Leggi anche: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/concorrenza-saggio-del-profitto-e-i.html
http://www.lacittafutura.it/economia/la-teoria-marxiana-del-valore-parte-iii-capitale-e-plusvalore.html
http://www.lacittafutura.it/economia/la-teoria-marxiana-del-valore-merce-denaro-lavoro.html
http://www.lacittafutura.it/economia/la-teoria-marxiana-del-valore-parte-iii-capitale-e-plusvalore.html
http://www.lacittafutura.it/economia/la-teoria-marxiana-del-valore-merce-denaro-lavoro.html
La difficoltà o l'impossibilità di misurare gli oggetti non
implica che essi non esistano o che non siano regolati da determinate leggi.
Nella meccanica quantistica, per esempio, secondo il principio di
indeterminazione di Heisenberg, è impossibile misurare con precisione, nello
stesso istante, sia la posizione che la velocità di una particella. Però la
teoria di Marx è stata criticata per via della difficoltà di misurare il lavoro
sociale necessario a produrre una merce oppure di stabilire a quanto tempo di
lavoro semplice corrisponde un'ora di un lavoro complesso, maggiormente
specializzato. È agevole rispondere che per Marx è il mercato a stabilire il tempo
lavoro necessario a produrre una merce. Se la misura immanente del valore è il
tempo di lavoro, quella “fenomenica esterna” è il denaro, quale rappresentante
di ricchezza astratta e quindi di un certo tempo di lavoro. È il mercato che
verifica se e in che misura il lavoro prestato è lavoro socialmente necessario.
Così pure, Marx non si è mai sognato di cercare di risolvere il “puzzle” [1]
della riduzione del lavoro complesso a lavoro semplice, limitandosi casomai a
indicare come ciò sia possibile in via teorica. Anche nei suoi esempi numerici,
ha quasi sempre utilizzato il denaro come misura del valore. La sua teoria non
serve a determinare in vitro il valore delle merci, ma a
scoprire le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico e metterne
a nudo le contraddizioni. Essa deve essere valutata sulla base della sua
capacità o meno di raggiungere questo obiettivo e naturalmente sulla base della
sua coerenza interna.
Le critiche più diffuse all'impianto teorico marxiano, si
riferiscono invece a una presunta contraddizione fra il primo e il terzo libro
del Capitale, fra i valori e i prezzi di produzione. I secondi sarebbero
derivati in maniera erronea, o non sarebbero affatto derivabili, dai primi.
Appena due anni dopo la pubblicazione da parte di Engels del
terzo libro del Capitale, un economista austriaco, Eugen von Böhm-Bawerk,
denunciò tale contraddizione [2]. A lui parve che. nell'avanzamento
dell'analisi di Marx, con l'introduzione dei prezzi di produzione, fosse
superata, la teoria esposta nel primo libro. Il povero Eugen non sapeva che la
stesura dei manoscritti pubblicati da Engels come terzo libro era anteriore
alla redazione per la stampa del primo libro, scritto quindi quando Marx
conosceva già gli sviluppi della sua analisi sulla concorrenza, sul saggio di
profitto e sulla trasformazione. Se insistette a parlare di valore,
evidentemente non considerava questa idea superata.
Il '900 fu invece caratterizzato da obiezioni di carattere
logico. A dare involontariamente manforte a queste critiche fu un notissimo
scritto [3] dell'economista italiano Piero Sraffa, noto anche per il suo
profondo legame di amicizia con Antonio Gramsci. Con questo libro si intendeva
esplicitamente porre le basi per una critica agli economisti marginalisti
fornendo, attraverso uno schema matematico formalmente assai rigoroso, una
spiegazione dei prezzi che, come in Ricardo, fosse basata su elementi
oggettivi, quali i costi di produzione, e non sulla psicologia e sulle
preferenze dei capitalisti, dei consumatori ecc. Traendo ispirazione da
precedenti lavori di economisti russi, utilizzò un sistema di equazioni lineari
in cui i coefficienti erano dati dalla tecnica (quantità di merci che
figuravano negli “input” di capitale come mezzi di produzione e “beni-salario”
e quantità dei prodotti risultanti, o “output”). I prodotti sono merci dello
stesso tipo e prezzo di quelle impiegate nella produzione. Le incognite sono
quindi questi prezzi identici per gli input e per gli output e il saggio del
profitto. Il sistema è risolvibile purché venga scelta come numerario una
merce, per esempio l'oro, e quindi tutti gli altri prezzi siano espressi in
termini di questa. In tal modo il numero di incognite (prezzi di n-1 merci e il
saggio del profitto) è pari al numero delle equazioni (una per ogni prodotto).
La determinazione simultanea dei prezzi dimostrerebbe che è impossibile
attribuire una produttività marginale e una conseguente remunerazione ai
fattori produttivi senza conoscerne prima il rispettivo valore.
Il titolo dell'opera allude al fatto che la soluzione
richiede di conoscere solo le quantità di merci immesse nel processo produttivo
e di quelle che ne escono. Anche i profitti risultano dal “sovrappiù” di
merci prodotte rispetto a quelle immesse nel ciclo produttivo. È vero che nella
stessa opera si mostra come saggio del profitto e salario varino in direzione
opposta (aumentando l'uno diminuisce l'altro e viceversa e quindi si riconosce
l'esistenza di interessi di classe contrapposti) e che viene mostrato un metodo
per ricostruire, partendo dai coefficienti tecnici, le quantità di lavoro
attuale e passato necessarie alla produzione, ma rimane il fatto che conoscere
dette quantità non è indispensabile per determinare prezzi e saggio del
profitto o, come ci si esprime in sede accademica, il sistema dei valori-lavoro
(espressione mai usata da Marx!) è “ridondante”, rispetto alle informazioni di
cui abbiamo bisogno. Inoltre, la critica rivolta agli economisti marginalisti
pare perfettamente cucita su misura anche nei confronti di Marx: il prezzo di
costo è conoscibile solo dopo la trasformazione e quindi non può essere il dato
di partenza. Marx ne era talmente consapevole che ebbe a scrivere: “un errore è
sempre possibile quando, in una determinata sfera di produzione, il prezzo di costo
della merce viene identificato col valore dei mezzi di produzione in essa
consumati. L'indagine […] non richiede che ci si addentri in un esame più
particolareggiato di questo punto” [4]. Questa frase è stata dai più
interpretata come un'ammissione da parte dell'autore dell'imprecisione del
proprio procedimento e una sottovalutazione delle relative conseguenze. Pur
essendo il manoscritto solo un abbozzo, anche in altri passi precedenti quello
qui riportato si insiste sul fatto che gli elementi del capitale costante e
variabile, debbono essere considerati, nel procedimento di trasformazione, in
termini di prezzi.
Per anni, tuttavia, le repliche alle confutazioni impostate
sulla base del sistema di Sraffa, nel frattempo divenuto un oggetto che ha
fatto “scuola”, sono state deboli e interne alla logica di quel lavoro e
inoltre concentrate sugli aspetti quantitativi della faccenda perdendo di vista
la ricchezza delle determinazioni qualitative della teoria marxiana e la sua
rottura con l'economia classica.
Non c'è spazio qui per riportare la vasta letteratura dei
tentativi di salvare qualcosa della teoria di Marx su quelle basi. Sta di fatto
che su di essi è stata posta una pietra tombale dal premio Nobel dell'economia
Paul Samuleson [5], il quale, ben conscio che nel sistema sraffiano i prezzi
sono determinati indipendentemente dai valori, si è fatto beffe di simili
tentativi proclamando: “(1) scriviamo le relazioni di valore; (2) prendiamo una
gomma e cancelliamole; (3) finalmente scriviamo le relazioni di prezzo,
completando così il cosiddetto processo di trasformazione".
La procedura marxiana è corretta solo se il saggio generale
del profitto (rapporto fra plusvalore sociale complessivo e capitale
complessivo impiegato) calcolato prima della trasformazione dei valori in
prezzi di produzione corrisponde a quello calcolato ex post. Dopo la
trasformazione debbono quindi realizzarsi, a livello aggregato per l'intero
sistema economico, le seguenti identità: 1) tra plusvalore e profitto; 2) tra
il valore del capitale impiegato e il corrispondente costo in termini di prezzi
dei mezzi di produzione e della forza lavoro; 3) come conseguenza di 1) e 2)
tra il prodotto lordo misurato in termini di valore e quello misurato in
termini di prezzi. A questo proposito è stato dimostrato [6] che la somma del
valore totale dei prodotti solo per caso può eguagliare la somma dei loro
prezzi. Così come non tornano le somme degli elementi aggregati del capitale e
le relative composizioni di valore. Pertanto il saggio generale di profitto
calcolato in termini di valore è diverso da quello calcolato in termini di
prezzo e di conseguenza non è possibile determinarlo partendo dal sistema dei
valori. La stessa grandezza del plusvalore cambia qualora si passi da un
sistema di valutazione all'altro in quanto il salario monetario differisce di
norma dal lavoro sociale contenuto nei mezzi di sussistenza dei lavoratori e
pertanto anche l'eccedenza, il lavoro non pagato, cambia. Tutto questo, sempre
vedendo le cose con le lenti di Sraffa/Ricardo, le cui conseguenze sono
micidiali anche nei confronti della legge della caduta tendenziale del saggio
del profitto. Infatti su quella base è stato dimostrato che le innovazioni
tecnologiche determinano un aumento del saggio del profitto e non una caduta.
Senza smarrirci nelle complesse dimostrazioni matematiche di questo teorema,
tale esito è intuitivo. I prezzi sono determinati dalle quantità fisiche degli
input, a prescindere dal tempo di lavoro, e quindi il saggio del profitto
deriva dal confronto fra il sovrappiù di merci prodotto e le merci consumate
nella produzione. Le innovazioni sono introducibili vantaggiosamente solo se
consentono di produrre una certa merce riducendo le quantità dei fattori
produttivi occorrenti o di produrne una quantità maggiore a parità di impiego
di tali fattori. Quindi aumenta il sovrappiù per unità di capitale impiegato,
qualsiasi ne sia la composizione, cioè il saggio del profitto.
Da qualche decennio, grazie anche ai nuovi studi filologici
nell'ambito della MEGA2 [7], sono apparse nuove interpretazioni del sistema
marxiano [8] che, pur differenziandosi tra di loro per aspetti non secondari,
sembrano convergere nel considerare il prezzo di costo che il capitalista
sostiene come determinato da: a) il valore del capitale variabile, inteso come
tempo di lavoro rappresentato dal denaro occorrente per retribuire i lavoratori
che coincide con il costo sul mercato dei mezzi di sussistenza dei lavoratori;
e b) dal valore del capitale costante, corrispondente ugualmente al tempo di lavoro
contenuto negli esborsi di denaro necessari per acquisire sul mercato, ai loro
prezzi, i mezzi di produzione. Per Marx infatti il processo di produzione è
concatenato con il processo di circolazione del capitale, D-M...P...M'-D'. Si
parte quindi da un esborso di denaro e si termina con la realizzazione di una
maggiore somma di denaro. La trasformazione dei valori degli elementi del
capitale in prezzi di produzione è già avvenuta nell'ambito del precedente
ciclo produttivo, visto che per acquisire tali fattori debbo andare la mercato
e sborsare una somma di denaro corrispondente ai loro prezzi. Quel denaro
rappresenta una determinata quantità di tempo di lavoro sociale astratto.
Aggiungendo al valore del capitale costante così definito il tempo di lavoro
impiegato nella produzione ottengo il valore complessivo del prodotto. Il
plusvalore è dato dalla differenza fra il tempo di lavoro prestato e quello
rappresentato dai salari monetari. In questo modo posso determinare a priori il
saggio generale del profitto e determinare i nuovi prezzi di produzione
applicando tale margine al prezzo di costo(denominazione non
casuale!).
Questo modo di procedere supera il dualismo fra sistema dei
prezzi e dei valori, in quanto il valore del capitale è definito in termini di
prezzi monetari. Per questo i fautori di un simile approccio parlano di Single
System. Tuttavia fra di essi non c'è piena concordanza di vedute in quanto
alcuni di essi, tra cui Duncan Foley e Fred Moseley, continuano a ritenere che
anche il valore degli elementi del capitale debba essere determinato
simultaneamente al prezzo dei prodotti, mentre altri, tra cui Alan Friedman,
Guglielmo Carchedi e Andrew Kliman, considerano il valore del capitale un dato
storico, risultante dai precedenti cicli produttivi, che pertanto non ha
necessità e non deve essere determinato insieme ai prezzi di produzione dei
nuovi prodotti.
L'approccio simultaneo viene giustificato dalla necessità
che i prezzi debbano riflettere anche il costo di riproduzione del capitale,
cioè il costo che le imprese debbono sostenere per rinnovare le rispettive
dotazioni di fattori produttivi al fine di avviare un nuovo processo
produttivo. Così però non si superano alcuni dei problemi incontrati
utilizzando il modello sraffiano. Per l'altra scuola, una simile procedura
esclude dall'analisi il fattore tempo e il fatto che gli esborsi effettivi
sostenuti dai capitalisti sono misurati in termini di prezzi provenienti dal
passato e non di prezzi risultanti alla fine del ciclo produttivo. Quest'ultima
tesi, che rappresenta anche una rottura più risoluta col modello di Sraffa, è
denominata Temporal Single System Interpretation (Tssi). Si può dimostrare che,
perdurando nel tempo una situazione statica di costanza della tecnica, i
risultati dei due approcci convergerebbero. È cruciale invece il diverso modo
di trattare la realtà dinamica del modo di produzione capitalistico.
Per finire c'è da segnalare che numerose ricerche empiriche
[9] convergono nel rilevare una forte correlazione fra i prezzi di mercato e i
valori marxiani i quali spiegano efficacemente i movimenti dei prezzi, al netto
di una componente di disturbo rappresentata dalle oscillazioni di mercato.
Sempre l'evidenza empirica ci dice che pur tra oscillazioni importanti e di
lunga durata, il saggio del profitto ha teso nei secoli a diminuire. Perché si
verifichi questo stato di cose costituisce un mistero per la “scienza
economica” ortodossa.
Note:
[1] Il termine è stato utilizzato da un economista che è
andato per la maggiore anche negli ambienti dell'ultrasinistra, salvo poi
approdare ad altri lidi, Gianfranco La Grassa. Il suo esplicito abbandono della
legge del valore lo ha portato a ridurre il modo di produzione capitalistico a
un generico modo di dominio, a negare il ruolo cruciale dell'accumulazione di
ricchezza astratta e della disponibilità dei mezzi di produzione,
conseguentemente del conflitto tra capitale e lavoro. Cfr G. La Grassa,Fuori
della corrente. Decostruzione-ricostruzione di una teoria critica del
capitalismo, Ed. Unicopli, Milano 2002 e Gli strateghi del
capitale. Una teoria del conflitto oltre Marx e Lenin, Ed. Manifestolibri, 2005.
[2] E. von
Böhm-Bawerk, Karl Marx and the Close of His System (1896).
[3] P. Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci.
Premesse a una critica della teoria economica, Einaudi 1960.
[4] Il Capitale, Libro III, già citato nei
precedenti articoli, pag. 206.
[5] P.
Samuelson, The Transformation from Marxian Values to Competitive
Prices: A Process of Rejection and Replacement, 1970
[6] Per esempio da Ian Steedman, Marx dopo Sraffa,
Editori Riuniti, 1987.
[7] Si tratta della nuova edizione critiche delle opere di
Marx e di Engels di cui ha trattato tral'altro Roberto Fineschi in un'intervista
a questo giornale.
[8] Una rassegna delle diverse posizioni è contenuta negli
atti del seminario internazionale sul III volume del Capitale, tenutosi dal 15
al 17 dicembre 1994 all'Università di Bergamo, Marxian Economics a
Rappraisal Essays on Volume III of Capital, Macmillian Press 1998. Una
rassegna delle posizioni aderenti alla TSSI è presente invece nel volume a cura
di A. Freeman e G. Carchedi, Marx and Non-equilibrium Economics,
Edward Elgar Publishing Company, 1996. Per chi non ha dimestichezza con la
lingua inglese consigliamo la rassegna a cura di Luciano Vasapollo, Un
vecchio falso problema. La trasformazione dei valori in prezzi nel capitale di
Marx, Media Print Edizioni, Roma 2002.
[9] Tra questi ricordiamo quelle di A. Shaikh, E. Ochoa, P.
Cockshot e P. Cottrell. Il contributo di Ochoa è disponibile anche in italiano
nel volume Prezzi, valori e saggio del profitto. Problemi di teorie
economica marxista oggi (atti convegno del 20/3/88 organizzato dal
CITEP e da Centro K.Marx), Ed. Vicolo del Pavone, 1989.
Nessun commento:
Posta un commento