martedì 20 settembre 2016

Studio su Hegel: LA METAFISICA - Stefano Garroni


[2] - L’unità del mondo, che Hegel cerca di restaurare dopo e contro Kant (Holz, in AAVV, 6961.3: 390) - ovviamente, le cose cambiano se l’unità hegeliana ha, invece, alle spalle la lezione dello scetticismo e quella kantiana. Hegel, scrive ancora Holz, deve rovesciare il rovesciamento copernicano operato da Kant e porsi sulla linea metafisica, già presente in Leibniz e Spinoza[1]; Hegel non può che muoversi dentro i limiti della prospettiva borghese. - Nota il tema <rovesciamento del rovesciamento>: che rapporto ha con la <negazione della negazione>?
“Se è vero che la filosofia kantiana rappresenta per il giovane Hegel un costante punto di riferimento, è vero anche che l’accoglimento del messaggio kantiano si accompagna a forti istanze critiche, fatte valere soprattutto là dove le argomentazioni kantiane non difendono a sufficienza l’autonomia della ragione e prestano il fianco ad attacchi tesi a stravolgere il nocciolo di libertà e di radicale rinnovamento che esse contengono. Questa preoccupazione, che investe in primo luogo la dottrina kantiana dei postulati pratici e della fede razionale, costituisce una costante nel complesso rapporto di riconoscimento e autonomizzazione di Hegel nei confronti di Kant.” (AAVV, 7376: 123a).

[2.1] - Fin dal primo momento della conoscenza (quello della certezza sensibile) per giungere, infine, a quello del sapere assoluto, in Hegel, al soggetto il mondo è dato come contenuto del suo cogito. La ricostruzione del mondo nelle figure del sapere in divenire consente di venir fuori dalla costituzione degli oggetti della conoscenza fondata sulla soggettività, ma porta invece verso la sua realtà obiettivabile, perché comprendente il soggetto stesso ma non esaurita da esso (das Subjekt selbst übergreifender Realität) e approda al ‘sapere assoluto’ il quale, nella sua esteriorità manifestantesi, è la storia e, nella sua concentrazione essenziale, è la scienza che si svolge. (Holz, in AAVV, 6961.3: 390b). “La costruzione di un modello del mondo, in Hegel, è in vista della ricostruzione del processo e della costituzione logica del sapere in divenire. Questa ricostruzione è compiuta dalla Fenomenologia dello spirito e dalla Scienza della logica (la connessione interna a quest’ opera non sarà mai sufficientemente sottolineata). Su questa base è possibile il disegno sistematico dell’ Enciclopedia, all’interno della quale -al contrario di quanto avveniva nella Fenomenologia- lo spirito soggettivo e quello oggettivo si collocano all’interno di un ordine (mentre, in una prospettiva cartesiana, la ricostruzione dovrebbe procedere dallo spirito).” (AAVV, 6961.3: 390). 

- Osserva quella “das Subjekt selbst übergreifender Realität, che potrebbe essere interpretata in questo modo:    R, dove R sta per Realität ed S per Subjekt  e si legge così: non c’è conoscenza se non in quanto sintetica; ma R è übergreifender. Dunque, la realtà non è esaurita dell’essere esperienza. La Realität in quanto tale è <esteriore>, <nello spazio>, <squadernata>; conoscerla, implicita <concentrarla>, da <estensiva> farla diventare <intensiva>[2] (il motivo è cartesiano, infatti: “... tutta la natura del corpo -dice Descartes, 6046: 345- consiste solamente in questo, che il corpo è una cosa estesa.”). Ma proprio perché la realtà è tale, si dispone, certo, ad esser conosciuta ma, anche, resiste. Dunque, resta lo scarto fra <estensivo> ed <intensivo>. Esprimere in questo modo la non riducibilità della realtà al pensiero, consente di esprimerne anche la sua riducibilità. E’ interessante, anche, che la figura da me costruita -se presa alla lettera- è deviante: non si tratta infatti di un’ insieme, che contenga entro di sé un sotto-insieme, ma della dialettia fra estensivo ed intensivo e della disponibilità/resistenza del primo al secondo. Tuttavia, sembra trattarsi di un’immagine, forse suggestiva, ma non certo di una wissenschaftliche Erklärung. Un’ulteriore osservazione è questa: in particolare a tener presente il testo hegeliano, che Holz cita alla fine di AAVV, 6961.3: 390b, sembrerebbe che -per Hegel- il carattere ‘naturale’ spetta sempre alla realtà in quanto estensionalità [nella Fenomenologia, ad es., la storia è lo spirito alienato nel tempo e la natura lo spirito alienato nello spazio, come risulta da AAVV, 7376: 290)]. Dunque, per Hegel, non dovrebbe esser lecito dire: <così e così (‘naturali’) sono gli eventi economici all’interno della società civile (capitalistica)[3]>, dacché, sempre, la realtà/estenionalità  dovrebbe avere il carattere dell’<esteriorità> (ad es., in AAVV, 7376: 255, <naturale> è mèro accadere, senza necessità, pura accidentalità). Ulteriore osservazione: se realtà = estensionalità e soggetto = intensionalità, allora sembrerebbe che si possa dire: X, se visto nella prospettiva estensionale è <realtà>, se visto nella prospettiva intensionale, è <soggetto> (Mach?); ma Holz evita questa difficoltà con quell’ übergreifender Realität. Tieni presente che qui -con la questione del rapporto fra estensionalità ed intensionalità- hai solamente un segno di un’importante problematica metafisica (ontologica), che chiama in causa se non altro Leibniz, Spinoza, Kant, Hegel, Hume, Locke, Berkeley. Comunque, all’origine di questa concezione, secondo cui il conoscere è tradurre l’estensionalità in termini di intensionalità, dovrebbe esserci Kant, 7165: 81a, che cito in 2kant.doc. Se è vero che (per Kant e) per Hegel il passaggio dal contingente al necessario non avviene nel senso  del  passaggio da un certo piano di realtà ad un altro, ma nel senso di un mutamento di forma, di prospettiva, c’è da chiedersi, allora, se non si debba parlare di una precisa influenza di Berkeley. Nota come la tesi del passaggio (nel conoscere) dal contingente al necessario come mutamento di forma, si coniughi bene con l’altra, secondo cui intelletto e ragione son due Richtungen differenti.





Interessante AAVV, 7376: 252 a proposito di coscienza ed esperienza, da cui ricavo che la forma dell’esperienza è quella del movimento dialettico a cui la coscienza la sottopone. Per cui, da un lato, la coscienza “sa e comprende” solo ciò che è nell’esperienza; dall’altro, quest’ultima si snoda secondo la forma del movimento dialettico, che è il movimento della coscienza stessa.. Dunque, quando dico <esperienza>, dico l’insieme <oggetti formati>, dacché l’esperienza è sempre il legame uomo/oggetto (ricorda che solo in società, dunque all’interno del legame uomo/mondo, è possibile isolarsi). Il testo è interessante, anche perché indica il retroterra filosofico del merito di rompre l’idiotismo contadino, che Marx riconosce al capitalismo.

In AAVV, 6961.3: 390c, hai un’interpretazione dell’ hegeliano reale/razionale, tale per cui si identifica con la riproposizione della metafisica. - Un tema interessante potrebbe esser questo: affermare che non esistono ‘contenuti della coscienza’, che la coscienza è ‘vuota’ e che, dunque, i contenuti li prende -tutti e solo- dal ‘mondo’ (Sartre), è o no un modo non metafisico di ripresentare la metafisica? E’ interessante che -se non sbaglio- la centralità dell’esperienza, in Holz è esplicitamente riproposizione della metafisica. Comunque, la restaurazione hegeliana della metafisica, contemporaneamente, è il suo superamento nella dialettica (AAVV, 6961.3: 390d). Tornando a reale/razionale, cf. 6hegel.doc dove hai molto materiale a sostegno della tesi, per cui reale/razionale implica sia il riconoscimento dell’irrazionalità reale, sia l’individuazione del suo senso; ciò spiega come mai il teorico dalla razionalità del reale, contemporaneamente, abbia così forte il senso dell’ambiguità, dei significati contraddittori dello <stesso>.

[2.2] - Sulla metafisica Hegel, 1130.1, §. 26ss.

Il §. 27 dice chiaramente che Kant costituisce, dal punto di vista della storia della filosofia, uno spartiacque per la metafisica: quella prima di Kant è la metafisica di una volta.

In §. 28, duplice giudizio sulla metafisica di una volta: (a) da un lato, stava più in alto della successiva filosofia critica (dunque, la filosofia di Kant), perché riteneva che ciò che è, in quanto è pensato, è conosciuto in sé -dunque, Hegel sta polemizzando contro la Ding an sich, quale limite insuperabile del conoscere; (b) intendeva la conoscenza dell’assoluto come attribuzione (beilegen) ad esso di predicati, ma né analizzava per il loro contenuto e valore queste determinazioni intellettuali, né precisava (bestimmen) la forma dell’attribuzione dei predicati all’assoluto. - Dunque, per (a), l’antica metafisica vale contro lo scetticismo della ‘cosa in sé’; per l’altro, (b), essa si muoveva entro il limite intellettuale dell’attribuzione di predicati all’assoluto.
Esempi che Hegel fa di giudizi per semplice attribuzione del predicato [è un riferimento critico alle antinomie kantiane? Il senso potrebbe essere che, finché non siano superati i due limiti della metafisica d’una volta, indicati alla fine, non ha senso presentare quelle di Kant come antinomie, dal significato così grande come hanno appunto nella sua riflessione]: - ‘dio ha esistenza/Dasein’; - ‘il mondo è finito’/’il mondo è infinito’; - ‘l’anima è semplice’ ; - ‘la cosa è una/la cosa è un insieme’ (valgono come esempi della coppia oppositiva ‘semplice/composto’). Il limite della metafisica d’una volta è che non studia se questi predicati sono o no qualcosa di vero in sè e per sé; né se la forma del predicato può essere forma del vero. - [Hegel, 1130.1: 96] torna sull’argomento: La vecchia metafisica era interessata a sapere se dei predicati erano da attribuire al suo oggetto; ma quei suoi predicati non erano che limitate determinazioni intellettuali, che appunto esprimono un limite ma non il vero. (Con il soggetto i predicati a lui attribuiti hanno una relazione esteriore), poiché le determinazioni o predicati sono già pronti nella mia rappresentazione e vengono attribuiti dall’esterno al soggetto. Al contrario, la veridica conoscenza di un oggetto deve esser tale, per cui il soggetto stesso si determina  da sé, togliendo così l’esteriorità dei predicati (oggetto di pensiero). Se si segue, invece, la strada dell’attribuzione di predicati (Prädizieren), ne consegue il senso della inesauribilità (Unerschöpflichkeit) di questo conoscere mediante tale via - è possibile che l’uso di Unerschöpflichkeit stia a dire che, qui, Hegel ha criticamente di fronte Kant? Cf. anche, qui, unbegreifliche ]. La religione degli Orientali e il dio inesuaribile e dai molti nomi (1130.1:  96).
Nel Zusatz vien ripresa la descrizione dell’antica metafisica: - (a) presupposto dell’antica metafisica era l’ingenua credenza che il pensiero possa afferrare l’in sé delle cose, che le cose solo in quanto pensate sono quello, che veramente sono; (b) il suo punto di vista era esattamente l’opposto di quello della filosofia critica; (g) l’antica metafisica non riusciva ad andare al di là del pensiero intellettuale, in altre parole, assumeva immediatamente le astratte determinazioni del pensiero, facendole valere, così come sono, quali predicati del vero. ... Il pensiero della vecchia metafisica era un pensiero finito, poiché essa si muoveva all’interno di tali determinazioni di pensiero, i cui limiti valevano per essa come qualcosa di rigido, che non veniva negato.[4] - Critica alla categoria di semplicità (Einfachheit) che, come quella di Dasein, è astratta ed unilaterale. (95s).- Nell’ambito del finito, l’intelletto svolge effettivamente i suoi compiti conoscitivi. (1130.1: 96a).

Il §. 29 ci dice che questi predicati (che sono determinazioni intellettuali e che vengono dall’esterno attribuiti al soggetto), da un lato, non corrispondono alla pienezza dell’oggetto; dall’altro, risultano anche esteriori l’uno all’altro.

Il §. 30 precisa che gli oggetti della vecchia metafisica erano totalità, che in sé e per sé appartengono alla ragione, al pensare dell’universale in sé concreto: anima, mondo, dio.(cf. Kant). Come precisa Holz (AAVV, 6961.3: 390e, per Hegel, la totalità -che è oggetto della metafisica- non può esser colta né nelle percezioni né nelle astrazioni dell’intelletto analitico, ma si presenta -sempre e solo- al pensiero indagatore come idea -[Ciò, appunto, conferma -a proposito del paradosso di Marx- che non ha senso parlare di una Einzelwissenschaft, che sia dialettica].

Dal §. 31: “Nella proposizione <dio è eterno ecc.>, si comincia con la rappresentazione <dio>, ma che cosa esso sia ancora non è conosciuto. E’ il predicato a dirci che cosa sia. Per questo in ambito logico, dove il contenuto è determinato del tutto nella sola forma del pensato, non solo è superfluo predicare queste determinazioni di proposizioni, di cui il soggetto sia dio o un più vago assoluto, ma inoltre avrebbe anche lo svantaggio di rimandare ad un’altra misura, che non sia la natura stessa del pensato. Inoltre, la forma della proposizione o più precisamente del giudizio è inadatta ad esprimere il concreto -ed il vero è concreto- e lo speculativo: per la sua stessa forma, il giudizio è unilaterale e, dunque, falso.” (Holz, 7404: 97 ricorda come, per Hegel, la copula del giudizio non abbia il valore dell’uguaglianza, ma sì dell’inclusione -praedicatum inest subjecto.).
testo, che ricavo da 1hegel.doc: La critica hegeliana all’argomento a contingentia mundi per la dimostrazione dell’esistenza di dio sembra avere questo senso (cf. anche Sartre, 2259: 24 sui rapporti fra creatura e creatore, ed in modo particolare Sartre, ivi: 31, da cui risulta addirittura la difficoltà per il dio di concepire l’oggettività): contraddittoriamente l’argomento dice, da un lato, che il finito non è se non per l’universale; però, dall’altro, non solo afferma l’essere del contingente, ma addirittura ne fa la base fondativa del necessario o dio (questa tesi è espressa con molta chiarezza in Hegel, 1146: 199s; è interessante la coniugabilità di quanto, qui, dice Hegel e di ciò che si legge in Sartre, 2259: “se l’essere esiste di fronte a dio, vuol dire che è sostegno a se stesso, che non conserva la minima traccia della creazione divina. In una parola, anche se fosse stato creato, l’essere-in-sé sarebbe inesplicabile con la creazione, perché conquista il suo essere al di fuori di essa.” (2259: 31). Il motivo compare anche in 1130.1: 103a, 104 - “La prova [dell’esistenza di dio] mediante la conoscenza finita, poiché deve dare un fondamento oggettivo all’esistenza di dio, rovescia le cose e, così, si rappresenta dio come qualcosa di mediato da altro. Questo modo di provare, che ha come regola l’identità intellettuale, cade nella difficoltà di dover operare il passaggio dal finito all’infinito; e così o dio non riesce a liberarsi dall’esistenza del mondo effettuale, il quale resta positivamente, tanto che dio deve esser determinato come l’immediata sostanza di esso (panteismo); oppure, dio resta oggetto contrapposto al soggetto e, dunque, permane nel modo della finitezza (dualismo)... Ma nella misura in cui il mondo finito resta un mondo vero a cui nella rappresentazione dio si contrappone, nella stessa misura la rappresentazione si raffigura diverse relazioni di dio al mondo che, determinate come qualità (o proprietà), da un lato debbono essere rapporti finiti alle sostanze finite; dall’altro lato, però, debbono ad un tempo essere infiniti.” . Il Zusatz al §. 36: 104s presenta l’accordo tra filosofia e cristianesimo in termini tali, da essere sicuramente inaccettabile per qualunque religioso. Nelle successive pp. 105s, Hegel torna sul problema delle prove della dimostrazione di dio.

Dal Zusatz del §. 31: - L’antica metafisica non era un pensare libero ed obiettivo, poiché non lasciava che l’oggetto si determinasse liberamente da se stesso, dacché lo assumeva, invece, come già compiuto (fertig).- Per quanto riguarda il pensare libero, così appunto lo pensava la filosofia greca, ma non la Scolastica, poiché anche il suo contenuto era un che di dato, e dato dalla chiesa. - [Dunque, per Hegel, libertà si ha quando il reale si svolge autonomamente, vale a dire si volge per moventi interni; a questo va aggiunto che il reale deve esser nel pieno possesso di sé, dunque né conoscere scissioni, né Positivität -d’altronde, la Positivität è scissione, perché significa che ho fuori di me qualche ragione o movente di me; a conferma, cf. 1130.1: 99a, in cui Hegel descrive il vero contrapposto al dogmatismo: che il dogmatismo si contrapponga alla libertà consegue dal fatto che il primo è unilaterale e, dunque, ostacola che il <tutto> si svolga libero in tutti i suoi aspetti e determinazioni. Nota la critica alla Scolastica, che ovviamente aiuta a comprendere l’atteggiamento di Hegel verso la religione/chiesa ed, infine, il franco riconoscimento che le matrici della sua filosofia Hegel le colloca nella tradizione greca]. - Come Hegel descrive lo spirito/Geist è la chiara espressione di cosa egli intenda per <libertà>: “Lo spirito/Geist è attività nel senso, in cui gli Scolastici dicevano di dio che è assoluta attuosità. Ma poiché lo spirito è attivo, allora si esteriorizza. Non bisogna, dunque, esaminare lo spirito come un ente senza processo, come avveniva nella metafisica antica, la quale divideva l’interiorità di dio aprocessuale dalla sua processualità. Lo spirito/Geist va esaminato essenzialmente nella sua concreta realtà, nella sua energia e le sue esteriorizzazioni vanno riconosciute come determinate dalla sua interiorità.” (101a). Utilissimo anche, per intendere il significato di <natura/naturale>, come Hegel presenta la necessità/determinazione nel senso della fisica meccanica.(pp.102s).

In §. 35, la terza parte dell’antica metafisica, ovvero la cosmologia.

In §. 32 si trova un’interessante richiamo al significato, che gli scettici classici davano a <dogmatismo>: in quanto intellettualistica, scrive Hegel, la vecchia metafisica non poteva che essere dogmatica, perché di due opposte proposizioni doveva dire che l’una era vera, l’altra falsa. Il richiamo allo scetticismo antico -ma anche la caratterizzazione della sua differenza rispetto a quello moderno- è esplicito nel Zusatz al §. 32; è interessante che Hegel ribadisce l’uso che fa di <dogmatismo>, esempfificandolo con lo stesso Entweder - Oder (che sarà il titolo di Kierkegaard) e, di nuovo, lo esemplifica con una delle antinomie kantiane (o il mondo è infinito o è finito).

§. 33 - La prima parte nell’ordinamento della metafisica antica è assegnata all’ ontologia, che è la dottrina delle astratte determinazioni dell’essenza. Per le molteplici finite figure di queste determinazioni manca, però, un principio e, dunque, debbono essere prese empiricamente e casualmente e il loro più prossimo contenuto può essere preso solo dalla rappresentazione, dalla sicurezza che si ha di pensare appunto un tale contenuto con quella determinata parola, sulla base di un fondamento etimologico [cf. il trascendimento/recupero di Della Volpe - si potrebbe dire che si tratta di una <fallacia della deduzione> e, dunque, si comprende perché, in un’epoca in cui la deduzione gioca un ruolo centrale nella riflessione filosofica, così largamente si trovino denunce del trascendimento/recupero].
La seconda parte nell’ordinamento della metafisica antica è occupato -come ci dice il §. 34- dalla psicologia  razionale  o pneumatologia, che studia la natura metafisica dell’anima, dello spirito, come una cosa.
Nel Zusatz al §. 34: 100, la differenza tra Geist e Seele -cf. 6hegel.doc[n]. - Chiedersi dove risieda l’anima/Seele o se essa sia semplice e composta, sempre, significa pensarla come una cosa/Ding.
Nel §. 35, la terza parte della vecchia metafisica: la cosmologia; nota l’ampio spettro del suo interesse ed, in particolare, che la teodicea ne è una componente.- Libertà e necessità si oppongono radicalmente, solo nella dimensione del finito (102a). - Il male /Böse non è qualcosa di rigido, di positivo: piuttosto esso è il negativo, che non ha una consistenza per sé; nella realtà, il male è solo l’assoluta parvenza della negatività in sé.(103).
La quarta parte -§. 36- della metafisica tradizionale è la teologia naturale o teologia razionale, che si occupa del concetto di dio, delle sue possibilità, delle dimostrazioni dell’esistenza e della qualità di dio.

[2.3] - E’ nel concetto che il regno della libertà si è dischiuso. Nel concetto, “l’opacità delle sostanze, che stanno tra loro nel rapporto causale, è dissolta, poiché l’originarietà della sua autonomia è trapassata nell’esser posto e con ciò è divenuto chiarezza illuminante; la cosa originaria è tale, in quanto è la causa di se stessa ed appunto questo è la sostanza liberatasi a concetto.”(1132.2: 251a).-[di fatto è anche questa un’illustrazione di cosa significa, nell’accezione dialettica, <scientifico> e <razionale>. Dunque, qui è espresso un modello di conoscenza, ma anche di dinamica logico-storica.].
“Poiché l’essere-in-e-per-sé è immediatamente come posto, il concetto -nella semplice relazione a se stesso- è l’assoluta determinazione (Bestimmtheit), ma appunto perché si relaziona solo a se stesso, il concetto è la semplice identità. Ma questa relazione della determinatezza a se stessa, in quanto suo procedere insieme con sé, è la negazione della determinatezza. In questa uguaglianza con se stesso, il concetto è l’ universale. Ma, appunto, questa identità  ha la determinazione della negatività: essa è la negazione o determinatezza, che si relaziona a se stessa: per questo il concetto è singolare (Einzelnes). Ognuna di esse è la totalità, ognuna contiene in sé la determinazione dell’altro, ed appunto ognuna di queste totalità è puramente una, così come questa unità è il dividersi (Diremtion) di se stessa nella libera parvenza di questa scissione - la quale scissione, nella differenza del singolare e dell’universale appare come compiuta contraddizione, che però è talmente apparenza che, non appena il primo venga pensato ed espresso, con ciò stesso è immediatamente pensato ed espresso l’altro.” (1132.2: 251s). Osservazione, che Hegel aggiunge allo scopo di render più facilmente comprensibile quanto sopra - [Meine Frage: se prendiamo l’esempio come rappresentazione semplificata di una costruzione o di una procedura -in questo senso, generalmente di una regola-, il contenuto materiale dell’esempio è ciò, che va tenuto in conto solo a scopi chiarificatori della ‘regola’. E’ interessante che, in questo senso, che io scelga questo o quell’esempio, non significa che il contenuto materiale suo abbia un interesse diretto, ma solo -o fondamentalmente- strumentale, illustrativo, certo, ma appunto della regola. Se l’osservazione precedente vale in generale, nel caso dell’esempio che Hegel sta per introdurre, è probabile che la sua scelta dipenda anche dal fatto che l’intenzione è differenziarsi da Kant ]: “Il concetto, nella misura in cui si è svolto fino ad una esistenza che sia libera, non è nient’altro che l’ <io>, ovvero la pura autocoscienza. <Io> ho molti concetti, ovvero concetti determinati; ma <io> è lo stesso puro concetto, che in quanto concetto è giunto all’esser-così (Dasein). Se dunque ci si ricorda delle determinazioni fondamentali, che definiscono la natura dell’<io>, allora si può presupporre che ci si ricordi qualcosa di noto, di abituale per la rappresentazione. Ma l’<io> è in primo luogo questa pura unità relazionantesi a se stessa e ciò non immediatamente, ma sì in quanto, astraendo da ogni determinazione e contenuto, ritorna nella libertà dell’uguaglianza, priva di limiti, con se stesso. Così l’<io> è universalità; unità, che appare solo mediante quel comportamento negativo che è l’astrarre -ma unità con sé si ha solo in quanto l’<io> contiene in sé ogni dissolto essere determinato. In secondo luogo, l’<io>, in quanto negazione che si relaziona immediatamente a se stessa, è singolarità, assoluto esser determinato, il quale si contrappone all’altro e lo esclude: personalità individuale. Questa assoluta universalità -che è immediatamente assoluta individualità (Vereinzelung) ed anche un essere-in-e-per-sé, che è semplicemente esser posto... definisce la natura dell’io come del concetto...” (1132.2: 253).- “Quando si dice, nel modo abituale all’intelletto, che <io ho>, con ciò si intende una qualità o facoltà (Vermögen), che sta con l’<io> nello stesso rapporto in cui la qualità di una cosa sta appunto con la cosa -valendo quest’ultima come un sostrato non determinato, che non è il verace fondamento o ciò che determina la sua qualità. Giusta questa maniera di rappresentar la cosa, <io> ho concetti o il concetto, così come posso avere una veste, un colore e qualunque altra qualità esteriore [rapporto di esteriorità fra soggetto e predicato, cf. dial.doc]. - Kant si è elevato al di sopra di questa relazione esteriore dell’intelletto -o facoltà dei concetti- e del concetto con l’ <io>. Fa parte delle concezioni (Einsicht) più ricche e profonde che si trovano nella Critica della ragione, quella secondo cui l’unità, che costituisce l’essenza del concetto, va intesa come unità sintetico-originaria dell’appercezione, come unità dell’<io penso> o dell’autocoscienza.” (1132.2: 254). - [passo che traggo da gwfh.doc: “L’oggettività dell’oggetto -che Kant radica nell’appercezione trascendentale e in cui ripone la validità oggettiva della conoscenza- nella parafrasi di Hegel diventa l’esser-in-sé-e-per-sé dell’oggetto, inteso a sua volta come il suo esser-posto dal concetto.”; “Hegel afferma che appartiene alle prospettive più giuste della Critica della ragion pura l’aver riconosciuto che l’unità che costituisce l’essenza del concetto è l’unità sintetica originaria dell’appercezione come unità dell’Io penso o dell’autocoscienza. In questa nozione di sintesi a priori si ha uno dei principi più profondi  per lo sviluppo speculativo, c’è l’inizio per una vera comprensione della natura del concetto e si ha una nozione di pensiero completamente opposta alla vuota identità o all’unversalità astratta. Il che però non impedisce ad Hegel di sottolineare, anche qui, che in Kant questo nucleo speculativo non ha trovato adeguata formulazione e sviluppo poiché la sintesi appare piuttosto come l’unificazione di termini  presupposti che non un’autentica unità originaria, e quindi l’intero idealismo kantiano non esce dal piano puramente psicologizzante e formale.” ]- Questo principio definisce la cosiddetta deduzione trascendentale delle categorie; da sempre, però, questo principio è stato valutato come uno degli aspetti più difficili della filosofia kantiana- per nessun altro motivo che perché richiede che si sia saliti al livello del pensato, dunque, al di sopra della semplice rappresentazione del rapporto, in cui <io> e l’intelletto stanno con una cosa, con le sue proprietà o accidenti [tutto conferma che il perno è la concezione del contingente e del suo rapporto col necessario] . <Oggetto> -dice Kant nella CRP- <è ciò, nel cui concetto è unificata la molteplicità di un’intuizione data. Ogni unificazione delle rappresentazioni richiede, però, una unità della coscienza nella sintesi delle stesse. Conseguentemente, è solo questa unità della coscienza che definisce la relazione delle rappresentazioni in un oggetto, dunque, la sua validità oggettiva... ed è su questa unità che si basa la possibilità dell’inteletto.>.Kant distingue l’unità soggettiva della coscienza, cioè l’unità della rappresentazione, per il fatto che io sia cosciente di una molteplicità  come di una successione o come di una compresenza, la qual cosa dipende dalle condizioni empiriche. I principi, invece, della determinazione oggettiva delle rappresentazioni vanno inferiti solo dal fondamento dell’unità trascendentale dell’appercezione. Mediante le categorie, che sono queste determinazioni obiettive, la molteplicità delle rappresentazioni date vien così determinata, che viene portata ad unità della coscienza. Secondo questa esposizione, l’unità del concetto è ciò mediante cui qualcosa non è più mèra determinazione del sentimento, intuizione o semplice rappresentazione, ma sì oggetto, la cui unità obiettiva è l’unità dell’io con se stesso. In realtà, la concettualizzazione (begreifen) di un oggetto in null’altro consiste se non nel fatto che l’<io> se ne appropria, lo penetra e gli dà la sua propria forma, cioè quella dell’universalità -che è immediatamente determinazione- e della determinazione -che è immediatamente universalità. (1132.2: 254s). Mediante il concettualizzare/Begreifen, l’essere-in-e-per-sé, che l’<io> ha nell’intuizione e nella rappresentazione, è volto in un esser-posto (Gesetztsein). L’<io> penetra in esso pensando.(Ma come l’oggetto è nel pensare, così esso è-in-e-per-sé; come l’oggetto è nell’intuizione o nella rappresentazione, così esso è in quanto manifestazione/Erscheinung; il pensare supera la sua immediatezza, con la quale l’oggetto in prima istanza si presenta a noi e così lo rende un esser-posto. Ma questo suo esser-posto è il suo esser-in-e-per-sé, ovvero, la sua obiettività. Dunque, l’oggetto ha la sua obiettività nel concetto e questa è l’unità dell’autocoscienza... la sua obiettività, ovvero il concetto, dunque, non è null’altro che la natura dell’autocoscienza, non ha altro momento o determinazione se non l’<io> stesso. (1132.2: 255).-[Un’ovvia conferma sta nel modo di usare il termine scienza sperimentale, che trovi in Omelyanovskij e, quindi, anche in Bachelard.] - “... è un principio essenziale della filosofia trascendentale di Kant che i concetti senza le intuizioni siano vuoti e che abbiano valore solo come relazioni della molteplicità, data dall’intuizione.”; inoltre, se è ben vero che, per Kant, il concetto vale come l’obiettività/Objektive della conoscenza; è altrettanto vero, però, che il concetto è assunto come qualcosa di solo soggettivo, dal quale non si lascia selezionare (herausklauben) la realtà -che va intesa come obiettività, dato che vien contrapposta alla soggettività.; insomma, il concetto e il logico vengono intesi da Kant come qualcosa di solo formale, che non contiene la verità, dato che fa astrazione dal contenuto. (1132.2: 256). - In Kant, sentimento/Gefühl e intuizione/Anschauung precedono l’intelletto/Verstand; nella Logik, l’essere/Sein precede l’essenza/Wesen; nella psicologia, Gefühl, Anschauung e Vorstellung precedono l’intelletto; nella Fenomenologia dello spirito, precedono l’intelletto la coscienza sensibile/sinnliche Bewußtsein e la percezione/Wahrnehmung. Incompletezza di Kant espressa dalla trattazione sui concetti di riflessione. (1132.2: 256s).- “Questo rapporto [fra l’intelletto e ciò che è prima dell’intelletto] è assunto, sia nell’abituale rappresentazione psicologica che nella filosofia trascendentale di Kant, in modo tale che la materia empirica, la molteplicità dell’intuizione e della rappresentazione, in primo luogo, è là (da ist) per sé, e, successivamente, fa la sua comparsa ‘intelletto, introducendo in quel materiale l’unità ed elevandolo, mediante l’ astrazione, alla forma dell’ universalità. In questo modo l’intelletto è per sé una vuota forma, che in parte ha realtà solo mediante quel contenuto dato, in parte astrae da esso e lo tralascia come qualcosa di non utilizzabile per il concetto. Nell’una o nell’altra operazione, il concetto non è l’indipendente, non è l’essenziale e vero di quella materia già data, la quale piutosto è, essa, la realtà in e per sé, che non si lascia selezionare (herausklauben) dal concetto.” (1132.2: 258). - Sulla differenza tra concetto/Begriff e idea, a chiarimento della critica a Kant -nota che confermerebbe la mia tesi, secondo cui  Hegel, più di Kant, si attiene alla sinteticità. -cf. krv.doc[n]. E proprio questo è l’idealismo oggettivo (1132.2: 258a).- Hegel critica la concezione, che empirismo e pragmatismo hanno  dell’ astrazione e del concetto - L’astratto vien considerato di minor conto rispetto al concreto, poiché il primo lascia cadere molto di ciò, che fa parte del materiale. Da questo punto di vista all’astrarre vien dato il significato di ricavare dal concreto solo questa o quella caratteristica, che serve ai nostri scopi soggettivi; l’ altra faccia di questa concezione è che per ‘reale’ si intende proprio tutto ciò, che l’intelletto ha scartato e che, dunque, è fuori della sua portata. (1132.2: 258s).-  Di fatto, Hegel fornisce la descrizione del ‘materialismo’ della società capitalistica heute; con la precisazione che il passo indietro non è nei confronti della religione in generale, ma sì rispetto alla religione in quanto pensiero religioso. Qui va precisato che il pensiero religioso non è solo pensiero di dio, ma sì anche una lunga fase, che ha attraversato la storia della riflessione in generale -: se ci si ostina a considerare il sensibile dell’intuizione e della rappresentazione come il reale, di contro al concetto e al pensato, non solo si rende impossibile la filosofia, ma si fa anche un passo indietro rispetto alla stessa religione (1132.2: 259)- Unità dell’appercezione e giudizio sintetico a priori sono fondamentali contributi di Kant, anti-empirismo e nella prospettiva dello sviluppo speculativo; Kant, però, non è poi coerente, non mantiene le promesse. Insomma, Hegel conferma appieno la mia tesi, secondo cui egli si vuole più coerente di Kant nell’attestarsi nella dimensione della sinteticità. (1132.2: 260s); la filosofia kantiana si mantiene nel punto di vista dei riflessi psicologici del concetto e torna ad affermare che il concetto è condizionato dalla molteplicità dell’intuizione. La filosofia di Kant  non considera le conoscenze dell’intelletto e l’esperienza come contenuto apparente per il fatto che le stesse categorie sono finite; lo fa invece sulla base di un idealismo psicologico, cioè, perché le categorie sono solo determinazioni, che vengono dall’autocoscienza [in altre parole, la filosofia di Kant si muove dal punto di vista della reciproca estraneità fra categorie e moleplicità sensibile] ; a ciò si lega il fatto che il concetto, ancora una volta, senza la molteplicità dell’intuizione ha da essere vuoto e privo di contenuto, nonostante il fatto che sia una sintesi a priori; essendo tale l’intelletto, esso ha in sé la determinazione e la differenza; poiché questa è la determinazione del concetto, dunque, la determinazione assoluta, la singolarità (Einzelheit), il concetto è fondamento e origine della molteplicità e di ogni determinazione finita (1132.3: 261).- Del rapporto della ragione con le categorie Kant coglie solo l’aspetto dialettico, non anche quello della sintesi: la conseguenza è che Kant non riesce a cogliere il concetto speculativo, veracemente infinito (1132.2: 261a).
Così Taylor, 6688 cit. da Holz, 7404: 92, “Hegel riprende l’idea di Kant secondo la quale la realtà o l’oggettività s’incontrano soltanto là dove la materia dell’intuizione sensibile è strutturata dal pensiero. Mentre per Kant questo principio è valido soltanto per il nostro sapere del mondo e non per le cose in sé, esso ha per Hegel validità ontologica. La verità interna delle cose consiste in ciò che esse si generano dal pensiero e sono strutturate dalla necessità razionale. Ciò che secondo Kant vale soltanto per la nostra facoltà conoscitiva, è per Hegel un dato di fatto ontologico che si riflette nella nostra facoltà conoscitiva.”  [Su Taylor, 6688 v. anche spm1.doc].

Hegel e l’idealismo oggettivo. Se vale quanto ho notato a proposito di conoscere/begreifen, Hegel sta appunto dicendo che se <conoscere> è un lato della reciproca relazione uomo/mondo, non ha senso -come invece farebbe Kant- porre un contenuto al di fuori, oltre il rapporto conoscitivo. Questo sarebbe il senso della Ding an sich: ovvero, Kant, per un verso, riconosce il ruolo costitutivo del soggetto nell’atto conoscitivo ma, per un altro, contrappone poi il soggetto al mondo. Di qui risulterebbe ben chiaro perché, a proposito di Hegel, si parla di idealismo oggettivo. A proposito di quest’ultimo, rifletti sul <paradosso dell’idealismo oggettivo>, che, per un verso, pretende dare alla filosofia forma di scienza ma, dall’altro, la colloca in una dimensione, che si sottrare ad ogni verifica sperimentale. (Barone, 2702.1: 79) - in proposito, cf. cosa significa <prova> in Hegel. Lo stesso Barone, 2702.1: 74 indica una difficoltà, che aiuta a capire il discorso, che fa Holz a proposito del Weltbild -il suo scopo, evidentemente, è consentire un discorso sulla struttura ontologica in sé, che sfugga, però, alla difficoltà qui indicata da Barone. Importante quanto osservo a proposito di dialettica e teoreticismo, partendo da Sartre, 2259: è probabilmente vero che un punto determinante del post-moderno sia il rifiuto della centralità del punto di vista, dell’ottica, della conoscenza (a conferma, cf. <post-moderno>, in 6hegel.doc[n]). Il termine <idealismo oggettivo> è accostabile a <platonismo>? La questione del completamento; anche questo spiega quanto scrivo sopra a proposito del post-moderno. Idealismo oggettivo come reificazione, in quanto ipostatizza un processo storico-sociale determinato elevandolo a  legge universale, che trova la propria esemplificazione nella storia? Certo questo stravolge Hegel -ma è un pericolo immanente nella sua riflessione? Tieni presente 7hegel.doc per l’accostabilità, probabilmente, del Weltbild di Holz con l’uso, che Hegel fa di <sistema>.


La sinteticità hegeliana. Nota, in primo luogo, che si ricollega certamente alla lezione di Aristotele a proposito di materia/forma. Conferma del fatto che, per Hegel, <conoscere/begreifen> è un modo determinato della relazione dell’uomo con l’oggetto, è un aspetto di quella sinteticità che è l’<esperienza>. E’ componente essenziale di questa determinata relazione che essa avvenga secondo certe modalità, che son della mente. Ma, appunto, se <conoscere> questo significa, non ha senso contrapporre alle modalità della mente l’<oggetto in sé>: essere oggetto del conoscere significa, infatti, essere oggetto entro quei modi di relazione. Da questo si ricava anche che <X è vero> va inteso, sempre, in questo modo <posto che così e così è la relazione conoscitiva, X è vero>. Ma, ancora, il <conoscere> definisce un lato della relazione uomo/mondo, nel senso, anche, che questo lato si intreccia con gli altri: qui il fondamento della <realizzazione della filosofia>. Lega tutto al problema del durchschauen ed al fatto che, solo ad un certo livello di sviluppo storico generale (dunque, del generale rapporto uomo/mondo), si può giungere alla conoscenza/Begreifen di X.
Der Gegenstand in der Anschauung oder auch in der Vorstellung ist noch ein Außerliches, Fremdes.(1132.2: 255) - In altre parole, conoscere X significa rendere X un Gedanke, dargli la forma del Denken: in questo senso, ovviamente, quelli della scienza non possono essere but oggetti di pensiero. Al contrario, l’<esteriorità> fa parte dell’intuire/Anschauung, nel senso che inerisce alla forma dell’Anschauung; dunque, essere oggetto dell’Anschauung significa essere <esteriore>.
Se tieni presente tutto ciò, risulta del tutto chiaro che non ha senso chiedersi se l’uomo riesce o no a conoscere qual è la realtà: in questo senso la Ding an sich perde di qualunque significato e salta, anche, ogni criterio della verità come corrispondenza. Sdi comprende, inoltre, assai bene perché, secondo Hegel, se non posso conoscere la Ding an sich, allora non posso conoscere neanche il soggetto (cf. hegello.doc).


Marx, Hegel: forze produttive e conoscere. - Assegnare allo sviluppo delle forze produttive il ruolo che sappiamo, cosa significa se non asserire che, in ultima istanza, la storia umana è determinata da ciò che si sa e da come lo si sa? Ovviamente il sapere è parte e manifestazione del vivere, dunque i due si implicano.


[2.4] - Das Denken (finito / infinito).

“Quando si parla del pensare, è necessario distinguere il pensare finito e puramente intellettuale da quello infinito o razionale. Le determinazioni di pensiero, per come si trovano immediatamente isolate, sono determinazioni finite. Ma il vero è l’in sé infinito, che attraverso il finito né si esprime né può giungere alla coscienza. L’espressione pensiero infinito può apparire fuori luogo, se si tien presente la concezione attuale (die Vorstellung der neueren Zeit), secondo la quale il pensiero è sempre  limitato, fissato. Ma in realtà, per sua essenza, il pensiero è sempre in sé infinito. Per dirla formalmente, finito significa ciò, che ha una fine, ciò che è,  ma cessa di essere, quando si lega al proprio altro, da cui appunto è limitato. Il finito consiste, dunque, nella relazione al proprio altro, che ne è la negazione e ne circoscrive i confini (Grenze). Ma il pensiero è presso se stesso, si rapporta a se stesso ed ha se stesso come oggetto. -[Se il pensiero è l’intensione e l’esistenza è l’estensione; se, dunque, pensare significa tradurre intensionalmente l’estensionale, ovviamente il pensare è proprio questo aver se stesso come proprio oggetto, nel senso che l’ oggetto è sì l’estensionale, ma in quanto tradotto intensionalmente; dunque, il pensiero non è chiuso entro di sé, ma -anche-  avendo se stesso/l’estensionale, intensionalmente tradotto come oggetto, conserva la diversità con l’estensionale]. In quanto ho un pensato come oggetto, sto presso di me. Ich/io, il pensare [Descartes?], è per questo infinito, perché nel pensare si rapporta ad un oggetto, che è egli stesso. L’oggetto in generale è un altro, una negazione rispetto a me [NB. L’altro, l’oggettivo è la negazione, ciò che dà dolore. Locke, ad es; per il nesso negazione/dolore, cf. anche gwfh.doc.]. Se il pensiero pensa se stesso, allora ha un oggetto che contemporaneamente non è tale, poiché è un che di superato, di ideale. Dunque, il pensiero in quanto tale, nella sua purezza, non ha alcun limite (Schranke) in sé [Schranke è  usato nel senso, in cui lo usa Kant o no?]. Finito è il pensiero solo nella misura, in cui resta in determinazioni limitate [da qui si potrebbe ricavare che ‘limite, limitato’ non è usato da Hegel nel senso di Kant, cioè distinguendolo da Grenze], che per esso valgano come un che di ultimo [cf. il Leibniz, che critica l’empirismo e su questo tema cf. hegel.crd]. Anche il pensiero infinito, speculativo determina, tuttavia, determinando, limitando [conferma la nota prec. a proposito dell’uso di ‘limitare/limitato’], supera questo difetto (Mangel). L’infinito non è da concepirsi, secondo la rappresentazione abituale, come un continuo esser oltre, ma nel semplice modo, che abbiamo detto sopra.(1130.1: 94s).
1130.1: 99c sembra attagliarsi perfettamente alla scissione del Kant, che parla di religione e di morale.

[2.5] - Contro il procedere dell’ empirismo, “nella scienza del concetto, il contenuto e la determinazione di questi debbono esser provati solo mediante la deduzione immanente, che del concetto contiene la genesi...” (1132.2: 252a). -[Da un lato, il mondo statico dell’identità logica; dall’altro il mondo gratuito del movimento e del contingente; le conseguenze di questa contrapposizione possono essere solo o il nominalismo o l’<idealismo soggettivo>. La mossa di Hegel consiste nell’inserire il movimento nel pensiero, guadagnando così la possibilità di tematizzare il movimento come deduzione immanente, coniugandolo insomma con logica e non più con contingente.]






[1] - Cingoli, 7464: 46 sottolinea che, per Hegel, la <vecchia metafisica>, ovvero la metafisica precritica, è quella di Leibniz e Wolff.
[2] -  Come mostra lo Hegel citato in Koyré, 4109: 216, è sbagliato dire che la realtà sta nello spazio.
[3] - Ed infatti <società civile> non è lo stesso che <società capitalistica>.
[4] - Finito/def. - <Finito> equivale ad incompiuto, imperfetto e, dunque, inadeguato. Ad es., l’antica metafisica pone un limite al suo dinamismo, quale movimento, che è il pensiero stesso, accettando come valide una volta per tutte e senza critica le determinazioni intellettualistiche del pensiero. Bella la pagina di Hegel, cit. in Fleischmann, 0904: 79. “... l’essere che supera i propri limiti è indeterminato, non possiede ancora l’individualità.” (Fleischmann, 0904: 82).

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