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Vi sono tante ragioni per le quali vale la pena riflettere sulla religione, inquadrandola nella più ampia categoria di ideologia. Ne saranno indicate alcune alla base dei quattro incontri del corso Breve storia della riflessione sulla religione, tenuti all’Università popolare Antonio Gramsci. Di seguito i temi della prima lezione.
Perché
anche oggi, in un’epoca che per molti è caratterizzata
dall’irreligiosità e dall’ateismo (cosa del tutto inesatta), è
invece importante riflettere sulla religione,
nelle sue diverse manifestazioni storiche anche assai diverse dal
cristianesimo? Non solo perché essa costituisce l’ideologia più
diffusa tra tutte le classi sociali e la più persistente nel tempo,
ma anche perché rappresenta la più perfetta incarnazione
dell’ideologia.
Non è quindi un caso che l’autorevole filosofo britannico Terry
Eagleton l’abbia
definita “la più ideologica delle ideologie”. Già questa
definizione mette in risalto che la religione deve essere ricompresa
nella categoria più generale di ideologia, con tutte le conseguenze
teoriche e pratiche che derivano da questa inclusione. Detto in altre
parole, bisogna cominciare con il riflettere sull’ideologia, un
concetto complesso, di cui si sono date varie letture e di cui si è
discussa soprattutto la sua relazione con la cosiddetta
infrastruttura, che nella riflessione marxista si dirama in diverse
direzioni.
Questa
riflessione sulla religione-ideologia è indispensabile a chi,
ponendosi il problema della trasformazione dell’esistente, si
interroga inevitabilmente sul livello di coscienza di coloro che
dovrebbero essere gli attori del cambiamento, evitando – come
spesso avviene – l’idealizzazione
delle concezioni proprie delle masse popolari.
L’interesse di Antonio Gramsci per le diverse forme di ideologia
(compreso il folclore) è d’altra parte derivato da questa
preoccupazione che è squisitamente politica, e che fa di un marxista
un teorico che coniuga strettamente la teoria alla prassi.
Come
è noto anche Marx ed Engels si sono occupati di religione in forme e
momenti diversi, in particolare mettendo in evidenza il primo i
caratteri aporetici di questa forma ideologica (nella sua versione
cristiana), che da un lato fanno di essa “l’oppio del popolo”
(espressione ripresa da Balzac), dall’altro la identificano con “la
protesta contro la miseria reale”. D’altra parte, come
sostiene Pierre
Bourdieu,
nonostante quello che molti sostengono, la teoria marxiana della
religione, insieme a quelle proposte da Durkheim e da Weber,
costituiscono il riferimento implicito o esplicito di tutti coloro
che si occupano di questo tema ancora oggi.
L’elemento
centrale rappresentato dal concetto di ideologia è costituito dal
suo stretto legame con precisi interessi economico-sociali; elemento
che ha suscitato nel ‘900 varie reazioni: da un lato, questa
interpretazione è stata tacciata di riduzionismo economico,
dall’altro, in quanto in questa prospettiva, essa diventerebbe un
riflesso della struttura, finirebbe col non essere più espressione
dell’attività creativa ed immaginativa degli individui.
Per
evitare tali conseguenze, nell’ambito delle scienze sociali, sono
state proposte altre categorie come quella di cultura,
il cui emergere scollegato dalla dimensione sociale resta oscuro, e
quella di discorso, che
fa di ogni modo
di parlare del mondo una forma di potere, mettendo sullo stesso piano
discorsi quotidiani e discorsi politici. E
non stabilendo, pertanto, nessuna gerarchia tra i diversi livelli di
potere, ammesso che in alcuni casi si tratti effettivamente di
quest’ultimo.
Riflettere
sulla religione significa anche individuare le modalità di
attivazione del consenso nella società contemporanea, in cui tra noi
e la realtà opera in maniera penetrante un filtro attivato dai mass
media dominanti. Ciò non significa attribuire un potere
straordinario all’ideologia, perché in molti casi siamo costretti
ad agire in certi modi non per convinzione ideologica, ma perché
costretti a ciò dalle condizioni materiali in cui ci troviamo. Si
pensi ai migranti o
ai braccianti
del sud.
La
riflessione sul funzionamento dei mass media e sulla tacita
concezione del mondo, che essi veicolano, offre anche uno spaccato
sui processi mentali che fanno parte del nostro pensare quotidiano
sempre acriticamente accettato e mai messo in discussione. Tra questi
rammento la naturalizzazione (lo sciopero come catastrofe naturale),
la depoliticizzazione (il buon senso la vince sulla politica) e la
riduzione del sociale all’individuale (individuo come causa del
male, per far salve le condizioni sociali da cui esso deriva). A ciò
aggiungo, che nella
fase postmoderna ormai in crisi,
l’ideologia presenta altri caratteri tra i quali il particolarismo
e il conseguente rifiuto della generalizzazione, vista sempre come
ipostatizzazione. Ma questo tema ci porterebbe su un’altra strada
che cercherò di approfondire negli incontri del prossimo a.a.
Un
altro aspetto saliente di questa indagine è rappresentato dalla
tanto dibattuta questione della relazione struttura / sovrastruttura,
uno dei nodi centrali del dibattito marxista e che avuto esiti
diversi. C’è chi ha usato l’espressione freudiana
di sovradeterminazione per
indicare il complesso intreccio di interrelazioni tra i due livelli,
chi ha impiegato il termine di articolazione nel senso di
interazione, chi ha sostenuto che il verbo bestimmen –
usato da Marx – vuol dire determinare, ma anche, indirizzare,
sollecitare. Tutte queste impostazioni vogliono alimentare
un’interpretazione non meccanicistica assai diversa da quella che
si era affermata in epoca positivistica.
Inoltre,
riflettere sulle categorie delle scienze sociali significa
sottolineare la loro condizionatezza storica e politica ed è
ovviamente quanto mai opportuno chiarirci in che senso parliamo di
religione o di ideologia; per esempio, nel caso della religione sin
dall’epoca antica è documentato un numero limitato di definizioni,
da cui sono scaturite letture assai diverse del fenomeno. Nel caso,
invece, dell’ideologia le cose sono assai più complesse, in quanto
le definizioni e le relative teorie abbondano.
Ciò
ci porta a constatare che, almeno nel caso delle scienze umane, non
si potrà mai raggiungere un accordo sui contenuti delle diverse
categorie, dato che ogni studioso si basa su una certa opzione
politica in senso ampio, ossia su un diverso concetto di società. In
questo senso, come sostiene Valentin Volosinov (1929), la ricerca
scientifica è una continuazione della lotta politica sotto altre
forme, dato che le parole, con cui esprimiamo le nostre categorie,
sono il risultato dell’interazione sociale che si realizza nel
vortice dei conflitti sociali anche assai aspri.
Da
ciò ricavo che uno studio critico di un qualsiasi fenomeno dovrebbe
partire dall’illustrazione delle sue diverse interpretazioni e
dalle implicanze politiche di queste ultime. Chi non adotta questo
punto di vista finisce per spacciare la sua definizione di religione
o di ideologia come l’unica valida dal punto di vista conoscitivo e
con l’occultare la visione politica cui aderisce.
Si
diceva che nell’ambito della riflessione sulla religione si
registrano grosso modo queste diverse prospettive che risalgono al
mondo greco: l’emozionalismo,
per il quale la religione scaturisce dalle emozioni e, siccome l’uomo
è profondamente scosso dalla sua fragilità, da questo sentimento
ricava l’esistenza di un essere dotato di caratteristiche a lui
opposte. Appunto come dicevano gli antichi “Primus in orbe deos
fecit timor”. Per l’intellettualismo la
religione scaturisce dal desiderio di conoscere e di controllare la
natura e in questo suo atteggiamento è una forma di conoscenza che
anticipa la scienza. La prima concezione è quella dell’uomo
religioso, che fa di questa istituzione un fenomeno universale
inestirpabile; la seconda è quella del borghese progressista che ha
fiducia nell’ininterrotto progresso dell’umanità.
A
queste correnti si affianca il simbolismo-sociologismo che
fa scaturire la religione dalla vita sociale, nei cui riti e pratiche
si ripropongono temi e conflitti sorti per lo scontro tra i diversi
gruppi. Senza togliere alla religione funzioni psicologiche e
conoscitive (in effetti, si tratta di un’istituzione
polifunzionale), questa impostazione sembra a me la più accettabile
perché ne fa un fenomeno storicamente e politicamente determinato,
di cui si possono cogliere le specificità concrete, se si procede ad
un’indispensabile contestualizzazione.
Riporto,
infine, la definizione di Gramsci,
per il quale la religione è “la più mastodontica utopia e
metafisica apparsa nella storia”, il cui scopo è quello di
conciliare in forma mitologica le contraddizioni storiche.
Per Bertrand
Russell,
invece, nella religione, come del resto nelle diverse scienze, vi
sono due dimensioni, (una visibile, l’altra invisibile); nella
religione il passaggio da una dimensione all’altra non è né
argomentato, né dimostrato, né verificato (misticismo), come invece
avviene in ambito scientifico. In questo senso, le due forme
ideologiche presentano somiglianze, ma anche profonde differenze.
Bibliografia
Ciattini
A., Antropologia
delle religioni,
Carocci, Roma 1997.
Eagleton
T., Ideologia.
Storia e critica di un’idea pericolosa,
Fazi Editore, Roma 2007.
Filippini
M., Tra
scienza e senso comune. Dell’ideologia in Gramsci,
“Scienza & Politica per una storia delle dottrine”, V. 24, N.
47, 2012, pp. 89-106.
Gramsci
A., Quaderni
del carcere,
a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975.
Volosinov
V. N., Marxismo
e filosofia del linguaggio,
Dedalo, Bari 1976, ed. or 1929
Williams
R., Marxismo
e letteratura,
Laterza, Roma-Bari 1979.
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