Secondo Garin, La distruzione della ragione[1] fu scritta da Lukàcs in funzione anti-Zhdanov[2], esattamente per criticare l’endiadi idealismo/materialismo, a cui Lukàcs contrappone quella di razionalismo/irrazionalismo, intendendo che entrambe queste ultime prospettive possono assumere sia forma materialistica che idealistica.[3]
Si può azzardare da ciò, che Lukàcs, realmente, ponga in secondo piano il problema gnoseologico (espresso dalle domande che e quali possibilità di conoscenza posso effettivamente avere)?
Come
che stiano le cose, non è dubbio che la pagina lukàcciana non è mai contenuta
nei limiti e nella determinatezza di un
problema, ma che al contrario,
anche quando in questione sia un singolo tema, il suo respiro, la sua apertura
va oltre, quasi a cogliere una totalità di prospettiva, che comprende, ma
supera anche, la questione sul tappeto.
Per
render conto di questo carattere peculiare (hegeliana) della scrittura
lukacciana, avanziamo l’ipotesi che, almeno a volte, Lukàcs scriva la storia
della filosofia, avendo a mente due modelli letterari: ed esattamente
Dostoevskij e in particolare il Th. Mann
della Montagna incantata.. Esempio
evidente di ciò dovrebbe essere, appunto, La Distruzione della
ragione.
Introducendo
questi modelli, intendo che gli eventi, i personaggi, gli episodi –rilevanti o
meno- della filosofia, quasi personaggi di un romanzo, son comunque tutti
elementi, che servono, in Lukàcs, a dar carne allo scheletro di fondo, alla trama
che sta alla base della costruzione scritta (rispettivamente, lo svolgersi
della Pietroburgo moderna, ovvero –forse- del capitalismo in Russia; la
dinamica della crisi europea ed infine l’esacerbarsi della barbarie
imperialistica).
Se
effettivamente così è impostata la pagina lukàcciana, allora è implicito in
essa un certo taglio ‘riduzionistico’, che però non sempre disturba, se mette
effettivamente in luce come a largo livello culturale, politico, storico, e in
condizioni storiche date, le filosofie possono funzionare rispetto alla loro
finalità di comprensione/descrizione olistica, anche rischiando certe cadute.[4]
Quanto
notato finora, ovviamente, non sottrae
la singola filosofia dall’obbligo di render conto degli usi ed abusi, che –sia
pure malgré lui- ne siano stati storicamente
fatti; resta, ad es. che la
filosofia di Marcuse –per citare solo n caso-
non si identifica con la sua banalizzazione e che, in realtà, essa possa
offrire reali spunti per uno studio scientifico, ma anche che nella sua stessa
struttura compositiva essa lascia aperta la possibilità di una schematizzazione
falsificante.
Nonostante
la consapevolezza, che certamente ha di questi problemi e difficoltà, non
sempre Lukàcs stesso sfugge alla banalizzazione, nel senso che non sempre
lascia intravedere al lettore (come invece in altre occasioni fa) che la realtà
filosofica è più complessa di quanto non appaia nella sua ricostruzione
‘romanzata’ (si consideri, ad es., come Lukàcs lasci aperta la strada ad
un’interpretazione più fine del pensiero di Bergson e come, al contrario, sia
sbrigativo a proposito di Berkley e machismo).
I
meriti di questa impostazione lukàcciana appaiono chiari: son gli stessi di un
romanzo storico, in quanto mi permettono, certo, di ‘vedere’ un mondo, con le
sue articolazioni, limiti e prospettive; ma non va neppure trascurato il
rovescio della medaglia.
Ad
es., lo stesso Lukàcs sottolinea i progressi, in senso dialettico, che la matematica ottocentesca rappresenta. Il fatto è, però,
che quella matematica si poneva problemi
–ad es., quello dell’infinita divisibilità e di una ridefinizione del concetto
di infinito-, che certo non è azzardato far risalire al pensiero classico,
dissolvendosi così ogni loro essenziale
legame con il moderno imperialismo.
Che
rapporto c’è, allora, tra questa problematica propriamente logico-filosofica e
lo svolgersi dell’imperialismo?
Qui,
mi pare, non si trovi risposta in Lukàcs; ovvero lo schema da ‘romanzo storico’
sembra scomparire, quando il discorso non sia più sull’esito, che certe idee
hanno in una situazione data; ma sia invece discorso sullo sviluppo effettivo
della problematica filosofica in senso proprio.
In questo senso, vanno
tenute presenti le pagine, in cui Lukàcs fa derivare la riduzione di merci qualitativamente
diverse (insomma, di valori d’uso) a differenti quantità di uno stesso
valore (il lavoro contenuto), per effetto della scientificizzazione del
processo di lavoro – di qui la pericolosa tendenza –già presente in Storia e
coscienza di classe- a scambiare progresso tecnico-scientifico in ambito
economico con la sua utilizzazione (capitalistica) per approfondire i livelli
di sfruttamento, quasi che si trattasse delle due facce di una stessa medaglia,
che si chiama formalizzazione o matematizzazione.
“In
conseguenza della razionalizzazione del processo di lavoro, le qualità e
particolarità umane del lavoratore appaiono contrapporsi sempre più come mère
fonti di errore al funzionamento, razionalmente precalcolato, di queste astratte
leggi parziali.”[5]; “né sul piano obiettivo,
né in quello del suo comportamento verso il processo di lavoro, l’uomo appare
come il suo autentico portatore, sì piuttosto come una parte meccanizzata
aggiunta ad un sistema meccanico, che egli trova del tutto funzionante a
prescindere da se stesso e le cui leggi
è costretto a seguire passivamente (willenlos).”
.[6] Da
questo nuovo rapporto col processo di lavoro nasce il rovesciarsi dell’attività (Tätigkeit) dell’uomo in passività contemplativa. L’uomo ridotto
a tempo: bella citazione da Marx.[7];
separazione tra lavoro e personalità: quest’ultima ridotta ad osservatrice
dell’erogazione della forza-lavoro. (Geschichte und Klassenbewußtsein, Luchterhand 1970.:
180).
In
relazione a quanto osservavamo, è interessante, ciò che leggiamo a p. 4 dell’opera
lukàcciana, che qui ci interessa: “anche in filosofia si giudicano non le
opinioni, ma le azioni, cioè l’espressioni obiettiva del pensiero, la sua
efficacia storicamente necessaria, in questo senso ogni pensatore è
responsabile di fronte alla storia del contenuto obiettivo della sua
filosofia.”[8]
Tornando
espressamente alla Distruzione della
ragione, Lukàcs dichiara: “Il nostro argomento è pertanto la via della
Germania ad Hitler nel campo della filosofia. Occorre mostrare cioè in che modo
questo processo reale si rispecchia nella filosofia, in che modo proposizioni
filosofiche, in quanto riflessi nel pensiero dello svolgimento reale, che
conduce la Germania
a Hitler, contribuirono ad accelerare questo processo.”[9]
(Lukàcs, 1585: 4a).
“Il
nostro compito è di smascherare tutte le posizioni di pensiero che hanno
preparato la Weltanschauumg
nazionalistica, per quanto lontanamente possano aver avuto, nella loro
coscienza, intenzioni di tal genere.”[10]
“Il
primo periodo importante de!l’irrazionalismo moderno sorge perciò in
opposizione al concetto idealistico e storico-idealistico di progresso: la
via che va da Schelling a Kierkegaard è
al tempo stesso la via che conduce da una reazione feudale contro la Rivoluzione francese, alla ostilità. borghese. verso il progresso.”[11]
“… il
livello filosofico di un ideologo è in definitiva determinato dalla sua
capacità di approfondire le questioni del suo tempo e di sollevarle alla massima
altezza dell'astrazione filosofica, dalla misura in cui il punto di vista della
classe sociale sul cui terreno egli poggia permette di andare -in tali
questioni- fino in fondo e fino alle estreme i conseguenze.” .[12]
“L’aristocratica
gnoseologia, il ripudio del progresso storico-sociale, la creazione di miti,
ecc. sono motivi che ritroviamo praticamente in ogni pensatore irrazionalista.”
[13].
“… nel periodo
imperialistico, Husserl viene a trovasi in secondo piano, giacché le tendenze
irrazionalistiche, presenti fin da principio nel suo metodo filosofico
diventano realmente esplicite solo per opera di Schlegel e particolarmente di
Heidegger. …”[14]
“Eduard
von Hatmann cerca di effettuare una ‘sintesi’ fra Hegel e l’irrazionalismo
(dell’ultimo Schelling e di Schopenhauer) …” [15].
“Gli
storici della filosofia del periodo imperialistico, essenzialmente sulla base
di un’accettazione dell’irrazionalismo, creano da un lato un’armonia tra Hegel
e il romanticismo dall’altro lato un’armonia tra Kant ed Hegel, per cui tutte
le importanti lotte di tendenza in teoria sono eliminate e viene tracciata
un’unica linea di sviluppo senza problemi e senza contraddizioni che conduce
all’irrazionalismo.” [16]
“…
Heidegger (che) è il modello dell’esistenzialismo francese, esercita già da
tempo un’azione decisiva su Ortega y Gasset, influisce in modo profondo e
pericoloso sul pensiero borghese in America, ecc.” [17]
“…
in quasi tutti i paesi che occupano posizioni prevalenti nel periodo
imperialistico l’irrazionalismo raggiunge forme altamente sviluppate: ciò
avviene nei paesi anglosassoni; con Boutroux e Bergson in Francia; con Croce in
Italia …” [18]
L’autocoscienza,
che Lukàcs ha della portata del proprio disegno serve –questa è la domanda, che
mi pongo- ad aprire la possibilità di un altro ‘sguardo’ filosofico marxista,
sostanzialmente separabile da quel marxismo
della vulgata, che -almeno a partire
dalla morte di Lenin- tanto impoverì la potenzialità culturale ma anche
politica del pensiero di Marx? La risposta possiamo trovarla solo riprendendo a
seguire ben da vicino la pagina lukàcciana.
“I
bisogni ideologici affini, determinati come tali dall’economia imperialistica, provocano in circostanze
sociali concretamente diverse, varietà molto diverse d’irrazionalismo, che
anzi, considerate superficialmente, possono sembrare opposte. Si pensi ad es. a
Croce rispetto a W. James ed al
pragmatismo.”[19]
“Croce
non è affatto immediatamente sotto l’influsso di Vischer, ma i suoi rapporti
con Hegel (e con Vico, da lui <scoperto> e fatto conoscere) procedono su
una linea analoga tendente
all’irrazionalismo.”[20]
“Mentre Croce pretende di
continuare le tradizioni hegeliane (e vichiane) dell’Italia, convertendole di
fatto in un irrazionalismo, James invece si trova in lotta aperta con queste
tradizioni dei paesi-anglosassoni.”[21]
“Come
Mach e Avenarius volgono i loro attacchi principali contro il vecchio idealismo
mentre in realtà combattono con vera decisione soltanto il materialismo
filosofico[22], così fa anche James.
Egli è vicino ad essi anche per il fatto che questa unione della lotta reale
contro il materialismo e dei finti attacchi contro l'idealismo assume un
atteggiamento come se questa «nuova» filosofia s'innalzasse finalmente al di
sopra della falsa opposizione di materialismo e idealismo, come se questa
affinità riguarda tutte le questioni essenziali della filosofia, e deve
quindi costituire la base della valutazione del pragmatismo. Ma le differenze,
proprio dal nostro punto di vista, sono almeno altrettanto importanti.
Anzitutto perché l'irrazionalismo che
nella dottrina di Mach è contenuto in
modo implicito e s’ afferma
nettamente solo poco per volta,[23] in
James appare già in modo esplicito e pienamente dispiegato. Ciò si esprime già
nel fatto che Mach ed Avenarius cercano anzitutto una motivazione gnoseologica
delle scienze esatte della natura e vogliono far credere di essere
perfettamente neutrali nelle questioni relative alla visione della vita; James
invece esordisce proprio con la pretesa di saper risolvere immediatamente, con
l'aiuto della sua nuova filosofia, le questioni relative alla visione della
vita. Egli si rivolge subito, non già a cerchie relativamente ristrette di
dotti, ma cerca di appagare i bisogni ideologici della vita quotidiana,
dell'uomo medio.
Apparentemente
è solo una differenza terminologica se i seguaci di Mach pongono l'«economia
del pensiero» come criterio gnoseologico della verità, mentre James pone come
equivalenti verità e utilità ( per un individuo qualsiasi). Da un lato James
estende a tutta la vita la validità della teoria gnoseologica di Mach e le
conferisce un deciso accento di filosofia della vita (Lebensphilosophie), d'altro lato le dà un significato più generale.
che va oltre la tecnica dell'«economia di pensiero».[24]
“Una
tesi fondamentale del materialismo dialettico è che la prassi rappresenti il
criterio della verità teoretica … L’esattezza o l’inesattezza del
rispecchiamento teoretico della realtà oggettiva esistente indipendentemente
dalla nostra coscienza, o meglio il grado della nostra approssimazione ad essa,
si dimostra solo nella prassi, mediante la prassi.” [25]
Soffermandosi,
particolarmente, sul rapporto tra il pensiero di W. James e lo statunitense man in the street , Lukàcs, osserva: “…
un’importante funzione dell’irrazionalismo: uno dei suoi compiti sociali più
importanti per la borghesia reazionaria è propriamente quello di offrire agli
uomini un confort sul terreno della visione della vita, l’illusione di
una perfetta libertà, l’illusione dell’indipendenza personale, della
superiorità morale e intellettuale, mentre il loro comportamento li ricollega
continuamente, nelle loro azioni reali, alla borghesia reazionaria, li mette continuamente al suo servizio.” [26]
“In
James il concetto di creazione di miti non appare mai con quella chiarezza di
contenuto che si trova, per es., in Nietzsche, che nella gnoseologia e nella
sua etica presenta molti tratti pragmatistici …” [27]
Un
particolre rilievo ha per Lukàcs il rapporto fra Bergson e il pragmatismo.[28]
“…già
lo Schelling dell’ultimo periodo rivolge i suoi attacchi contro il razionalismo
creato da Descartes, attacchi che in seguito … raggiunsero ai tempi di Hitler
la forma estrema del ripudio di tutte le filosofie progressive borghesi e
dell’esaltazione di tutte le tendenze reazionarie …” (Lukàcs, 1585: 28).
Differenza
di orientamento politico fra calvinismo e luteranesimo (Lukàcs, 1585: 37s).
“…
Il luteranesimo (e più tardi il pietismo, ecc.) … converte la sudditanza
esteriore in interiore sottomissione, facendo sorgere quella psicologia del
suddito che Fr. Engels chiamò <da servitori> ….” [29]
“L'irrazionalismo
contemporaneo si è dato naturalmente molto da fare per trovare antenati.
Volendo esso ricondurre la storia della filosofia a una lotta «eterna» fra
razionalismo e irrazionalismo, sorge per esso la necessità di mostrare
nell'Oriente, nell'antichità, nel Medioevo ecc., concezioni filosofiche
irrazionalistiche …
Hegel
usa la parola <irrazionale> solo in senso matematico, e quando critica
gli indirizzi filosofici qui considerati parla di <sapere immediato>.”[30]
“È
forse un caso, ma comunque un caso significativo, che il suo (di Hegel)
confronto di principio con questo tema (l’irrazionalismo) cominci proprio in
rapporto alla matematica e alla geometria. Si tratta comunque per lui, in
questo contesto, dei limiti delle determinazioni dell'intelletto, della loro
contraddittorietà, del continuarsi e dell'innalzarsi del movimento dialettico,
ivi sorto, fino alla ragione. Dice Hegel a proposito della geometria: … nel
suo procedere -cosa molto degna di nota - essa si scontra al fine con i n c o mm e n su r a b i I i t à ed i r
r a z i o n a I i t à ; e qui, se vuol procedere più oltre nel determinare, è s
p i n t a al di là del principio intellettuale. Anche qui, come in molti altri
casi, la stortura appare nella terminologia stessa, essendo ciò che è chiamato
razionale il meramente intellettuale, e ciò che è chiamato irrazionale,
piuttosto un cominciamento e un barlume della razionalità'.” [31] “Con
queste constatazioni possiamo già determinare più da vicino il generale
rapporto metodologico dell'irrazionalismo con la dialettica, poiché la realtà
oggettiva è fondamentalmente più ricca, più varia, più complessa di quanto mai
possano essere i concetti meglio sviluppati del nostro pensiero, sono
inevitabili scontri … fra pensiero ed essere. E quindi in tempi in cui lo
sviluppo oggettivo della società e la conseguente scoperta di nuovi fenomeni
della natura procedono impetuosamente, si offrono grandi possibilità, per
l'irrazionalismo, di trasformare questo progresso, con le sue falsificazioni,
in un movimento retrogrado. Una situazione di tal genere si determinò allo
scorcio del secolo XVIII e al principio del XIX” [32]
Soffermandosi
ancora sul tema della matematica, di fatto, Lukàcs si giustappone a quanto
Lenin aveva più volte affermato nel suo Materialismo
ed empiriocriticismo, sottolineando la portata dialettica proprio di quella
matematica e scienza post-classica, che Lenin aveva criticato.
Le
singole scienze “si trovano spesso nella situazione di risolvere direttamente
determinati problemi posti dalla vita, spesso senza preoccuparsi molto delle
conseguenze che avranno per la visione del mondo; si pensi allo sviluppo della
matematica, in cui importanti problemi dialettici furono giustamente posti e
risolti e i massimi innovatori dialettici erano altrettanto poco consapevoli di
scoprire nuova terra dialettica che il borghese di Molière di parlare sempre in
prosa. La filosofia invece è costretta ad affrontare le questioni fondamentali,
le questioni relative alla visione del mondo, quali che siano per essere le sue
risposte.” [33]
Riprendendo
un tema di cui già abbiamo fatto cenno, Lukàcs rimarca che l’’intensificata
relazione, che la borghesia impone, nella fase del suo sviluppo monopolistico,
alla relazione fra scienza e produzione (trasformando,così, la scienza in una importante
forza economica produttiva), da un lato, è una necessità a cui il capitalismo è
sottoposto per non scomparire; dall’altro, però, “il proletariato è la prima
fra le classi oppresse della storia, che si ponga in grado di contrapporre una
propria Weltanschauung, alternativa e
storicamente più adeguata che quella della borghesia.[34]
“Tuttavia,
tanto più procede lo sviluppo della società borghese, tanto più la borghesia
non fa che difendere il suo potere contro il proletariato, quanto più diventa
una classe reazionaria, e tanto più raramente studiosi e filosofi borghesi sono
disposti a trarre le conseguenze filosofiche dalla già grandissima ricchezza di
dati di fatto addotti dalle scienze; tanto più decisamente la filosofia
borghese si volge a soluzioni irrazionalistiche, quando lo svolgimento si
avvicina a un punto in cui è all'ordine del giorno un ulteriore passo in avanti
nell'interpretazione immanentistica del mondo, nella spiegazione dell'universo
mediante l'universo stesso, nella concezione razionalistica della dialettica e
del movimento.”
Di
qui si dipartono alcune pagine di Lukàcs, che –pur dovendo l’A. pagare un
qualche scotto alla tradizione terzointernazionalista del cosiddetto materialismo dialettico-, convergono con i risultati di ricerche assai più
recenti della sua.[35]
Tra Sei-Settecento, scrive Lukàcs, il principale
conflitto filosofico è quello fra
materialismo e idealismo. Il materialismo, dopo aver cominciato a prepararsi (
talvolta in forme mistico-religiose) già nel Medioevo, dà all'idealismo la
prima grande battaglia in campo aperto nelle discussioni sulle Meditations di
Descartes, quando i suoi più importanti rappresentanti di allora, Gassendi e
Hobbes, scesero in lotta contro Descartes. Che Spinoza rappresenti un ulteriore
rafforzamento di questa tendenza, non ha bisogno di essere analizzato più da vicino.
Il secolo XV111 porta, specialmente in Francia, la maggior fioritura del
materialismo metafisico, il periodo di Holbach, Helvetius e Diderot; dove non
va trascurato il fatto che nella filosofia inglese, benché il suo indirizzo
ufficiale ( la corrente di Berkeley e di Hume che si ricollega alle incertezze
di Locke), in conseguenza del compromesso ideologico della gloriosa rivoluzione,
sia agnostico e idealista, appaiono ancor sempre notevoli e influenti pensatori
materialisti o inclini
al materialismo. Quanto fosse forte, anche in pensatori che non si professavano
materialisti, il convincimento che la coscienza è determinata dall'essere,
risulta dalle celebri metafore, ricorrenti in forme diverse, dell'illusione
umano-idealistica della volontà libera: non solo l'immagine spinoziana del
sasso scagliato o la banderuola di Bayle, ma anche l'immagine del magnete di
Leibniz. “ [36].
Anche in questa occasione, quando sarebbe
facilissimo ripercorrere la rigida strada leninista, Lukàcs dà prova di una
duttilità analitica, certamente non
‘materialistico-dialettica’, ed addirittura lo fa a proposito di un
filosofo, centrale nella storia del moderno pensiero religioso.
“In
Pascal –leggiamo infatti nel nostro testo- è chiaramente visibile la doppia
linea di questa critica. Egli ci dà una viva e acuta descrizione della società
della nobiltà cortigiana, delle conseguenze morali nichilistiche che risultano
di necessità dalla sua dissoluzione già chiaramente in atto. In tali
descrizioni viene ad avere non di rado dei punti di contatto con La Rochefoucauld e con La Bruyère. Ma mentre
questi affrontano coraggiosamente i problemi morali che qui sorgono, in Pascal
la loro constatazione serve soltanto a fare di un pathos attuale un
trampolino di lancio per un salto mortale nella religione. Mentre in La Rochefoucauld e in La Bruyère, sia pure solo in
forma aforistica o descrittivo-raziocinante, ci si avvicina molto alla
dialettica della morale nella nascente società capitalistica, tali
contraddizioni appaiono in Pascal come a priori insolubili nell'ambito umano e
terreno, come sintomi dell'abbandono e della solitudine senza speranza, senza
possibilità di salvezza, dell’uomo affidato a se stesso, abbandonato da dio.”
A
caratterizzazione della cultura imperialistica, Lukàcs fa alcune osservazioni,
che non vanno assolutamente trascurate –se non altro perché viviamo, proprio
ora, un clima culturale, che verifica le affermazioni lukàcciane.
“ …
quanto più i contrasti sociali si fanno acuti, quanto più difficile diventa la
posizione delle idee religiose, tanto più energicamente gli irrazionalisti
negano che ci sia la possibilità della conoscenza razionale della realtà.
Questa linea comincia già con Schopenhauer … il cancellare i confini fra
gnoseologia fa parte delle caratteristiche essenziali dell’irrazionalismo
moderno …”[37]
Tornando
all’ispirazione fondamentale del suo pensiero (a cui si lega poi quel rapporto
filosofia/romanzo, che notavamo all’inizio), e ponendo, di fatto, il tema della
coupure épistemologique (e, sappiamo,
della connessa révolution philosophique)
alla p. 129 dell’opera lukàcciana leggiamo:
“Non è certo per caso che la grande crisi nel
pensiero scientifico procede parallelamente alla crisi sociale. Con
la scoperta di tutta una serie di nuovi fenomeni nel campo della chimica e
della biologia viene a trovarsi sempre più al centro dell'interesse la critica
del pensiero metafisico-meccanicistico; si ha la sensazione sempre più chiara
che il pensiero fondato solo sulla geometria e la meccanica, a cui la fisica e
l'astronomia dei secoli XVII e XVIII debbono i loro trionfi, sia
inadeguato ai nuovi compiti, ad abbracciare la totalità dei fenomeni naturali.
Questa crisi di crescenza del pensiero naturale non si limita ai problemi della
pura elaborazione concettuale. Anche qui comincia ad affermarsi la
considerazione storica. Si pensi alle teorie astronomiche di Kant e Laplace,
alle scoperte della geologia e della paleontologia, agli inizi della teoria
dell'evoluzione, all'incipiente opposizione contro i grandi sistematori
meccanicisti quali Linneo e Cuvier, si pensi a Goethe, Geoffroy de Saint-
Hilaire, Lamarck ecc.” (Lukàcs, 1585: 129).
Abbiamo
visto, anche a questo punto della nostra ricerca, quanto la concezione, che
Lukàcs ha della filosofia (la sua vocazione a ricostruire mediante essa il
quadro complessivo –per quanto contraddittorio possa essere- di una società
data,o, meglio, di una tappa data dello svolgimento umano), lo conduca ad
assegnare un ruolo fondamentale al rapporto fra sviluppo delle scienze e
concezione filosofica.
Questa
è una delle radici fondamentali per spiegare la sua avversione al cosiddetto
idealismo soggettivo, ovvero, alla
filosofia di Fichte.
“Fichte
–leggiamo in Lukàcs: 133ss- eliminando dall’idealismo trascendentale la
kantiana cosa in sé trasformò direttamente la sua filosofia, dal punto di vista
gnoseologico, in un idealismo soggettivo del tipo di Berkeley, e attuò così
quello che Kant aveva chiamato <uno scandalo della filosofia>.” Con
Schelling, che pure in larga misura equivoca Fichte o non ne vede le
inconseguenze interne, “dal punto di vista filosofico, si compie un grande
passo in avanti, e può ormai cominciare la vera fioritura dell’idealismo
oggettivo, della dialettica idealistica oggettiva.”[38]
Lukàcs,
così come interviene a dimostrare l’irrealtà di un orientamento speculativo
hegeliano contrario al mondo delle scienze ovvero dell’intelletto, analogamente
tende a presentare il pensiero politico di Hegel, fuori della vulgata
conservatrice o, addirittura, reazionaria.
“… la prospettiva del
giovane Hegel, rivolta decisamente in avanti, verso l’avvenire, e che scorge
nel presente l’inizio di un nuovo periodo per la storia dell’umanità, entra,
con la caduta di Napoleone, col dominio della Santa Alleanza, a sua volta in
crisi. La filosofia della storia del tardo Hegel è una concezione rassegnata,
molto più fortemente portata al compromesso, di quanto non fosse la filosofia
della storia della Fenomenologia dello Spirito. Il presente è ormai
concepito, non come inizio, ma come conclusione di un grande periodo storico,
la filosofia non guarda più in avanti, ma verso il passato; il futuro cessa per
essa di determinare il presente e la sua concezione filosofica. La filosofia
non ha più il dovere di «salutare e riconoscere» il nuovo avvento dello
Spirito, ma appare come la «nottola di Minerva», che può spiegare il suo volo
solo all'inizio del crepuscolo.”[39]
E’ interessante notare che
con queste considerazioni, non solo Lukàcs dimostra anche un distacco critica
nei confronti di Hegel, ma che addirittura, per dimostralo, faccia riferimento
ad un autore, del quale certamente non approva la prospettiva e che considera n punto di riferimento chiave
del moderno irrazionalismo, anche se, per Lukàcs, resta vero che è “con
Nietzsche (che) ha inizio la vera lotta dell’irrazionalismo contro le idee
socialiste” [40]
L’apologetica
indiretta del capitalismo, caratterizza la posizione di Schopenhauer: “Come
se ne può formulare nel modo più breve l'essenza ? Mentre I'apologetica diretta
si preoccupa di nascondere, di contestare in modo sofistico, di far sparire le
contraddizioni del sistema capitalistico, I'apologetica indiretta prende le
mosse proprio da queste contraddizioni, ne riconosce l'effettiva esistenza e
l'impossibilità di negarle come dato di fatto, ma ne dà un'interpretazione che
-nonostante tutto questo -torna a vantaggio della conservazione del
capitalismo. Mentre I'apologetica diretta s'ingegna di presentare il
capitalismo come il migliore degli ordinamenti, come la vetta suprema e
definitiva dell'evoluzione dell'umanità, I'apologetica indiretta mette in
rilievo senza riguardo i Iati cattivi e gli orrori del capitalismo, ma afferma
che essi non sono proprietà specifiche del capitalismo, ma della vita umana,
dell'esistenza in generale. Ne consegue necessariamente che la lotta contro
questi mali appare fin da principio non solo come vana, ma come qualcosa di
assurdo, come un tentativo di distruggere l'essenza stessa dell'uomo… Pessimismo
significa quindi anzitutto giustificazione filosofica dell’assurdità di ogni
attività politica.” [41]
Stefano Garroni
07.07.2013
[1] - Che in prima
edizione uscì nel 1954, per poi essere pubblicato da Einaudi nel 1959.
[2] -cf. La filosofia italiana dal dopoguerra ad
oggi. Laterza 1985: 7n. Sappiamo che la centralità dell’opposizione
idealismo/materialismo nasce da ambiente leibniziano e che fu,, erroneamente,
assunta quale problema fondamentale
della filosofia da Friedrich Engels.
[3] - Per la complessità
semantica dei termini materialismo/idealismo, cf. S. Garroni, “L’ambivalenza di
Lenin”, in AAVV, Ricerche marxiste Roma
2013. Com’è noto, a partire da Marx, la tradizione marxista distingue tra
materialismo volgare e materialismo, invece, su base dialetica. In questo
senso, non fa meraviglia che il tema venga ripreso da Lùkàcs, ma con una
precisazione: è a Schopenhauer, che Lukàcs si rchiama per ribadire quella
differenza, mostrando così, e questo è il secondo aspetto,una lettura non
sbrigativa e liquidatoria dell’autore tedesco, che d’altra parte lo stesso
Lukàcs riconosce capofila del’irrazionalismo (Lukàcs: 222).
[4] - Mi riferisco al
rischio di semplificazione schematizzante, a cui non sfuggirono le elaborazioni
di Th. Adorno e di H. Marcuse, ad opera di quello che fu internazionalmente
denotato (ma, in realtà, connotato anche) come il ‘Movimento’.
[5] - Kukàcs, op. cit.¸178.
[6] - Lukàcs, Geschichte
und Klassenbewußtsein,
Luchterhand 1970. Questo,
però, conferma che è per il marxismo una gravissima lacuna il fatto di mancare
di una teoria dello Stato, anche dello Stato (o semi-Stato) proletario o
dittatura del proletariato. Infatti, il superamento della scissione, dovuta
allo sviluppo della tecnica lavorativa, si gioca fortemente -anche se non
esclusivamente- sul piano dell’organizzazione del potere decisionale e di
controllo dei lavoratori.
[7] - Marx, Das Elend der philosophie: “Secondo
un economista americano, è la concorrenza a determinare quante giornate di
lavoro non qualificato siano contenute in una giornata di lavoro qualificato.
Senza presupporre questa riduzione di giornate lavorative di lavoro qualificato
in giornate lavorative di lavoro semplice [nota
che Marx indica il lavoro non qualificato o semplice con <einfache
Arbeit> e lavoro qualificato con <zusammengesetze Arbeit>] ,
sarebbe possibile che il lavoro semplice fornisse la misura del valore? Se la
quantità di lavoro in sé -a prescindere da ogni considerazione qualitativa- è
assunta come misura del valore, allora si presuppone che il lavoro semplice sia
divenuto la pietra angolare (Angelpunkt)
dell’industria. Ma ciò presuppone, anche, che i lavori siano stati resi uguali
mediante la sottomissione degli uomini alle macchine o all’esterna divisione
del lavoro; che gli uomini siano scomparsi di fronte al lavoro; che la lancetta
dell’orologio sia divenuta l’adeguata misura della proporzione, in cui stanno
le prestazioni di due lavori, così come
avviene con la velocità di due locomotive. Non bisogna, dunque, più dire che
l’ora-lavoro di un uomo è uguale
all’ora-lavoro di un altro, ma sì che, nell’ora. l’ uomo e l’altro uomo sono lo
stesso valore. Il tempo è tutto, l’uomo non è più nulla: al più, egli è tempo
che ha preso corpo. Non si tratta più di qualità; tutto è deciso, solo, dalla
quantità: ora di fronte ad ora, giorno di fronte a giorno; ma questa
parificazione del lavoro in nessun modo è opera dell’eterna giustizia, di cui
dice il Proudhon. Piuttosto è né più né meno che l’opera della moderna
industria”. Cf Hyppolite, Saggi su Hegel
e Marx, Bompiani: 169).
[8] - Si noti che Lukàcs
parla di conseguenze obiettive e necessarie di un certo pensiero: non dunque delle ‘’disavventure’, in cui di
fatto può incorrere. Mi richiamo, evidentemente, alle “disavventure della
dialettica”, di cui scrisse Merleau-Ponty.
[9] - Lukàcs: 4
[10] - Lukàcs: 5.
[11] - Lukàcs: 7
[12] - Lukàcs: 9
[13] - Lukàcs: 10
[14] - Lukàcs: 12
[15] - Lukàcs: 14
[16] - ivi.
[17] - Lukàcs: 16s.
[18] - Lukàcs: 17
[19] - Lukàcs: 18
[20] - Lukàcs:
19
[21] - Lukàcs: 20
[22] - Qui Lukàcs ricorre, come si vede, ad un’
argomentazione rigorosamente leniniano, la quale tuttavia contrasta con la sua
consapevolezza che il marxismo delle Terza Internazionale fosse molto più dipendente da Plechanov che da Marx
propriamente.
[23] - Non sfugga come Lukàcs, con questa sua
precisazione, si discosti dal rigoroso, rigido anti-machismo del leniniano Materialismo ed empiriocriticismo. La stessa sottolineatura della non identità fra
Mach ed Avenarius è, per la sua chiarezza, un elemento non del tutto
assimilabile al ragionamento leniniano.
[24] - Lukàcs: 21
[25] - Così in Lukàcs: 22. Ma l’ungherese era troppo profondo
conoscitore della storia della filosofia, per nonriconoscere la banalità di
quella tesi.
[26] - Lukàcs: 22.
[27] - Lukàcs: 23
[28] - “Non è un semplice
caso che le maggiori conseguenze della dottrina bergsoniana si manifestino in
Proust.” ( Lukàcs, 1585: 24.
[29] - Lukàcs: 39.
[30] - Lukàcs: 92
[31] - Lukàcs: 93
[32] -
Lukàcs: 95. Non sfuggano le assonanze tra le osservazioni hegeliane e quelle
contenuto, intorno agli stessi temi, nella Vorrede
alla 1. edizione della kantiana “Kritik der reinen Vernunft”.
[33] - Lukàcs: 100.
[34] - Lukàcs: 104.
[35] - Cf. AAVV, L’Illuminismo, UTET 2012.
[36] - Lukàcs: 110.
[37] - Lukàcs 115s.
Verrebbe da dire (posto che abbia senso citare dei clowns filosofici) ‘eppure
Lukàcs non conosceva né Vattimo, né Preve!’
[38] - Appare qui chiaro che col termine dialettica della natura, Lukàcs intende
liberare la dialettica da un soffocante abbraccio con il soggettivismo, ché la
ridurrebbe all’arbitrio dell’io. Ciò ovviamente non comporta che la dialettica,
als solche, possa impartire alla natura
leggi e modi di svolgimento, trasformandosi in
una sorta di super scienza speculativa. Allo scopo di comprender meglio,
in che senso –secondo Lukàcs- può parlarsi di anti - .intellettualismo di Hegel
(tema fondamentale, perché comporta il rapporto effettivo tra filosofia
hegeliana e sviluppo delle scienze reali-, si consideri questa pagina: - ““Il passaggio dall'intelletto alla
ragione è in Hegel una Aufhebung nel suo triplice significato specifico
di distruggere, conservare e innalzare a un livello superiore. Fra intelletto e
ragione domina una contraddittorietà dialettica che pervade tutto il sistema di
Hegel e forma in special modo il nocciolo della logica dell'essenza. In Hegel,
perciò, la logica deve necessariamente diventare la scienza fondamentale della
nuova filosofia dialettica.” (Lukàcs: 142 ). Nello stesso senso, si notino le pagine,
che Lukàcs: 146s dedica alla hegeliana Fenomenologia.
[39] - Lukàcs: 162s.
[40] - Lukàcs: 200s.
[41] - Lukàcs: 206s “L’ordinario egoismo borghese è per
Schopenhauer semplicemente un immutabile carattere cosmico di ogni essere. “
(Lukàcs: 211). “L’irrazionalità della società e della storia apare come pura e
semplice mancanza xdi senso, e l’aspirazione a prender parte ala vita sociale,
e magari trasformare la società, come una tale mancanza di penetrazione
nell’esenza del mondo da sfiorare la criminlalità.” (Lukàcs: 213).
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