martedì 9 luglio 2013

H.H.Holz, Philosophie, Hamburg 1990



La filosofia è quel modo di conoscenza,che non tanto si orienta mediante gli oggetti indagati dalle scienze particolari, quanto piuttosto sulle condizioni e la struttura dei loro [1]
insiemi ordinati, sul modo del loro esser dati nella conoscenza, sul loro significato per l‘uomo e, dunque, in fine, sull’orientamento teorico e pratico dell’uomo nel mondo. (672). La filosofia si interroga anche sull’essenza del singolo essere e del mondo come tutto, sulla verità e le forme del pensiero, nonché circa il senso della vita e lo scopo dell’agire. A differenza di altre forme di visione del mondo, la filosofia sottopone la propria teoria ed argomenti e criteri razionali, per opera dei quali essa generalmente risulta comprensibile e nei migliori dei casi si può dimostrare che essa dovrebbe esser vincolante. Poiché il movimento di pensiero della filosofia non si pone al livello dell’oggetto, ma a ciò giunge partendo dai rapporti tra gli oggetti, ovvero dal rapporto tra essere e pensiero, inizialmente la filosofia si pone in contraddizione rispetto ad altre forme di visione del mondo, quali ad es. il mito, la religione, la concezione naturalistica, che procedono da qualcosa di presupposto. La filosofia,invece, non procede da altro se non da se stessa: la filosofia deve –e in ciò consiste la sua difficoltà- intraprendere il tentativo di iniziare senza presupposti, in modo da potere, nel corso del suo sviluppo, esplicitare i presupposti nascosti in un inizio che apparentemente ne è privo. Ciò significa che il suo movimento, che la fonda, è circolare e si verifica nella costruzione non viziosa di questo circolo.(673)

Paul Tillich ha espresso questa visione della filosofia, come la scienza che si distingue da ogni scienza particolare: “L’inizio della filosofia è il non tener conto di qualunque altra istanza oltre se stessa … La filosofia non consente che nulla, oltre a se stessa,avanzi pretese; essa non ha alcun inizio, se non l’iniziare stesso.” Ma poiché tuttavia egli fonda solo antropologicamente questa corretta concezione, particolarmente nel modo di essere dell’uomo, che “in ogni movimento può essere nello stesso tempo al di là di esso (e dunque) può interrogarsi sulla totalità di ciò che gli si contrappone, sul mondo; egli non riconosce la razionalità della posizione filosofica e, poiché l’inizio della filosofia non è fondato su asserti fattuali delle singole scienze, lo abbandona all’arbitrio. La fenomenologia dei gradi dell’organico, che con le leggi dell’immediatezza mediante e dell’utopica posizione (Plessner) appunto dà le condizioni naturali della nascita della prospettiva filosofica nel processo dell’evoluzione giusta la sua regola essenziale, non raggiunge il terreno dell’autofondazione della dialettica-trascendentale, che il rapporto del pensiero con l’essere deve potersi determinare solo dal pensare del pensare e dunque dal pensare stesso, che ha da liberarsi dai reali presupposti, che in esso son racchiusi. La struttura circolare della fondazione della filosofia significa che questa rivolge a se stessa la sua propria forma della riflessione a partire dagli oggetti del pensiero/conoscere. Le forme di pensiero, che come principi apriorici della ragione e come criteri della razionalità, entrano nella determinazione  del rapporto dell’essere e del pensiero ed il cui carattere assiomatico, che rafforza in un primo momento l’autonomia (apparente) della filosofia, sono forme della riflessione-in-sé, nelle quali il pensiero esiste effettivamente come pensare determinato,  cioè come pensare di un determinato, dunque di un contenuto distinguibile. La pura intelligibilità è sempre già riempita di contenuto e solo in quanto tale di essa si può fare esperienza e la si può pensare. Le forme categoriali del pensiero sono riflessione della sua determinatezza contenutistica (e non forme vuote staccabili dal contenuto). Solo in questo modo il problema del rapporto dell’essere e del pensiero può chiarirsi. Ma ciò significa anche che le forme della riflessione come ‘rispecchiamento’ (Widerspiegelungen) dei contenuti di pensiero sono in una dipendenza funzionale rispetto a questi contenuti, e parimenti rispetto all’aspetto, sotto il quale il contenuto si rappresenta (ad es. un organismo vivente come identico sostrato o come processo non identico), come pure riguardo alla sua forma storica di esistenza … La filosofia come riflessione presuppone sempre il terreno della positività (Faktizität) e la sua rappresentazione pensata, sia che si tratti di natura di società, che di scienza e della generale visione del mondo. Ma essa presuppone, anche, il modello filosofico di pensiero, che gli è stato dato di fatto, dunque, presuppone la sua stessa storia; quest’ultima in un modo particolare, poiché la filosofia sviluppa il suo lavoro con i metodi e la razionalità (Begrifflichkeit), che si sviluppano nella storia dell’uomo. A ragione, dunque, Tillich afferma che l’essenza della filosofia è essa stessa storica, non solo il sapere filosofico (Tillich). La storicità della filosofia si manifesta sbucando dal presente, che si vuol perenne, e trasformandola nella storicità delle sue realizzazioni.(673)


[1] - Cfr Hegel e l’eleatismo.                                                                                                                    ------------------------------------                                                                                                                                                                      (H.H.Holz “Einheit und Widerspruch, Band 2, Metzler 1998)                                                                                                              

                                                                                                                                                                                                                    

Tra i più diffusi pregiudizi c’è quello, per cui il pensiero dell’Illuminismo sia astorico, perché anche negli eventi ricerca sempre la ragione ed in ogni caso richiede una ragione non storica, ma di portata generale. Conseguentemente,l’Illuminismo non sottopone gli eventi a criteri storicamente relativi. Era lo storicismo dl XIX secolo, che affermava la dicotomia tra ragione storia e, quindi, negava la dimensione storico-filosofica del pensiero illuministico, la quale già dava segno di sé nella controversia sulla Querelle, senza la quale per altro non si dava alcuna enfatizzazione della modernità e del progresso…

La Storia universale di Bossuet,[1] scritta ad usum Delphini,vale ancora come un racconto teologico della realizzazione della volontà divina nello scorrere del mondo; e non impropriamente è attraversata da devoti ammonimenti e concepisce la storia come un processo unitario di creazione del mondo, da Adamo e dal peccato originario fino all’epoca di Carlo il grande. Gli eventi non sono per caso, infatti, per quanto determinati dal tempo e dal luogo e per quanto siano comportamenti individuali degli attori, tuttavia sono indizi ed esempi di norme morali, che possono essere adempiuti o, al contrario, violati.[2]
Questo spirito, che dal punto di vista cronologico è medievale, apre già a qualcosa di nuovo. L’uso della storia non si limita solo all’ambito spirituale, ma ha anche un senso ‘realpolitik’[3], in quanto sono determinate le coordinate, in cui lo svolgersi del genere umano è da tracciare. Il figlio di Ludovico XIV valorizzò la Histoire universelle per tutto quello che, in genere, poteva capitare ad un monarca assoluto. L’inizio della prefazione, naturalmente secondo il modello teorico della adhortatio, è un programma d’educazione politica, per il quale la storia deve esser concepita come un insieme di fatti e non come una corona di esempi. “Se la storia deve essere utile anche ad altri, allora la si dovrebbe lasciar leggere anche ai principi. Non vi è, per loro, mezzo migliore per scoprire cosa possono provocare le passioni e gli interessi, il tempo e le circostanze, i buoni o cattivi consigli (…) Se l’esperienza è loro necessaria per acquistare scaltrezza, che serve per un buon governo, altrettanto per loro ammonimento nulla è più utile che intrecciare l’esperienza, che i principi fanno continuamente, con gli esempi dei secoli passati.
Invece che imparare a giudicare, cosa che essi fanno abitualmente, sulla base dei costi per i loro sudditi e del loro proprio onore, i principi formano il loro giudizio, con l’aiuto della storia, senza rischio, fondandosi sugli eventi passati. Se essi vedono, come gli errori più nascosti dei principi, le false lodi, che, da vivi, vengono loro rivolte da tutti son riconosciute per quello che sono, essi si vergognano della gioia vanitosa, che procurano loro le lusinghe, dacché ben sanno che l’autentico onore solo al merito spetta.[4]
Queste parole introduttive mostrano le tre intenzioni di Bossuet: conoscenza dei fatti, rimprovero morale, addestramento nella scaltrezza politica. E’ certo che in queste proposizioni non viene in luce che il triplice intento della rappresentazione, la  quale ha un denominatore comune, basato su una religiosità, eticamente fondata, cosicché la storiografia di nuovo si muta in un trattato teologico. La triplice suddivisione in storia d’un’epoca, storia di una religione e storia di uno Stato, conserva il terreno della fattualità (Faktizität), del significato storico-religioso e del valore politico, la tecnica di esposizione reciproca l’un l’altro, nonché mostra una nuova coscienza per le diversità dell’approccio metodologico. Ma in ultima istanza è l’impegno morale e teologico, che ha il sopravvento.
Comunque, Bossuet ha contemporaneamente introdotto un nuovo genere ed un nuovo modo di ricerca: una storia universale, che non considera più il mondo solo come un’unità spaziale, ma anche come una connessione temporale (in questo è accostabile a Leibniz); e la storia come complesso insegnamento politico, cosa che essa non potrebbe essere, se non  esistessero analogie tra schemi di comportamento in epoche diverse, dunque regole o modelli del corso storico. Il problema della storicità nella separazione tra singolarità dell’evento e tipo delle situazioni e delle possibilità di comportamento qui ancora non appare, come se Bossuet non riuscisse a salire a questo livello.
Leibniz, che ha unito il principio della singolarità (Einmaligkeit) di ogni essente con il principio dell’armonia universale, ci ha forniti di un abbozzo di modello per la risoluzione di questa spaccatura. L’utilità di questo modello metafisico per una teoria della storia certamente non fu riconosciuto, se non da Herder.
La costruzione della teoria segue le linee di un altro conflitto. Il terreno dello scontro e delle diversità fra filosofie della storia non è la logica del singolare e dell’universale, ma l’ermeneutica della fondazione di un senso teologico o mondano della storia stessa. Non il categoriale problema degli universali, ma il problema filosofico generale (weltanschaunliche) del teocentrismo funzionò come medio per andare oltre il pensiero di Bossuet.
“La storicità è il processo dell’emancipazione, di maturazione dell’umanità, che va ricercando la propria salute nelle proprie capacità; per questo non considera tra le forze il salvifico piano celeste della provvidenza. Con il noto Diacours sur l’histoire universelle ancora una volta si propone la concezione teocentrica della storia – si trattò dell’ultimo tentativo di porre in accordo l’insieme del nuovo materiale storico scoperto con l’immodificabile schema biblico della nascita del mondo e della storia. La ricerca storico universale dell’illuminismo respinse sempre questo incontro come il ritorno ad una concezione teologica dello storia. Da Turgot a Condorcet, l’indagine storica conservò sempre un tono ostile a Bossuet, del rifiuto del celeste piano salvifico della storia universale … In un mezzo secolo, nell’immagine della storia, al posto della provvidenza divina, fece la sua apparizione la ragione e lo scontro di interessi. Il cambiamento di atteggiamento è rintracciabile in ogni parola, quando si confronta la Histoire univeselle, scritta per il delfino, con l’Etude de l’Histoire à Monseigneur le Prince de Parme, scritta ancora una volta per un principe dall’Abbe Mably.
Anche qui la storia serve come <scuola di morale e di politica>. Ma al contrario di Bossuet, Mably vuol tornare così tanto al passato, quanto ci permettono i documenti della storia profana – e l’accento su profano mostra l’orientamento filosofico generale dello storico: si tratta dell’umanità civilizzata, la quale si dà leggi (non le riceve da dio) e che ha da costruire un ordinamento, che garantisca la pace sociale. In Asia, dove furono gettate, le leggi hanno in primo luogo la sicurezza e la libertà  come conseguenza della giustizia.[5] Il legame di diritto e storia (che costituisce la conclusione della hegeliana Rechtsphilosophie)è caratteristico dell’Illuminismo francese.
Merita interesse non l’avvenimento, ma la storia della civilizzazione. “La storia come l’analizzare uno smisurato insieme di fatti, che l’uomo cerca di organizzarsi nella propria memoria secondo un ordine cronologico, soddisfa solo un’infantile e vana curiosità, le quali rivelano uno spirito dappoco; altrimenti detto, logorarsi con una sterile costruzione (Bildung), che è adeguata solo all’educazione di un pedante. Cosa significa per noi conoscere gli errori dei nostri padri, se non servono a rendersi più acuti?[6] Mably aveva cominciato con uno studio di diritto pubblico, che rientra nell’insieme della pubblicistica politica sulla pace del XVIII secolo – questo insieme giunge fino al kantiano Zum ewigen Frieden.
Il legame tra filosofia del diritto e della storia, che possiamo esemplificare con Mably,
si presenta nell’opera – con chiara presa di distanza dall’immagine della storia di Bossuet-, in cui risalta la storicità dell’agire storico: la storia è il processo, attraverso il quale l’uomo si impegna e stabilisce un ordine razionale riguardo all’insieme della sua vita. E L’esprit des lois d Montesquieu, l’opera in cui l’autofondazione della società umana e la sua legittimazione mediante la ragione viene statuita. La connessione tra indagine storica e giuridica è chiara nella serie delle opere. Nel 1734 Montesquieu oubblicò le Considéations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadencePoiché Montesquieu spiega dalla crescita alla decadenza attraverso la storia della Costituzione, di dota di un angolo visuale assai profondo rispetto ai processi storici, come una più tarda descrizione storica, che si fa rigorosamente inquadrare, considerando grandezza degli individui e contingenza degli eventi. (79).
Il ben noto E. Gibbon, la cui opera monumentle, The History and the Fall of the Roman Empire, apparve circa mezzo secolo dopo le Considerations, si trova per questo in accordo con <montesquieu, quando vede la decadenza di Roma nel passaggio dallo stato repubblicano ad un impero universale, per quanto Gibbon sottolinea la caduta morale in seguito alla crescente ricchezza, mentre Montesquieu mette al centro una civitas di liberi ed  uguali,  dunque dà molta importanza alla struttura sociale, cioè a dire, dimostra una sensibilità  storica più marcata che nel caso di Gibbon. Nella Nota introduttiva allo Esprit des lois, viene espressa programmaticamente la svolta verso un’autonoma indagine storica, che non si orienta sullo norme della morale e del cristianesimo, ma che propriamente è storia politica.
“Si deve tener conto di questo che, ciò che chiamo virtù nella repubblica, è l’amore per la patria, cioè l’amore per l’eguaglianza. Non si tratta né di una virtù morale, nè cristiana – si tratta piuttosto di una virtù politica e si tratta del fondamentale filo conduttore, che mette in movimento il governo repubblicano, così come l’onore lo è nel caso della monarchia. Per questo ho chiamato virtù politiche l’amore per la patria e per la virtù stessa. E’ chiaro che qui è data la prevalenza ad una Costituzione repubblicana. Nelle ricerche su Roma, sempre si rivela questa simpatia di Montesquieu per la forma statuale repubblicana. … I repubblicani, per i quali il problema della nascita non gioca alcun ruolo, sono da questo punto di vista i più fortunati. Perché il popolo tanto meno può essere invidioso di una dignità, che c’è quando si vuole e che si ottiene a discrezione … In questo il governo di Roma ebbe qualcosa di meraviglioso, poiché dall’inizio, sia per il carattere del popolo in generale, sia per il potere del senato, sia per l’influsso di certi funzionari, ogni cattivo uso del potere aveva la sua contromisura … Le leggi di Roma avevano suddiviso il potere tra un grande numero di funzionari, i quali reciprocamente si appoggiavano, si ostacolavano e si sorvegliavano.(Holz, 80)[7]. E poiché ognuno di questi funzionari non aveva che un potere limitato, ogni cittadino era adeguato ad esso e il popolo vedendo molte personalità l’uno accanto all’altra presentarglisi di fronte, non stabiliva rapporti particolari con nessuno di essi[8] L’uguaglianza dei cittadini, per Montesquieu, è un punto centrale in una forma sociale ben riuscita, mentre l’altro è la limitazione del potere del governo. L’Esprit des lois è un testo di teoria giuridico-sociale, che ha influenzato in maniera essenziale la Costituzione americana … Va certamente sottolineato che Montesquieu sviluppa la sua teoria dello Stato, sottoponendola costantemente alla verifica storica: egli fa della storia veramente l’uso, richiesto dai filosofi teorici dopo Bossuet. L’opera di Montesquieu è un corpus d’esempi, la considerazione dei quali può  consentire, mediamente l’analogia, di giungere a strutture, che superano le mera storicità, qualora si conosca la particolarità di una situazione storica e la si separa dall’universale. L’esattezza della conoscenza dei fatti deve precedere la conoscenza, che se ne ricava, se un esempio storico deve avere un senso teorico. Questo principio (e non la sufficienza della ricerca empirica, che può esprimere solo lo stato della conoscenza in un tempo dato): tutto ciò fa di Montesquieu un fondatore del metodo storico. Egli h coscienza storica nel moderno senso del termine. A volte è considerato Voltaire, che coniò il termine filosofia della storia, ad essere riconosciuto come il fondatore del pensiero storico durate l’illuminismo francese; in realtà egli ha redatto numerose opere storiografiche e il suo Essai sur les moers et l’esprit des nations è l’esplicito rovescio dell’Histoire universale di Bossuet –la storia come storia profana della cultura umana.[9]
Tuttavia, io penso che Voltaire già nelle sua numerose opere letterarie, ha elaborato dal punto di vista della coscienza storica, non andando Voltaire oltre questi confini. (Holz: 81).In somma, si mescolano in Voltaire pathos letterario, polemica personale e politico-culturale ed una visione tendenziosa in una quantità così rilavante  nella rappresentazione della storia, che Montesquieu inoltre con la sua più rimarchevole sobrietà scientifica sembra voler corrispondere all’atteggiamento degli storici futuri. Ma già come apparve per la recezione della fisica newtoniana, anche Voltaire nei sessant’anni di produzione letteraria dette un durevole effetto sull’opinione pubblica europea ed a questo risultato contribuì in modo decisivo la sua abilità di presentare i pensieri nello stile più chiaro, in modo da richiamare il legame del presente col passato.
Senza dubbio Voltaire fu il principale protagonista di ogni approfondito rinnovamento della coscienza generale,[10] che fu indicato come laicizzazione della visione del mondo. Ma questo compito poteva esser portato a termine solo se, in luogo del significato religioso del corso della storia, si fosse affermata una ricerca del tutto profana della sviluppo politico-culturale dell’umanità. Il propagarsi di questo cambiamento di atteggiamento, che fu operato a cominciare dalla Storia degli oracoli di Fontanelle per giungere all’ Esprit des lois di Montesquieu dalla primitiva intelligenza rischiarante, fu il compito che Voltaire sempre più dette alla sua vita –compito che egli seppe svolgere al meglio. (Holz: 81).
Né Montesquieu, né Voltaire, né l’Abbé Mably delinearono una filosofia della storia. Il termine filosofia della storia, nel XVIII secolo, corrisponde all’uso che se ne fa, ma non ha un senso specifico, piuttosto è un’indagine della storia filosofia, coerente con i criteri convalidati dalla ragione. La filosofia – così come accadeva con l’antico equivalente tedesco, sapienza mondana, in contrapposizione alla conoscenza di dio.(Holz:82).                                                                   




[1] - Marx fundou uma ciência nova, a ciência da história das formações sociais (ou “sociedades”) reais, concretas. Ainda não compreendemos o alcance deste feito prodigio­so. Tanto antes como depois de Marx, os homens viviam­, as massas humanas faziam a sua história. Existiam historiadores para fazer a sua crônica, e filósofos para fazer a sua filosofia. A história era um campo por cultivar ocupado pelas ideologias religiosas (Bossuet), jurídicas e morais (Rousseau, Fourier, Proudhon, etc) ou filosóficas (Hegel).(Marta Hamecker in desafio.doc). Fonti della teoria stadiale:  a) la riflessione sull’origine della proprietà privata; b) la concezione provvidenzialistica della storia: Bossuet; (Meek, 7367: 19); c) la disputa tra gli antichi e i moderni (Meek, 7367:) Nel primo capitolo del suo Montesquieu. La politica e la storia, L. Althusser osserva che “la storia di Bossuet[1] pretende di essere affatto universale: tutta la sua universalità consiste però nel dire che la Bibbia ha già detto tutto, tutta la storia essendovi compresa al modo in cui una quercia è compresa nella ghianda.”[1] L’osservazione di Althusser va accolta, nel senso che si può affermare –sia pure schematizzando e, dunque, semplificando- che, fino all’Illuminismo (dunque, grosso modo, fino alla seconda metà del Seicento[1]), i concetti di storia, tradizione, credenza ereditaria, Bibbia, tendono a risolversi l’un nell’altro.
J-B- Bossuet, 6018: “
[2] - Serve per comprendere il concetto di <bestimmen>, in Marx?
[3] - (Politica realistica). Politica estera di potenza che, prescindendo dalle ideologie, mira a conseguire gli interessi concreti di uno stato mediante l'uso della forza.
[4] - Cf. Bossuet, Discours sur l’histoire universelle, Paris 1966: 39ss.
[5] - C’est dans l’Asie que jettant les premiers fondements de la societé, les lois ont d’abord amené la sûreté  et la paix à la suite de la justice (Holz : 375n6).
[6] - Abé de Mably
[7] - A mio parere questo tema della divisione del potere (e quindi anche dell’allargamento della sua base).
[8] - Potrebbe essere una pagina, che illustra non i guasti, ma sì i meriti della burocrazia, la quale può allargare la base del potere (e, dunque, aprirlo potenzialmente a tutti); oppure, al contrario, escludere da esso chi non fa parte della casta.
[9] - Tieni conto della nota 2 a p.377, a proposito di Luporini studioso di Voltaire.
[10] - Per l problema dell’illuminismo, della sua portata di massa e del ruolo di Voltaire, Holz rimanda a Gramsci 4112.3: 1854ss.                                                        ---------------------------------                                                            
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      In Francia fu Condorcet il primo a ricondurre ad un principio costitutivo la realizzazione pratica (Faktizität) del  corso storico, il quale principio consente di pensare gli eventi come momenti di un insieme determinante. In questo modo Condorcet dà all’ideologia del progresso, che è propria del secolo, una fondazione immanente.(82)
Condorcet ricerca, per così dire, nella storia qualcosa di analogo alle leggi di natura: per questo tale esposizione è storica, poiché sottintende un mutamento progressivo, che consente l’osservazione delle società umane in diverse epoche. L’analisi deve render conto dei mutamenti nella loro regolarità … L’indagine di ciò che l’uomo fu e di ciò che è oggi, ci offre la possibilità di vedere e chiarire gli ulteriori progressi, che la natura umana non ha ancora evidenziato …
Ai margini  dell’illuminismo francese e tedesco e pressoché sconosciuto dai suoi stessi contemporanei  e dalle generazioni immediatamente successive, in Italia  (dove anche fu immediatamente ben poco valutato) un isolato pensatore tratteggiò le linee della storicità del genere umano: G.B. Vico. (Holz: 83).
Dichiaratamente anticartesiano, Vico non tanto si colloca nel contesto dell’illuminismo, quanto piuttosto nella tradizione dell’Umanesimo e del Rinascimento italiani, dei quali assume l‘interesse filosofico e per le scienze dell’antichità. La riscoperta di Vico nel quadro europeo lo si deve a Benedetto Croce; come conseguenza dell’accoglimento dello storicismo del Croce, la sua monografia sul Vico determinò una spinta alla ricerca ulteriore su tale argomento. Il problema di Vico è la metafisica del conoscere. Con acutezza, Vico riconobbe la debolezza della fondazione cartesiana della conoscenza certa. Se la certezza del conoscere consiste nell’identità del cogito col suo procedere, col formalismo della predicazione da parte del pensiero, nel procedere giudicante degli atti del pensiero, allora la conoscenza umana può essere sempre e solo certa di ciò, che essa stessa produce, così che oggetto, contenuto, procedere del cogitare vengono a coincidere. Questo però non vale per la natura esterna, per il mondo naturale – ecco perché Descartes deve tornare a dio come istanza della corrispondenza tra pensiero e mondo esterno (fisico). Ma questo vale pienamente per gli asserti matematici, la cui base di partenza è data dalla definizione dei loro oggetti che, in quanto oggetti del pensiero, sono creati dallo svolgersi stesso del pensiero, come mostrano gli Elementi di Euclide.[1] “Possiamo dimostrare –così scriveva Vico- ciò che appartiene alla geometria, perché siamo noi che lo produciamo.”[2] Ma, allora, gli oggetti della geometria non sono se non oggetti ideali, non altro che contenuti del nostro pensiero



[1] - L’elaborazione di una geometria non euclidea avrebbe confermato la concezione vichiana della non naturalità della geometria e ne avrebbe mostrato il pieno idealismo.
[2] - “Geomtrica  demonstramus, quia facimus. (Vico, cit in Holz: 378).

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