A mio avviso, Rosa ha rappresentato, insuperata, l’unico
esempio di donna, rivoluzionaria a tempo pieno, che sia riuscita a praticare
concretamente la fusione tra la militanza attiva nei movimenti di lotta della
sua epoca - come agitatrice e dirigente - e l’impegno teorico. Un impegno speso
sul campo della polemica con alcuni tra i più famosi e prestigiosi
intellettuali del suo tempo, come Bernstein, Kautsky e lo stesso Lenin (oltre a
Trotsky con cui fu spesso d’accordo). Una produzione teorica finalizzata alla
denuncia di posizioni che ai suoi occhi rappresentavano concreti pericoli sulla
strada della rivoluzione socialista: contro il revisionismo di Bernstein (Riforma
sociale o rivoluzione?); contro la teoria leninista del partito (Problemi
di organizzazione della socialdemocrazia russa) e contro la concezione
burocratica del rapporto tra movimenti di massa, partito e sindacato (Sciopero
di massa, partito, sindacati); contro il nazionalsciovinismo di Kautsky e
della maggioranza del Spd (La crisi della socialdemocrazia); contro i
pericoli di degenerazione della Rivoluzione russa del ‘17 (La Rivoluzione
russa).
Da non trascurare sono anche i suoi testi di economia
politica come l’Introduzione all’economia politica e L’accumulazione
del capitale - in cui si misura direttamente con il Marx de Il
Capitale - elaborati nel periodo in cui insegnò alla scuola quadri del
Spd a partire dal 1907. Per non parlare poi della prodigiosa mole di articoli
pubblicati sugli organi di stampa dei partiti in cui militò e/o che contribuì a
fondare: Partito socialdemocratico tedesco (Spd), Partito socialdemocratico di
Polonia e Lituania (Sdkpil), Spartakusbund, Kpd.
Tutto ciò la pone, unica donna di tutta la storia del
movimento operaio internazionale dalla Prima alla Terza internazionale, sullo
stesso piano di personalità politico-rivoluzionarie a tutto tondo come Lenin e
Trotsky, che seppero unire la propria militanza attiva alla testa delle masse
nel pieno delle rivoluzioni sociali della loro epoca ad una produzione teorica
di alto livello, intimamente collegata alle tematiche che i compiti della
rivoluzione mondiale ponevano all’ordine del giorno.
Ma chi era questa donna che seppe conquistare un posto così
autorevole nella socialdemocrazia tedesca e nella Seconda internazionale?
Rosa la rivoluzionaria
Rosa Luxemburg nacque a Zamość nella Polonia
russa il 5 marzo 1871 - lo stesso anno della Comune di Parigi - ultima di
cinque figli di una famiglia ebrea non-osservante. Il padre era un commerciante
di legname e la famiglia godeva di una relativa agiatezza. Quando Rosa ebbe due
anni, la famiglia si trasferì a Varsavia e qui la bambina fu colpita da una
malattia all’anca che, mal diagnosticata e curata, la costrinse a lungo a letto
e la lasciò claudicante per tutta la vita. Forse anche dover fare i conti con
questa menomazione contribuì a rendere il suo carattere deciso e impavido. Sin
dall’adolescenza espresse una forte personalità, insofferente dell’autorità e
della disciplina, che la portò già nei primi anni del liceo a entrare in
contatto con l’appena ricostituito gruppo clandestino Proletariat e
ad aderirvi iniziando l’attività di agitazione tra gli studenti, tanto che nel
1889 fu costretta a espatriare in Svizzera perché stava per essere arrestata e
deportata in Siberia.
Appena diciottenne, dunque, si ritrova sola, in terra straniera.
Non si perde d’animo e si iscrive alla facoltà di Filosofia di Zurigo per poi
passare a quella di Diritto e Scienze politiche, dove si laureerà nel 1897, con
una tesi sullo sviluppo industriale della Polonia, preparata prevalentemente a
Parigi1. Entra subito in contatto con gli ambienti dei rifugiati
politici russi e polacchi e qui, tra la fine del 1890 e l’inizio del 1891,
conosce Leo Jogiches che sarà suo compagno di lotta e di vita.
Gli anni di Zurigo sono quelli della formazione teorica e
dell’impegno politico finalizzato soprattutto alla costruzione del Partito
socialdemocratico polacco, successivamente trasformatosi in Partito
socialdemocratico di Polonia e Lituania, che la vede tra i fondatori e
dirigenti insieme a Leo.
Nel 1898 Rosa - che si era già fatta conoscere a livello
internazionale ai due congressi di Zurigo (1894) e di Londra (1896), dove aveva
dato battaglia a nome del Sdkp contro il Pps (Partito socialista
polacco) di cui non condivideva le posizioni nazionaliste - decide di lasciare
la Svizzera per la Germania. La sua scelta di vita è ormai fatta. Rosa vuol
essere una rivoluzionaria a tempo pieno, votata alla causa del socialismo e si
rende conto che la Germania con il suo Partito socialdemocratico più grande e
autorevole dell’Internazionale, è l’ambiente più adatto ai suoi scopi.
Nei successivi vent’anni la sua attività politica sarà
legata alle sorti di questo Partito e di questo Paese. Ma non dimenticherà la
sua terra polacca e il Sdkpil e porterà sempre avanti la duplice milizia,
tanto che le vicende della sua vita saranno indissolubilmente legate a quelle
dei due partiti e dei due movimenti operai: tedesco e polacco.
Così si recherà a Varsavia nel 1905, all’epoca della prima
Rivoluzione russa, dove verrà arrestata per la sua attività rivoluzionaria
insieme a Jogiches, ma riuscirà a tornare in Germania, dove partecipa a tutti i
più importanti dibattiti nel Spd e nell’Internazionale. In particolare nella
battaglia contro il militarismo e il nazionalsciovinismo, che si affermeranno
definitivamente con la votazione al Parlamento dei crediti di guerra da parte
dei deputati del Spd. Da quel momento, con la fine di fatto della Seconda
internazionale e la trasformazione della natura della socialdemocrazia tedesca
in partito difensore degli interessi della borghesia nazionalistica e
guerrafondaia, Rosa si batterà per la ricostituzione di una forza marxista
rivoluzionaria che vedrà la luce con la fondazione dello Spartakusbund, di cui
Rosa stessa scriverà il programma, che poi si scioglierà nel Kpd, il Partito
comunista tedesco, fondato da Rosa, Leo Jogiches e Karl Liebknecht nel dicembre
del 1918, pochi giorni prima del loro assassinio.
Quando scoppia la Rivoluzione russa del ‘17, Rosa è
entusiasticamente al fianco dei bolscevichi, ma ciò non le impedirà di mettere
in guardia i compagni russi dai pericoli del partito unico, accentratore e
inibitore della democrazia soviettista. Critica anche lo scioglimento
dell’Assemblea costituente, la distribuzione delle terre ai contadini e la
firma del trattato di Brest-Litovsk. Lo fa nell’estate del 1918, dal carcere,
dove trascorrerà la maggior parte del periodo tra il 1915 e il 1918. Nel pieno
della Rivoluzione tedesca, verrà barbaramente assassinata a sangue freddo nel
gennaio del 1919 insieme a Karl Liebknecht (Leo Jogiches sarà assassinato nel
marzo successivo) dall’azione repressiva dei Freikorps del governo
socialdemocratico di Scheidemann ed Ebert.
Rosa aveva deciso molto precocemente di dedicare totalmente
la propria esistenza alla causa rivoluzionaria.
C’è una frase riportata da Lelio Basso nella sua prefazione
al volume che raccoglie le lettere a Leo2, scritta da Rosa a 17 anni
sul retro di una fotografia regalata a una compagna di scuola, che è molto
significativa per comprendere le motivazioni profonde di questa sua scelta.
Rosa scrive:
«Il mio ideale è il regime sociale in cui si potrebbe con
tranquilla coscienza amare tutti quanti. Tendendo a questo fine e in suo nome,
saprò forse un giorno anche odiare».
Questa giovane di 17 anni, che all’epoca militava già nel
gruppo Proletariat, aveva chiaro che per raggiungere quel suo
ideale avrebbe dovuto battersi strenuamente, utilizzando le armi della politica
rivoluzionaria. Intuiva che per poter praticare quell’amore verso gli altri cui
tendeva naturalmente il suo animo, avrebbe dovuto anche forzare la sua vera
indole, tendente al buono e all’amore, e usare tutte le sue capacità
intellettuali e umane per distruggere la società imperialistica che con il suo
barbaro sfruttamento impediva il dispiegarsi di tutte le migliori potenzialità
della specie umana.
Rosa la donna
Rosa dunque scelse la sua strada di rivoluzionaria perché
sapeva di non avere alternative e lo fece con rara coerenza. Non credo che
provasse un piacere particolare nella sua attività di agitatrice, giornalista e
teorica. Ciò che faceva lo intendeva come un dovere irrinunciabile verso se
stessa e il proprio ideale. Era indubbiamente ambiziosa, ma non amava il potere
per il potere. Le sue battaglie nel Spd e nell’Internazionale non erano
finalizzate alla carriera o a gratificare il suo ego: ella intendeva il
successo delle sue posizioni come un mezzo per diffondere le idee che riteneva
giuste e importanti per la causa rivoluzionaria. Voleva acquisire influenza,
non conquistare potere.
Ciò lo si evince dal suo rigore teorico, come dalla sua
correttezza politica, ma ancor più dalle lettere - in primo luogo a Leo - in
cui Rosa palesava i suoi veri stati d’animo. In molti passaggi si intuisce
quanto dovesse pesarle la sua attività. La politica era anche una realtà
intessuta di intrighi, invidie, carrierismo, tradimenti contro cui, - come
afferma Lelio Basso, «s’infrangeva l’idealismo militante» di Rosa3.
A proposito del suo idealismo, Rosa, nel 1899 così scrive a Leo:
«la suprema ratio alla quale sono arrivata
attraverso la mia esperienza rivoluzionaria polacco-tedesca è quella di essere
sempre se stessi, completamente, senza tener conto dell’ambiente e degli altri.
Ed io sono e voglio restare un’idealista»4.
Un aspetto importante del suo idealismo era costituito dalla
sua tendenza «all’esser buoni» più volte espressa nelle sue lettere e presente
sino alla fine della sua vita. Scrivendo ad Hans Diefenbach il 5 marzo del 1917
dal carcere, afferma:
«Del resto tutto sarebbe più facile da sopportare se non mi
dimenticassi la legge fondamentale che mi sono prefissa come regola di vita:
essere buoni, ecco l’essenziale. Essere buoni, molto
semplicemente. Ecco che comprende tutto e che vale di più di tutta la pretesa
di avere ragione»5.
Ma non doveva esser facile in politica seguire questo
ideale! E infatti, verso gli aspetti più deteriori della politica, Rosa non
esita a scrivere, ancora una volta a Leo, nel 1905:
«Ieri ero quasi decisa ad abbandonare “di colpo” tutta
questa “dannata politica”, o piuttosto questa parodia cruenta della vita
“politica” che conduciamo e mandare al diavolo tutto il mondo»6.
Rosa era un’ottima oratrice, una vera trascinatrice nei suoi
comizi, e anche negli interventi polemici all’interno del Spd e
dell’Internazionale traspare - dalle testimonianze e da ciò che lei stessa
racconta - la carica, l’incisività e la brillantezza del suo pensiero. Tuttavia
ciò non doveva essere indolore se spesso nelle lettere si lamenta della fatica
fisica e psicologica che accompagnava la sua attività di agitatrice e di
teorica.
Soffriva di frequenti e acute emicranie e di disturbi allo
stomaco. Con una moderna lettura psicosomatica, tali malesseri si potrebbero
intendere come una somatizzazione dovuta allo stress emotivo e psichico che
accompagnava il suo lavoro. Credo che, se avesse potuto, si sarebbe dedicata a
tutt’altra attività che non quella politica. In una lettera scritta dal carcere
a Sonia Liebknecht, moglie di Karl, nel maggio del ‘17, afferma:
«nel mio intimo mi sento molto più a casa mia in un pezzetto
di giardino come qui, oppure in un campo tra i calabroni e l’erba, che non... a
un congresso di partito...Nonostante tutto io spero di morire sulla breccia: in
una battaglia di strada o in carcere. Ma nella parte più intima appartengo più
alle cinciallegre che ai “compagni”»7.
Amava la matematica, la botanica, la zoologia, la
letteratura, l’arte; le piaceva disegnare e dipingere ed era anche dotata in
questo campo. Soprattutto nei suoi periodi di inattività forzata in carcere, si
dedicava - per quanto poteva - alla cura e allo studio delle piante,
coltivandole e riempiendo erbari. Amava gli animali e sua compagna prediletta
era la gatta Mimì di cui si preoccupava costantemente nei periodi di
carcerazione. In particolare nelle lettere scritte negli ultimi periodi della
sua vita trascorsi in prigione (1915-1918) a Luise Kautsky, Gertrud Zlottko
(sua governante), Sonia Liebknecht, Hans Diefenbach, si dilungava a parlare
degli uccelli, le api, le formiche, i fiori che vedeva intorno a sé e che
spesso accudiva. Così come si soffermava su letteratura, arte, ornitologia,
geologia8.
E tuttavia c’era un dovere imprescindibile che le imponeva
di mettere da parte la sua vera natura, per assolvere ai compiti rivoluzionari.
Era lo stesso codice etico che governava le sue relazioni
interpersonali. Rosa non si concedeva facilmente all’amicizia. Doveva essere
certa di poter riporre fiducia completa nelle persone cui apriva il suo animo.
Ne è un esempio il suo rapporto con Luise e Karl Kautsky. Con quest’ultimo non
ebbe mai un vero rapporto d’amicizia, piuttosto di collaborazione politica,
fino alla rottura; ma lo giudicava negativamente sul piano personale. Con Luise
per anni, più che di amicizia si trattò di rapporti di buon vicinato, piuttosto
formali. Talvolta Rosa sfuggiva gli inviti a casa Kautsky. Tutto ciò traspare
dai suoi giudizi espressi a più riprese sulla coppia, nelle sue lettere a Leo9.
Solo più tardi, in particolare dopo la rottura politica con
Karl, il suo rapporto con Luise si trasformò in una vera amicizia e le sue
lettere diventarono più intime.
Ma nel complesso era una donna riservata, gelosa della
propria autonomia e libertà. Aveva bisogno di momenti di silenzio e solitudine,
di uno spazio privato in cui poter vivere con se stessa o, al massimo, con Leo.
Rosa concepiva l’amicizia come qualcosa di assoluto, come
del resto l’amore. Quando si apriva, lo faceva in modo totale - come sanno
farlo spesso le donne - con una sincerità e una franchezza disarmanti e a tutto
tondo, senza incertezze. Ma pretendeva la stessa bruciante sincerità dagli
altri: perché il suo rigore etico le rendeva insopportabili ambiguità e
ipocrisie.
In una lettera a Hans Diefenbach scritta il 7 gennaio del
1917 - a proposito della fine del matrimonio di Clara Zetkin con il secondo
marito Friedrich Zundel, al quale la sua amica rifiuta il divorzio sin dopo la
guerra - Rosa, molto duramente, afferma:
«Il dramma di Sillenb10 è stato per me un
colpo più duro di quello che potete immaginare. Un colpo portato alla mia pace
interiore e alla mia amicizia. Mi esorterete alla compassione. Sapete che sento
e soffro per ogni creatura [...] Ma, ditemi, perché non dovrei qui provare
pietà per l’altra parte, bruciata viva e, in ogni giorno concesso
da Dio, obbligata a passare per i sette gironi dell’inferno dantesco? Ma di
più, la mia pietà come la mia amicizia hanno dei confini molto netti: finiscono
inesorabilmente laddove comincia la meschinità. In effetti i miei amici devono
sottomettere alle esigenze più rigorose non soltanto la loro vita ufficiale, ma
anche la loro vita privata. Ora enunciare grandi frasi sulla “libertà
individuale” e nella vita privata asservire un’anima umana con una passione
insensata, questo non lo capisco e non lo perdono. Constato in questo l’assenza
di due elementi fondamentali della natura femminile: la bontà e la dignità».
Identico rigore nel comportamento, Rosa pretendeva nel campo
dell’amore. In un certo senso, credo che in lei - insieme all’amore per l’uomo
amato - fosse contemporaneamente presente anche «l’innamoramento per l’amore in
sé»: Rosa, in sostanza era «innamorata dell’amore». In una lettera a Sonia
Liebknecht del 24 novembre 1917, in proposito scrive:
«E come capisco che siate innamorata “dell’amore”! Per me,
l’amore è stato (o è?...) sempre più importante, più sacro dell’oggetto che lo
suscita. Perché permette di vedere il mondo come una fiaba splendida, perché fa
emergere dall’essere umano cio che vi è di più nobile e di più bello, perché
eleva ciò che vi è di più comune e umile e lo adorna di brillanti e perché
permette di vivere nell’ebbrezza, nell’estasi...»11.
Rosa, dunque, non era solo rigorosa, ma anche appassionata
ed esigeva nell’altro altrettanta passione. Ciò è evidente soprattutto nel suo
rapporto con Leo Jogiches, che fu l’amore della sua vita, il rapporto affettivo
più importante.
Si erano conosciuti a Zurigo, nel 1890-91, entrambi
rifugiati politici, e il loro amore durò circa 15 anni, fino al 1906, al
momento del loro arresto a Varsavia. Erano due personalità profondamente
diverse e il loro rapporto fu tanto profondo quanto controverso. Lo possiamo
ricostruire solo attraverso le moltissime lettere che ci rimangono di Rosa a Leo
(circa 900), perché quelle di Leo sono andate perdute. Indubbiamente queste
lettere rappresentano lo strumento migliore per capire la complessità della
personalità di Rosa, perché in esse si mescolano i due elementi determinanti
del suo rapporto con Leo: l’attività politica rivoluzionaria e l’amore.
Nel suo bisogno costante di assoluto, Rosa desiderava
costruire una relazione che fosse espressione di una fusione totale con
l’amato; una fusione in cui passione rivoluzionaria e passione amorosa si
compenetrassero inestricabilmente. Dalle sue lettere si palesa evidente questo
bisogno totalizzante, i suoi tentativi di realizzarlo e, infine, la sua
sconfitta. Perché questa tensione binaria si scontra inesorabilmente, e sin
dall’inizio, con la personalità di Leo: un uomo introverso, profondamente
chiuso e bloccato sul piano emozionale, con una struttura caratteriale
difensiva molto compatta, così come ce lo descrive Rosa attraverso i rimproveri
e le pressanti richieste che gli rivolge.
Leo era nato nel 1967 a Vilna e sin da giovanissimo si era
politicizzato venendo in contatto con l’organizzazione populista e terroristica Narodnaja
Volja, poi abbandonata per aderire al marxismo. Da questa primitiva
esperienza aveva mediato il metodo cospirativo e clandestino di intendere
l’impegno politico, che manterrà come elemento caratteristico di tutta la
sua militanza rivoluzionaria. Dotato di ottime qualità organizzative
fu - insieme a Rosa che ne era l’ispiratrice teorica - uno dei fondatori del
Partito socialdemocratico polacco e poi dello Spartakusbund e del Partito
comunista tedesco. Senza il suo inesauribile e capillare lavoro organizzativo
nessuno dei partiti summenzionati avrebbe probabilmente visto la luce e potuto
operare.
Anche Leo amava Rosa e l’amò per tutta la vita. Ma la sua
struttura caratteriale molto introversa e la sua personalità autoritaria e
spesso arrogante gli impedivano di esprimere apertamente le proprie emozioni,
l’amore, la tenerezza, l’abbandono, come Rosa avrebbe voluto e come lei faceva
costantemente nelle sue lettere, rischiando i rimbrotti di lui. In una lettera
bellissima e straziante, scritta nella notte del 16 luglio 1897, Rosa mette
ancora una volta a nudo il suo animo, rivelando a Leo tutta la sua disperazione
per la freddezza di lui e tutto il suo disperato bisogno d’amore. La scrive a
un uomo che vive in un’altra casa a poche decine di metri dalla sua, un uomo
che l’ha appena lasciata senza capire e accogliere il desiderio di Rosa di un
rapporto fisico d’amore con lui. Non ci sono rimproveri e recriminazioni nelle
parole che Rosa rivolge a Leo, ma vi è espressa la lucida e straziante
consapevolezza di non poter penetrare nell’animo dell’uomo amato e soprattutto
di non poter essere accolta nel suo stesso desiderio di amare. Come
se la freddezza di Leo rendesse vano l’amore di Rosa. Passeranno gli anni, la
loro unione continuerà. Ma non muterà la qualità del loro amore reciproco12.
Nella primavera del 1907 fu Rosa a rompere la loro unione.
Le motivazioni vere della loro rottura non sono state chiarite. Il principale
biografo di Rosa, P. Nettl, afferma in proposito:
«Il suo amore per Jogiches si concluse bruscamente... quando
apprese che alcune porte chiuse per lei erano state aperte a un’altra persona»13.
Ammesso che Leo abbia frequentato brevemente un’altra donna
subito dopo la sua fuga dal carcere (febbraio 1907), l’impressione che se ne
trae è che il loro rapporto fosse arrivato ad un bivio perché Rosa non
sopportava più i silenzi e la freddezza di Leo, le chiusure riguardanti i più
intimi sentimenti e le parti più nascoste della sua personalità. Evidentemente
il bisogno incessante di sincerità e di fusione totale era divenuto
insostenibile o non oltre procrastinabile, a fronte della chiusura di quell’uomo
tanto amato e così poco disponibile e denudare il proprio intimo come faceva
lei.
Ancora una volta, il rigore etico di Rosa fece diventare la
rottura affettiva definitiva. In proposito, credo sia rivelatrice una frase che
scrisse a Matilde Jacob in una lettera del 9 aprile 1915, quindi molti anni
dopo la rottura:
«Rimango dell’idea che il carattere di una donna si misura
non quando un amore comincia, ma quando finisce»14.
Leo non accettò mai la fine del loro rapporto e a più
riprese cercò di farle cambiare idea, anche con comportamenti aggressivi e
minacce, secondo quanto affermato da P. Nettl15.
Mantenne le chiavi della loro casa comune a Berlino e vi
faceva frequenti improvvise incursioni, tanto che alla fine Rosa, nonostante
fosse molto affezionata a quella casa, cambiò appartamento.
Tuttavia l’intrasigenza di Rosa si fermò di fronte al loro
rapporto politico che continuò inalterato. Ma l’intimità e la complicità erano
finite e le lettere che lei scrisse a Leo a partire dal 1907 presentano uno
stile assolutamente formale e impersonale, come se si rivolgesse a una persona
distante mille anni luce. Solo Rosa conobbe lo strazio e il dolore che dovette
costarle il fatto di continuare la propria militanza a fianco di quest’uomo
tanto amato un tempo, come se nulla fosse cambiato.
Successivamente ebbe altri rapporti affettivi: con due uomni
più giovani e dalla personalità meno forte della sua - Konstantin Zetkin,
figlio di Clara, e Hans Diefenbach. Ma l’intensità di queste relazioni non
raggiunse mai i livelli della passione assoluta espressa per Leo. Come se Rosa,
dopo quest’esperienza, avesse intuito che il proprio desiderio di una fusione
esistenziale totale con l’essere amato fosse irrealizzabile.
Nell’ultimo tragico periodo della loro esistenza, questi due
esseri tanto dissimili nel carattere quanto identici nella dedizione ai loro
ideali, si riavvicinarono. Nella Berlino rivoluzionaria del 1918 Leo accudì e
protesse Rosa dentro e fuori dal carcere per quanto poté. Dopo la morte di lei,
i suoi ultimi due mesi di vita furono spesi nella ricerca e denuncia degli
autori dell’assassinio della sua antica compagna.
Rosa la femminista
Quando Rosa giunse a Berlino nel 1898 e iniziò la sua
attività nel Spd, i dirigenti del partito cercarono di indirizzare le sue inesauribili
energie e l’ardore rivoluzionario verso il rassicurante e decentrato lavoro fra
le donne. Era questo il «destino naturale» delle militanti, non solo nella
socialdemocrazia tedesca, ma in tutta l’Internazionale. All’epoca, anche tra i
marxisti, ciò che prevaleva nella pratica era un atteggiamento maschilista e
paternalistico nei confronti delle donne (difetto, questo, lungi dall’essere
scomparso ancor oggi), al di là e nonostante le posizioni teoriche
astrattamente a favore dell’emancipazione femminile. Così, la questione
femminile era problematica di secondaria importanza, relegata all’attenzione
esclusiva delle militanti donne, che difficilmente frequentavano da
protagoniste la ribalta politica più generale.
Del resto, si riteneva - con una ottimistica visione
ingenuamente evoluzionistica - che, con la sconfitta del capitalismo, il
problema della discriminazione e subordinazione femminile sarebbe stato
automaticamente risolto dall’attuazione concreta, sul piano del diritto della
parità tra i sessi, nell’ottica di costruzione di una società socialista. Il
movimento rivoluzionario della Prima e Seconda internazionale non si pose mai
concretamente il problema derivante dal fatto che la discriminazione verso le
donne affonda le sue radici nei tempi antichissimi della preistoria umana e che
il potere dell’uomo sulla donna si è espresso nella strutturazione di una
società in primo luogo patriarcale (e solo successivamente di classe)
trasmessasi trasversalmente attraverso i vari tipi di sistemi
economico-politico-sociali conosciuti dall’umanità, fino ad approdare -
pressoché inalterata - nelle ampie braccia del capitalismo.
La conseguente necessità di una lotta implacabile contro il
patriarcato avrebbe forse potuta esser fatta propria dalla Terza
internazionale, ma la controrivoluzione burocratica staliniana stroncò -
insieme a tante altre cose - anche il possibile affermarsi di un femminismo
rivoluzionario in grado di portare, all’interno dell’esperienza rivoluzionaria
successiva all’Ottobre russo, i contenuti di una lotta libertaria contro la
discriminazione tra i sessi e l’oppressione femminile, per un’effettiva
liberazione di tutti, donne e uomini.
Tornando alla socialdemocrazia tedesca, a cavallo tra Otto e
Novecento, la politica «vera», quella che si misurava con le problematiche al
centro del dibattito della Seconda internazionale - la questione nazionale, il
revisionismo, il nazionalsciovinismo, la concezione del partito, la democrazia
diretta ecc. - era inesorabilmente dominata dagli uomini e le donne erano
perlopiù spettatrici, o al limite comparse che si limitavano a votare le
risoluzioni presentate dai compagni maschi (con l’unica altra
eccezione di Clara Zetkin).
Al contrario, Rosa irrompe sulla scena e lo fa da
protagonista. Rifiuta quindi sdegnosamente il tentativo maschile di relegarla
nel «ghetto» delle donne. Di questione femminile non si occuperà mai in prima
persona, anche se indubbiamente seguirà le iniziative condotte
dall’organizzazione femminile del Spd, alla cui direzione era la sua amica e
compagna Clara Zetkin, unica donna ad aver partecipato attivamente, al fianco
di Rosa, alla battaglia politica contro la degenerazione sciovinista della
socialdemocrazia.
Eppure ritengo che Rosa possa essere considerata a pieno
titolo un’autentica femminista rivoluzionaria, al pari di Clara Zetkin e di
Alessandra Kollontaj.
Cercherò di motivare qui di seguito tale affermazione.
1. In primo luogo, le scelte della sua esistenza.
Ancora adolescente, prende coscienza della barbarie del sistema capitalistico
dominante e decide di dedicare la sua esistenza a sovvertirlo. A 18 anni è
costretta per motivi politici a fuggire clandestinamente dalla Polonia per
rifugiarsi in Svizzera, abbandonando famiglia, affetti, sicurezze. In Svizzera
studia e si laurea, cercando di mantenersi economicamente autonoma,
contribuisce a fondare il Partito socialdemocratico polacco, si forma come
marxista. Nel 1898 decide di trasferirsi in Germania e di svolgere la sua
attività rivoluzionaria nell’epicentro della Seconda Internazionale, il Spd, il
partito più autorevole e con il maggior seguito di massa. Non esita a lanciarsi
nelle polemiche più accese contro i grandi teorici del marxismo (tutti maschi),
così come non esiterà a partecipare in prima persona ai movimenti rivoluzionari
della sua epoca. Andrà a Varsavia nel dicembre 1905 durante la prima
Rivoluzione russa esplosa l’anno precedente; sarà protagonista della
Rivoluzione tedesca del 1918 fino a pagare con la vita il suo impegno.
Tutta la sua attività politica fu all’insegna del rigore e
della chiarezza teorica e comportamentale. Si tenne lontana dalle meschinerie e
dalle grettezze dell’ambiente politico, rifiutando gli aspetti più deteriori del
modo di fare politica «maschile», fatto di inganni, tradimenti, voltafaccia,
attacchi personali, invidie. Ad essi cercherà di contrapporre uno stile di
polemica e di scontro, per quanto duro, corretto sul piano personale e rigoroso
su quello teorico. Si misurò da pari a pari con figure considerate le massime
personalità del movimento operaio della sua epoca, come Bebel, Bernstein,
Kautsky, Bauer, Bucharin, Lenin, Trotsky, Parvus, Radek: ancora e sempre tutte
personalità maschili, come si vede.
Si mostrò sicura e decisa nel difendere le proprie
posizioni, nella tranquilla consapevolezza del proprio valore, senza arretrare
di fronte a un mondo politico prevalentemente maschile che le contrappose il
proprio atteggiamento patriarcale e maschilista, arrivando a considerarla
spesso come una rompiscatole isterica.
2. Nelle sue relazioni interpersonali - e in
primo luogo col compagno della sua vita, Leo Jogiches - tese a costruire
rapporti basati sulla reciproca parità e autonomia.
Per quanto riguarda la sua relazione con Leo, soprattutto
nei primi anni della loro unione e fino al trasferimento in Germania, Rosa subì
indubbiamente l’influenza della personalità di Leo, più vecchio non solo per
età ma anche per esperienza rivoluzionaria. Nelle lettere Rosa gli chiede
spesso consigli e pareri sulle posizioni assunte e sui contenuti dei suoi
articoli e saggi, ma non ne fu mai succube. Fece suoi consigli e opinioni solo
se la trovavano d’accordo e non esitò a rifiutarli quando li ritenne sbagliati.
Leo era contrario al suo trasferimento in Germania,
probabilmente perché era geloso e temeva di perdere influenza su di lei - in
questo dimostrando di essere suddito del proprio maschilismo che tendeva a
considerare Rosa una sua proprietà. Lei non lo assecondò, pur manifestandogli
costantemente il suo amore e la sua stima. Ma si rifiutò di sottostare ai suoi
ricatti affettivi e fece le sue scelte politiche e di vita in autonomia, pur
esprimendogli il proprio desiderio di vivergli accanto. Non fece neppure
l’errore di riversare gli eventuali dissensi politici sui loro rapporti
personali e viceversa. Tanto è vero che al momento della rottura affettiva
continuò a collaborare strettamente con lui sul piano politico, come dimostra
la sua corrispondenza successiva al 1906.
3. Rosa non rinunciò mai al suo esser donna, al
suo carattere impetuoso e appassionato, che sapeva emozionarsi di fronte a un
volo d’uccelli o a un acquerello di Turner. Nei suoi rapporti di amicizia e di
amore, non si vergognava delle proprie emozioni e le palesava con semplicità e
trasparenza superando il naturale ritegno della sua indole riservata. Anche in
questo, è testimonianza fedele il carteggio indirizzato alle sue amiche e agli
uomini che ha amato. Il fatto di essere diventata ciò che oggi potremmo definire
una «donna in carriera» in un mondo prevalentemente maschile, non la indusse ad
assumere le modalità di comportamento e di relazione tipiche di tale ambiente -
come abbiamo già sottolineato e come purtroppo fa la pressoché totale
maggioranza delle odierne donne in carriera (anche politiche), pur volendo
apparire nonostante tutto come donne libere.
Non rinunciò alla propria umanità, alla capacità di gioire o
di essere disperata, ma anche di continuare ad amare la vita in tutte le sue
molteplici manifestazioni, e con essa l’intera specie umana, al riscatto della
quale dedicò la sua stessa esistenza.
In definitiva, credo che il femminismo sia pure
inconsapevole di Rosa, ma da lei concretamente praticato, si possa ritrovare in
questa sua capacità di vivere in piena libertà interiore, facendo di questa sua
libertà - sul piano pratico e teorico - lo strumento determinante della sua
lotta in favore della più generale liberazione umana dall’oppressione e lo
sfruttamento.
Per concludere
Sull’orlo del baratro della distruzione del pianeta verso
cui ci spinge a grandi passi la barbarie di questo attuale capitalismo rapace e
sfruttatore, ai miei occhi non vi è dubbio che soprattutto alle donne - e alla
loro intatta capacità potenziale di ricostruire laddove si distrugge, di
accudire e lenire laddove si mortificano e si negano l’umanità e la dignità
della specie - siano affidate le speranze di rivolta e di rinascita per
l’intera popolazione umana. Come e quando, non so. Ma non vi è più molto tempo.
Nel tentativo di ricostruire un potenziale sovversivo in
grado di risollevare le sorti della nostra specie, la prassi e il pensiero
rivoluzionario di Rosa, uniti alla sua straordinaria esperienza esistenziale,
possono costituire un luminoso punto di riferimento.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
(in italiano)
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Luxemburg, a cura di E. Ragionieri, Ed. Riuniti, Roma 1967
Lettere ai Kautsky, a cura di L. Basso, Ed.
Riuniti, Roma 1971
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1971 (1975)
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Volpi, Bertani, Verona 1976
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a cura di R. Massari, Massari ed., Bolsena 2004
Opere su Rosa Luxemburg
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russa (e «La tragedia russa»), Massari ed., Bolsena 2004
D. Renzi - A. Bisceglie, Rosa Luxemburg. Gli
irrisolvibili del socialismo scientifico, Prospettiva ed., Roma 2006
NOTE
1 Per la parte biografica, si veda P. Nettl, Rosa
Luxemburg, 2 voll., Milano 1970.
2 Si veda R. Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches,
Milano 1978, p. 10.
3 Ibidem, p. 11.
4 Ibidem, p. 161.
5 R. Luxemburg, Lettere d’amore e d’amicizia
(1891-1918), Roma 2003, p. 82.
6 R. Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches, cit.,
p. 246.
7 Ibidem, p. 11
8 R. Luxemburg, Lettere d’amore e d’amicizia, cit.
9 Si veda R. Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches, cit.,
pp. 176, 211.
10 Sillenbuch, località in cui viveva Clara Zetkin. In
R. Luxemburg, Lettere d’amore e d’amicizia, cit., pp. 79-80.
Si veda anche G. Badia, Zetkin, femminista senza
frontiere, Roma 1994, p. 155.
11 Ibidem, pp. 107-8.
12 R. Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches, cit.,
pp. 68-70.
13 P. Nettl, op. cit., vol. I, p. 42. Sui
motivi della rottura, si vedano anche, nel vol. II, le pp. 417-8.
14 R. Luxemburg, Lettere d’amore e
d’amicizia, cit., p. 67.
15 P.
Nettl, op. cit., vol. I, p. 418.
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