*Da: https://rivistacontraddizione. n.140 Luglio-Settembre 2012
1. Alla fine di questo 1998, centocinquantenario
del Manifesto del partito comunista di K. Marx e F. Engels, è
– a quanto sembra – pacifico e generalmente riconosciuto: la critica del
capitalismo avanzata a metà ‘800 conteneva una singolare capacità di
previsione storica – nelle grandi linee, e dunque non
necessariamente politica.
Ricordiamo brevemente.
Già nel Manifesto il “mondo” appare come un
“mondo”, un processo obiettivo e che si generalizza secondo sue determinazioni
interne. Abbiamo:
- la produzione capitalistica, capace di
abbattere o sottomettersi tutte le forme precorse di riproduzione della vita
umana associata (dunque: espansione illimitata della produzione capitalistica);
- la tendenziale estensione della forma di merce,
e del corrispondente “nudo rapporto d’interesse”, a ogni elemento della
riproduzione della vita umana e del corpo associato (dunque: trasformazione
graduale di tutte le dimensioni societarie in figure “capitalistico-borghesi”);
- la creazione di un mercato mondiale, non come
semplice rete di scambi, ma come regolazione vincente di rapporti sociali, politici,
culturali (dunque: unificazione, in prospettiva, del genere umano nella – contraddittoria –
“civiltà borghese”);
- il primato economico delle “nazioni
borghesi” come tendenza alla sottomissione di tutte le altre, o alla loro
“integrazione” nelle forme economiche e politiche corrispondenti .
Ce n’è abbastanza – può sembrare – per trovare proprio in
Marx un “profeta” del presente, il cui “fantasma” deve inquietare i posteri 1.
Ma è un’apparenza superficiale, capace di ogni ambiguità, e sostanzialmente ingannevole.
2. Noi sappiamo [i]bis che nel Manifesto la
teoria del modo di produzione capitalistico 2 era appena abbozzata; che Marx,
nel 1848, non aveva una sua teoria della forma di valore (cioè del rapporto di
produzione generale, e che astrattamente “copre” tutto l’arco del mpc), né
del processo di capitale, che, se comprende in sé il
semplice rapporto di capitale (lavoro salariato), si svolge
poi categorialmente fino all’unica e vera “contraddizione” del mpc: la tendenza
allo “sviluppo incondizionato della forza produttiva del lavoro sociale” e lo
“scopo limitato” della valorizzazione, entrambe inerenti allo svolgimento del
mpc in tutto il suo arco. Di conseguenza, solo nell’elaborazione della teoria
del mpc in tutto il corso dell’esperienza scientifica di Marx [ii]bis, si
sviluppa anche la teoria marxiana delle classi. Poiché la nozione di “classe”
dipende concettualmente da quella di “modo di produzione” essa ha,
innanzitutto, uno status teorico del medesimo livello
d’astrazione della teoria del mpc. E come questa non è teoria
delle singole configurazioni del “capitalismo” (i “capitalismi nazionali”, con
le loro determinazioni pregresse e sussunte, “ricchezza” e “tradizioni”
storiche peculiari, etc.), né – in prima istanza – una teoria degli “stadi” o
“fasi” delcapitalismo se non in quanto processo tendenzialmente
universalizzantesi, secondo le sue leggi di moto intrinseche e con sussunzione
di altre pregresse figure sociali in genere – così la teoria delle classi è
(quanto meno per l’autore del Capitale ) una teoria di forme
di moto della riproduzione sociale nella forma del mpc, che solo ulteriormente,
nella utilizzazione analitica dell’intera teoria del modo
di produzione per lo studio di configurazioni sociopolitiche concrete (singoli
“capitalismi” storici, nei loro stati, etc.) può acquistare valenza politica
nel senso più lato del termine. Torneremo più avanti su quest’aspetto.
3. La teoria del mpc è un modello di
processo – il processo della riproduzione sociale complessiva in
forma capitalistica. Come tutti i processi, esso non può venire rappresentato
esaustivamente in un modello. Marx è esplicito su questo punto: “Se
consideriamo la società borghese nel suo complesso, compare come risultato
ultimo del processo sociale di produzione – la società stessa, cioè l’uomo
nelle sue relazioni societarie. Tutto quello che ha forma fissata, come
prodotto etc., compare come momento dileguante in questo moto. Anche il
processo di produzione immediato compare qui come momento” [iii].
Nella teoria marxiana, poi, il mpc ha una duplice
dimensione. Come modo di produzione “storico”, finito, esso ha una tendenza
epocale. La generalizzazione della circolazione di merci (da che il lavoro
stesso è merce); la producibilità di tutto quello che possa entrare nella circolazione
del capitale, come merce carica di plusvalore trasformabile in denaro; la
integrazione di principio nel processo di produzione di potenze naturali
scientificamente conosciute (posto il “mpc vero e proprio”, che si muove sulle
sue proprie basi), e all’orizzonte, il passaggio del lavoratore umano a
funzioni di controllo di quelle potenze naturali; l’infinitazione della
produzione come “scopo a sé stessa”, e dunque il superamento del rapporto
originario “bisogno umano/lavoro umano”, il mutamento di posto del lavoro umano
nella natura – tutto questo è dimensione epocale del mpc
[iv]. Dimensione epocale implica tendenzialità riconoscibile e
riconducibile al modello concettuale nella sua interezza (che solo può servire,
in ulteriore procedimento conoscitivo, alla analisi e modellizzazione
scientifica di “figure” ed eventualmente, “fasi”). Non implica,
perciò stesso, datità quantitativa e cronologica, “fenomeni” che, di per sé
presi, siano interpretabili come “rotture storiche” (la mal pensata alternativa
di “crollo o sviluppo” del capitalismo; la pretesa teoria di una “crisi
generale” con tanto di “tappe” politiche).
L’altra dimensione è quella di funzione e conflitto [v]. Il mpc (e il suo modello) non può essere pensato senza unità dei capitali in quanto elementi del capitale sociale complessivo (teoria del profitto) e concorrenza dei molti capitali[vi]; non può esser pensato senza l’insieme delle funzioni del denaro – che però per il mezzo di pagamento, misura dei valorie mezzo di realizzazione, si attuano pienamente solo nel Weltgeld, il denaro mondiale[vii]; non può essere pensato senza classi nel senso primo e fondamentale, dell’insieme del capitale fungente e dell’insieme della forza-lavoro messa in opera – che però è senso ancora astratto, sia “economicamente” (esercito di riserva), che “socialmente”, perchè la riproduzione sociale complessiva, essendo riproduzione di “uomini ... nelle loro relazioni societarie” comprenderà le figure tràdite e pregresse di vita sociale, sussunte ora nella riproduzione in forma capitalistica, ma che attraverso questa stessa si svolgono inevitabilmente in nuove figure di coscienza, di azione, di posizione di fini possibili [viii].
La duplicità di dimensioni, epocale e funzionale/conflittuale, del mpc nel suo modello teorico marxiano, appare in tutta la ricerca di Marx considerata nella sua integralità, come elaborazione di un modello del “processo complessivo”. Con grande evidenza, però, questo appare nella teoria delle crisi. La forma della crisi (o piuttosto le diverse forme della crisi, monetaria, di turbata reintegrazione degli elementi stofflich nel ciclo, etc.) non è mai, scrive Marx nel manoscritto del 1861-63, causa della crisi [ix]. È evidente: la causa o le cause di una crisi determinata andranno cercate nella configurazione capitalistica determinata (p. es. un capitalismo nazionale, ancorché “centrale”, come quello inglese dell’epoca); ma in quanto ogni configurazione è nel moto epocale del mpc, l’autoattuazione tendenziale di questo, generalizzazione della produzione di merci, integrazione delle potenze naturali (“tecnologia”), grado di sviluppo e dislocazione delle funzioni regolative del denaro mondiale, saranno criteri di riferimento per l’analisi. Il “limite” della produzione capitalistica, in quanto è “il capitale stesso”, il contrasto dello sviluppo incondizionato della “forza produttiva del lavoro associato” e della valorizzazione, emerge nella stesura marxiana delCapitale iii, non casualmente, nello stesso contesto [x]. Questo “limite” (la vera e propria “contraddizione fondamentale” del mpc) compare idealmente sempre. A partire da un certo grado di diffusione e maturità del “modo di produzione capitalistico vero e proprio” esso si manifesta anche nelle “crisi economiche”.
Per questo lato, infatti, le crisi sono modi di regolazione del processo, “risoluzione violenta” di aspetti “violentemente” entrati in contrasto, premesse di un nuovo ciclo di valorizzazione. Ma le loro conseguenze sociali allora, e innanzitutto sulla popolazione lavoratrice? Queste dipenderanno ovviamente – ancorché nel mpc in genere la valorizzazione, non la classe operaia, sia la variabile indipendente – dal grado di omogeneità, consapevolezza, organizzazione della classe operaia – ma dunque da tutti gli elementi, tràditi e prodotti ex novo, della configurazione, ossia di quella effettuale “società capitalistico-borghese”. Finalmente, tuttavia, il “limite” o contraddizione fondamentale ha, proprio perché inerente alla “produzione capitalistica” in quanto tale, dimensione epocale. Per questo aspetto, esso determina la posta in gioco della lotta, in quanto determinazione del possibile [xi]. Il possibile è determinazione interna del processo nella sua effettualità come processo. Astrattamente, la posta in gioco della lotta di classe è sempre il governo razionale del processo, la sovranità dei “produttori associati” sulla loro propria riproduzione umana nella natura. Ma questa possibilità diventa da astratta, reale, (“essente”) nella misura in cui la dimensione e tendenzialità epocale del mpc avanza verso l’inadeguatezza della autoregolazione mediante il valore, che è il suo orizzonte processuale – una “produzione di “ricchezza” e di capacità umane che “non ha più comune misura” col “miserabile furto del tempo di lavoro”11bis. Che questa possibilità “reale” non sia perciò possibilità concreta, è superfluo sottolineare, dopo quanto si è ricordato sulla “configurazione”. (E del resto: mentre il superamento della penuria come fenomeno epocale è sotto gli occhi di tutti alla fine del xx secolo [xii], altrettanto sotto gli occhi di tutti è l’esclusione, la fame, la distruzione sistematica di possibilità umane su scala planetaria).
4. L’orizzonte conoscitivo e pratico della
concezione marxiana è, certo, l’autogoverno razionale dei “produttori
associati”, ossia della riproduzione sociale complessiva, del corpus
hominum nella natura.
Questo autogoverno compare in primo luogo, nella teoria del
mpc, come un possibile, che il moto epocale del modo di produzione
pone: in nessun modo come una conseguenza necessaria – e neppure come
possibilità concreta, poiché il soggetto collettivo sociopolitico, determinato
nel tempo e in tutti i rapporti della riproduzione sociale complessiva, non
compare affatto al livello d’astrazione della teoria del modo di
produzione.
Solo con lo sviluppo ulteriore della teorizzazione, nella
analisi della formazione economico-sociale capitalistica (avviata da Marx ed
Engels solo per partes, come pure la ricostruzione storico-critica ha
ormai acquisito) [xiii], diventa in generale possibile concettualizzare
configurazioni dell’attività sociale integrale, quindi anche delle sue
dimensioni istituzionali, culturali, politiche. (Naturalmente, questa
concettualizzazione, in quanto ha avuto luogo, è stata decisiva per i diversi
movimenti, politici e culturali, che si possono ricondurre genericamente alla
nozione di “marxismo”) [xiv].
Il “mpc” come teoria (modello di processo) contiene la
determinazione di un limite – non cronologico, ovviamente – nel mutamento di
funzione della categoria più generale, e che pertanto “copre” tutto il decorso,
quella del valore; e contiene concettualmente la tendenziale
infinitazione della produzione e mutamento del ruolo del lavoro umano nel
processo storico-naturale, fondamento di possibilità dell’autogoverno.
D’altra parte, diventa ora progettabile una conoscenza critica globale
della formazione economico-sociale, ossia di quegli elementi e
forme della riproduzione sociale complessiva [xv] rispetto ai
quali l’intero processo di produzione immediato è “momento”, e ciò sia riguardo
alle determinazioni economiche derivate e della “superficie della società”
[xvi], sia riguardo a determinazioni istituzionali, culturali, sociopolitiche
in genere, che dalle determinazioni del modo di produzione dipendono
concettualmente in quanto nessuna rsc è pensabile senza riproduzione biotica e
lavorale degli esseri umani. Questo spazio teorico, delimitato
idealmente dalla tendenzialità epocale del mpc, da una parte, e dall’altra, dal
processo parziale della rsc in singole configurazioni, che tendono a diventare
configurazioni particolari di un intero interconnesso dall’altra, è quello cui
meglio si addice, a mio avviso, il termine di “mondializzazione”. Rispetto
a questo spazio teorico, e non altrimenti, in ogni modo, l’orizzonte marxiano
dell’autogoverno può acquistare via via valore analitico: ma via via,
appunto, in quanto l’intero modello teorico “mpc” venga fatto operare
effettivamente (e solo come intero modello teorico esso ha – e
ha avuto – valore analitico e fecondità di conoscenza), e in
quanto la conoscenza critica della rsc in tutte le sue dimensioni
effettivamente proceda. A queste condizioni, l’orizzonte dell’autogoverno
acquista più in generale (e ha acquistato, per partes, nell’ultimo
secolo e mezzo) anche efficacia conoscitiva e pratica [xvii].
È forse qui da accennare come la “ossificazione dogmatica del marxismo” , non solo in “Oriente”, e la speculare riduzione romantica di suoi teoremi in diverse figure di “critica della condizione umana” , non solo in “Occidente”, siano state in realtà sterilizzazione teorica e pratica dell’intera teoria, come indicava G. Lukács poco prima della morte, nelle pagine finali della Ontologia dell’essere sociale [xviii]. Come ogni teoria di tipo scientifico, la teoria del mpc [xix] esiste in quanto viene usata – usata dunque per l’ulteriore concrezione (analisi delle diverse configurazioni), nell’affinamento grazie a modelli parziali, nella elaborazione di ipotesi “cruciali” e riformulazione dei teoremi corrispondenti, eccetera: cioè, in definitiva, in quanto la teoria ha una storia scientifica. Una teoria, e dunque anche un modello di processo, o un sistema di ipotesi in genere, che non viene utilizzato criticamente, cessa di esistere come teoria – è un insieme di segni sulla carta [xx]).
Ma dal lato soggettivo, la conoscenza della formazione economico-sociale (nella sua tensione egemonica, i “blocchi storici” di Gramsci) è un progetto di autoconoscenza globale della rsc, e dunque del corpo collettivo. Ora, questo progetto è per sua natura infinito da entrambe le parti – dell’attività conoscitiva e critica, e dell’oggetto suo. Qui continua ad operare l’orizzonte dell’autogoverno: (del resto, già nella concezione engelsiana del “passaggio del socialimo dall’utopia alla scienza”, la “anarchia della produzione capitalistica” è, a ben guardare, assai più che questione di regolazione della produzione in senso “economico” stretto – è negazione dell’autogoverno del corpus collectivum hominum et rerum , pur divenuto pensabile [xxi]). Ma l’orizzonte, per la natura della cosa, si sdoppia, come doppia è l’infinità a parte subjecti e a parte objecti del processo, e della sua conoscenza. Il processo come effettualità è il luogo in cui il possibile si determina in genere. Ma il passaggio dalla possibilità astratta dell’autogoverno [xxii] a possibilità essente (il possibile che è determinato in elementi reali, che ancora possono diventare momenti processuali, ma ancora non si svolgono nella concretezza del tutto) ha qui le classi, e le loro egemonie, come mediazione: infatti “egemonia di classe” significa modalità di tutta la rsc in forme determinate come possibili (e perciò esclusive del cosiddetto “storicamente incongruo o insostenibile” [xxiii]). È dunque la conoscenza critica (e pratica, informante in ultima analisi l’agire degli individui che la fan propria a vari livelli) di questa mediazione nel suo complesso e nelle sue diverse dimensioni che rende pensabile e praticabile, pro tanto, oltre che via via, l’autogoverno. Oggettivamente, beninteso, la mediazione di classe ha corpi associati, ricchezze materiali e morali tràdite e sussunte nel moto della riproduzione sociale in forma capitalistica, istituizioni mobili nell’azione di stati, partiti, movimenti internazionali, come suoi momenti interni. (Sono i “blocchi storici” gramsciani nel loro movimento peculiare). Proprio per questo, la mediazione è, di nuovo da entrambe le parti, “soggettivamente” e “oggettivamente”, conoscenza e azione. E non è pensabile che la razionalità libera, che ricomprende in sé la necessità, vi si produca altrimenti che per gradi, con alternative sempre di nuovo aperte, dunque anche regressi. Come si è ricordato, il mpc, nel suo moto epocale, la pone soltanto come possibilità.
5. La teoria marxiana del mpc, si è detto, è
un modello di processo ad alto livello di astrazione. Vale la
pena di ripeterlo: essa non è una descrittiva “del”
capitalismo, che va analizzato piuttosto nei capitalismi, nel
tempo e nello spazio. L’idea ingenua di avere, nel “sistema di Marx”, uno
strumento bell’e pronto di analisi economica, utilizzabile in ogni
tempo e luogo “del” capitalismo, è davvero alle nostre spalle.
Ma: permette questa teoria di pensare la mondializzazione della produzione capitalistica?In sé o astrattamente, “mondializzazione” è qui tendenziale sussunzione di tutta la rsc nelle forme di moto del processo di capitale (o con esso compatibili o da esso derivabili). Ciò vale sia per il processo di produzione immediato, sia per le figure derivate (circolazione complessiva, profitto, regolazione monetaria del mercato mondiale.) E – già a questo livello astratto – la estensione universale della riproduzione capitalistica e relativa sussunzione di forme antecedenti non pare poter essere estensione uniforme e uniforme “sviluppo” [xxiv]. Già nel “modello puro” (la “media ideale” cui Marx mira nel disegno teorico dei tre libri canonici del Capitale [xxv]) vi si oppongono le tendenze alla concentrazione, l’emergere del capitale fittizio, e, ad altro livello, la rendita assoluta. (Non vi è, nel modello puro, invece, impoverimento progressivo della classe operaia in senso primario, insieme complessivo dei lavoratori del capitale fungente [xxvi]). Si tratta – è importante notarlo – di tendenze inerenti al modello come “media ideale”, senza “storia reale della concorrenza”: e le “tendenze controoperanti” sono formulate allo stesso livello di astrazione [xxvii].
Tutto ciò, in quanto è ancor a monte di ogni determinazione sociopolitica, rimanda ancora una volta alla doppia dimensione del mpc, temporalità specifica, che comprendeastrattamente la universalizzazione e la sussunzione in lei e sotto la sua legge delle altre forme di produzione; e unità di funzione e conflitto tanto, in genere, di lavoro e capitale quanto dei capitali tra loro.
Ma: sia le determinazioni empiriche (per es., risorse e
territori via via “aperti” al capitale); sia quelle storico-sociali, con la
violenza che ha luogo nel superamento della loro resistenza alla
“capitalistizzazione” (si pensi alla nuova “accumulazione primitiva” o
separazione di centinaia di milioni di produttori dalle loro condizioni di
sussistenza comunitaria, che dà luogo, oggi, alle megalopoli del cosiddetto “Terzo
Mondo”); sia finalmente, e a fortiori, la “storia” politica
degli Imperi del xix e xx secolo, devono essere analizzate in una concrezione
ulteriore, diversificata per i suoi oggetti, e di nuovo, in linea di
principio infinita.
E però: esse possono venir così analizzate, ricondotte alla teoria, e modificarla. Il modello di processo, “mpc”, è qui guida e criterio, altrettanto, quanto è verificato/falsificato, cioè modificabile come modello, nel “normale” andamento del processo scientifico. Alla domanda posta all’inizio di questo paragrafo, la risposta è dunque: la teoria permette dipensare la mondializzazione, in quanto permette di formulare dei criteri di analisi. “Pensare”, in questo senso, non è ancora “conoscere”. Ma è già orientare a un oggetto, che dovrà essere inteso come un processo complesso, di lungo periodo, prevedibilmente ricco di contrasti: lontano dalla parola d’ordine neoliberale della “globalizzazione”[xxviii].
“Globalizzazione” è la frase, il mot de passe terroristico
usato per paralizzare ogni resistenza all’attacco a tradizioni, diritti
conquistati in lunghissime lotte dai lavoratori (resistenza diffamata come
“conservatorismo”); l’attacco al salario globale (diretto, indiretto e
differito); la politica della segmentazione delle classi lavoratrici, non solo
a livello planetario, ma anche e insieme a livello nazionale, regionale,
locale, scatenando dappertutto la “guerra tra i poveri”. Ogni banchiere sa bene
distinguere tra mercati “organizzati” e “non organizzati” (e investe di
conseguenza): parlare di “mercato” senza aggettivi, e di “globalizzazione”, è
soggiacere a una frase vuota – all’evocazione mistica di un démone superiore
agli uomini. “Solo un dio potrà salvarci” è la formulazione filosofica di
questo estremo irrazionalismo.
6. In senso lato, tuttavia, l’espressione
“mondializzazione” riguarda fenomeni diversi e disparati. La nuova mobilità dei
flussi finanziari in “tempo reale” (quella sì, e sola, quasi “globale”, e
dotata di sue esclusive istituzioni di concertazione e potere); l’emergere di
imprese “multinazionali” i cui trasferimenti interni costituiscono una quota
rilevante di tutto l’interscambio mondiale; la perdita di sovranità fiscale
degli stati; poi, nella sfera produttiva, la “rivoluzione industriale”
informatica e suoi effetti; o ancora, le figure politico-istituzionali
all’opera nella gerarchia del “nuovo ordine mondiale”; ecc.
Per tutti questi aspetti (e altri affini) il riferimento può essere la nozione della rsc in quanto “mondiale”. Per un lato, questa è, ovviamente, una pura idealità; per un altro, in quanto si riscontrino tendenze che orientino negativamente e positivamente verso una “riproduzione sociale complessiva mondiale”, due punti di vista sembrano presentarsi:
1. Nella misura in cui l’intero insieme dei rapporti e
processi di riproduzione capitalistici (o sussunti nelle forme capitalistiche)
sia “investito” da nuove grandi spinte “mondializzanti”, e debba dunque
considerarsi in movimento, si ripresenta la doppia dimensione del mpc. Infatti:
non solo la “forma delle crisi” non è la “causa di questa crisi”
(vedi sopra): altrettanto la “forma dell’accumulazione” non è determinante
di questo grado di velocità e “fluidità” del ciclo dei
capitali, della circolazione del capitale complessivo ecc. Si apre qui un campo
assai vasto di rilevazioni e di modellazioni parziali [xxix].
Qui, sembra, l’esame del “concreto” permetterà poi il confronto con lo “astratto”, e l’individuazione di modalità dell’universalizzazione del mpc che – astrattamente appunto – è sua tendenza epocale.
Qui, sembra, l’esame del “concreto” permetterà poi il confronto con lo “astratto”, e l’individuazione di modalità dell’universalizzazione del mpc che – astrattamente appunto – è sua tendenza epocale.
2. Ma questo stesso terreno d’indagine comporta dimensioni
di funzione/conflitto. Le resistenze, anche i contropoteri politico-sociali
che si presentano in parte, di fronte al moto del capitale internazionalizzato,
possono essere analizzate e ricondotte alla figura delle classi e della loro
egemonia in contrasto (che non ha bisogno di esser consapevole per esplicarsi –
almeno non dalla parte delle classi dominanti). “Classi” è qui innanzitutto
processo della rsc: e gli attori, individui e gruppi, non sono dunque
rappresentati (astratti) “uomini”, ma determinamenti dell’endiade
individuo-società, e quindi figure dell’agire, che èsempre nella
modalità del possibile, e della posizione di scopo [xxx].
7. Intendere la “mondializzazione” utilizzando la
teoria del mpc e i suoi ulteriori sviluppi, e sviluppando la teoria e la
conoscenza dei processi effettivi, permetterà anche di disegnare una mappa
ipotetica dei fenomeni in corso – cioè di trovare un primo orientamento, da
correggere strada facendo.
Al di là del “pensiero unico” e degli slogans neoliberali, mi sembra possano distinguersi tre livelli principali della strategia tuttora prevalente:
- la segmentazione, globale e “molecolare” della
classe operaia, con la conseguente chiusura in “gabbie” localistiche,
corporative, anti-solidali;
- l’attacco alla sovranità politica, alla
cittadinanza effettiva e cosciente, lo svuotamento di ogni forma di democrazia
(perfezionato dalla “politica” come campagna pubblicitaria e spettacolo, ossia
dal nome vuoto della cosa reale abolita);
- l’attacco ad ogni sapere “disinteressato”, la
richiesta pressante di produrre “teste d’opera”, cioè specialisti
addestrati-non-cólti, in una parola: l’attacco alla ragione moderna in quantomedium di
autoriproduzione collettivo, impensabile senza sfere di comunicazione
universalistiche; questo attacco non contrasta la diffusione di derive
identitarie e neo-mistiche (al contrario!); ed è omologo alle ideologie
irrazionalistiche diffuse a livello “alto” e “basso” di cultura.
Anche lo studio di questi livelli (se qui non del tutto erroneamente abbozzati) esigerà molto, e paziente e lungo lavoro. Vale ricordare, forse, che anche i Quaderni del carcere furono scritti dopo una sconfitta.
1 cfr. J.
Derrida, Spectres de Marx , Paris 1993.
1 bis Anche grazie all’ampio lavoro di ricostruzione
storico-critica condotto negli ultimi 25-30 anni nell’ambito della nuova mega
(Marx-Engels-Gesamtausgabe). Solo una piccola parte di questi studi è stata
resa nota al lettore italiano. Tra gli altri: W. Tuchscheerer, Prima
del Capitale, Firenze 1980; V.S. Vygodskij, Introduzione ai
Grundrisse di Marx , Firenze 1974; id., Il pensiero economico
di Marx , Roma 1975. Per una bibliografia si può consultare il
periodico “mega-Studien”, a cura della Internationale Marx-Engels-Stiftung di
Amsterdam, a partire dal 1994.
2 D’ora in poi: mpc.
[ii]bis V. infra, e le note 13 e 19.
[iii] Grundrisse, Berlin 1953, p. 600.
[iv] ivi, P. 175. cfr. anche Capitale I, cap.
11, in fine : “il mpc si espone [stellt sich dar] come
necessità storica per la trasformazione del processo lavorativo in processo
sociale ... e dall’altra parte questa forma sociale del processo lavorativo si
espone come metodo applicato dal capitale per sfruttare il processo lavorativo
con maggior profitto, grazie all’accrescimento della sua forza produttiva”.
[v] Riprendo il titolo del notevole quadro critico dei
problemi della teoria del mpc pubblicato da G. M. Cazzaniga presso Liguori,
Napoli 1981.
[vi] V. E. Altvater, La teoria del capitalismo
monopolistico di Stato …, in Storia del marxismo, IV, p. 651
ss. (Torino, 1982), per un’utile esposizione della discussione su “monopolio” e
“concorrenza” tra il 1960 e il 1980.
[vii] cfr. le considerazioni di metodo di E. Altvater, in Sachzwang
Weltmarkt, Hamburg 1987, parte III (Forma e contraddizioni del modello
globale di accumulazione).
[viii] Nel 1867 Marx ritiene possibile, in seguito alla
“inevitabile conquista del potere politico da parte della classe operaia”,
un’educazione politecnica universale come passo in direzione del “superamento
della vecchia divisione del lavoro”. Ma aggiunge: “lo svolgimento delle
contraddizioni di una forma storica è l’unica via storica per la sua
dissoluzione e la sua trasformazione” ( Capitale I , trad. Cantimori,
Roma 1952, vol. 2, p. 201). Non è affatto necessario parlare di “utopismo”: si
tratta di un possibile, aperto e negato nel processo complessivo.
[ix] mega II./3.4, p. 1129 ss.; cfr. mew, 26.2, p. 508 ss.
(Critica della teoria dell’accumulazione di Ricardo.)
[x] mega II/4.2, p. 324; cfr. Capitale III, cap.
15, § 2.
[xi] È un peccato che lo studio fondamentale di Michel Vadée
su questi problemi, che per primo si appoggia sulla ricostruzione
storico-critica dei testi, non abbia trovato un editore italiano. V. intanto M.
Vadée, Marx penseur du possibile, Paris, Klincksieck, 1992, p.
184, 253, 347s.
11bis Grundrisse, cit., p. 592-4.
[xii] Essa era stata posta già nel 1966 alla base dello
“studio sulla struttura economica e sociale americana” di P. Sweezy e P.
Baran, Il capitale monopolistico (tr. it. Torino 1968). Cfr.
in particolare il capitolo conclusivo, “Il sistema irrazionale”, p. 281 ss.
[xiii] Per quanto riguarda il piano marxiano dei “6 libri”
(che avrebbero costituito anche uno spaccato storico della
produzione capitalistica ai suoi tempi), il lavoro di ricostruzione delle loro
linee generali, sulla base del lascito manoscritto, era stato avviato da W.
Jahn e dai suoi collaboratori a Halle (v. “Arbeitsblätter zur
Marx-Engels-Forschung”, n. 20, Halle 1986). In generale, per la graduale
elaborazione della nozione e della teoria di “formazione economico-sociale”
nell’opera di Marx (e di Engels), abbiamo una prima periodizzazione nelle
ricerche di E. Engelberg e W. Kuttler e dei loro collaboratori: v. Formationstheorie
und Geschichte, Berlin 1978; Gesellschaftstheorie und
wissensch. Erkenntnis, Vaduz 1985.
[xiv] Non è il luogo di ricordarne le tappe. Decisiva,
ritengo, è qui la nozione di “egemonia di classe”, attuata in tutte le forme di
vita sociale, e che ispira l’analisi della società italiana neiQuaderni di
Gramsci. Essa mira a dare uno “spaccato verticale” del processo,
tendenzialmente in tutte le sue manifestazioni attive: cfr. la nozione di
“blocco storico”. (Il solo modo di “continuare” questa analisi era, pertanto,
quello di rifarla , in tempi nuovi e contesti di
“internazionalizzazione” più avanzati.)
[xv] D’ora in poi: rsc.
[xvi] cfr. l’avvio di Capitale III, ed. it.
cit., vol. 1, p. 55.
[xvii] Una storia del marxismo sotto questo profilo resta da
scrivere. Essa è possibile, mi pare, dopo il tramonto del “marxismo ufficiale”,
e con esso, delle corrispondenti “eterodossie”.
[xviii]
Cfr. Ontologie des gesellschaftliches Seins, Darmstadt 1986, vol.
2, p. 706.
[xix] Cfr.
V. Vygodskij, Zu einigen Dogmen der Marx-Interpretation, in “Beiträge
zur Marx-Engels-Forschung. Neue Folge”, Hamburg 1993. Di una
“compiutezza” della teoria marxiana non si può parlare, secondo il grande
filologo recentemente scomparso. La parte meno incompiuta, appunto la teoria
del mpc, è svolta “a un livello di astrazione insolitamente elevato. Le tesi
fondamentali della teoria economica [di Marx]… furono elaborate nel processo di
ascensione dal concreto all’astratto, mentre il processo opposto […] venne solo
iniziato” (p. 108). Gli “8 dogmi” esposti dal Vygodskij in queste pagine
costituiscono il suo testamento scientifico. Infatti la loro critica era
presente in tutta l’opera precedente del Vygodskij e dei ricercatori attivi
nella ricostruzione storico-critica alla base della nuova mega, da lui in buona
parte ispirati - a partire dalla Storia di una grande scoperta di Marx,
apparsa a Mosca nel 1965. (Bisognava , allora, saper leggere le dotte note di
lavori rigorosamente scientifici …].
[xx] Da Lujo Brentano a F. Braudel le espressioni “storia
del capitalismo”, “dinamica del capitalismo” sono venute a significare la
constatata diffusione di modalità di produzione e di scambio. Queste ricerche
(come oggi, per es., quelle di storici dell’economia come P. Malanima) hanno
grande interesse in quanto ricostruzione di situazioni di fatto e
classificazione di materiali. Come per la scuola storica italiana or’è un
secolo, l’influenza di idee marxiane (il “canone storiografico” di B. Croce!)
andrà tenuta distinta dalla storia scientifica del progetto di conoscenza
avviato da Marx. Non è questo il luogo di tentarla - bastino qui pochi nomi -
Hilferding, R. Luxemburg, Lenin storico del Capitalismo in Russia,
Grossmann, E. Varga, M. Dobb ...
[xxi] Questo è il senso della citazione gœthiana: “ Vernunft
wird Unsinn, Wohltat Plage” e dei richiami a Fourier nella parte III
del testo. Cfr. mew, vol. 19, p. 216 ss., 228.
[xxii] “Se nella società così come essa è, non
trovassimo, velate, le condizioni materiali di una società senza classi e le
forme di relazioni loro corrispondenti, ogni tentativo di sovvertimento sarebbe
donchisciottesco” - Marx, Grundrisse, ed. cit., p. 77.
[xxiii] È ben noto il passo dei Grundrisse (l.cit.,
p. 30-31) sull’“impossibilità” di Vulcano all’epoca delle locomotive, etc.; ma
considerazioni almeno analoghe si possono fare sull’insostenibilità, per es.,
della piccola proprietà contadina, alla lunga, in un paese di affermata
produzione capitalistica.
[xxiv] Marx non è assimilabile a W.W. Rostow. Ma il
frantendimento della teoria del plusvalore relativo come una descrittiva
“storica” di 3 (o 4) “fasi” della cooperazione sembra duro a morire.
[xxv] cfr. per es. Capitale III, ed. it. cit.,
vol. 3, p. 243.
[xxvi] V. V. Vygodskij, cit., p. 112-114 (“Dogma del
carattere subordinato della lotta economica della classe operaia”, e
ricostruzione della teoria marxiana sul “salario medio”).
[xxvii] La fenomenologia di queste tedenze rimane perciò
stesso aperta. La determinazione nell’un senso o nell’altro rimanda al “moto
reale della concorrenza”, perciò all’analisi di “configurazioni” (per
riprendere il termine labriolano) dei “capitalismi” e delle loro relazioni
diacroniche e sincroniche. Uno studio recente in E. Altvater, Die
Zukunft der Marktes, (col sottotitolo: “Studio sulla regolazione del denaro
e della natura dopo il crollo del "socialismo reale"”), Münster 1991.
[xxviii] V. José Barata-Moura, Universalisme: à la
recherche d’une raison concrète, sulla distinzione necessaria tra un
processo reale di “mondializzazione” e la “idéologie de la globalisation à
credo neo-libéral” con le sue pretese di incontrastata egemonia. In:Universalismus
- Universalität, Salzburg 1998 (pubblicazioni del Convent für
europäische Philosophie und Ideengeschichte), p. 83 ss.
[xxix] Negli ultimi anni prima della sua fine, lo ipw [Institut
für Politik und Wirtschaft, Berlino (est)] aveva avviato studi in questo
senso. V. tra l’altro il libro di H. Heininger e L. Maier,Internationaler
Kapitalismus, Berlin 1987.
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