Cos'è "Dialoghi di Profughi":
http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
ZIFFEL I nazisti dicono:
L’utile collettivo viene prima dell’utile individuale. Questo è comunismo, e io
lo dico alla mamma.
KALLE Ecco che parla di
nuovo in malafede solo perché vuol farmi vedere che va contro corrente. Quella
frase significa soltanto che lo Stato viene prima dei sudditi, e lo Stato sono
i nazisti e basta. Lo Stato rappresenta la collettività in quanto impone tasse
a tutti, comanda di qua e di là, impedisce i rapporti reciproci e spinge alla
guerra.
ZIFFEL La sua è una
esagerazione che mi piace. Senza esagerazione si potrebbe dire che quella frase
stabilisce in effetti un’antitesi insuperabile tra l’utile del singolo e
l’utile della collettività. E’ appunto questo che provoca il suo disprezzo.
Anch’io direi che in un paese dove l’egoismo vien diffamato per principio, c’è
qualcosa di marcio.
KALLE In una democrazia
come la conosciamo noi…
ZIFFEL Non occorre che
aggiunga come la conosciamo noi.
KALLE Dunque in una
democrazia si dice generalmente che si deve creare un equilibrio tra l’egoismo
di quelli che hanno qualche cosa e quello di coloro che non hanno nulla. Questa
è una palese assurdità. Rimproverare a un capitalista l’egoismo significa
rimproverargli di essere un capitalista. I frutti ce li ha solo lui, perché è
lui che sfrutta. Infatti gli operai non possono sfruttare il capitalista. La
frase: L’utile collettivo viene prima dell’utile individuale dovrebbe suonare:
Quando si tratta di sfruttamento, non è permesso che uno solo sfrutti un altro
o tutti, ma tutti devono… e ora mi dica, per favore: sfruttare che cosa?
ZIFFEL Lei ci ha la
stoffa del logistico e del semantico, stia un po’ attento. E’ più che
abbastanza se lei dice che una comunità deve essere ordinata in modo che ciò
che giova al singolo giovi a tutti. Allora non occorre più disprezzare
l’egoismo, ma anzi lo si può persino lodare e promuovere pubblicamente.
KALLE Dopo la Danimarca
andai in Isvezia: un paese in cui l’amore per il prossimo è altamente
sviluppato, e anche l’amore per la professione nel senso più nobile. Il caso
più interessante di amore per la professione è accaduta là ad un uomo che non
era svedese. Questo però non ha importanza per la mia teoria, perché il suo
amore per la professione si sviluppò in modo particolare e fu messo alla prova
appunto in Isvezia. La faccenda capitò a un biologo, e io lo pregai di
scrivermela obiettivamente. Se lei vuole, gliela leggo. (Legge)
«Con
l’aiuto di alcuni scienziati nordici, che ogni tanto venivano a trovarmi nel
mio istituto oppure avevano pubblicato miei lavori nelle loro riviste, ottenni
il permesso di soggiorno in Scandinavia. L’unica condizione che mi fu posta, fu
che non intraprendessi colà in nessun caso alcun lavoro scientifico o di altro
genere. Sottoscrissi questa condizione con rammarico, perché non avrei più
potuto aiutare come prima i miei amici scandinavi. Tuttavia compresi che dopo
essermi conquistata, con la mia attività scientifica, la loro amicizia, ora
potevo conservarla soltanto rinunciando alla mia attività. Forse non c’erano in
Scandinavia troppi fisici per la fisica, ma certo non c’erano abbastanza
istituti per i fisici, e anche loro dovevano vivere. Il lato spiacevole della
cosa consisteva per me nel fatto che in tal modo non potevo guadagnarmi da
vivere e dipendevo quindi dalla bontà dei miei colleghi. Essi dovettero darsi
da fare per procurarmi sussidi a compenso della mia inazione; facevano quel che
potevano perché non soffrissi la fame. Purtroppo poco dopo il mio arrivo caddi
gravemente ammalato. Un’asma violenta mi tormentava in modo tale che ben presto
mi vennero a mancare le forze. Mi trascinavo faticosamente, ridotto ormai pelle
e ossa, da un dottore all’altro, ma nessuno riusciva a darmi sollievo.
«Un giorno,
quando già ero arrivato allo stremo delle forze, venni a sapere che si trovava
in città un medico, un tempo famoso, il quale aveva scoperto ed esperimentato
un nuovo trattamento assai efficace appunto contro l’asma. Costui era un mio
connazionale. Mi trascinai dunque da lui e , tutto scosso da attacchi di tosse,
gli raccontai i miei malanni.
«Alloggiava in una
stanza piccolissima, sul retro di una casa, e la sedia su cui mi ero lasciato
cadere era la sola che ci fosse, sicché lui dovette restare in piedi.
Appoggiato a un traballante cassettone su cui c’erano i resti di una misera
cena – l’avevo interrotto durante il pasto – cominciò a interrogarmi.
«Le sue domande mi
stupirono molto. Non riguardavano, come mi sarei aspettato, la mia malattia,
bensì tutte altre cose: le mie relazioni e conoscenze, le mie opinioni, le mie
predilezioni, ecc. Dopo circa un quarto d’ora mi confessò sorridendo lo scopo
di quelle sue domande.
«Voleva accertarsi non
già delle mie condizioni fisiche, ma del mio carattere; esattamente come me,
egli aveva sottoscritto, per ottenere il permesso di soggiorno, l’impegno che
non avrebbe esercitato la sua professione. Se mi curava, rischiava di essere
espulso dal paese. Prima di visitarmi voleva capire se io fossi una persona per
bene, che non sarebbe andata in giro a raccontare che lui mi aveva aiutato.
«Sempre interrotto
dalla tosse, gli diedi le più ampie rassicurazioni che per me una buona azione
va sempre ricambiata, e che quindi se mi avesse guarito, mi sarei affrettato a
dimenticarlo. Parve molto sollevato e mi diede appuntamento in una clinica,
dove aveva il permesso di prestare gratis servizio di assistenza. Il medico del
reparto era un uomo ragionevole che lasciava mano libera allo specialista in
certi casi. Purtroppo però, per nostra sfortuna, se ne andò in vacanza proprio
il giorno dopo. Così X dovette riferire il caso al sostituto, un tizio che non
conosceva. Gli fu detto che poteva far venire il paziente.
«Arrivai
all’appuntamento in anticipo e mi intrattenni con X in una cameretta riservata
ai medici della clinica.
«“Non mi è concesso
l’esercizio della professione – disse X, – perché l’ordine dei medici si deve
proteggere dalla concorrenza. Si basa su una legge emessa tanto tempo fa contro
i ‘guaritori’. E’ naturalmente nell’interesse dei pazienti non venir curati da
gente che non ne capisce niente”.
«Quando entrammo in
sala operatoria, il medico sostituto vi si trovava già. Con nostra meraviglia,
egli era giusto intento a sterilizzarsi le mani. Era un tipo gioviale ed
espansivo e, mentre era ancora intento alla bisogna, volse la testa piccola e
calva verso di me e disse: “Allora, vogliamo provare un po’ questo nuovo metodo
del suo amico? Se non farà bene, non farà neanche male. Sono sempre stato
favorevole a sperimentare a fondo le novità”.
«"Pensavo di
poterle togliere il disturbo di questa piccola operazione – disse X,
sforzandosi di nascondere il suo spavento. – Lei sa bene che l’ho già fatta
centinaia di volte”.
«“Ma neanche per sogno!
– esclamò il sostituto, - ci arrangiamo benissimo da noi. Ho capito bene come
si fa, e caso mai lei mi può indicare il punto esatto, se è proprio così
preoccupato. E lei, - si rivolse a me, - non abbia paura, naturalmente non le
presenterò il conto. Lo so che è un emigrato!”
«E né i tentativi di X,
per quanto pressanti, né il mio sguardo spaventato lo trattennero dal fare il
suo meglio. Il che non fu davvero molto: non riuscì a trovare il punto giusto
nel mio naso, e i miei attacchi non diminuirono affatto. Anzi, in seguito
all’operazione mal riuscita, mi si gonfiarono le mucose, e quindi per un pezzo
X non poté più far niente, anche dopo il ritorno dalle vacanze del medico del
reparto. Solo dopo un’intera settimana gli fu possibile iniziare la sua cura.
«Subito il mio stato
migliorò in modo straordinario. X mi faceva la cura ogni due giorni, e di
attacchi non ne ebbi più. Potevo starmene seduto sul davanzale della mia
finestra a suonare l’armonica da bocca, cosa che non avevo più potuto fare da
tanto tempo. Fino a un paio di settimane prima solo a pensarci mi sarebbe
venuto un tremendo attacco di tosse.
«Ma un giorno andai
alla clinica e non vi trovai più X. “Il dottore non lavora più qui”, mi disse
seccamente l’infermiera, lasciandomi subito per entrare dal capo reparto.
«Andai a cercare X a
casa. Era già quasi mezzogiorno, pure lo trovai ancora a letto, con mio grande
stupore poiché era un uomo molto preciso e attivo. E non era ammalato.
«“Così risparmio
carbone, - si scusò, – e del resto non saprei che cosa fare se mi alzassi”.
Venni a sapere che un dentista che avevo visto alla clinica aveva scritto alle
autorità, denunciandolo per attività non autorizzata. La clinica era stata
costretta a mandarlo via; egli non poteva più mettervi piede.
«“Non posso più far
niente, - disse esitando e a bassa voce. – E’ molto probabile che adesso mi
sorveglino, e potrei essere espulso dal paese”. Parlò senza guardarmi in
faccia, e io rimasi ancora qualche minuto, seduto sull’unica sedia, tirando
avanti stentatamente una conversazione imbarazzata.
«Due giorni dopo ebbi
di nuovo un attacco, di notte, ed ero preoccupato perché non volevo disturbare
con la mia terribile tosse i miei padroni di casa, che mi facevano pagare un
affitto inferiore al normale.
«Il mattino seguente,
mentre sedevo ansando alla finestra dopo aver subito altri due attacchi, udii
bussare alla porta, ed entrò X.
«“Non occorre che
parli, - disse in fretta, - lo vedo da me, è una vera vergogna. Ho portato con
me una specie di strumento, e se lei serra i denti, dato che non posso farle
l’anestesia, farò un tentativo”.
«Tirò fuori di tasca un
portasigarette e ne estrasse, da uno strato di ovatta, una pinzetta che lui
stesso aveva curvata e adattata. Seduto sul mio letto, io gli reggevo la
lampada da tavolo mentre lui mi incideva il nervo.
«Ma mentre stava
andandosene la mia padrona di casa lo fermò nel corridoio per chiedergli se
poteva guardare la sua bambina in gola. Dunque sapevano che era un medico: non
potevamo più fare la cura nella mia stanza.
«Questo era molto
grave, perché né io né X conoscevamo un luogo sicuro. Nei due giorni
successivi, durante i quali, grazie a Dio, mi sentii meglio, avemmo diversi
colloqui, e la sera del secondo giorno X mio disse di aver trovato un posto.
Parlava come sempre, con energia, da quel gran medico che era, e Dio sa se lo
era, e senza fare il minimo accenno al pericolo cui si esponeva curandomi.
«Il luogo sicuro era la
toilette di un grande albergo vicino alla stazione. Mentre vi andavamo, mi
accadde di dare un’occhiata a X e di sentire d’un tratto tutta la stranezza
della situazione. Egli camminava, piuttosto alto e imponente, in un prezioso
cappotto di pelliccia che doveva aver salvato dal naufragio, e certo
guardandolo nessuno avrebbe potuto indovinare che non stava recandosi alla sua
clinica privata a tenere una delle sue celebri lezioni, bensì alla toilette
d’un albergo da lui eletta a sala operatoria.
«A quell’ora il locale
era in effetti completamente vuoto, senza nemmeno un inserviente, e si trovava
al piano interrato, così che se qualcuno si avvicinava i suoi passi si
sarebbero sentiti molto prima che entrasse. Solo l’illuminazione era molto debole.
«X si mise in modo da
poter sorvegliare la porta d’ingresso. La sua prodigiosa abilità ebbe ragione
della fioca luce del locale e della precarietà dello strumento così
faticosamente adattato, e mentre mi venivano le lacrime agli occhi per il dolore
intensissimo, non potei fare a meno di pensare agli immensi trionfi che la
scienza aveva pur riportato in questo nostro secolo.
«D’improvviso risonò
dietro a X una voce, in lingua svedese: “Cosa fanno loro qui dentro?”
«Un uomo grasso,
dall’aspetto piuttosto volgare, un berretto di pelo grigio in testa, era uscito
da uno dei piccoli gabinetti dalla porta bianca, e ci guardava con aria
sospettosa, mentre ancora si riordinava gli abiti. Sentii che il corpo di X si
irrigidì letteralmente, ma la sua mano non tremò un attimo. Con un movimento
leggero e sicuro estrasse la pinzetta dal mio naso dolorante. Solo allora si
girò verso lo sconosciuto. Questi non si mosse, e nemmeno ripeté la sua
domanda. Anche X non parlò, mormorò solo qualcosa di incomprensibile, mentre si
ficcava in tasca la pinzetta, come fosse un pugnale con cui avesse voluto
assassinarmi. Alla sua coscienza di scienziato, il lato più colpevole di tutta
quell’impresa illegale doveva apparire il fatto che la compisse con uno
strumento così misero e così poco professionale. Con un gesto malsicuro – ora
si che le sue mani tremavano – raccolse dal pavimento di mattonelle il suo
pesante cappotto di pelliccia, se lo buttò, impallidendo profondamente, sul
braccio e mi spinse verso la porta. Io non mi voltai. L’uomo grasso non fiatò
più, probabilmente ci guardava dietro, ancora attonito, capendo dal nostro fare
colpevole di aver interrotto una qualche operazione illegale, ma forse anche
ben contento che noi non avessimo fatto fronte comune contro di lui. Dopo tutto
eravamo in due.
«Attraversammo l’atrio
dell’albergo senza che ci fermassero, poi, la faccia mezzo sepolta nei
cappotti, proseguimmo insieme per un tratto di strada e ci separammo con poche
parole al primo crocevia.
«X si era già
allontanato di qualche passo quando fui assalito da un accesso di tosse tale da
buttarmi letteralmente contro il muro della strada. Vidi ancora X che
camminando si voltava indietro a guardarmi: la sua faccia mi parve contratta.
Credo di essermi preso quella sera il raffreddore che mi tenne a letto per tre
settimane. Fui quasi sul punto di morire, ma dopo la mia asma era scomparsa».
KALLE Immagino che questo X
dovette restare piuttosto sorpreso di scoprire proprio all’estero che i
pazienti sono in realtà clienti.
ZIFFEL Questo aspetto della
scienza resta facilmente nascosto agli scienziati in quanto scienziati, lo
conoscono solo in quanto professionisti. Uno che fa lezioni sui filosofi ionici
non ha la sensazione di vendere qualche cosa né più né meno come un droghiere.
KALLE I suoi allievi sono
clienti. Persino il malato che riceve l’estrema unzione dal parroco è un
cliente di costui. Si tratta sempre di «servizio al cliente». Questa storia ci
sta proprio bene nella sua collezione. Sicuro, perché è deprimente trovarsi in
un paese dove tu dipendi dal fatto che un altro arrivi ad avere tanto amore del
prossimo da mettere a rischio i propri interessi per causa sua. Ti senti più
sicuro in un paese dove non occorre l’amore del prossimo per essere curati.
ZIFFEL Se puoi pagare, non
sei mai in nessun posto alla mercé dell’amore del prossimo.
KALLE Già, se puoi.
Poco dopo i due si separarono e se ne andarono, ciascuno per la propria strada.
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IV: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/dialoghi-di-profughi-iv-bertolt-brecht.html
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grazie per aver reso disponibile un testo di stretta attualità.
RispondiEliminaSaluti Gian