*Antonio Gramsci, Scritti
politici I, a cura di Paolo Spriano, Editori Riuniti, Roma 1973
Siamo noi marxisti? Esistono marxisti? Buaggine, tu sola sei
immortale. La questione sarà probabilmente ripresa in questi giorni, per la
ricorrenza del centenario, e farà versare fiumi d'inchiostro e di stoltezze. Il
vaniloquio e il bizantinismo sono retaggio immarcescibile degli uomini. Marx
non ha scritto una dottrinetta, non è un messia che abbia lasciato una filza di
parabole gravide di imperativi categorici, di norme indiscutibili, assolute,
fuori delle categorie di tempo e di spazio. Unico imperativo categorico, unica
norma: «Proletari di tutto il mondo unitevi». Il dovere dell'organizzazione, la
propaganda del dovere di organizzarsi e associarsi, dovrebbe dunque essere
discriminante tra marxisti e non marxisti. Troppo poco e troppo: chi non
sarebbe marxista?
Eppure cosí è: tutti sono marxisti, un po',
inconsapevolmente. Marx è stato grande, la sua azione è stata feconda, non
perché abbia inventato dal nulla, non perché abbia estratto dalla sua fantasia
una visione originale della storia, ma, perché il frammentario, l'incompiuto
l'immaturo è in lui diventato maturità, sistema, consapevolezza. La
consapevolezza sua personale può diventare di tutti, è già diventata di molti:
per questo fatto egli non è solo uno studioso, è un uomo d'azione; è grande e
fecondo nell'azione come nel pensiero, i suoi libri hanno trasformato il mondo,
cosí come hanno trasformato il pensiero.
Marx significa ingresso dell'intelligenza nella storia
dell'umanità, regno della consapevolezza.
Carlyle: l'eroe, la grande individualità, mistica sintesi di
una comunione spirituale, che conduce i destini dell'umanità verso un approdo
sconosciuto, evanescente nel chimerico paese della perfezione e della santità.
Spencer: la natura, l'evoluzione, astrazione meccanica e
inanimata. L'uomo: atomo di un organismo naturale, che obbedisce a una legge
astratta come tale, ma che diventa concreta, storicamente, negli individui:
l'utile immediato.
Marx si pianta nella storia con la solida quadratura di un
gigante: non è un mistico né un metafisico positivista; è uno storico, è un
interprete dei documenti del passato, di tutti i documenti, non solo di una
parte di essi.
Era questo il difetto intrinseco delle storie, delle
ricerche sugli avvenimenti umani: esaminare e tener conto solo di una parte dei
documenti. E questa parte veniva scelta non dalla volontà storica, ma dal
pregiudizio partigiano, tale anche se inconsapevole e in buona fede. Le
ricerche avevano come fine non la verità, l'esattezza, la ricreazione integrale
della vita del passato, ma il rilievo di una particolare attività, il mettere
in valore una tesi aprioristica. La storia era solo dominio delle idee. L'uomo
era considerato come spirito, come coscienza pura. Due conseguenze erronee
derivavano da questa concezione: le idee messe in valore erano spesso solamente
arbitrarie, fittizie. I fatti cui si dava importanza erano aneddotica, non
storia. Se storia fu scritta, nel senso reale della parola, si dovette ad
intuizione geniale di singoli individui, non ad attività scientifica
sistematica e consapevole.
Con Marx la storia continua ad essere dominio delle idee,
dello spirito, dell'attività cosciente degli individui singoli od associati. Ma
le idee, lo spirito, si sustanziano, perdono la loro arbitrarietà, non sono piú
fittizie astrazioni religiose o sociologiche. La sostanza loro è nell'economia,
nell'attività pratica, nei sistemi e nei rapporti di produzione e di scambio.
La storia come avvenimento è pura attività pratica (economica e morale).
Un'idea si realizza non in quanto logicamente coerente alla verità pura,
all'umanità pura (che esiste solo come programma, come fine etico generale
degli uomini), ma in quanto trova nella realtà economica la sua
giustificazione, lo strumento per affermarsi. Per conoscere con esattezza quali
sono i fini storici di un paese, di una società, di un aggruppamento importa
prima di tutto conoscere quali sono i sistemi e i rapporti di produzione e di
scambio di quel paese, di quella società. Senza questa conoscenza si potranno
compilare monografie parziali, dissertazioni utili per la storia della cultura,
si coglieranno riflessi secondari, conseguenze lontane, non si farà però
storia, l'attività pratica non sarà enucleata in tutta la sua solida
compattezza.
Gli idoli crollano dal loro altare, le divinità vedono
dileguarsi le nubi d'incenso odoroso. L'uomo acquista coscienza della realtà
obiettiva, si impadronisce del segreto che fa giocare il succedersi reale degli
avvenimenti. L'uomo conosce se stesso, sa quanto può valere la sua individuale
volontà, e come essa possa essere resa potente in quanto, ubbidendo,
disciplinandosi alla necessità, finisce col dominare la necessità stessa,
identificandola col proprio fine. Chi conosce se stesso? Non l'uomo in genere,
ma quello che subisce il giogo della necessità. La ricerca della sostanza
storica, il fissarla nel sistema e nei rapporti di produzione e di scambio, fa
scoprire come la società degli uomini sia scissa in due classi. La classe che
detiene lo strumento di produzione conosce già necessariamente se stessa, ha la
coscienza, sia pur confusa e frammentaria, della sua potenza e della sua
missione. Ha dei fini individuali e li realizza attraverso la sua
organizzazione, freddamente, obiettivamente, senza preoccuparsi se la sua
strada è lastricata di corpi estenuati dalla fame, o dei cadaveri dei campi di
battaglia.
La sistemazione della reale causalità storica acquista
valore di rivelazione per l'altra classe, diventa principio d'ordine per lo
sterminato gregge senza pastore. Il gregge acquista consapevolezza di sé, del
compito che attualmente deve svolgere perché l'altra classe si affermi,
acquista coscienza che i suoi fini individuali rimarranno puro arbitrio, pura
parola, velleità vuota ed enfatica finché non avrà gli strumenti, finché
velleità non sarà diventata volontà.
Volontarismo? La parola non significa nulla, o viene usata
nel significato di arbitrio. Volontà, marxisticamente, significa consapevolezza
del fine, che a sua volta significa nozione esatta della propria potenza e dei
mezzi per esprimerla nell'azione. Significa pertanto in primo luogo
distinzione, individuazione della classe, vita politica indipendente da quella
dell'altra classe, organizzazione compatta e disciplinata ai fini propri
specifici, senza deviazioni e tentennamenti. Significa impulso rettilineo verso
il fine massimo, senza scampagnate sui verdi prati della cordiale fratellanza,
inteneriti dalle verdi erbette e dalle morbide dichiarazioni di stima e
d'amore.
Ma è inutile l'avverbio «marxisticamente», e anzi esso può
dare luogo ad equivoci e ad inondazioni fatue e parolaie. Marxisti,
marxisticamente... aggettivo e avverbio logori come monete passate per troppe
mani.
Carlo Marx è per noi maestro di vita spirituale e morale,
non pastore armato di vincastro. È lo stimolatore delle pigrizie mentali, è il
risvegliatore delle energie buone che dormicchiano e devono destarsi per la
buona battaglia. È un esempio di lavoro intenso e tenace per raggiungere la
chiara onestà delle idee, la solida cultura necessaria per non parlare a vuoto,
di astrattezze. È blocco monolitico di umanità sapiente e pensante, che non si
guarda la lingua per parlare, non si mette la mano sul cuore per sentire, ma
costruisce sillogismi ferrati che avvolgono la realtà nella sua essenza, e la
dominano, che penetrano nei cervelli, fanno crollare le sedimentazioni di
pregiudizio e di idea fissa, irrobustiscono il carattere morale.
Carlo Marx non è per noi il fantolino che vagisce in culla o
l'uomo barbuto che spaventa i sacrestani. Non è nessuno degli episodi
aneddotici della sua biografia, nessun gesto brillante o grossolano della sua
esteriore animalità umana. È un vasto e sereno cervello pensante, è un momento
individuale della ricerca affannosa secolare che l'umanità compie per
acquistare coscienza del suo essere e del suo divenire, per cogliere il ritmo
misterioso della storia e far dileguare il mistero, per essere piú forte nel
pensare e operare. È una parte necessaria ed integrante del nostro spirito, che
non sarebbe quello che è se egli non avesse vissuto, non avesse pensato, non avesse
fatto scoccare scintille di luce dall'urto delle sue passioni e delle sue idee,
delle sue miserie e dei suoi ideali.
Glorificando Carlo Marx nel centenario della sua nascita, il
proletariato internazionale glorifica se stesso, la sua forza cosciente, il
dinamismo della sua aggressività conquistatrice che va scalzando il dominio del
privilegio, e si prepara alla lotta finale che coronerà tutti gli sforzi e
tutti i sacrifizi.
Nessun commento:
Posta un commento