domenica 22 maggio 2016

Dialoghi di profughi XII.* - Bertolt Brecht




LA SVEZIA, OVVERO L’AMORE DEL PROSSIMO. – UN CASO DI ASMA.


ZIFFEL     I nazisti dicono: L’utile collettivo viene prima dell’utile individuale. Questo è comunismo, e io lo dico alla mamma.

KALLE     Ecco che parla di nuovo in malafede solo perché vuol farmi vedere che va contro corrente. Quella frase significa soltanto che lo Stato viene prima dei sudditi, e lo Stato sono i nazisti e basta. Lo Stato rappresenta la collettività in quanto impone tasse a tutti, comanda di qua e di là, impedisce i rapporti reciproci e spinge alla guerra.

ZIFFEL     La sua è una esagerazione che mi piace. Senza esagerazione si potrebbe dire che quella frase stabilisce in effetti un’antitesi insuperabile tra l’utile del singolo e l’utile della collettività. E’ appunto questo che provoca il suo disprezzo. Anch’io direi che in un paese dove l’egoismo vien diffamato per principio, c’è qualcosa di marcio.

KALLE     In una democrazia come la conosciamo noi…

ZIFFEL     Non occorre che aggiunga come la conosciamo noi.

KALLE     Dunque in una democrazia si dice generalmente che si deve creare un equilibrio tra l’egoismo di quelli che hanno qualche cosa e quello di coloro che non hanno nulla. Questa è una palese assurdità. Rimproverare a un capitalista l’egoismo significa rimproverargli di essere un capitalista. I frutti ce li ha solo lui, perché è lui che sfrutta. Infatti gli operai non possono sfruttare il capitalista. La frase: L’utile collettivo viene prima dell’utile individuale dovrebbe suonare: Quando si tratta di sfruttamento, non è permesso che uno solo sfrutti un altro o tutti, ma tutti devono… e ora mi dica, per favore: sfruttare che cosa?

ZIFFEL     Lei ci ha la stoffa del logistico e del semantico, stia un po’ attento. E’ più che abbastanza se lei dice che una comunità deve essere ordinata in modo che ciò che giova al singolo giovi a tutti. Allora non occorre più disprezzare l’egoismo, ma anzi lo si può persino lodare e promuovere pubblicamente.

KALLE     Dopo la Danimarca andai in Isvezia: un paese in cui l’amore per il prossimo è altamente sviluppato, e anche l’amore per la professione nel senso più nobile. Il caso più interessante di amore per la professione è accaduta là ad un uomo che non era svedese. Questo però non ha importanza per la mia teoria, perché il suo amore per la professione si sviluppò in modo particolare e fu messo alla prova appunto in Isvezia. La faccenda capitò a un biologo, e io lo pregai di scrivermela obiettivamente. Se lei vuole, gliela leggo. (Legge)
       «Con l’aiuto di alcuni scienziati nordici, che ogni tanto venivano a trovarmi nel mio istituto oppure avevano pubblicato miei lavori nelle loro riviste, ottenni il permesso di soggiorno in Scandinavia. L’unica condizione che mi fu posta, fu che non intraprendessi colà in nessun caso alcun lavoro scientifico o di altro genere. Sottoscrissi questa condizione con rammarico, perché non avrei più potuto aiutare come prima i miei amici scandinavi. Tuttavia compresi che dopo essermi conquistata, con la mia attività scientifica, la loro amicizia, ora potevo conservarla soltanto rinunciando alla mia attività. Forse non c’erano in Scandinavia troppi fisici per la fisica, ma certo  non c’erano abbastanza istituti per i fisici, e anche loro dovevano vivere. Il lato spiacevole della cosa consisteva per me nel fatto che in tal modo non potevo guadagnarmi da vivere e dipendevo quindi dalla bontà dei miei colleghi. Essi dovettero darsi da fare per procurarmi sussidi a compenso della mia inazione; facevano quel che potevano perché non soffrissi la fame. Purtroppo poco dopo il mio arrivo caddi gravemente ammalato. Un’asma violenta mi tormentava in modo tale che ben presto mi vennero a mancare le forze. Mi trascinavo faticosamente, ridotto ormai pelle e ossa, da un dottore all’altro, ma nessuno riusciva a darmi sollievo.
       «Un giorno, quando già ero arrivato allo stremo delle forze, venni a sapere che si trovava in città un medico, un tempo famoso, il quale aveva scoperto ed esperimentato un nuovo trattamento assai efficace appunto contro l’asma. Costui era un mio connazionale. Mi trascinai dunque da lui e , tutto scosso da attacchi di tosse, gli raccontai i miei malanni.
       «Alloggiava in una stanza piccolissima, sul retro di una casa, e la sedia su cui mi ero lasciato cadere era la sola che ci fosse, sicché lui dovette restare in piedi. Appoggiato a un traballante cassettone su cui c’erano i resti di una misera cena – l’avevo interrotto durante il pasto – cominciò a interrogarmi.
       «Le sue domande mi stupirono molto. Non riguardavano, come mi sarei aspettato, la mia malattia, bensì tutte altre cose: le mie relazioni e conoscenze, le mie opinioni, le mie predilezioni, ecc. Dopo circa un quarto d’ora mi confessò sorridendo lo scopo di quelle sue domande.
       «Voleva accertarsi non già delle mie condizioni fisiche, ma del mio carattere; esattamente come me, egli aveva sottoscritto, per ottenere il permesso di soggiorno, l’impegno che non avrebbe esercitato la sua professione. Se mi curava, rischiava di essere espulso dal paese. Prima di visitarmi voleva capire se io fossi una persona per bene, che non sarebbe andata in giro a raccontare che lui mi aveva aiutato.
       «Sempre interrotto dalla tosse, gli diedi le più ampie rassicurazioni che per me una buona azione va sempre ricambiata, e che quindi se mi avesse guarito, mi sarei affrettato a dimenticarlo. Parve molto sollevato e mi diede appuntamento in una clinica, dove aveva il permesso di prestare gratis servizio di assistenza. Il medico del reparto era un uomo ragionevole che lasciava mano libera allo specialista in certi casi. Purtroppo però, per nostra sfortuna, se ne andò in vacanza proprio il giorno dopo. Così X dovette riferire il caso al sostituto, un tizio che non conosceva. Gli fu detto che poteva far venire il paziente.
       «Arrivai all’appuntamento in anticipo e mi intrattenni con X in una cameretta riservata ai medici della clinica.
       «“Non mi è concesso l’esercizio della professione – disse X, – perché l’ordine dei medici si deve proteggere dalla concorrenza. Si basa su una legge emessa tanto tempo fa contro i ‘guaritori’. E’ naturalmente nell’interesse dei pazienti non venir curati da gente che non ne capisce niente”.
       «Quando entrammo in sala operatoria, il medico sostituto vi si trovava già. Con nostra meraviglia, egli era giusto intento a sterilizzarsi le mani. Era un tipo gioviale ed espansivo e, mentre era ancora intento alla bisogna, volse la testa piccola e calva verso di me e disse: “Allora, vogliamo provare un po’ questo nuovo metodo del suo amico? Se non farà bene, non farà neanche male. Sono sempre stato favorevole a sperimentare a fondo le novità”.
       «"Pensavo di poterle togliere il disturbo di questa piccola operazione – disse X, sforzandosi di nascondere il suo spavento. – Lei sa bene che l’ho già fatta centinaia di volte”.
       «“Ma neanche per sogno! – esclamò il sostituto, - ci arrangiamo benissimo da noi. Ho capito bene come si fa, e caso mai lei mi può indicare il punto esatto, se è proprio così preoccupato. E lei, - si rivolse a me, - non abbia paura, naturalmente non le presenterò il conto. Lo so che è un emigrato!”
       «E né i tentativi di X, per quanto pressanti, né il mio sguardo spaventato lo trattennero dal fare il suo meglio. Il che non fu davvero molto: non riuscì a trovare il punto giusto nel mio naso, e i miei attacchi non diminuirono affatto. Anzi, in seguito all’operazione mal riuscita, mi si gonfiarono le mucose, e quindi per un pezzo X non poté più far niente, anche dopo il ritorno dalle vacanze del medico del reparto. Solo dopo un’intera settimana gli fu possibile iniziare la sua cura.
       «Subito il mio stato migliorò in modo straordinario. X mi faceva la cura ogni due giorni, e di attacchi non ne ebbi più. Potevo starmene seduto sul davanzale della mia finestra a suonare l’armonica da bocca, cosa che non avevo più potuto fare da tanto tempo. Fino a un paio di settimane prima solo a pensarci mi sarebbe venuto un tremendo attacco di tosse.
       «Ma un giorno andai alla clinica e non vi trovai più X. “Il dottore non lavora più qui”, mi disse seccamente l’infermiera, lasciandomi subito per entrare dal capo reparto.
       «Andai a cercare X a casa. Era già quasi mezzogiorno, pure lo trovai ancora a letto, con mio grande stupore poiché era un uomo molto preciso e attivo. E non era ammalato.
       «“Così risparmio carbone, - si scusò, – e del resto non saprei che cosa fare se mi alzassi”. Venni a sapere che un dentista che avevo visto alla clinica aveva scritto alle autorità, denunciandolo per attività non autorizzata. La clinica era stata costretta a mandarlo via; egli non poteva più mettervi piede.
       «“Non posso più far niente, - disse esitando e a bassa voce. – E’ molto probabile che adesso mi sorveglino, e potrei essere espulso dal paese”. Parlò senza guardarmi in faccia, e io rimasi ancora qualche minuto, seduto sull’unica sedia, tirando avanti stentatamente una conversazione imbarazzata.
       «Due giorni dopo ebbi di nuovo un attacco, di notte, ed ero preoccupato perché non volevo disturbare con la mia terribile tosse i miei padroni di casa, che mi facevano pagare un affitto inferiore al normale.
       «Il mattino seguente, mentre sedevo ansando alla finestra dopo aver subito altri due attacchi, udii bussare alla porta, ed entrò X.
       «“Non occorre che parli, - disse in fretta, - lo vedo da me, è una vera vergogna. Ho portato con me una specie di strumento, e se lei serra i denti, dato che non posso farle l’anestesia, farò un tentativo”.
       «Tirò fuori di tasca un portasigarette e ne estrasse, da uno strato di ovatta, una pinzetta che lui stesso aveva curvata e adattata. Seduto sul mio letto, io gli reggevo la lampada da tavolo mentre lui mi incideva il nervo.
       «Ma mentre stava andandosene la mia padrona di casa lo fermò nel corridoio per chiedergli se poteva guardare la sua bambina in gola. Dunque sapevano che era un medico: non potevamo più fare la cura nella mia stanza.
       «Questo era molto grave, perché né io né X conoscevamo un luogo sicuro. Nei due giorni successivi, durante i quali, grazie a Dio, mi sentii meglio, avemmo diversi colloqui, e la sera del secondo giorno X mio disse di aver trovato un posto. Parlava come sempre, con energia, da quel gran medico che era, e Dio sa se lo era, e senza fare il minimo accenno al pericolo cui si esponeva curandomi.
       «Il luogo sicuro era la toilette di un grande albergo vicino alla stazione. Mentre vi andavamo, mi accadde di dare un’occhiata a X e di sentire d’un tratto tutta la stranezza della situazione. Egli camminava, piuttosto alto e imponente, in un prezioso cappotto di pelliccia che doveva aver salvato dal naufragio, e certo guardandolo nessuno avrebbe potuto indovinare che non stava recandosi alla sua clinica privata a tenere una delle sue celebri lezioni, bensì alla toilette d’un albergo da lui eletta a sala operatoria.
       «A quell’ora il locale era in effetti completamente vuoto, senza nemmeno un inserviente, e si trovava al piano interrato, così che se qualcuno si avvicinava i suoi passi si sarebbero sentiti molto prima che entrasse. Solo l’illuminazione era molto debole.
       «X si mise in modo da poter sorvegliare la porta d’ingresso. La sua prodigiosa abilità ebbe ragione della fioca luce del locale e della precarietà dello strumento così faticosamente adattato, e mentre mi venivano le lacrime agli occhi per il dolore intensissimo, non potei fare a meno di pensare agli immensi trionfi che la scienza aveva pur riportato in questo nostro secolo.
       «D’improvviso risonò dietro a X una voce, in lingua svedese: “Cosa fanno loro qui dentro?”
       «Un uomo grasso, dall’aspetto piuttosto volgare, un berretto di pelo grigio in testa, era uscito da uno dei piccoli gabinetti dalla porta bianca, e ci guardava con aria sospettosa, mentre ancora si riordinava gli abiti. Sentii che il corpo di X si irrigidì letteralmente, ma la sua mano non tremò un attimo. Con un movimento leggero e sicuro estrasse la pinzetta dal mio naso dolorante. Solo allora si girò verso lo sconosciuto. Questi non si mosse, e nemmeno ripeté la sua domanda. Anche X non parlò, mormorò solo qualcosa di incomprensibile, mentre si ficcava in tasca la pinzetta, come fosse un pugnale con cui avesse voluto assassinarmi. Alla sua coscienza di scienziato, il lato più colpevole di tutta quell’impresa illegale doveva apparire il fatto che la compisse con uno strumento così misero e così poco professionale. Con un gesto malsicuro – ora si che le sue mani tremavano – raccolse dal pavimento di mattonelle il suo pesante cappotto di pelliccia, se lo buttò, impallidendo profondamente, sul braccio e mi spinse verso la porta. Io non mi voltai. L’uomo grasso non fiatò più, probabilmente ci guardava dietro, ancora attonito, capendo dal nostro fare colpevole di aver interrotto una qualche operazione illegale, ma forse anche ben contento che noi non avessimo fatto fronte comune contro di lui. Dopo tutto eravamo in due.
       «Attraversammo l’atrio dell’albergo senza che ci fermassero, poi, la faccia mezzo sepolta nei cappotti, proseguimmo insieme per un tratto di strada e ci separammo con poche parole al primo crocevia.
       «X si era già allontanato di qualche passo quando fui assalito da un accesso di tosse tale da buttarmi letteralmente contro il muro della strada. Vidi ancora X che camminando si voltava indietro a guardarmi: la sua faccia mi parve contratta. Credo di essermi preso quella sera il raffreddore che mi tenne a letto per tre settimane. Fui quasi sul punto di morire, ma dopo la mia asma era scomparsa».

KALLE     Immagino che questo X dovette restare piuttosto sorpreso di scoprire proprio all’estero che i pazienti sono in realtà clienti.

ZIFFEL     Questo aspetto della scienza resta facilmente nascosto agli scienziati in quanto scienziati, lo conoscono solo in quanto professionisti. Uno che fa lezioni sui filosofi ionici non ha la sensazione di vendere qualche cosa né più né meno come un droghiere.

KALLE     I suoi allievi sono clienti. Persino il malato che riceve l’estrema unzione dal parroco è un cliente di costui. Si tratta sempre di «servizio al cliente». Questa storia ci sta proprio bene nella sua collezione. Sicuro, perché è deprimente trovarsi in un paese dove tu dipendi dal fatto che un altro arrivi ad avere tanto amore del prossimo da mettere a rischio i propri interessi per causa sua. Ti senti più sicuro in un paese dove non occorre l’amore del prossimo per essere curati.

ZIFFEL     Se puoi pagare, non sei mai in nessun posto alla mercé dell’amore del prossimo.

KALLE     Già, se puoi.


1 commento:

  1. grazie per aver reso disponibile un testo di stretta attualità.
    Saluti Gian

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