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mercoledì 19 aprile 2023

Alessandro Mazzone, Per una teoria del conflitto - Roberto Fineschi, Tommaso Redolfi Riva e Salvatore Tinè

Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels. - 
Tommaso Redolfi Riva ha studiato filosofia e storia del pensiero economico presso le università di Pisa e Firenze. Attualmente impegnato in una ricerca su marxismo ed economia politica in Italia negli anni Settanta, si occupa di temi afferenti al pensiero marxiano e alla teoria critica. Ha pubblicato saggi e articoli su riviste italiane e straniere. - 

                                                                           

domenica 11 novembre 2018

Uccellacci e uccellini (1966) - Pier Paolo Pasolini

Da: Film d'essay 97 - http://musicasognata.blogspot.com/



Il film completo: https://www.youtube.com/watch?v=9fDtjZnc3gc



Una presentazione di Salvatore Tinè

Al cinema Iris di Messina, nel quadro di una splendida “Settimana Pasoliniana” presento “Uccellacci e uccellini”. La prima didascalia del film che leggiamo sulla sua prima inquadratura riassume uno dei suoi temi: è una sintesi ironica di una celebre intervista a Mao, ovvero a una delle icone  e a uno dei principali riferimenti ideologici di quel ’68 che esploderà appena due anni dopo Uccellacci e uccellini. Un’intervista riassunta in questi termini: “dove va l’umanità? Boh!”.

Il film ci indica quindi sin dal suo inizio il tema del futuro, ovvero del senso del cammino o della storia dell’umanità. Non a caso la didascalia è sovrapposta all’immagine in campo lungo di una strada sul cui orizzonte scorgiamo appena, piccolissimi, i due protagonisti del film che conosceremo qualche attimo dopo. La strada è appunto la metafora visiva, chapliniana della storia come cammino dell’umanità. Subito dopo conosciamo i due personaggi del film, finalmente inquadrati da vicino: un padre e un figlio, interpretati da Totò e Ninetto Davoli, in realtà interpreti di se stessi, i quali percorrono quella strada di periferia, apparentemente senza un motivo o una precisa direzione: di nuovo un tema che precorre il ’68, quello del conflitto tra le generazioni, tra la vecchia Italia cattolica e contadina, quella appunto dei padri, e la nuova Italia dei giovani, uscita profondamente trasformata dal boom economico e dai radicali processi di modernizzazione che lo hanno accompagnato.

sabato 16 marzo 2019

Comunisti, fascisti e questione nazionale

Da: ThePetitePlaisance - https://materialismostorico.blogspot.com - 
Relatori: Stefano Azzarà (Università di Urbino), Alessandro Monchietto (ANPPIA), Bruno Segre (presidente ANPPIA) 
                          
       
                                                                            
                            Il revisionismo storico*- Luciano Canfora
                                       Internazionalismo e questione nazionale nel pensiero di Gramsci - Salvatore Tinè


Dopo decenni di entusiasmo per la globalizzazione e l’unificazione europea, l’emergere dei movimenti sovranisti e populisti sembra rendere di nuovo attuale la questione nazionale ed evoca la suggestione di un blocco trasversale di contestazione del capitalismo neoliberale che unisca tutti i “ribelli”, lasciandosi alle spalle l’alternativa tra destra e sinistra.

Anche nella Germania degli anni Venti, ai tempi delle riparazioni di guerra e dell’occupazione della Ruhr, questi temi erano all’ordine del giorno.
                                                                         
Il libro di Stefano G. Azzarà Comunisti, fascisti e questione nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra d’ egemonia? affronta il problema da un punto di vista storico, confrontandosi con una situazione che presenta forti parallelismi con l’attualità e che, più di altre, può dunque fornire chiavi di lettura per un’analisi consapevole della fase storica presente.
                           I Parte: 

                             II Parte: https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=TuRKJagR-l8

                               III Parte: https://www.youtube.com/watch?v=wmOs09peTfw

domenica 25 settembre 2022

Porcile - Pier Paolo Pasolini (1969)

Da: Gregorio: cabaret dell'800 - Pier Paolo Pasolini è stato un poeta, sceneggiatore, attore, regista, scrittore e drammaturgo italiano.

Vedi anche: Accattone - Pier Paolo Pasolini
Uccellacci e uccellini (1966) - Pier Paolo Pasolini 

Colpisce vedere oggi “Porcile” di Pasolini. Il film è una critica tanto estrema e feroce quanto poeticamente disperata al sistema capitalistico contemporaneo, rappresentato non come una formazione sociale storicamente determinata con i suoi conflitti e le sue contraddizioni ma come una società totalmente dominata dalla logica economica disumana e disumanizzante del mercato e della grande industria monopolistica. 

Perciò attraverso la storia di un conflitto tra padre e figlio, ambientata in una famiglia della grande borghesia industriale tedesca nella Germania occidentale già segnata dai moti giovanili “anti-sistema” del ’68, Pasolini ci suggerisce che il nazismo ha rappresentato in quel paese e quindi nella civiltà europea una forma storicamente determinata ma anche particolarmente tipica ed esemplare della logica del dominio capitalistico in quanto tale: la metafora terribile e violentemente sarcastica del “porcile” allude sia alla disumanità degli esponenti di questo dominio, i grandi capitalisti monopolisti, “maiali” sempre affamati di profitto sia ai processi di “de-umanizzazione” cui sono di fatto sottoposti le loro vittime, sia come produttori che come consumatori dell’industria di massa capitalistica. I “maiali” sono quindi i capitalisti ma anche gli ebrei trattati come tali dalla borghesia tedesca nazista, dal suo sistema sfruttati e insieme cannibalizzati. 

La continuità del nazismo, ben oltre la sua fine storica, sta per Pasolini dentro la logica totalitaria dell’universo capitalistico, in grado perciò di rendere vana ed ineffettuale e disperata qualunque ribellione ad essa che non sia quella irrazionale della disperazione poetica e della pura testimonianza. 

La ribellione dell’intellettuale borghese figlio del grande industriale tedesco si consuma nella pura distruzione di sé in una forma necessariamente infima ed immonda, dandosi in pasto ai maiali di un allevamento. Ma proprio a questo esito tanto estremo quanto, nell’ottica di Pasolini, coerente e lineare della civiltà borghese europea, alla sua precipitazione storica in una nuova “barbarie” segnata dalla de-umanizzazione e animalizzazione dell’umano, Pasolini  accosta e insieme contrappone nell’altra storia raccontata nel film, forse ambientata nel ‘500, su un territorio vulcanico, totalmente arido e desolato, una barbarie ancora al di qua della storia, o appena al suo inizio. La ribellione di un giovane parricida che un po’ come Adamo vaga solitario per le falde dell’Etna, diventato cannibale dopo aver mangiato un serpente potrà culminare con la sua sua condanna a morte nella forma barbara e sacrale di un libero “sacrificio”, prima di essere anche lui divorato dai cani. Di qua o oltre la civiltà e la storia, la natura come ha saputo grandiosamente dirci Leopardi sulle falde del Vesuvio, è pur sempre creazione e distruzione, cambiamento che si curva sempre eternamente in circolo, ripetizione ciclica di se e della sua immane potenza. Ma qui Pasolini allude ad un altro circolo, quello tra mito e storia, tra barbarie e civiltà, tra natura e seconda natura. L’inizio della civiltà moderna, evocato dall’uso delle armi da fuoco da parte del giovane ribelle, e suo culmine e fine nella barbarie del nazismo come sua verità permanente si richiamano a vicenda e insieme si contrappongono. Ma ciò non toglie che Il sacrificio vero del giovane cannibale sia solo il riflesso apparente, il sogno mitico e disperato di quello solo apparente dell’intellettuale borghese. 


                                                                              

mercoledì 22 marzo 2017

Internazionalismo e questione nazionale nel pensiero di Gramsci*- Salvatore Tinè


Quello del rapporto tra internazionalismo e questione nazionale è uno dei temi fondamentali del pensiero gramsciano in tutto l’arco della sua evoluzione. Già in alcuni articoli del 1918, il giovane Gramsci sottolineava la permanente vocazione cosmopolitica del sistema di produzione capitalistica. Una vocazione  che gli appariva particolarmente evidente nei settori più avanzati del capitalismo mondiale, ovvero nei grandi gruppi industriali e finanziari inglesi e americani. Sono questi gruppi infatti a sostenere, secondo Gramsci, il disegno wilsoniano di un nuovo ordine mondiale fondato insieme sul principio della libertà e dell’indipendenza dei popoli  e delle nazioni e su quello della libertà degli scambi internazionali. Libero da ogni residuo di particolarismo feudale così come dalle varie forme di statalismo e di protezionismo burocratico e corporativo, caratteristiche dei grandi paesi dell’Europa continentale, il modello capitalistico anglosassone si presenta come l’espressione più matura della logica internazionalistica e liberoscambista propria della moderna economia borghese. Scrive Gramsci in un articolo intitolato La Lega della Nazioni, pubblicato su Il Grido del popolo, il 19 gennaio 1918.

L’economia borghese ha così suscitato le grandi nazioni moderne. Nei paesi anglosassoni è andata oltre: all’interno la pratica liberale ha creato meravigliose individualità, energie sicure, agguerrite alla lotta e alla concorrenza, ha discentrati gli Stati, li ha sburocratizzati: la produzione, non insidiata continuamente da forze non economiche, si è sviluppata con un respiro d’ampiezza mondiale, ha rovesciato sui mercati mondiali cumuli di merce e di ricchezza. Continua ad operare; si sente soffocata dalla sopravvivenza del protezionismo in molti dei mercati europei e del mondo.[1] 

venerdì 15 marzo 2019

- Internazionalismo e questione nazionale nel pensiero di Gramsci - Salvatore Tinè

Da: http://www.marx21.it - http://www.marxismo-oggi.it/ -
salvatoregiuseppe.tine, Università di Catania - http://musicasognata.blogspot.com/

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Quello del rapporto tra internazionalismo e questione nazionale è uno dei temi fondamentali del pensiero gramsciano in tutto l’arco della sua evoluzione. Già in alcuni articoli del 1918, il giovane Gramsci sottolineava la permanente vocazione cosmopolitica del sistema di produzione capitalistico. Una vocazione che gli appariva particolarmente evidente nei settori più avanzati del capitalismo mondiale, ovvero nei grandi gruppi industriali e finanziari inglesi e americani. Sono questi gruppi infatti a sostenere, secondo Gramsci, il disegno wilsoniano di un nuovo ordine mondiale fondato insieme sul principio della libertà e dell’indipendenza dei popoli e delle nazioni e su quello della libertà degli scambi internazionali. Libero da ogni residuo di particolarismo feudale così come dalle varie forme di statalismo e di protezionismo burocratico e corporativo, caratteristiche dei grandi paesi dell’Europa continentale, il modello capitalistico anglosassone si presenta come l’espressione più matura della logica internazionalistica e liberoscambista propria della moderna economia borghese. Scrive Gramsci in un articolo intitolato La Lega della Nazioni, pubblicato su Il Grido del popolo, il 19 gennaio 1918

L’economia borghese ha così suscitato le grandi nazioni moderne. Nei paesi anglosassoni è andata oltre: all’interno la pratica liberale ha creato meravigliose individualità, energie sicure, agguerrite alla lotta e alla concorrenza, ha discentrati gli Stati, li ha sburocratizzati: la produzione, non insidiata continuamente da forze non economiche, si è sviluppata con un respiro d’ampiezza mondiale, ha rovesciato sui mercati mondiali cumuli di merce e di ricchezza. Continua ad operare; si sente soffocata dalla sopravvivenza del protezionismo in molti dei mercati europei e del mondo.1

Di qui l’interesse della “borghesia liberista anglosassone” al superamento delle divisioni nazionali e dei contrasti politici e militari tra i vari stati in cui pure continuava ad articolarsi la struttura della politica e dell’economia mondiali.

Rappresenta, la Lega delle Nazioni, un superamento del periodo storico delle alleanze e degli accordi militari: rappresenta un conguagliamento della politica con l’economia, una saldatura delle classi borghesi nazionali in ciò che le affratella al di sopra delle differenziazioni politiche: l’interesse economico. Ecco perché l’ideologia si è affermata vittoriosamente nei due grandi Stati anglosassoni, liberisti e liberali.2

Si comprende allora la dura polemica del giovane Gramsci contro il “nazionalismo”: quest’ultimo rappresenta infatti per il pensatore sardo un fenomeno ideologico e politico caratteristico di borghesie deboli e arretrate ovvero di piccole borghesie retrive e reazionarie. 

La classe borghese, sul piano economico, è internazionale; deve, necessariamente, saldarsi, attraverso le differenziazioni nazionali; la sua dottrina di classe è il liberalismo in politica e il liberismo in economia. [...] Il nazionalismo, come dottrina politica e come dottrina economica, si restringe necessariamente agli interessi di categorie singole di produttori, sceglie, nella classe, i nuclei già formati e consolidati, e tenta perpetuarne il dominio e il privilegio.