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http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html
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Reddito garantito, tra concetti e preconcetti. Limiti e punti di forza di alcune proposte in campo di Elena Monticelli
Da alcuni anni il tema del reddito minimo in Italia ha
assunto nuovamente una centralità e diverse forze politiche hanno iniziato a
sostenere proposte che andassero nella direzione di introdurre una misura di
quel tipo: il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia e
Libertà, le prime due proposte di legge d’iniziativa parlamentare, l’ultima
invece una proposta di legge d’iniziativa popolare, che ha raccolto oltre
cinquantamila firme di cittadini italiani. Il Partito Democratico, però, ha
smesso negli ultimi due anni di sostenere la proposta formulata.
Contemporaneamente a queste proposte è emersa anche la
proposta REIS (Reddito d’Inclusione Sociale) , una proposta di reddito di
inclusione sociale nata dall’Alleanza contro la povertà in Italia, un cartello
di soggetti aventi come promotori le Acli e la Caritas che si rivolge soltanto
ai nuclei familiari al di sotto della soglia di povertà assoluta. Nonostante la
campagna “Reddito di dignità” promossa dall’Associazione Libera contro le
Mafie, l’iter per la calendarizzazione della discussione in Senato sulle due
proposte di legge (quella del M5S e quella di Sel) si è arenato bruscamente.
Nel frattempo lo scorso luglio 2015 è stato presentato dal Ministro del Lavoro
Poletti il «Piano nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione
sociale», finanziato successivamente attraverso la Legge di Stabilità (L.28
dicembre 2015, n. 208), attraverso uno stanziamento per il 2016 quantificato in
600 milioni di euro ed uno stanziamento per il 2017 in Legge di Stabilità che
ammonta ad 1 miliardo. Infine il Governo Renzi ha presentato lo “Schema di
disegno di legge di delega recante le norme relative al contrasto alla povertà,
al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi
sociali”, cosiddetto Ddl Povertà. Il modello proposto da questo disegno di
legge affonda le proprie radici nel SIA – Sostegno all’Inclusione Attiva,
approvato durante il Governo Letta, caratterizzato da principi di universalismo
selettivo, impianto familista, importo decisamente inferiore ai termini di
adeguatezza previsti da uno schema di reddito minimo garantito e in ultimo da
forme di condizionatezza legate a lavoro volontario.
Analizzando nello specifico questi elementi è possibile
comprendere i canoni entro cui sta evolvendo (o meglio involvendo) la
discussione sulle misure di sostegno al reddito in Italia, alla luce dei
recenti sviluppi.
Per quanto riguarda l’impianto familistico della misura
prevista dal Ddl povertà, può essere riassunto nella locuzione “garantendo in
via prioritaria interventi per nuclei familiari con figli minori e con un ISEE
inferiore a 3.000 euro”. Risulta evidente come tale criterio, oltre a
restringere la platea dei beneficiari ad una residua percentuale 30% dei nuclei
familiari al di sotto della soglia di povertà assoluta, escluda automaticamente
tutte le famiglie senza figli, o con figli maggiorenni (magari disoccupati o
Neet), nonché tutte le coppie di fatto anche se stabili.
L’enfasi rispetto alla titolarità individuale certamente
caratterizza l’impianto del SIA rispetto alle proposte di Sel e M5S. Una
titolarità che si esprime non solo nell’ esigenza che ciascuno riceva
individualmente la sua quota di beneficio, ma anche nel fatto ciascuno ne possa
fare richiesta singolarmente.
Unito al tema dell’individualità sembra essere del tutto
scomparso dal dibattito italiano il tema del sostegno al reddito concepito non
solo come strumento di lotta contro la piaga della povertà assoluta e relativa,
ma come strumento di emancipazione da una condizione più generale di condizione
di esclusione sociale. Il riferimento riguarda ovviamente la correlazione tra
il tema del reddito ed il tema della vulnerabilità del lavoro, della
precarizzazione sociale e del sempre maggiore aumento del fenomeno dei working
poors, coloro che pur lavorando continuano a permanere in una condizione di
povertà relativa.
Per questi motivi è importante recuperare un filo
nell’analisi pubblica tra il tema delle misure di sostegno al reddito e la
vulnerabilità che caratterizza l’attuale mondo del lavoro, soprattutto alla
luce del fatto che la cesura tra l’esperienza passata e quella contemporanea
del lavoro si misura anche dal rapporto tra lavoro e non lavoro, se pensiamo
che ad oggi l’intermittenza rappresenti la caratteristica principale per molti
lavoratori, tanto subordinati quanto autonomi.
Per questi motivi l’inadeguatezza di un sistema di
protezione sociale, agganciato al solo lavoro subordinato, incardinato su un
meccanismo assicurativo esclude tanti, troppi soggetti, proprio i più fragili
ed esposti ai rischi, cui andrebbero rivolti strumenti universalistici.
Collegato a questi primi due temi è importante analizzare il
tema della condizionatezza delle misure di sostegno al reddito, tema che ha
assunto una centralità nel dibattito pubblico del nostro paese, tanto da
risultare ormai una caratteristica irrinunciabile tanto del Ddl povertà del
Ministro Poletti quanto di alcune proposte regionali, in primis la proposta
“ReD” presentata dalla Giunta Emiliano in Puglia. Il Ministro Poletti, ad
esempio ha sostenuto che, poiché la misura è sostenuta economicamente dai
“cittadini italiani”, coloro che ne beneficeranno dovranno dimostrare la
massima disponibilità, svolgendo determinate mansioni lavorative o impegnandosi
a mandare i proprio figli a scuola. Eppure all’interno del Ddl povertà vi sono
poche indicazioni sulle modalità con cui verranno garantite “l’attivazione e
l’inclusione sociale e lavorativa” in particolare quando si fa riferimento alla
“progettazione personalizzata da parte di servizi competenti di Comuni e Ambiti
territoriali con piena partecipazione dei beneficiari”. Un riferimento simile è
possibile ritrovarlo anche all’interno della proposta REIS ispirata a principi
di welfare generativo: “si tratta di trasformare l’aiuto ricevuto con il REIS
in ore di impegno che l’interessato offre in attività utili per la comunità e
per se stesso. (…) Le attività possono essere svolte con le associazioni di
volontariato, con i soggetti del Terzo Settore e con gli enti pubblici. (…)
anche le forme possono risultare le più varie,spaziando dall’impegno orario nel
volontariato o negli enti pubblici alla partecipazione a percorsi formativi e
ad altre forme individuate dalla creatività locale.” La proposta pugliese ReD,
invece, è caratterizzata da un vero e proprio “obbligo per adesione”, per tutti
i componenti della famiglia beneficiaria. Quest’obbligo consiste in un impegno
in attività di tirocinio o di formazione. Tali tirocini dovrebbero essere
svolti presso imprese o privato sociale e la loro indennità concorrerebbe alla
determinazione della misura (per una quota pari a 450 euro) . Di fatto la
Regione Puglia si impegna a sottrarre il corrispettivo dell’indennità dal “ReD”
erogando, in forma di sostegno al reddito una cifra del tutto irrisoria, in
quanto la restante parte diventerebbe indennità per le prestazioni lavorative
erogate.
Risulta evidente come, l’accento posto sulla
condizionatezza, metta in secondo piano il ben più importante tema relativo
alla congruità , per il quale laddove vi siano forme di “condizionatezza al
lavoro” queste devono dimostrarsi all’altezza delle competenze e capacità del
beneficiario e quindi congrue con le sue aspettative di vita e capacità1 . Si
segnala, infine, la necessità di arginare possibili erogazioni di misure di
sostegno al reddito legate all’anzianità di residenza o cosiddetta residenza
qualificata2 , in quanto la stessa Corte Costituzionale, in diverse sentenze3 ,
ha più volte ribadito come quel requisito non rispetti i principi di
ragionevolezza e di uguaglianza, perché introduce elementi di distinzione
arbitrari. In altre parole non c’è una relazione tra la durata della residenza
e le situazioni di bisogno e di disagio che sono il presupposto per accedere ai
diritti sociali.
Per questi motivi l’intento dell’analisi non è muovere una
critica tout court a misure contro la povertà, certamente necessarie, ma
piuttosto sollevare una preoccupazione per un dibattito italiano totalmente
appiattito su un’ontologia della povertà, che sembra da un lato tralasciare il
tema dell’aumento delle disuguaglianze, quindi l’analisi delle vere cause alla
base della povertà, dall’altra utilizzare la condizionalità come scusa, per
razionalizzare le risorse pubbliche destinate al welfare ed i servizi pubblici
essenziali.
La progressiva trasformazione del welfare pubblico in un
sistema sempre più ridotto, da un punto di vista delle risorse e basato sulla
coercizione, ben si concilia con il tentativo di privatizzazione del comparto
pubblico, la riduzione dei diritti sul mercato del lavoro e con la tendenza ad
accettare socialmente il lavoro gratuito. Nella costruzione di questo dibattito
viene perciò elusa ed ignorata la necessità di misure di politica economica
volte ad una reale redistribuzione di reddito e di ricchezza nel nostro paese.
La sfida più grande, pertanto, risulta quella di reindirizzare il dibattito
pubblico verso un’analisi che tenga insieme lo strumento del reddito con quello
della lotta alle disuguaglianze, a partire dal modo con cui lo si può
finanziare4 , per ridargli quella valenza di strumento emancipante, contro
qualsiasi deriva di welfare privatizzato, condizionato e coercitivo rispetto a
forme di lavoro non congruo o volontario.
Note:
1 Il termine “Universalismo selettivo” è utilizzato in
letteratura per indicare delle politiche pubbliche volte all’assegnazione di
servizi socio-sanitari sulla base di alcuni criteri, in particolare in base
alla condizione reddituale dei singoli e delle famiglie. “Le poche risorse che
ci sono devono essere meglio spese.” Sono queste le parole d’ordine
dell’universalismo selettivo. A seguito delle politiche di austerità di questi
ultimi anni, questo criterio è sempre più utilizzato in tema di politiche di
welfare.
2 Sono gli stessi criteri utilizzati per l’erogazione della
Social Card 2013
http://www.lavoro.gov.it/Notizie/Pages/20130507_NuovaSocialCard.aspx
3 Rispetto a questi temi si rimanda a G. Allegri, G.
Bronzini, Libertà e Lavoro dopo il Jobs Act, Derive Approdi, 2015.
4 La proposta pugliese ReD è chiamata impropriamente Reddito
di Dignità con l’obiettivo di rievocare l’omonima campagna promossa da Libera e
BIN Italia e Cilap Italia.
5 Proposta Reddito d’Inclusione Sociale
http://www.redditoinclusione.it/ , p.52 .
6 In Italia la
normativa che regola l’indennità dei tirocinanti si ricava dal combinato
disposto tra l’art.1 co.34, lettera d) della legge 28 giugno 2012 n.92 (c.d.
Legge Fornero) e l’art.
6 co. 2 dell’Accordo Stipulato dalla Conferenza Stato
Regioni il 22 gennaio 2015 sul documento recante “Linee Guida per i tirocini di
orientamento – formazione inserimento – reinserimento finalizzati
all’inclusione sociale, all’autonomia delle persone ed alla riabilitazione”.
Secondo tale disciplina la corresponsione dell’indennità di partecipazione al
tirocinante avviene da parte dell’ente che lo ha preso in carico. In Puglia
l’indennità è pari a 450 euro ai sensi L.R. 23/13 e il Reg. Regionale 4/14.
7 Per un ulteriore approfondimento si legga: Bin Italia,
Reddito Minimo garantito, Trapani, 2012.
8 Con il termine “residenza qualificata” si indica uno
status di residente della durata di un dato lasso temporale. L’emergere del
requisito aggiuntivo di “qualificata” a quello di “residenza” ha però favorito
l’aumentare di misure adottate dalle regioni per limitare a coloro che
risiedono sul loro territorio la fruizione di vari benefici e prestazioni da
esse erogati. Per ulteriori approfondimentisi legga: F.DINELLI, Le appartenenze
territoriali. Contributo allo studio della cittadinanza, della residenza e
della cittadinanza europea, Napoli, 2011, p. 139.
9 Si legga ad esempio, fra le tante, la sentenza n 432/2005
C.Cost. , di recente anche la n.2/2013 C.Cost e la n. 22/2015 C.Cost.
10 Diversi economisti hanno calcolato come il reddito possa
essere finanziato direttamente con una tassa sulla ricchezza sui redditi
appartenenti al decile più alto della scala. Ad esempio Marta Fana su il
Manifesto dell’11.06.2015 scriveva “In Italia, il 10% più ricco della
popolazione detiene il 46% della ricchezza privata totale, cioè quasi 4 mila
miliardi di euro (fonte Banca d’Italia): imponendo su questi patrimoni una
“tassa di solidarietà sulla ricchezza” dello 0.05%, le finanze pubbliche
otterrebbero potenzialmente un gettito pari a circa 19 miliardi di euro ogni
anno. Per ristabilire un principio di equità bisognerebbe introdurre anche una
vera tassazione sulle successioni che sia di tipo progressivo e non di fatto
inesistente, data la soglia di esenzione a un milione di euro prevista dalla
legge italiana.”
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