Quali saranno le conseguenze del nuovo corso delle relazioni tra USA e Cuba sottolineato con grande risonanza mediatica in occasione della recente visita di Obama? Molti problemi e interrogativi restano aperti e su di essi discutono anche le massime autorità cubane.
In numerose fonti di informazioni latinoamericane e cubane
(anche ufficiali) si discute molto sulle conseguenze della visita a Cuba del
presidente Barack Obama, insignito per il solo fatto di essere quasi nero e
statunitense del premio Nobel per la pace; conseguenze che ovviamente non si
faranno sentire solo nell'isola caraibica, ma che si riverberanno su tutta la
società latinoamericana, scossa da una serie di tensioni e conflitti, il cui
obiettivo è la destabilizzazione dei governi progressisti ivi operanti. In
questo senso Cuba resta un simbolo ancora vitale, la cui stessa esistenza
rimanda a possibili alternative per gli Stati Uniti indigeribili. Naturalmente
in questo breve intervento rifuggirò da tutte quelle interpretazioni che, solo
allo scopo di generare sensazionalismo, fanno di questo evento qualcosa di
epocale, da cui dovrebbe scaturire una nuova fase nella storia del mondo (come,
d'altra parte, ho fatto in un altro intervento pubblicato sempre su LCF).
Comincio con il soffermarmi su quanto si ricava dal canale
televisivo interstatale Telesur, cacciato recentemente dall'Argentina, in cui è
andato al potere un personaggio legato alla passata dittatura e al capitale
transnazionale. Nel noticiero e nei vari programmi di Telesur
emergono sostanzialmente due aspetti della questione: da un lato, si
sottolineano i possibili vantaggi che deriverebbero alla più grande delle
Antille dall'apertura delle relazioni commerciali e finanziarie con gli Stati
Uniti, la quale provocherebbe il miglioramento delle condizioni di vita della
popolazione e, di conseguenza, il consolidamento del socialismo cubano, che
dovrà essere prospero e sostenibile. È questa la linea ufficiale, identificata
in particolare con la figura di Raúl Castro, il quale ha sempre parlato della
necessità di “actualizar el socialismo cubano” e di procedere alla normalizzazione
dei rapporti con gli Stati Uniti, con i quali rimangono tuttavia – sottolinea -
importanti divergenze. E, d'altra parte, l'attuale leader cubano ha anche più
volte ribadito che tale normalizzazione potrà realizzarsi solo nel pieno
rispetto dell'autonomia e della sovranità della nazione cubana, ossia con il
ripudio della politica di ingerenza anche violenta, che – nonostante le parole
amichevoli di Obama a Cuba – continua a manifestarsi in varie forme; pensiamo,
per esempio, al prolungamento delle sanzioni contro il Venezuela considerato
una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti e un paese non rispettoso dei
diritti umani (1).
L'altro aspetto è di tutt'altro segno: vari analisti
politici, intervistati da Telesur, parlano in maniera esplicita di “cavallo di
Troia”, nel senso che l'apertura di Obama costituirebbe semplicemente una nuova
strategia, rispetto a quella cinquantennale del bloqueo, che però
si pone lo stesso identico obiettivo: inserire Cuba a pieno titolo nel mercato
capitalistico, mostrando ai paesi recalcitranti (in primis quelli
latinoamericani) che al di fuori di esso non ci sono alternative
ragionevolmente perseguibili. Oltre a ciò, ovviamente, annettere politicamente
e militarmente l'isola caraibica, cruciale snodo strategico dal quale si può
controllare tutta l'America latina; obiettivo antico perseguito sin dai tempi
della colonia, quando si propose alla Spagna di vendere agli emergenti vicini
uno dei suoi gioielli più preziosi. D'altra parte, nella relazione al VII
Congresso del Partito comunista cubano, tenutosi tra il 16 e il 19 aprile, lo
stesso Raul paventa tali pericoli.
L'enfasi su questo secondo corno della questione si richiama
al celebre e lodato discorso del 17 dicembre 2014, nel quale Obama dice
esplicitamente: <<Questi 50 anni hanno dimostrato che l'isolamento non ha
funzionato. È ora di una nuova strategia... Non spero che la
società cubana si trasformi dalla notte alla mattina, ma non possiamo
continuare a fare le stesse cose che abbiamo fatto in cinque decenni e
aspettarci un risultato diverso (sottolineatura mia).
Condivide questa interpretazione Àngel Guerra, il quale,
ribadendo che il processo di normalizzazione avviato rappresenta una vittoria
del popolo cubano, che ha sempre rifiutato di sottomettersi al suo potente
vicino, scrive che gli obiettivi statunitensi rispetto a Cuba non sono cambiati
Ovviamente tali criticità risaltano anche nella stampa
cubana (il Granma), nella quale quotidianamente sono citati passi
significativi di discorsi fatti in passato da Fidel Castro, in cui per esempio
si sottolinea che l'unità e la dottrina (marxista-leninista) costituiscono i
pilastri della Rivoluzione cubana (30 marzo 2016). E ciò allo scopo di
rimarcare che - credo -, nonostante la cordialità degli incontri tra i capi di
Stato dei due paesi, non c'è alcun segno di cedimento da parte di Cuba.
Nello stesso numero del Granma appare un
breve articolo, ma molto interessante in questo senso, in cui sono riportate le
riflessioni di Bruno RodrÍguez, ministro degli esteri della
Repubblica di Cuba, a proposito dell'ipotizzata fine – ma finora non realizzata
– del bloqueo. RodrÍguez ribadisce con vigore che l'abolizione di
esso deve essere il risultato di un atto unilaterale degli Stati Uniti.
Infatti, egli afferma: <<La fine delle sanzioni economiche, commerciali,
finanziarie che Washington applica contro l'Avana da più di cinque decenni non
potrà scaturire da un negoziato, o come risposta a concessioni fatte dall'isola
caraibica>>. Naturalmente tale affermazione categorica non può che
suggerire che gli Stati Uniti, forti del loro predominio internazionale e
facendo leva sulle possibilità di investimento, di trasferimento di beni e di
tecnologie, stanno facendo forti pressioni sul governo cubano, perché avanzi
nella ristrutturazione economica avviata in varie tappe a partire dagli anni
'90 con l'apertura al capitale straniero. Se non fosse così, non ci sarebbe
stato bisogno di tale netta dichiarazione, dal momento che ciò che si dichiara
rimanda implicitamente a quanto non detto.
Bruno RodrÍguez analizza nel dettaglio la portata delle
misure prese da Obama e la loro reale incidenza. Per esempio, la decisione di
autorizzare l'uso del dollaro nelle transazioni finanziare con Cuba è rimasto
un <<mero annuncio>>, giacché le banche cubane non possono ancora
oggi aprire conti negli Stati Uniti. Inoltre, egli osserva che l'apertura
decisa nel campo delle telecomunicazioni e l'appoggio finanziario dato al
settore non statale (il cosiddetto cuentapropismo), creato a Cuba
con una serie di misure volte ridimensionare l'intervento dello Stato
nell'economia, ha la sola finalità di favorire la creazione di un'opposizione
al governo cubano, - aggiungo - sulla quale far leva (come in Venezuela) per
sovvertire il sistema politico-sociale cubano (lo stesso Raúl nel suo discorso
indica questa possibilità). RodrÍguez aggiunge un'ulteriore elemento: non sarà
possibile l'esistenza di relazioni normali tra gli Stati Uniti e Cuba, fino a
che questi ultimi continueranno a occupare abusivamente il territorio cubano di
Guantánamo e a finanziare programmi televisivi e radiofonici, diffondendo
informazioni, il cui scopo è minare l'ordine costituzionale del paese
caraibico. Bisogna aggiungere che la visita di Obama a Cuba, svoltasi tra
sorrisi e gesti simpatici, è stata abilmente preparata in tutti i suoi
dettagli, i quali ci comunicano assai bene, anche se talvolta implicitamente,
la strategia adottata. Per esempio, vale la pena sottolineare – come fa Guerra
– il non aver chiesto perdono in nessuna occasione per la politica aggressiva e
ostile portata avanti dagli Stati Uniti contro Cuba (2), alcuni aspetti della
quale sono ben illustrati da un altro articolo del Granma (31
marzo 2016). In questo articolo si menzionano vari attentati e sabotaggi
organizzati dagli Stati Uniti nel marzo del 1961, ossia poco tempo prima della
tentata invasione con lo sbarco dei controrivoluzionari nella Playa Larga e
nella Playa Girón. È opportuno ricordare qualche episodio, che ci mostra come il
terrorismo non sia un'esclusiva modalità di azione del “pericolo islamico”,
come le numerose violazioni dello spazio aereo cubano effettuate da aeroplani
provenienti dalla base di Guantánamo, l'esplosione di bombe in varie zone
dell'Avana, l'uccisione di militanti e contadini da parte di
controrivoluzionari; questi ultimi operavano in maniera significativa
soprattutto nella regione montagnosa dell'Escambray e furono sconfitti proprio
nel marzo del 1961 (3).
Nella conferenza stampa di Obama e Raúl Castro, il tema
mistificante della violazione dei diritti umani a Cuba e della presenza di
prigionieri politici non è stato sollevato da Obama, ma dal giornalista della
CNN, di origini cubane, strettamente legato alla Casa Bianca, Jim Acosta, con
una mossa ovviamente organizzata. Raúl ha risposto irritato e sarebbe stato
opportuno ricordare che nelle carceri statunitensi (4), ormai gestite
privatamente, sono rinchiusi migliaia di latino e afroamericani, al cui
malessere sociale si dà solamente una risposta repressiva; inoltre, in quelle
stesse carceri sono stati rinchiusi centinaia di portoricani – uomini e donne –
che hanno lottato per l'indipendenza del loro paese e per la chiusura della
base statunitense di Vieques; tra questi ultimi non può esser dimenticato Oscar
López Rivera, il quale sarà liberato nel 2025 a 82 anni di età, dopo aver
passato in prigione ben 44 anni.
Concludo queste rapide osservazioni, richiamandomi al
contrasto in precedenza descritto e ponendomi un quesito formulato anche in una
delle trasmissioni tenute dal noto e stimato Walter Martínez (Dossier in
Telesur): saranno i dirigenti rivoluzionari in grado di far sì che l'effettiva
normalizzazione delle relazioni politiche, economiche, culturali avvenga
effettivamente su una piano di parità e nel rispetto, impedendo così che
l'ingresso del potente vicino nell'isola caraibica faccia sgretolare le
strutture portanti del socialismo cubano?
Note
Note
(1) Il ministro degli esteri del Venezuela, in risposta alla
decisione di Obama, ha dichiarato che il decreto esecutivo contro il Venezuela,
promulgato nel marzo 2015, costituisce una violazione dei principi della Carta
delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. Sulla stessa linea il
presidente del Nicaragua Daniel Ortega ha affermato che tale documento è una
dichiarazione di guerra, grave come il bloqueo contro Cuba (https://actualidad.rt.com/actualidad/201311-ortega-criticar-decreto-obama-venezuela).
(2) Facendoci dunque pensare che, differenza del papa, Obama
nemmeno si pente.
(3) Ricordo anche il bombardamento fatto il 15 aprile del
1961 da alcuni aerei americani con le insegne cubane di alcuni aeroporti
militari dell'isola.
(4) Non dimentichiamo ovviamente i prigionieri chiusi nella
base di Guantánamo.
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