Oggi io credo - attraverso il confronto, sempre più
indispensabile ed inevitabile, con la cultura della psicoanalisi - etica e
politica, scienze umane e filosofia, possono giungere a ragionare di un nuovo
materialismo che includa nei bisogni originari e imprescindibili dell'umano,
accanto alla bisognosità più esplicitamente fisica e biologica, il bisogno
dell'esser riconosciuti, pena l'assenza dell'accendersi della stessa vita
psichica.
Così come possono giungere a meditare su quella complicazione ed
arricchimento psicoanalitici del concetto moderno di libertà, per cui libertà
non è più solo la libertà liberale «di» (pensiero, religione ..) o la libertà
comunista «da» (bisogni e necessità materiali), ma, oltre a queste, una
libertà, postliberale e postcomunista, da intendersi come l’assenza, al più
alto grado possibile, di quei divieti e di quelle censure, di quel terrorismo
interiore che fa divieto al soggetto umano di comunicare con il suo più
profondo e proprio Sé.
Solo
una cultura civile e politica che si rifondasse a muovere da tale nuovo
materialismo, da tale nuova antropologia, sarebbe forse in grado, io credo, di
proporre un economico, e con esso un paradigma di ricchezza, ulteriore a quello
moderno e contemporaneo. Solo una cultura etica e filosofica che riconoscesse
il grande debito accumulato dalle acquisizioni e dalle conquiste teoriche e
cliniche maturate dalla psicoanalisi, nel corso ormai di un secolo, potrebbe, a
mio avviso, proporre un'ideale di trasformazione all’altezza della drammaticità
dei problemi contemporanei...
Ma questa è la speranza, di poter contrapporre a un vecchio
e consunto paradigma di ricchezza, che sta diffondendo disperazioni, terrori e
tremori, un nuovo paradigma di ricchezza e fecondità antropologica.
Se tutto ciò potrà mai avvenire, sottraendosi alla
dimensione del mero sogno e del mero congetturare utopico, solo un Dio, cioè il
tempo dell’ad/venire, ce lo potrà dire.
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