. 63-64; Id., Hegel. Fra tradizione e rivoluzione, trad. e cura di E. Tota, Roma-Bari 1975 (Studien zu Hegels Rechtsphilosophie, Frankfurt a. M. 1969), p. 113 e p. 147 e ss. ↩︎
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Su questo cfr. tutto il testo di L. Cortella citato supra. ↩︎
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Cfr. R. Bonito Oliva, La magia dello spirito…, cit., pp. 165 e ss.; cfr. R. R. Williams, Forme mancate di intersoggettività nella concezione e hegeliana della coscienza nella Fenomenologia dello spirito, in AAVV, Hegel contemporaneo, cit., pp. 563 e ss. ↩︎
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Quanto mai opportuno il rimando alla celebre immagine del Goya: Il sonno della ragione genera mostri. ↩︎
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Cfr. R. Bodei, Sistema ed epoca in Hegel, Bologna 1975. ↩︎
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