Chi
si ricorda del 25 luglio 1943? Impreparazione, cinismo e corruzione
della classe dirigente.
Mi
pare che lo scorso 25 luglio, anniversario di vicende che hanno
sconquassato il nostro paese, sia stato ricordato quasi
esclusivamente per la “pastacciuttata” voluta da Aldo
Cervi,
successivamente torturato e assassinato con i suoi sei fratelli dai
fascisti, offerta ai vicini per celebrare la cacciata di Mussolini a
seguito dell'approvazione dell'ordine Grandi (v. La
Repubblica,
25 luglio 2018, p. 9, ma anche il
Fatto Quotidiano dello
stesso giorno). Eppure avremo tante ragioni per rievocare quegli
eventi, se come viene affermato da noti esponenti dei finti
democratici – dobbiamo smettere di etichettarli come “sinistra”
per non fomentare l'imbroglio della politica italiana – abbiamo un
governo “sempre più nero”. Ma, come disse Gramsci, la storia è
un'ottima maestra, sono gli uomini che sono dei pessimi discepoli.
Riflettere
sul 25 luglio 1943 è assai utile ed opportuno non per fare un
semplice esercizio di memoria storica, ma per sviluppare un tentativo
di comparazione tra il nostro tragico passato e il disgustante
presente, che può condurci a vicende ugualmente tragiche. In
particolare, mi sembra importante mettere in risalto almeno due
aspetti: l'impreparazione e la cialtroneria di coloro che si sono
trovati e si trovano a decidere della nostra sorte, e le
straordinarie capacità
trasformistiche della
classe dirigente, disposta a disfarsi anche dei più
stretti complici,
pur di salvare se stessa.
Sappiamo
che nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 si realizza la
destituzione di Mussolini, cui nel 1922 Vittorio Emanuele III aveva
consegnato il paese senza nessuno scrupolo, rifiutandosi di firmare
lo stato d’assedio che avrebbe liquidato le squadre fasciste [1];
destituzione da mesi preparata dietro le quinte in seguito al pessimo
andamento della guerra (conquista del Nord Africa da parte degli
alleati, miserrima fine delle truppe italiane in Unione Sovietica
dopo la straordinaria vittoria di quest'ultima a Stalingrado,
bombardamenti delle città italiane, disaffezione per il regime
fascista che aveva precipitato il paese in tanta devastazione e
miseria).
In
questa difficilissima situazione, Mussolini in pessime condizioni di
salute e preoccupato per l'ineluttabile avanzata degli alleati nella
penisola, che il 9 maggio 1943 avevano attaccato Pantelleria,
intendeva spingere i nazisti a stipulare una pace separata con
l’Unione Sovietica, ipotesi inaccettabile per Hitler.
Nel
frattempo, reagendo al suo attesismo, Vittorio Emanuele III, e forse
più gli altri membri della famiglia reale, immaginando che una
sconfitta avrebbe anche messo a rischio la stessa sopravvivenza della
monarchia, cominciarono a porsi il problema di uscire dal cul
de sac in
cui avevano cacciato il paese, coadiuvati in questo da quei fascisti
che – come il “conte” Dino Grandi – avrebbero visto con
favore un “fascismo rinnovato”. A questo progetto, consistente
nella sostituzione di Mussolini con un militare di rango, dettero il
loro apporto il Ministro della Real Casa, Pietro d'Acquarone,
esponenti reazionari del mondo industriale ed altre figure di rilievo
dell'esercito, tra le quali alla fine venne scelto il Maresciallo
d'Italia, Pietro Badoglio. Questi si distingueva per aver la sua
parte di responsabilità nella disfatta di Caporetto; per aver
partecipato in prima persona alla feroce politica bellicistica del
fascismo; per essere un criminale di guerra a causa della pratica di
sterminio delle popolazioni dell'Africa italiana, sebbene non sia mai
stato processato nonostante le richieste dell’Etiopia; per essere
vicino alla massoneria, alcuni membri della quale sostennero in varie
forme Mussolini. Ricordo a mo di esempio la figura di Raoul Palermi,
gran maestro del minoritario rito di Piazza del Gesù, riconosciuto
agente dell’OVRA (L. Canfora, La
Sentenza,
Palermo 2005, p. 84) [2].
La
collaborazione massoneria-fascismo può apparire paradossale, se si
pensa che, anche per le pressioni del Vaticano, essa divenne illegale
nel lugubre ventennio. Contro questa decisione, che ovviamente vedeva
minacciata la libertà di associazione, nel
1925 Gramsci pronunciò il suo unico discorso da deputato,
prima di essere processato e condannato. In questo discorso
dichiarava che la legge
Mussolini-Rocco contro
la massoneria era in realtà fatta per combattere le organizzazioni
operaie vere nemiche del fascismo, anche perché consapevoli che non
si trattava di un fenomeno politico effimero e transeunte. Inoltre,
precisava Gramsci, che si trovava a controbattere allo stesso
Mussolini, che “la massoneria in Italia ha rappresentato
l’ideologia e l’organizzazione della classe borghese
capitalistica”, numericamente insignificante nel paese, mentre il
mondo rurale, prima controllato dal Vaticano e dai gesuiti, era ormai
finito nelle mani del fascismo.
Commentando
questo significativo discorso di Gramsci, Canfora scrive che, benché
spesso “sopravvalutata e mitizzata”, la massoneria “ha
certamente un ruolo proprio in quanto partito
della classe dirigente,
luogo tradizionale di raccolta, reclutamento e coesione dei ceti
dirigenti, dell’esercito e dell’alta burocrazia, nella
liquidazione del fascismo” (p. 85).
Prima
di ricostruire rapidamente gli eventi che portarono all’armistizio
di Cassibile (3 settembre 1943), annunciato prima dagli Alleati nel
pomeriggio dell’8 settembre e poi da Badoglio, alla fuga del re,
allo scompaginamento dell’esercito, mi sembra interessante
ragionare sulla massoneria in quanto “partito della classe
dirigente”, anche per mostrare che certe pratiche sono connaturate
ad ogni gruppo elitario e chiuso giunto al potere.
Ormai
abbiamo a disposizione varie opere importanti che riflettono su
quegli onnipotenti gruppi di potere che dominano il mondo, e in cui
sono incorporati solo individui del tutto conniventi, come per
esempio la Trilateral o
il club Bilderberg,
e che illuminano la logica che regge tali fantomatiche organizzazioni
[3]. Detto in poche parole, ogni gruppo di questo genere tende
all’autoriproduzione, alla gestione oligarchica del potere ed è
disponibile all’impiego di qualsiasi arma, violenta e non, compresa
la corruzione che si fa sempre più capillare, per mantenere
lo status
quo.
Di qui il legame con la massoneria e con i suoi dispositivi
esoterici. Ovviamente nulla di più lontano dalle forme di
autogoverno che dovrebbero scaturire dall’acquisita coscienza
politica delle masse popolari e dalla loro conquista del potere. Anzi
a questi gruppi – come è noto – dà anche fastidio l’asfittica
democrazia borghese, il cui funzionamento è sotto il controllo di
mass media complici e mistificatori e la circolazione disinvolta del
denaro.
Ad
un livello più basso, ma in connessione con i livelli più alti
della gerarchia, queste sono anche le caratteristiche dei nostri
attuali governanti che, del tutto impreparati a comprendere l’attuale
contesto mondiale e il destino declinante dell’Europa
meridionale, le
dinamiche distruttive innescate dall’introduzione dell’euro, gli
squilibri sempre più acuti tra le potenze egemoni tradizionali e
quelle emergenti,
si sono squallidamente messi insieme per difendere
contraddittoriamente gli interessi della piccola e media impresa, da
un lato, e dall’altro per operare “un cambiamento radicale” del
paese. Certo non sono molto chiare le idee che dovrebbero guidare
questo cambiamento, soprattutto se vediamo la sostanziale continuità
con il passato documentata
nel cosiddetto decreto
dignità.
Insomma,
siamo caduti ancora una volta nelle mani di furbacchioni e di
cialtroni, che non sanno quello che fanno e non hanno la minima idea
di quello che potrebbe sprigionarsi dalla loro acquiescenza verso i
veri signori della guerra e
dallo loro politica demagogica e criminale, in particolare verso i
lavoratori ed i migranti. Questa mancanza del senso del tragico
riduce la politica italiana ad un’insipida e grossolana burletta,
che non ignora le faide quando opportune, occultando ai più la
gravità della situazione. Del resto, il richiamo alla
“pastacciutata” rientra in questa rozza logica.
Tornando
all’armistizio, che fece sperare alla maggioranza della popolazione
la fine della guerra, ingannata anche dalle stesse parole del
proclama di Badoglio, che da un lato indicava la cessazione delle
azioni di guerra contro gli alleati, dall’altro prefigurava la
reazione a possibili interventi non specificati di diversa origine.
D’altra parte, che nel loro complesso i vertici militari e la
corona non avessero intenzione di scontrarsi a fondo con i nazisti,
preferendo passare la patata bollente al popolo italiano, è
dimostrato dalla rinuncia a difendere Roma, che fu vilmente
abbandonata dalla famiglia reale e dal governo spostatisi a sud sotto
la protezione degli alleati, mentre un gruppo di civili e militari
tentavano invano di opporsi alla conquista tedesca.
Come
scrive Canfora, nel libro che ho già citato e che è dedicato
all’attività politica del latinista Concetto Marchesi in quel
delicato e complesso periodo, nessuno in quel drammatico momento
poteva immaginare che l’Italia avrebbe dovuto vivere ancora quasi
due anni di guerra. E significativamente aggiunge: “Pochi potevano
intuire già allora che la strategia alleata intendesse fare della
penisola una trappola di lunga durata in cui far concentrare le
truppe tedesche in vista dell’apertura altrove del secondo fronte”
(p. 126). E ciò naturalmente ha provocato infiniti danni e lutti
alla popolazione italiana, cui i gringos sono
ancora presentati come liberatori, anche se per qualche momento
pensarono addirittura alla conquista del paese, impedita dal
movimento di resistenza.
In
conclusione, anche se la destituzione di Mussolini segnò il
passaggio ad un’altra fase storica, tutti i vizi della classe
dirigente si sono perpetuati e per l’accentramento del potere e per
le straordinarie potenzialità degli apparati repressivi si sono
addirittura accresciuti, alimentandosi anche di un disgustante
cinismo.
Note
[1]
Figura che monumenti, strade e piazze continuano a celebrare anche in
virtù della visione alquanto artefatta del Risorgimento, sui cui
sarebbe quanto mai opportuno tornare a riflettere, rettificando
quanto abitualmente quanto si legge nei manuali scolastici.
[2]
Sempre Canfora rimarca che massoni erano anche inguaribili fascisti
di primo piano come Balbo, Farinacci e il vecchio Ciano (Ibidem).
[3]
Mi limito citare il libro di D. Moro, Il
gruppo Bilderberg. L’élite del potere mondiale,
2014
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