Da: Gregorio:
cabaret dell'800 - Pier Paolo Pasolini è stato un poeta, sceneggiatore, attore, regista, scrittore e drammaturgo italiano.
Uccellacci e uccellini (1966) - Pier Paolo Pasolini
Colpisce vedere oggi “Porcile” di Pasolini. Il film è una critica tanto estrema e feroce quanto poeticamente disperata al sistema capitalistico contemporaneo, rappresentato non come una formazione sociale storicamente determinata con i suoi conflitti e le sue contraddizioni ma come una società totalmente dominata dalla logica economica disumana e disumanizzante del mercato e della grande industria monopolistica.
Perciò attraverso la storia di un conflitto tra padre e figlio, ambientata in una famiglia della grande borghesia industriale tedesca nella Germania occidentale già segnata dai moti giovanili “anti-sistema” del ’68, Pasolini ci suggerisce che il nazismo ha rappresentato in quel paese e quindi nella civiltà europea una forma storicamente determinata ma anche particolarmente tipica ed esemplare della logica del dominio capitalistico in quanto tale: la metafora terribile e violentemente sarcastica del “porcile” allude sia alla disumanità degli esponenti di questo dominio, i grandi capitalisti monopolisti, “maiali” sempre affamati di profitto sia ai processi di “de-umanizzazione” cui sono di fatto sottoposti le loro vittime, sia come produttori che come consumatori dell’industria di massa capitalistica. I “maiali” sono quindi i capitalisti ma anche gli ebrei trattati come tali dalla borghesia tedesca nazista, dal suo sistema sfruttati e insieme cannibalizzati.
La continuità del nazismo, ben oltre la sua fine storica, sta per Pasolini dentro la logica totalitaria dell’universo capitalistico, in grado perciò di rendere vana ed ineffettuale e disperata qualunque ribellione ad essa che non sia quella irrazionale della disperazione poetica e della pura testimonianza.
La ribellione dell’intellettuale borghese figlio del grande industriale tedesco si consuma nella pura distruzione di sé in una forma necessariamente infima ed immonda, dandosi in pasto ai maiali di un allevamento. Ma proprio a questo esito tanto estremo quanto, nell’ottica di Pasolini, coerente e lineare della civiltà borghese europea, alla sua precipitazione storica in una nuova “barbarie” segnata dalla de-umanizzazione e animalizzazione dell’umano, Pasolini accosta e insieme contrappone nell’altra storia raccontata nel film, forse ambientata nel ‘500, su un territorio vulcanico, totalmente arido e desolato, una barbarie ancora al di qua della storia, o appena al suo inizio. La ribellione di un giovane parricida che un po’ come Adamo vaga solitario per le falde dell’Etna, diventato cannibale dopo aver mangiato un serpente potrà culminare con la sua sua condanna a morte nella forma barbara e sacrale di un libero “sacrificio”, prima di essere anche lui divorato dai cani. Di qua o oltre la civiltà e la storia, la natura come ha saputo grandiosamente dirci Leopardi sulle falde del Vesuvio, è pur sempre creazione e distruzione, cambiamento che si curva sempre eternamente in circolo, ripetizione ciclica di se e della sua immane potenza. Ma qui Pasolini allude ad un altro circolo, quello tra mito e storia, tra barbarie e civiltà, tra natura e seconda natura. L’inizio della civiltà moderna, evocato dall’uso delle armi da fuoco da parte del giovane ribelle, e suo culmine e fine nella barbarie del nazismo come sua verità permanente si richiamano a vicenda e insieme si contrappongono. Ma ciò non toglie che Il sacrificio vero del giovane cannibale sia solo il riflesso apparente, il sogno mitico e disperato di quello solo apparente dell’intellettuale borghese.
Salvatore Tinè (http://musicasognata.blogspot.com)
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