*Da: http://www.dialetticaefilosofia.it/
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/la-logica-di-hegel-una-grottesca.html
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Quanto segue traduce e
commenta il primo capitolo di una delle opere filosofiche più importanti, di
certo però la meno facile. Essa oppone infatti alla comprensione il suo stile
unico. Mentre di solito gli scrittori espongono delle convinzioni e cercano di
renderle credibili argomentandole e confutando quelle opposte, la «Scienza
della logica» non propone tesi care al suo autore, ma quelle che si impongono o
in forza della legge dell’inizio o come risultato di quanto le precede. Anziché
poi argomentarle, Hegel si impegna a confutarle mostrando la contraddizione
celata nella loro determinatezza: la dialettica è innanzitutto scetticismo. Non
è soltanto scetticismo perché una tesi confutata, lungi dall’essere un nulla
astratto, è dimostrazione della verità del proprio negativo. Questa capacità di
riconoscere il positivo nel negativo, l’elemento virtuosistico della filosofia
– ciò che Hegel chiama speculativo –, è però il culmine soltanto del
micrometodo. Anche il negativo riconosciuto come positivo incorre infatti nella
sua dialettica, da cui risulta infine un positivo che è negazione del negativo.
La successione di positivo, negativo, negazione del negativo rappresenta il
macrometodo, lo sviluppo completo di ogni concetto in cui si espone la scienza
filosofica. Essa compone tre atteggiamenti che di solito si presentano come
incompatibili: quello dogmatico di chi confida nei principi assoluti, quello
scettico di chi riconosce soltanto la relatività e la mutevolezza, quello
speculativo di chi intuisce la verità come concreta, come conciliarsi di
opposti. Poiché ogni volta percorre questi tre paradigmi di pensiero, la
filosofia hegeliana resta inafferrabile ai lettori irrigiditi nei loro punti di
vista; ne nasce un rancore che la infama con le accuse di aridità, di
ciarlataneria, di demenza. Soltanto uno sforzo di comprensione animato da
impavida fiducia nella razionalità del testo può dissipare i pregiudizi
generati dalle difficoltà ermeneutiche e renderne infine accessibile la
debordante ricchezza teorica.
HEGEL, SCIENZA DELLA
LOGICA (1812).
Traduzione e commento del primo capitolo a cura di Paolo Di
Remigio
C a p i t o l o p r i
m o
–––––– A.
E s s e r e
E s s e r e
Essere, essere puro, –
senza qualunque determinazione
ulteriore. Nella sua immediatezza indeterminata è uguale
solo a sé stesso, ed è anche non disuguale da altro, non ha diversità né al suo
interno né secondo l’esterno. Con
una qualsiasi determinazione o contenuto che vi si differenziasse, o con cui lo
si ponesse come differente da un altro, non sarebbe tenuto fermo nella sua purezza.
È
l’indeterminatezza pura e il puro vuoto. – Non
vi è nulla da intuire, se qui si può
parlare di intuire; ossia, l’essere è
solo questo stesso intuire puro, vuoto.
Neanche vi si può pensare qualcosa, ossia è anche questo pensare solo
puro. L’essere, l’immediato
indeterminato, è in effetti nulla, e né più né meno di nulla.1
–––––– B.
–––––– B.
N u l l a .
Nulla, il nulla puro; è
uguaglianza semplice a sé stesso, perfetta vuotezza, mancanza di determinazione
e di contenuto; indifferenziazione
dentro lui stesso. – In
quanto qui si può menzionare l’intuire o il pensare, fa differenza se si
intuisca o si pensi qualcosa oppure nulla.
Intuire o pensare nulla ha dunque un
significato; il nulla è nel nostro
intuire o pensare; o meglio è
l’intuire puro e il pensare puro stessi; ed è lo stesso intuire vuoto o pensare
vuoto che l’essere puro è. – Dunque il nulla è la stessa determinazione, o
meglio la stessa mancanza di determinazione, e quindi in generale lo stesso che
l’essere puro è.2
–––––– C.
D i v e n i r e
U n i t à d i e s
s e r e e n u l l a
L’essere
puro e il nulla puro sono lo stesso3 . La verità non è l’essere né il nulla, ma
che l’essere è mutato – non «muta» – in nulla e il nulla in essere4. Tuttavia la verità è ugualmente non la
loro nondifferenza, anzi, che sono assolutamente differenti, ma altrettanto
immediatamente ciascuno svanisce nel suo contrario5. La
loro verità è dunque questo moto dello svanire immediato dell’uno nell’altro: il divenire, un moto in cui entrambi sono
differenti, ma di una differenza che si è altrettanto immediatamente dissolta6.
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1 Pur nella sua
brevità, il paragrafo attraversa tutti i tre momenti del
micrometodo: l’essere è dapprima definito, poi falsificato dalla
dialettica interna alla sua definizione, infine questa dialettica ha
un risultato positivo, è già una nuova categoria. – 1. «Essere»
qui non significa l’esserci delle cose mutevoli, cioè il loro
imporsi all’intuizione, ma è la verità nella sua forma più
semplice, più povera: la verità è l’uguaglianza di pensiero e
realtà (adaequatio rei et intellectus), l'essere è questa
uguaglianza astratta da ogni differenza; per la sua purezza non si
riferisce ad altro che a sé stesso; ciò sembrerebbe garantirgli
l’immobilità eleatica. – 2. L’essere è tuttavia corroso da
una sua dialettica; esso si falsifica a causa della disuguaglianza
contenuta proprio nella sua purezza; infatti questa da un lato lo
protegge dalla contaminazione con il determinato che con la sua
differenza turberebbe il semplice riferimento a sé, ma d’altro
lato è sinonimo di vuotezza. Essendo puro, l’essere è
indeterminato, ossia non-determinato; il determinato non è però
semplice nulla, ma unità di negazione e essere; a causa di questo
doppio significato, che l’essere sia indeterminato implica non
soltanto che sia privo di negazione, ma anche che non abbia l’essere
proprio della determinatezza. In altri termini: la determinatezza è
un essere limitato; il negarla all’essere non soltanto gli toglie
il limite, gli sottrae anche l’essere, ne fa un essere senza
essere, dunque lo falsifica. – 3. In virtù del principio della
negazione determinata, la dialettica è però anche speculazione,
ossia la falsità per cui l’essere svanisce è già una nuova
categoria, è la verità della sua negazione: l'essere è la
negazione immediata dell'essere determinato, dunque non è l'essere,
è il vuoto, il nulla. – Espresso in forma più generale,
l'indeterminato è una determinatezza rispetto al determinato; come
ogni determinatezza implica un’unità di differenti che sollecita
la dialettica: proprio per la sua purezza l’essere è il suo
negarsi, ma questo negarsi, come assenza della determinatezza, è in
verità il nulla. Come si vede, il moto di regressione nel nulla non
è aggiunto empiricamente alla quiete logica dell’essere – come
volle credere Trendelenburg –, è invece la disuguaglianza propria
dell’essere; il secondo significato della sua indeterminatezza si
desta e mostra la non validità del primo; la contraddizione insita
nella purezza dell’essere ne svela la nullità, questo svelarsi è
però non solo svanire, ma anche mutamento in nulla.
2 Mentre la
dialetticità dell’essere parmenideo, pur avvertita da Platone ed
Aristotele, ha dovuto attendere l’esposizione hegeliana, la
dialetticità del nulla, come è proprio di ogni seconda fase del
metodo, è posta immediatamente, e fu subito esposta al sorgere della
filosofia dagli eleati. – Anche questo paragrafo attraversa
tuttavia le tre fasi del micrometodo: 1. il nulla è dapprima una
verità immediata: il nirvana buddistico è ispirato a questa sua
immediatezza. 2. Poi emerge la sua dialettica: il nulla non è
l’assurdo, ma in virtù della sua stessa indeterminatezza è
determinato rispetto al determinato; ha significato perché il
pensare (intuire) nulla è differente dal pensare (intuire) qualcosa
di determinato; quindi il nulla è oggetto del pensiero,
dell’intuizione; anzi, poiché nella logica non c’è più
differenza tra soggetto e oggetto, è proprio il pensiero puro,
l’intuire senza determinatezza. 3. Infine la dialettica si rovescia
nella speculazione: poiché ha significato, il nulla è; il suo
confutarsi è uno svanire che è nel contempo verità del non-essere
del nulla, dunque verità dell'essere. – È verosimile che quando
sostenne l’impensabilità del non-essere Parmenide abbia inteso
questo suo immediato confutarsi in essere; egli però, oltre ad aver
ignorato la dialetticità dell’essere, trascurò la verità del
moto di confutazione del nulla e rilevò soltanto quella del suo
risultato. – Come si vede, il moto del micrometodo (dogmatico,
dialettico, speculativo) porta a un avanzamento dalla prima
determinazione alla seconda; lo stesso moto porta a retrocedere dalla
seconda alla prima, così che si forma la circolarità propria del
macrometodo.
3 Il risultato del
punto A. è che l’essere è il nulla, quello del punto B. è che il
nulla è l’essere. Questi due risultati si riassumono nella
proposizione per cui l’essere e il nulla sono lo stesso. Segue la
sua analisi articolata, come al solito, nei tre momenti del
micrometodo. Innanzitutto Hegel rileva il momento positivo della
proposizione, ossia che l’essere e il nulla sono confutati, svaniti
in una identità; il suo secondo momento è invece la loro differenza
in questa loro identità, così la contraddizione all’inizio ancora
latente si fa palese; il terzo momento esprime la realtà positiva
della contraddizione palesata: l’inseparatezza dell’identità e
della differenza di essere e nulla è il divenire.
4 Il primo momento della proposizione precedente è l’identità di essere e nulla: l’essere non è identico a sé, ma è il nulla, il nulla non è identico a sé, ma è l’essere; dunque essere e nulla non sono due cose, sono una cosa sola – un’identità in cui svanisce la differenza tra i soggetti della proposizione. – L’inciso “non «muta»” avverte che se ci si attenesse soltanto a questo primo momento e si riflettesse soltanto sull’identità di essere e nulla trascurando la loro differenza, il divenire, il mutamento, sarebbe non presente, ma già avvenuto. «L’essere è il nulla», «il nulla è l’essere» non equivalgono a «l’essere muta in nulla», «il nulla muta in essere»; le due prime proposizioni sono identità; poiché però sono anche identità tra opposti, esse sono non immediate, ma derivano da un identificare; il moto di identificazione è però avvenuto prima di queste proposizioni, ed esse ne sono soltanto il risultato; dunque in esse l’essere e il nulla non mutano, ma sono già mutati nel loro opposto.
5 Il secondo momento della proposizione «l’essere puro e il nulla puro sono lo stesso» nasce dal porre l’accento sulla differenza tra i soggetti. «L’essere puro» e «il nulla puro» della proposizione sono due soggetti posti esplicitamente come differenti; dunque la copula «sono» non esprime soltanto identità, ma l’identità di una differenza come tale. Così nella proposizione iniziale non c’è l’inerzia della tautologia, ma il movimento della contraddizione: la differenza è affermata nei soggetti e nel contempo negata nel predicato della loro identità. Ciò che quindi si presenta non è l'identità semplice di essere e nulla, ma l’identità come moto del confutarsi della loro differenza: c’è una differenza, ma questa differenza è uno svanire nell’identità. La verità non è tanto la falsità di essere e nulla, ma il loro falsificarsi l’uno nell’altro; essere e nulla non sono apparenze soggettive, ma momenti di un moto.
6 La difficoltà di questo passaggio è che esso, dopo aver focalizzato una contraddizione come tale, contrariamente alla prassi universale, non la lascia andare come se fosse un’inutile assurdità; la contraddizione è risultata dall’analisi di categorie universalmente ammesse e non può essere meno reale delle categorie da cui è derivata; la sua realtà è in effetti la categoria universalmente ammessa di divenire. Poiché è differenza tra essere e nulla e nel contempo è loro uguaglianza, il divenire è la contraddizione nella sua forma più immediata. – Aristotele ha enunciato l’impossibilità di ciò che si contraddice, intendendo con «l’impossibilità» l’assurdo, anziché il mutamento; eppure la contraddizione è riscontrabile in ogni divenire, e lo stesso Aristotele non esita a infrangere il suo principio nella sua geniale definizione del movimento. Essendo infatti al di qua della privazione e della forma, già la materia infrange il principio del terzo escluso e di conseguenza il principio di non-contraddizione; l’estraneità alla forma ne fa tuttavia una potenza; dunque la materia è la contraddizione ma soltanto come potenza non attuata. La definizione del movimento come «atto della potenza in quanto tale», poiché l’atto è la forma e la potenza la materia, può solo significare che il movimento consiste nella materia in quanto accoglie non soltanto una delle forme opposte (con una sola forma sarebbe non il movimento, ma il prima o il dopo del movimento), ma contemporaneamente entrambe le forme opposte, ossia che è la contraddizione come esistenza
4 Il primo momento della proposizione precedente è l’identità di essere e nulla: l’essere non è identico a sé, ma è il nulla, il nulla non è identico a sé, ma è l’essere; dunque essere e nulla non sono due cose, sono una cosa sola – un’identità in cui svanisce la differenza tra i soggetti della proposizione. – L’inciso “non «muta»” avverte che se ci si attenesse soltanto a questo primo momento e si riflettesse soltanto sull’identità di essere e nulla trascurando la loro differenza, il divenire, il mutamento, sarebbe non presente, ma già avvenuto. «L’essere è il nulla», «il nulla è l’essere» non equivalgono a «l’essere muta in nulla», «il nulla muta in essere»; le due prime proposizioni sono identità; poiché però sono anche identità tra opposti, esse sono non immediate, ma derivano da un identificare; il moto di identificazione è però avvenuto prima di queste proposizioni, ed esse ne sono soltanto il risultato; dunque in esse l’essere e il nulla non mutano, ma sono già mutati nel loro opposto.
5 Il secondo momento della proposizione «l’essere puro e il nulla puro sono lo stesso» nasce dal porre l’accento sulla differenza tra i soggetti. «L’essere puro» e «il nulla puro» della proposizione sono due soggetti posti esplicitamente come differenti; dunque la copula «sono» non esprime soltanto identità, ma l’identità di una differenza come tale. Così nella proposizione iniziale non c’è l’inerzia della tautologia, ma il movimento della contraddizione: la differenza è affermata nei soggetti e nel contempo negata nel predicato della loro identità. Ciò che quindi si presenta non è l'identità semplice di essere e nulla, ma l’identità come moto del confutarsi della loro differenza: c’è una differenza, ma questa differenza è uno svanire nell’identità. La verità non è tanto la falsità di essere e nulla, ma il loro falsificarsi l’uno nell’altro; essere e nulla non sono apparenze soggettive, ma momenti di un moto.
6 La difficoltà di questo passaggio è che esso, dopo aver focalizzato una contraddizione come tale, contrariamente alla prassi universale, non la lascia andare come se fosse un’inutile assurdità; la contraddizione è risultata dall’analisi di categorie universalmente ammesse e non può essere meno reale delle categorie da cui è derivata; la sua realtà è in effetti la categoria universalmente ammessa di divenire. Poiché è differenza tra essere e nulla e nel contempo è loro uguaglianza, il divenire è la contraddizione nella sua forma più immediata. – Aristotele ha enunciato l’impossibilità di ciò che si contraddice, intendendo con «l’impossibilità» l’assurdo, anziché il mutamento; eppure la contraddizione è riscontrabile in ogni divenire, e lo stesso Aristotele non esita a infrangere il suo principio nella sua geniale definizione del movimento. Essendo infatti al di qua della privazione e della forma, già la materia infrange il principio del terzo escluso e di conseguenza il principio di non-contraddizione; l’estraneità alla forma ne fa tuttavia una potenza; dunque la materia è la contraddizione ma soltanto come potenza non attuata. La definizione del movimento come «atto della potenza in quanto tale», poiché l’atto è la forma e la potenza la materia, può solo significare che il movimento consiste nella materia in quanto accoglie non soltanto una delle forme opposte (con una sola forma sarebbe non il movimento, ma il prima o il dopo del movimento), ma contemporaneamente entrambe le forme opposte, ossia che è la contraddizione come esistenza
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