martedì 24 maggio 2016

LA TEORIA MARXIANA DEL VALORE. LE CONFUTAZIONI* - Ascanio Bernardeschi



Se si legge Marx con le lenti di Ricardo, la sua teoria appare contraddittoria. Occorre invece avere chiara la sua netta rottura con l'economia classica.


La difficoltà o l'impossibilità di misurare gli oggetti non implica che essi non esistano o che non siano regolati da determinate leggi. Nella meccanica quantistica, per esempio, secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, è impossibile misurare con precisione, nello stesso istante, sia la posizione che la velocità di una particella. Però la teoria di Marx è stata criticata per via della difficoltà di misurare il lavoro sociale necessario a produrre una merce oppure di stabilire a quanto tempo di lavoro semplice corrisponde un'ora di un lavoro complesso, maggiormente specializzato. È agevole rispondere che per Marx è il mercato a stabilire il tempo lavoro necessario a produrre una merce. Se la misura immanente del valore è il tempo di lavoro, quella “fenomenica esterna” è il denaro, quale rappresentante di ricchezza astratta e quindi di un certo tempo di lavoro. È il mercato che verifica se e in che misura il lavoro prestato è lavoro socialmente necessario. Così pure, Marx non si è mai sognato di cercare di risolvere il “puzzle” [1] della riduzione del lavoro complesso a lavoro semplice, limitandosi casomai a indicare come ciò sia possibile in via teorica. Anche nei suoi esempi numerici, ha quasi sempre utilizzato il denaro come misura del valore. La sua teoria non serve a determinare in vitro il valore delle merci, ma a scoprire le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico e metterne a nudo le contraddizioni. Essa deve essere valutata sulla base della sua capacità o meno di raggiungere questo obiettivo e naturalmente sulla base della sua coerenza interna.

Le critiche più diffuse all'impianto teorico marxiano, si riferiscono invece a una presunta contraddizione fra il primo e il terzo libro del Capitale, fra i valori e i prezzi di produzione. I secondi sarebbero derivati in maniera erronea, o non sarebbero affatto derivabili, dai primi.

Appena due anni dopo la pubblicazione da parte di Engels del terzo libro del Capitale, un economista austriaco, Eugen von Böhm-Bawerk, denunciò tale contraddizione [2]. A lui parve che. nell'avanzamento dell'analisi di Marx, con l'introduzione dei prezzi di produzione, fosse superata, la teoria esposta nel primo libro. Il povero Eugen non sapeva che la stesura dei manoscritti pubblicati da Engels come terzo libro era anteriore alla redazione per la stampa del primo libro, scritto quindi quando Marx conosceva già gli sviluppi della sua analisi sulla concorrenza, sul saggio di profitto e sulla trasformazione. Se insistette a parlare di valore, evidentemente non considerava questa idea superata.

Il '900 fu invece caratterizzato da obiezioni di carattere logico. A dare involontariamente manforte a queste critiche fu un notissimo scritto [3] dell'economista italiano Piero Sraffa, noto anche per il suo profondo legame di amicizia con Antonio Gramsci. Con questo libro si intendeva esplicitamente porre le basi per una critica agli economisti marginalisti fornendo, attraverso uno schema matematico formalmente assai rigoroso, una spiegazione dei prezzi che, come in Ricardo, fosse basata su elementi oggettivi, quali i costi di produzione, e non sulla psicologia e sulle preferenze dei capitalisti, dei consumatori ecc. Traendo ispirazione da precedenti lavori di economisti russi, utilizzò un sistema di equazioni lineari in cui i coefficienti erano dati dalla tecnica (quantità di merci che figuravano negli “input” di capitale come mezzi di produzione e “beni-salario” e quantità dei prodotti risultanti, o “output”). I prodotti sono merci dello stesso tipo e prezzo di quelle impiegate nella produzione. Le incognite sono quindi questi prezzi identici per gli input e per gli output e il saggio del profitto. Il sistema è risolvibile purché venga scelta come numerario una merce, per esempio l'oro, e quindi tutti gli altri prezzi siano espressi in termini di questa. In tal modo il numero di incognite (prezzi di n-1 merci e il saggio del profitto) è pari al numero delle equazioni (una per ogni prodotto). La determinazione simultanea dei prezzi dimostrerebbe che è impossibile attribuire una produttività marginale e una conseguente remunerazione ai fattori produttivi senza conoscerne prima il rispettivo valore.

Il titolo dell'opera allude al fatto che la soluzione richiede di conoscere solo le quantità di merci immesse nel processo produttivo e di quelle che ne escono. Anche i profitti risultano dal “sovrappiù” di merci prodotte rispetto a quelle immesse nel ciclo produttivo. È vero che nella stessa opera si mostra come saggio del profitto e salario varino in direzione opposta (aumentando l'uno diminuisce l'altro e viceversa e quindi si riconosce l'esistenza di interessi di classe contrapposti) e che viene mostrato un metodo per ricostruire, partendo dai coefficienti tecnici, le quantità di lavoro attuale e passato necessarie alla produzione, ma rimane il fatto che conoscere dette quantità non è indispensabile per determinare prezzi e saggio del profitto o, come ci si esprime in sede accademica, il sistema dei valori-lavoro (espressione mai usata da Marx!) è “ridondante”, rispetto alle informazioni di cui abbiamo bisogno. Inoltre, la critica rivolta agli economisti marginalisti pare perfettamente cucita su misura anche nei confronti di Marx: il prezzo di costo è conoscibile solo dopo la trasformazione e quindi non può essere il dato di partenza. Marx ne era talmente consapevole che ebbe a scrivere: “un errore è sempre possibile quando, in una determinata sfera di produzione, il prezzo di costo della merce viene identificato col valore dei mezzi di produzione in essa consumati. L'indagine […] non richiede che ci si addentri in un esame più particolareggiato di questo punto” [4]. Questa frase è stata dai più interpretata come un'ammissione da parte dell'autore dell'imprecisione del proprio procedimento e una sottovalutazione delle relative conseguenze. Pur essendo il manoscritto solo un abbozzo, anche in altri passi precedenti quello qui riportato si insiste sul fatto che gli elementi del capitale costante e variabile, debbono essere considerati, nel procedimento di trasformazione, in termini di prezzi.

Per anni, tuttavia, le repliche alle confutazioni impostate sulla base del sistema di Sraffa, nel frattempo divenuto un oggetto che ha fatto “scuola”, sono state deboli e interne alla logica di quel lavoro e inoltre concentrate sugli aspetti quantitativi della faccenda perdendo di vista la ricchezza delle determinazioni qualitative della teoria marxiana e la sua rottura con l'economia classica.

Non c'è spazio qui per riportare la vasta letteratura dei tentativi di salvare qualcosa della teoria di Marx su quelle basi. Sta di fatto che su di essi è stata posta una pietra tombale dal premio Nobel dell'economia Paul Samuleson [5], il quale, ben conscio che nel sistema sraffiano i prezzi sono determinati indipendentemente dai valori, si è fatto beffe di simili tentativi proclamando: “(1) scriviamo le relazioni di valore; (2) prendiamo una gomma e cancelliamole; (3) finalmente scriviamo le relazioni di prezzo, completando così il cosiddetto processo di trasformazione".

La procedura marxiana è corretta solo se il saggio generale del profitto (rapporto fra plusvalore sociale complessivo e capitale complessivo impiegato) calcolato prima della trasformazione dei valori in prezzi di produzione corrisponde a quello calcolato ex post. Dopo la trasformazione debbono quindi realizzarsi, a livello aggregato per l'intero sistema economico, le seguenti identità: 1) tra plusvalore e profitto; 2) tra il valore del capitale impiegato e il corrispondente costo in termini di prezzi dei mezzi di produzione e della forza lavoro; 3) come conseguenza di 1) e 2) tra il prodotto lordo misurato in termini di valore e quello misurato in termini di prezzi. A questo proposito è stato dimostrato [6] che la somma del valore totale dei prodotti solo per caso può eguagliare la somma dei loro prezzi. Così come non tornano le somme degli elementi aggregati del capitale e le relative composizioni di valore. Pertanto il saggio generale di profitto calcolato in termini di valore è diverso da quello calcolato in termini di prezzo e di conseguenza non è possibile determinarlo partendo dal sistema dei valori. La stessa grandezza del plusvalore cambia qualora si passi da un sistema di valutazione all'altro in quanto il salario monetario differisce di norma dal lavoro sociale contenuto nei mezzi di sussistenza dei lavoratori e pertanto anche l'eccedenza, il lavoro non pagato, cambia. Tutto questo, sempre vedendo le cose con le lenti di Sraffa/Ricardo, le cui conseguenze sono micidiali anche nei confronti della legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. Infatti su quella base è stato dimostrato che le innovazioni tecnologiche determinano un aumento del saggio del profitto e non una caduta. Senza smarrirci nelle complesse dimostrazioni matematiche di questo teorema, tale esito è intuitivo. I prezzi sono determinati dalle quantità fisiche degli input, a prescindere dal tempo di lavoro, e quindi il saggio del profitto deriva dal confronto fra il sovrappiù di merci prodotto e le merci consumate nella produzione. Le innovazioni sono introducibili vantaggiosamente solo se consentono di produrre una certa merce riducendo le quantità dei fattori produttivi occorrenti o di produrne una quantità maggiore a parità di impiego di tali fattori. Quindi aumenta il sovrappiù per unità di capitale impiegato, qualsiasi ne sia la composizione, cioè il saggio del profitto.

Da qualche decennio, grazie anche ai nuovi studi filologici nell'ambito della MEGA2 [7], sono apparse nuove interpretazioni del sistema marxiano [8] che, pur differenziandosi tra di loro per aspetti non secondari, sembrano convergere nel considerare il prezzo di costo che il capitalista sostiene come determinato da: a) il valore del capitale variabile, inteso come tempo di lavoro rappresentato dal denaro occorrente per retribuire i lavoratori che coincide con il costo sul mercato dei mezzi di sussistenza dei lavoratori; e b) dal valore del capitale costante, corrispondente ugualmente al tempo di lavoro contenuto negli esborsi di denaro necessari per acquisire sul mercato, ai loro prezzi, i mezzi di produzione. Per Marx infatti il processo di produzione è concatenato con il processo di circolazione del capitale, D-M...P...M'-D'. Si parte quindi da un esborso di denaro e si termina con la realizzazione di una maggiore somma di denaro. La trasformazione dei valori degli elementi del capitale in prezzi di produzione è già avvenuta nell'ambito del precedente ciclo produttivo, visto che per acquisire tali fattori debbo andare la mercato e sborsare una somma di denaro corrispondente ai loro prezzi. Quel denaro rappresenta una determinata quantità di tempo di lavoro sociale astratto. Aggiungendo al valore del capitale costante così definito il tempo di lavoro impiegato nella produzione ottengo il valore complessivo del prodotto. Il plusvalore è dato dalla differenza fra il tempo di lavoro prestato e quello rappresentato dai salari monetari. In questo modo posso determinare a priori il saggio generale del profitto e determinare i nuovi prezzi di produzione applicando tale margine al prezzo di costo(denominazione non casuale!).

Questo modo di procedere supera il dualismo fra sistema dei prezzi e dei valori, in quanto il valore del capitale è definito in termini di prezzi monetari. Per questo i fautori di un simile approccio parlano di Single System. Tuttavia fra di essi non c'è piena concordanza di vedute in quanto alcuni di essi, tra cui Duncan Foley e Fred Moseley, continuano a ritenere che anche il valore degli elementi del capitale debba essere determinato simultaneamente al prezzo dei prodotti, mentre altri, tra cui Alan Friedman, Guglielmo Carchedi e Andrew Kliman, considerano il valore del capitale un dato storico, risultante dai precedenti cicli produttivi, che pertanto non ha necessità e non deve essere determinato insieme ai prezzi di produzione dei nuovi prodotti.

L'approccio simultaneo viene giustificato dalla necessità che i prezzi debbano riflettere anche il costo di riproduzione del capitale, cioè il costo che le imprese debbono sostenere per rinnovare le rispettive dotazioni di fattori produttivi al fine di avviare un nuovo processo produttivo. Così però non si superano alcuni dei problemi incontrati utilizzando il modello sraffiano. Per l'altra scuola, una simile procedura esclude dall'analisi il fattore tempo e il fatto che gli esborsi effettivi sostenuti dai capitalisti sono misurati in termini di prezzi provenienti dal passato e non di prezzi risultanti alla fine del ciclo produttivo. Quest'ultima tesi, che rappresenta anche una rottura più risoluta col modello di Sraffa, è denominata Temporal Single System Interpretation (Tssi). Si può dimostrare che, perdurando nel tempo una situazione statica di costanza della tecnica, i risultati dei due approcci convergerebbero. È cruciale invece il diverso modo di trattare la realtà dinamica del modo di produzione capitalistico.

Per finire c'è da segnalare che numerose ricerche empiriche [9] convergono nel rilevare una forte correlazione fra i prezzi di mercato e i valori marxiani i quali spiegano efficacemente i movimenti dei prezzi, al netto di una componente di disturbo rappresentata dalle oscillazioni di mercato. Sempre l'evidenza empirica ci dice che pur tra oscillazioni importanti e di lunga durata, il saggio del profitto ha teso nei secoli a diminuire. Perché si verifichi questo stato di cose costituisce un mistero per la “scienza economica” ortodossa.

Note:

[1] Il termine è stato utilizzato da un economista che è andato per la maggiore anche negli ambienti dell'ultrasinistra, salvo poi approdare ad altri lidi, Gianfranco La Grassa. Il suo esplicito abbandono della legge del valore lo ha portato a ridurre il modo di produzione capitalistico a un generico modo di dominio, a negare il ruolo cruciale dell'accumulazione di ricchezza astratta e della disponibilità dei mezzi di produzione, conseguentemente del conflitto tra capitale e lavoro. Cfr G. La Grassa,Fuori della corrente. Decostruzione-ricostruzione di una teoria critica del capitalismo, Ed. Unicopli, Milano 2002 e Gli strateghi del capitale. Una teoria del conflitto oltre Marx e Lenin, Ed. Manifestolibri, 2005.
[2] E. von Böhm-Bawerk, Karl Marx and the Close of His System (1896).
[3] P. Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci. Premesse a una critica della teoria economica, Einaudi 1960.
[4] Il Capitale, Libro III, già citato nei precedenti articoli, pag. 206.
[5] P. Samuelson, The Transformation from Marxian Values to Competitive Prices: A Process of Rejection and Replacement, 1970
[6] Per esempio da Ian Steedman, Marx dopo Sraffa, Editori Riuniti, 1987.
[7] Si tratta della nuova edizione critiche delle opere di Marx e di Engels di cui ha trattato tral'altro Roberto Fineschi in un'intervista a questo giornale.
[8] Una rassegna delle diverse posizioni è contenuta negli atti del seminario internazionale sul III volume del Capitale, tenutosi dal 15 al 17 dicembre 1994 all'Università di Bergamo, Marxian Economics a Rappraisal Essays on Volume III of Capital, Macmillian Press 1998. Una rassegna delle posizioni aderenti alla TSSI è presente invece nel volume a cura di A. Freeman e G. Carchedi, Marx and Non-equilibrium Economics, Edward Elgar Publishing Company, 1996. Per chi non ha dimestichezza con la lingua inglese consigliamo la rassegna a cura di Luciano Vasapollo, Un vecchio falso problema. La trasformazione dei valori in prezzi nel capitale di Marx, Media Print Edizioni, Roma 2002.
[9] Tra questi ricordiamo quelle di A. Shaikh, E. Ochoa, P. Cockshot e P. Cottrell. Il contributo di Ochoa è disponibile anche in italiano nel volume Prezzi, valori e saggio del profitto. Problemi di teorie economica marxista oggi (atti convegno del 20/3/88 organizzato dal CITEP e da Centro K.Marx), Ed. Vicolo del Pavone, 1989.

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