La filosofia è quel modo
di conoscenza,che non tanto si orienta mediante gli oggetti indagati dalle
scienze particolari, quanto piuttosto sulle condizioni e la struttura dei loro [1]
insiemi ordinati, sul modo del loro esser dati nella conoscenza, sul loro
significato per l‘uomo e, dunque, in fine, sull’orientamento teorico e pratico
dell’uomo nel mondo. (672). La filosofia si interroga anche sull’essenza del
singolo essere e del mondo come tutto, sulla verità e le forme del pensiero,
nonché circa il senso della vita e lo scopo dell’agire. A differenza di altre
forme di visione del mondo, la filosofia sottopone la propria teoria ed
argomenti e criteri razionali, per opera dei quali essa generalmente risulta
comprensibile e nei migliori dei casi si può dimostrare che essa dovrebbe esser
vincolante. Poiché il movimento di pensiero della filosofia non si pone al
livello dell’oggetto, ma a ciò giunge partendo dai rapporti tra gli oggetti,
ovvero dal rapporto tra essere e pensiero, inizialmente la filosofia si pone in
contraddizione rispetto ad altre forme di visione del mondo, quali ad es. il
mito, la religione, la concezione naturalistica, che procedono da qualcosa di
presupposto. La filosofia,invece, non procede da altro se non da se stessa: la
filosofia deve –e in ciò consiste la sua difficoltà- intraprendere il tentativo
di iniziare senza presupposti, in modo da potere, nel corso del suo sviluppo,
esplicitare i presupposti nascosti in un inizio che apparentemente ne è privo.
Ciò significa che il suo movimento, che la fonda, è circolare e si verifica
nella costruzione non viziosa di questo circolo.(673)
Paul Tillich ha espresso
questa visione della filosofia, come la scienza che si distingue da ogni
scienza particolare: “L’inizio della filosofia è il non tener conto di
qualunque altra istanza oltre se stessa … La filosofia non consente che nulla,
oltre a se stessa,avanzi pretese; essa non ha alcun inizio, se non l’iniziare
stesso.” Ma poiché tuttavia egli fonda solo antropologicamente questa corretta
concezione, particolarmente nel modo di essere dell’uomo, che “in ogni
movimento può essere nello stesso tempo al di là di esso (e dunque) può
interrogarsi sulla totalità di ciò che gli si contrappone, sul mondo; egli non
riconosce la razionalità della posizione filosofica e, poiché l’inizio della
filosofia non è fondato su asserti fattuali delle singole scienze, lo abbandona
all’arbitrio. La fenomenologia dei gradi dell’organico, che con le leggi
dell’immediatezza mediante e dell’utopica posizione (Plessner) appunto dà le
condizioni naturali della nascita della prospettiva filosofica nel processo
dell’evoluzione giusta la sua regola essenziale, non raggiunge il terreno
dell’autofondazione della dialettica-trascendentale, che il rapporto del
pensiero con l’essere deve potersi determinare solo dal pensare del pensare e
dunque dal pensare stesso, che ha da liberarsi dai reali presupposti, che in
esso son racchiusi. La struttura circolare della fondazione della filosofia significa
che questa rivolge a se stessa la sua propria forma della riflessione a partire
dagli oggetti del pensiero/conoscere. Le forme di pensiero, che come principi
apriorici della ragione e come criteri della razionalità, entrano nella
determinazione del rapporto dell’essere
e del pensiero ed il cui carattere assiomatico, che rafforza in un primo
momento l’autonomia (apparente) della filosofia, sono forme della
riflessione-in-sé, nelle quali il pensiero esiste effettivamente come pensare
determinato, cioè come pensare di un
determinato, dunque di un contenuto distinguibile. La pura intelligibilità è
sempre già riempita di contenuto e solo in quanto tale di essa si può fare
esperienza e la si può pensare. Le forme categoriali del pensiero sono riflessione
della sua determinatezza contenutistica (e non forme vuote staccabili dal
contenuto). Solo in questo modo il problema del rapporto dell’essere e del
pensiero può chiarirsi. Ma ciò significa anche che le forme della riflessione
come ‘rispecchiamento’ (Widerspiegelungen) dei contenuti di pensiero
sono in una dipendenza funzionale rispetto a questi contenuti, e parimenti
rispetto all’aspetto, sotto il quale il contenuto si rappresenta (ad es. un
organismo vivente come identico sostrato o come processo non identico), come
pure riguardo alla sua forma storica di esistenza … La filosofia come
riflessione presuppone sempre il terreno della positività (Faktizität) e la sua
rappresentazione pensata, sia che si tratti di natura di società, che di
scienza e della generale visione del mondo. Ma essa presuppone, anche, il
modello filosofico di pensiero, che gli è stato dato di fatto, dunque,
presuppone la sua stessa storia; quest’ultima in un modo particolare, poiché la
filosofia sviluppa il suo lavoro con i metodi e la razionalità (Begrifflichkeit),
che si sviluppano nella storia dell’uomo. A ragione, dunque, Tillich afferma
che l’essenza della filosofia è essa stessa storica, non solo il sapere
filosofico (Tillich). La storicità della filosofia si manifesta sbucando dal
presente, che si vuol perenne, e trasformandola nella storicità delle sue
realizzazioni.(673)
[1] -
Cfr Hegel e l’eleatismo. ------------------------------------ (H.H.Holz “Einheit und Widerspruch, Band 2, Metzler 1998)
Tra i più diffusi pregiudizi c’è quello, per cui il
pensiero dell’Illuminismo sia astorico, perché anche negli eventi ricerca
sempre la ragione ed in ogni caso richiede una ragione non storica, ma di
portata generale. Conseguentemente,l’Illuminismo non sottopone gli eventi a
criteri storicamente relativi. Era lo storicismo dl XIX secolo, che affermava
la dicotomia tra ragione storia e, quindi, negava la dimensione
storico-filosofica del pensiero illuministico, la quale già dava segno di sé
nella controversia sulla Querelle, senza la quale per altro non si dava
alcuna enfatizzazione della modernità e del progresso…
La Storia
universale di Bossuet,[1]
scritta ad usum Delphini,vale ancora come un racconto teologico della
realizzazione della volontà divina nello scorrere del mondo; e non
impropriamente è attraversata da devoti ammonimenti e concepisce la storia come
un processo unitario di creazione del mondo, da Adamo e dal peccato originario fino
all’epoca di Carlo il grande. Gli eventi non sono per caso, infatti, per quanto
determinati dal tempo e dal luogo e per quanto siano comportamenti individuali
degli attori, tuttavia sono indizi ed esempi di norme morali, che
possono essere adempiuti o, al contrario, violati.[2]
Questo spirito, che dal punto di vista cronologico è
medievale, apre già a qualcosa di nuovo. L’uso della storia non si limita solo
all’ambito spirituale, ma ha anche un senso ‘realpolitik’[3],
in quanto sono determinate le coordinate, in cui lo svolgersi del genere umano
è da tracciare. Il figlio di Ludovico XIV valorizzò la Histoire
universelle per tutto quello che, in genere, poteva capitare ad un monarca
assoluto. L’inizio della prefazione, naturalmente secondo il modello teorico della
adhortatio, è un programma d’educazione politica, per il quale la storia
deve esser concepita come un insieme di fatti e non come una corona di esempi.
“Se la storia deve essere utile anche ad altri, allora la si dovrebbe lasciar
leggere anche ai principi. Non vi è, per loro, mezzo migliore per scoprire cosa
possono provocare le passioni e gli interessi, il tempo e le circostanze, i
buoni o cattivi consigli (…) Se l’esperienza è loro necessaria per acquistare
scaltrezza, che serve per un buon governo, altrettanto per loro ammonimento
nulla è più utile che intrecciare l’esperienza, che i principi fanno
continuamente, con gli esempi dei secoli passati.
Invece che imparare a giudicare, cosa che essi fanno
abitualmente, sulla base dei costi per i loro sudditi e del loro proprio onore,
i principi formano il loro giudizio, con l’aiuto della storia, senza rischio,
fondandosi sugli eventi passati. Se essi vedono, come gli errori più nascosti
dei principi, le false lodi, che, da vivi, vengono loro rivolte da tutti son
riconosciute per quello che sono, essi si vergognano della gioia vanitosa, che
procurano loro le lusinghe, dacché ben sanno che l’autentico onore solo al
merito spetta.[4]
Queste parole introduttive mostrano le tre intenzioni di
Bossuet: conoscenza dei fatti, rimprovero morale, addestramento nella
scaltrezza politica. E’ certo che in queste proposizioni non viene in luce che
il triplice intento della rappresentazione, la
quale ha un denominatore comune, basato su una religiosità, eticamente
fondata, cosicché la storiografia di nuovo si muta in un trattato teologico. La
triplice suddivisione in storia d’un’epoca, storia di una religione e storia di
uno Stato, conserva il terreno della fattualità (Faktizität), del
significato storico-religioso e del valore politico, la tecnica di esposizione
reciproca l’un l’altro, nonché mostra una nuova coscienza per le diversità
dell’approccio metodologico. Ma in ultima istanza è l’impegno morale e
teologico, che ha il sopravvento.
Comunque, Bossuet ha contemporaneamente introdotto un
nuovo genere ed un nuovo modo di ricerca: una storia universale, che non
considera più il mondo solo come un’unità spaziale, ma anche come una
connessione temporale (in questo è accostabile a Leibniz); e la storia come
complesso insegnamento politico, cosa che essa non potrebbe essere, se non esistessero analogie tra schemi di
comportamento in epoche diverse, dunque regole o modelli del corso storico. Il
problema della storicità nella separazione tra singolarità dell’evento e tipo
delle situazioni e delle possibilità di comportamento qui ancora non appare,
come se Bossuet non riuscisse a salire a questo livello.
Leibniz, che ha unito il principio della singolarità (Einmaligkeit)
di ogni essente con il principio dell’armonia universale, ci ha forniti di un
abbozzo di modello per la risoluzione di questa spaccatura. L’utilità di questo
modello metafisico per una teoria della storia certamente non fu riconosciuto,
se non da Herder.
La costruzione della teoria segue le linee di un altro
conflitto. Il terreno dello scontro e delle diversità fra filosofie della
storia non è la logica del singolare e dell’universale, ma l’ermeneutica della
fondazione di un senso teologico o mondano della storia stessa. Non il
categoriale problema degli universali, ma il problema filosofico generale (weltanschaunliche)
del teocentrismo funzionò come medio per andare oltre il pensiero di Bossuet.
“La storicità è il processo dell’emancipazione, di
maturazione dell’umanità, che va ricercando la propria salute nelle proprie
capacità; per questo non considera tra le forze il salvifico piano celeste
della provvidenza. Con il noto Diacours sur l’histoire universelle ancora
una volta si propone la concezione teocentrica della storia – si trattò
dell’ultimo tentativo di porre in accordo l’insieme del nuovo materiale storico
scoperto con l’immodificabile schema biblico della nascita del mondo e della
storia. La ricerca storico universale dell’illuminismo respinse sempre questo
incontro come il ritorno ad una concezione teologica dello storia. Da Turgot a
Condorcet, l’indagine storica conservò sempre un tono ostile a Bossuet, del
rifiuto del celeste piano salvifico della storia universale … In un mezzo
secolo, nell’immagine della storia, al posto della provvidenza divina, fece la
sua apparizione la ragione e lo scontro di interessi. Il cambiamento di
atteggiamento è rintracciabile in ogni parola, quando si confronta la Histoire
univeselle, scritta per il delfino, con l’Etude de l’Histoire à Monseigneur
le Prince de Parme, scritta ancora una volta per un principe dall’Abbe Mably.
Anche qui la storia serve come <scuola di morale e di
politica>. Ma al contrario di Bossuet, Mably vuol tornare così tanto al
passato, quanto ci permettono i documenti della storia profana – e l’accento su
profano mostra l’orientamento filosofico generale dello storico: si
tratta dell’umanità civilizzata, la quale si dà leggi (non le riceve da dio) e
che ha da costruire un ordinamento, che garantisca la pace sociale. In Asia,
dove furono gettate, le leggi hanno in primo luogo la sicurezza e la
libertà come conseguenza della
giustizia.[5]
Il legame di diritto e storia (che costituisce la conclusione della hegeliana Rechtsphilosophie)è
caratteristico dell’Illuminismo francese.
Merita interesse non l’avvenimento, ma la storia della
civilizzazione. “La storia come l’analizzare uno smisurato insieme di fatti,
che l’uomo cerca di organizzarsi nella propria memoria secondo un ordine
cronologico, soddisfa solo un’infantile e vana curiosità, le quali rivelano uno
spirito dappoco; altrimenti detto, logorarsi con una sterile costruzione (Bildung),
che è adeguata solo all’educazione di un pedante. Cosa significa per noi
conoscere gli errori dei nostri padri, se non servono a rendersi più acuti?[6]
Mably aveva cominciato con uno studio di diritto pubblico, che rientra
nell’insieme della pubblicistica politica sulla pace del XVIII secolo – questo
insieme giunge fino al kantiano Zum ewigen Frieden.
Il legame tra filosofia del diritto e della storia, che
possiamo esemplificare con Mably,
si presenta nell’opera – con chiara presa di distanza
dall’immagine della storia di Bossuet-, in cui risalta la storicità dell’agire
storico: la storia è il processo, attraverso il quale l’uomo si impegna e
stabilisce un ordine razionale riguardo all’insieme della sua vita. E L’esprit
des lois d Montesquieu, l’opera in cui l’autofondazione della società umana
e la sua legittimazione mediante la ragione viene statuita. La connessione tra
indagine storica e giuridica è chiara nella serie delle opere. Nel 1734 Montesquieu oubblicò le Considéations
sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence … Poiché
Montesquieu spiega dalla crescita alla decadenza attraverso la storia della
Costituzione, di dota di un angolo visuale assai profondo rispetto ai processi
storici, come una più tarda descrizione storica, che si fa rigorosamente
inquadrare, considerando grandezza degli individui e contingenza degli eventi.
(79).
Il ben noto E. Gibbon, la cui
opera monumentle, The History and the Fall of the Roman Empire, apparve
circa mezzo secolo dopo le Considerations, si trova per questo in
accordo con <montesquieu, quando vede la decadenza di Roma nel passaggio
dallo stato repubblicano ad un impero universale, per quanto Gibbon sottolinea
la caduta morale in seguito alla crescente ricchezza, mentre Montesquieu mette
al centro una civitas di liberi ed
uguali, dunque dà molta
importanza alla struttura sociale, cioè a dire, dimostra una sensibilità storica più marcata che nel caso di Gibbon.
Nella Nota introduttiva allo Esprit des lois, viene espressa
programmaticamente la svolta verso un’autonoma indagine storica, che non si
orienta sullo norme della morale e del cristianesimo, ma che propriamente è
storia politica.
“Si deve tener conto di questo
che, ciò che chiamo virtù nella repubblica, è l’amore per la patria,
cioè l’amore per l’eguaglianza. Non si tratta né di una virtù morale, nè
cristiana – si tratta piuttosto di una virtù politica e si tratta del
fondamentale filo conduttore, che mette in movimento il governo repubblicano,
così come l’onore lo è nel caso della monarchia. Per questo ho chiamato virtù politiche
l’amore per la patria e per la virtù stessa. E’ chiaro che qui è data la
prevalenza ad una Costituzione repubblicana. Nelle ricerche su Roma, sempre si
rivela questa simpatia di Montesquieu per la forma statuale repubblicana. … I
repubblicani, per i quali il problema della nascita non gioca alcun ruolo, sono
da questo punto di vista i più fortunati. Perché il popolo tanto meno può
essere invidioso di una dignità, che c’è quando si vuole e che si ottiene a discrezione
… In questo il governo di Roma ebbe qualcosa di meraviglioso, poiché
dall’inizio, sia per il carattere del popolo in generale, sia per il potere del
senato, sia per l’influsso di certi funzionari, ogni cattivo uso del potere
aveva la sua contromisura … Le leggi di Roma avevano suddiviso il potere tra un
grande numero di funzionari, i quali reciprocamente si appoggiavano, si ostacolavano
e si sorvegliavano.(Holz, 80)[7].
E poiché ognuno di questi funzionari non aveva che un potere limitato, ogni
cittadino era adeguato ad esso e il popolo vedendo molte personalità l’uno
accanto all’altra presentarglisi di fronte, non stabiliva rapporti particolari
con nessuno di essi[8]
L’uguaglianza dei cittadini, per Montesquieu, è un punto centrale in una forma
sociale ben riuscita, mentre l’altro è la limitazione del potere del governo.
L’Esprit des lois è un testo di teoria giuridico-sociale, che ha
influenzato in maniera essenziale la Costituzione americana … Va certamente
sottolineato che Montesquieu sviluppa la sua teoria dello Stato, sottoponendola
costantemente alla verifica storica: egli fa della storia veramente l’uso,
richiesto dai filosofi teorici dopo Bossuet. L’opera di Montesquieu è un corpus
d’esempi, la considerazione dei quali può
consentire, mediamente l’analogia, di giungere a strutture, che superano
le mera storicità, qualora si conosca la particolarità di una situazione
storica e la si separa dall’universale. L’esattezza della conoscenza dei fatti
deve precedere la conoscenza, che se ne ricava, se un esempio storico deve
avere un senso teorico. Questo principio (e non la sufficienza della ricerca
empirica, che può esprimere solo lo stato della conoscenza in un tempo dato):
tutto ciò fa di Montesquieu un fondatore del metodo storico. Egli h coscienza
storica nel moderno senso del termine. A volte è considerato Voltaire, che
coniò il termine filosofia della storia, ad essere riconosciuto come il
fondatore del pensiero storico durate l’illuminismo francese; in realtà egli ha
redatto numerose opere storiografiche e il suo Essai sur les moers et
l’esprit des nations è l’esplicito rovescio dell’Histoire universale di
Bossuet –la storia come storia profana della cultura umana.[9]
Tuttavia, io penso che Voltaire
già nelle sua numerose opere letterarie, ha elaborato dal punto di vista della
coscienza storica, non andando Voltaire oltre questi confini. (Holz: 81).In
somma, si mescolano in Voltaire pathos letterario, polemica personale e
politico-culturale ed una visione tendenziosa in una quantità così rilavante nella rappresentazione della storia, che Montesquieu
inoltre con la sua più rimarchevole sobrietà scientifica sembra voler
corrispondere all’atteggiamento degli storici futuri. Ma già come apparve per
la recezione della fisica newtoniana, anche Voltaire nei sessant’anni di
produzione letteraria dette un durevole effetto sull’opinione pubblica europea
ed a questo risultato contribuì in modo decisivo la sua abilità di presentare i
pensieri nello stile più chiaro, in modo da richiamare il legame del presente
col passato.
Senza dubbio Voltaire fu il
principale protagonista di ogni approfondito rinnovamento della coscienza
generale,[10] che
fu indicato come laicizzazione della visione del mondo. Ma questo compito
poteva esser portato a termine solo se, in luogo del significato religioso del
corso della storia, si fosse affermata una ricerca del tutto profana della
sviluppo politico-culturale dell’umanità. Il propagarsi di questo cambiamento
di atteggiamento, che fu operato a cominciare dalla Storia degli oracoli
di Fontanelle per giungere all’ Esprit des lois di Montesquieu dalla primitiva
intelligenza rischiarante, fu il compito che Voltaire sempre più dette alla sua
vita –compito che egli seppe svolgere al meglio. (Holz: 81).
Né Montesquieu, né Voltaire, né
l’Abbé Mably delinearono una filosofia della storia. Il termine filosofia della
storia, nel XVIII secolo, corrisponde all’uso che se ne fa, ma non ha un senso
specifico, piuttosto è un’indagine della storia filosofia, coerente con i
criteri convalidati dalla ragione. La filosofia – così come accadeva con
l’antico equivalente tedesco, sapienza mondana, in contrapposizione alla
conoscenza di dio.(Holz:82).
[1] -
Marx fundou uma ciência nova, a ciência da história das formações sociais (ou
“sociedades”) reais, concretas. Ainda não compreendemos o alcance deste feito
prodigioso. Tanto antes como depois de Marx, os homens viviam, as massas
humanas faziam a sua história. Existiam historiadores para fazer a sua crônica,
e filósofos para fazer a sua filosofia. A história era um campo por cultivar
ocupado pelas ideologias religiosas (Bossuet), jurídicas e morais (Rousseau,
Fourier, Proudhon, etc) ou filosóficas (Hegel).(Marta Hamecker in desafio.doc).
Fonti della teoria stadiale: a) la
riflessione sull’origine della proprietà privata; b) la concezione
provvidenzialistica della storia: Bossuet; (Meek, 7367: 19); c) la disputa tra
gli antichi e i moderni (Meek, 7367:) Nel primo capitolo del suo Montesquieu. La politica e la storia, L.
Althusser osserva che “la storia di Bossuet[1]
pretende di essere affatto universale: tutta la sua universalità consiste però
nel dire che la Bibbia
ha già detto tutto, tutta la storia essendovi compresa al modo in cui una
quercia è compresa nella ghianda.”[1]
L’osservazione di Althusser va accolta, nel senso che si può affermare –sia
pure schematizzando e, dunque, semplificando- che, fino all’Illuminismo
(dunque, grosso modo, fino alla seconda metà del Seicento[1]),
i concetti di storia, tradizione, credenza ereditaria, Bibbia, tendono a
risolversi l’un nell’altro.
J-B- Bossuet, 6018: “
[2] -
Serve per comprendere il concetto di <bestimmen>, in Marx?
[3] -
(Politica realistica). Politica estera di potenza che, prescindendo dalle
ideologie, mira a conseguire gli interessi concreti di uno stato mediante l'uso
della forza.
[4] - Cf. Bossuet, Discours sur l’histoire universelle, Paris
1966: 39ss.
[5] - C’est dans l’Asie que jettant les premiers fondements
de la societé, les lois ont d’abord amené la sûreté et la paix à la suite de la justice
(Holz : 375n6).
[6] -
Abé de Mably
[7] -
A mio parere questo tema della divisione del potere (e quindi anche
dell’allargamento della sua base).
[8] -
Potrebbe essere una pagina, che illustra non i guasti, ma sì i meriti della
burocrazia, la quale può allargare la base del potere (e, dunque, aprirlo
potenzialmente a tutti); oppure, al contrario, escludere da esso chi non fa
parte della casta.
[9] -
Tieni conto della nota 2 a
p.377, a proposito di Luporini studioso di Voltaire.
[10] -
Per l problema dell’illuminismo, della sua portata di massa e del ruolo di
Voltaire, Holz rimanda a Gramsci 4112.3: 1854ss. ---------------------------------
In Francia fu Condorcet il primo a ricondurre ad un
principio costitutivo la realizzazione pratica (Faktizität) del corso storico, il quale principio consente di
pensare gli eventi come momenti di un insieme determinante. In questo modo
Condorcet dà all’ideologia del progresso, che è propria del secolo, una
fondazione immanente.(82)
Condorcet ricerca, per così dire, nella storia qualcosa di
analogo alle leggi di natura: per questo tale esposizione è storica, poiché
sottintende un mutamento progressivo, che consente l’osservazione delle società
umane in diverse epoche. L’analisi deve render conto dei mutamenti nella loro
regolarità … L’indagine di ciò che l’uomo fu e di ciò che è oggi, ci offre la
possibilità di vedere e chiarire gli ulteriori progressi, che la natura umana
non ha ancora evidenziato …
Ai margini
dell’illuminismo francese e tedesco e pressoché sconosciuto dai suoi
stessi contemporanei e dalle generazioni
immediatamente successive, in Italia (dove
anche fu immediatamente ben poco valutato) un isolato pensatore tratteggiò le
linee della storicità del genere umano: G.B. Vico. (Holz: 83).
Dichiaratamente anticartesiano, Vico non tanto si colloca
nel contesto dell’illuminismo, quanto piuttosto nella tradizione dell’Umanesimo
e del Rinascimento italiani, dei quali assume l‘interesse filosofico e per le
scienze dell’antichità. La riscoperta di Vico nel quadro europeo lo si deve a
Benedetto Croce; come conseguenza dell’accoglimento dello storicismo del Croce,
la sua monografia sul Vico determinò una spinta alla ricerca ulteriore su tale
argomento. Il problema di Vico è la metafisica del conoscere. Con acutezza,
Vico riconobbe la debolezza della fondazione cartesiana della conoscenza certa.
Se la certezza del conoscere consiste nell’identità del cogito col suo procedere,
col formalismo della predicazione da parte del pensiero, nel procedere
giudicante degli atti del pensiero, allora la conoscenza umana può essere
sempre e solo certa di ciò, che essa stessa produce, così che oggetto,
contenuto, procedere del cogitare vengono a coincidere. Questo però non vale
per la natura esterna, per il mondo naturale – ecco perché Descartes
deve tornare a dio come istanza della corrispondenza tra pensiero e mondo
esterno (fisico). Ma questo vale pienamente per gli asserti
matematici, la cui base di partenza è data dalla definizione dei loro oggetti
che, in quanto oggetti del pensiero, sono creati dallo svolgersi stesso del
pensiero, come mostrano gli Elementi di Euclide.[1]
“Possiamo dimostrare –così scriveva Vico- ciò che appartiene alla geometria,
perché siamo noi che lo produciamo.”[2]
Ma, allora, gli oggetti della geometria non sono se non oggetti ideali, non
altro che contenuti del nostro pensiero
[1] -
L’elaborazione di una geometria non euclidea avrebbe confermato la concezione
vichiana della non naturalità della geometria e ne avrebbe mostrato il pieno
idealismo.
[2] -
“Geomtrica demonstramus, quia facimus.
(Vico, cit in Holz: 378).
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