venerdì 19 agosto 2016

GIUSTA, INGIUSTA, UNILATERALE. La Famiglia in relazione allo Stato.*- Emily Rampoldi**

**EMILY RAMPOLDI - LICEO CLASSICO ALESSANDRO VOLTA (COMO) - CLASSE IIIG - CORSO COMUNICAZIONE - A.S.: 2010/2011

"La Famiglia, come lo Stato, è giusta in sé dal momento che tutela i propri membri insieme con i loro pensieri, ideologie, sentimenti. Tuttavia è contemporaneamente ingiusta poiché nella sua unilateralità non è in grado di raggiungere un compromesso costruttivo con il potere etico a lei così strettamente legato." 




Una famiglia è costituita da un gruppo di persone che vivono insieme. Nella cultura occidentale una famiglia spesso è definita in modo specifico come un gruppo di persone affiliate da legami consanguinei o legali, come il matrimonio o l'adozione o la discendenza da progenitori comuni. Molti antropologi sostengono che la nozione di "consanguineo" deve essere intesa in senso metaforico; alcuni sostengono che ci sono molte società di tipo non occidentale in cui la famiglia viene intesa attraverso concetti diversi da quelli del "sangue".

Nella società feudale, a base agraria, la struttura familiare (prevista anche da un punto di vista istituzionale) è in genere quella parentale estesa, con proprietà indivisibile e collettiva dei beni, in cui l'autorità è di tipo patriarcale. La donna è sottoposta ad un rapporto di subordinazione piena, che si accentua di fatto con il capitalismo, e che ritroviamo, fino alla legislazione italiana risalente all'epoca fascista. Notiamo però che nella società premoderna, il padre-marito non può disporre a suo piacimento dei beni della famiglia, e la divisione del lavoro, assegnando alla donna importanti compiti anche nella produzione domestica, le consente di gestire una certa quota di potere (soprattutto nelle comunità rurali).

Il tipo prevalente di famiglia premoderna è quello che raggruppa in sé tre grandi funzioni sociali: innanzitutto quella di integrazione e socializzazione culturale di tutti i membri della parentela ad un comune sistema di leggi a cui attenersi (in cui occupa un posto preminente la religione); vi è poi la funzione economica (e di consumo) connotata da chiusura verso l'esterno e da pochissimi scambi economici; infine la funzione politica, che, comprende tanto aspetti di assistenza reciproca, che di governo e di controllo della proprietà.

Naturalmente ci sono altri tipi di famiglia, quello aristocratica-signorile , per esempio, che ha delegato il lavoro ai gradini inferiori della scala sociale , e ancora la famiglia del proletariato agricolo, che in genere è nucleare, vive ai margini della società ed è esclusa dalla produzione economica. Ma il modello di famiglia prevalente dal punto di vista culturale e strutturale è quello segmentario-patriarcale che incorpora in sé, come si è appena detto, i principali meccanismi di sussistenza e riproduzione della società come un tutto organico.

Il passaggio dalla famiglia parentale-segmentaria, chiusa e polifunzionale, alla famiglia nucleare moderna socialmente mobile e più specializzata nelle sue funzioni implica l'incontro con il mercato capitalistico.

Come è noto, infatti, l'uscita dalla società premoderna fu determinata dalla nascita della produzione capitalistica, incentivata da un tipo di famiglia del tutto nuovo rispetto alla forma patriarcale, la famiglia borghese di accumulazione, culla del grande imprenditore capitalista che produce un surplus rispetto ai suoi bisogni per venderlo sul mercato esterno, organizza i produttori subalterni (gli operai) e opera la separazione fra amministrazione aziendale e domestica.
Di contro alla nascita della famiglia di accumulazione, vaste masse di popolazione furono sottratte ai rapporti sociali e al modo di produzione feudale, sicché una volta abbandonate le campagne e il tradizionale rapporto con la terra, esse diedero vita ad una forma di famiglia molto diversa da quella borghese, ma accomunata dallo stesso destino storico: la famiglia priva di mezzi di produzione, che per sopravvivere deve offrire il proprio lavoro sul mercato capitalistico delle merci (in cui il lavoro stesso è merce).

Famiglia borghese e famiglia proletaria, ecco dunque i modelli della società capitalistica, i quali hanno in comune una cosa fondamentale: la loro struttura (in primo luogo la separazione del ruolo familiare da quello lavorativo), è tale da espellere dal proprio spazio interno le funzioni di produzione economica, di socializzazione secondaria e il controllo politico, in modo direttamente proporzionale all'aumento dell'importanza della società come depositaria della produzione economica.

Con la nascita del capitalismo, la famiglia viene confinata nella zona latente del sociale, diviene il momento del rifugio al ritorno dal duro lavoro in fabbrica, il regno della donna nelle famiglie più agiate, unico momento di incontro fra padre, madre e figli nelle classi inferiori, dove spesso tutte le braccia in grado di lavorare sono reclutate dal capitalista - imprenditore.

Questo processo di differenziazione sociale, di ritiro progressivo della famiglia dai rapporti societari, si accentua sempre più con lo sviluppo della grande organizzazione, con il passaggio cioè alla società per azioni, in cui proprietà e controllo dell'azienda sono separati. Con questo siamo arrivati al modello della società industriale avanzata, in cui lavora una parte crescente delle famiglie, che diventa di classe media.

La famiglia moderna risulta essere distaccata dal processo produttivo; come attualmente la conosciamo nasce dalla disintegrazione della famiglia estesa, attaccata alla comunità di appartenenza, inserita in una trama di relazioni sociali, cellula dei rapporti primari e agenzia di controllo sociale e di trasmissione di secolari modelli di vita.

Ma ciò che ha determinato la completa rottura con il modello precedente è stato il passaggio dalla società industriale connotata, ancora negli anni '60, da forti tratti tradizionali a quella, molto più liberale, ma assistita degli anni '70, che ha determinato nuovi assetti comportamentali che si sono affermati specialmente nelle famiglie della classe media, in particolare a lavoro dipendente, inserite in modo più centrale nei processi di modernizzazione.


Come precedentemente esposto la fase di modernizzazione sociale italiana, ovvero il passaggio da una società tradizionale ad una società sviluppata o industrializzata, rende necessaria una riforma degli istituti giuridici delle famiglie. La struttura e i comportamenti del singolo si modificano: dalla scelta imposta del genitore si passa alla diffusione dell'azione elettiva in cui la scelta è libera. Le distanze culturali diminuiscono, crescono mobilità sociale urbanizzazione.

Il processo di modernizzazione porta dunque la famiglia italiana a trasformarsi da contadina ad urbana. Nella prima di matrice patriarcale i figli restano sotto il comando del nonno anche dopo il matrimonio; Nella seconda invece è il padre a prendere le decisioni.

Quest'ultima è una sorta d’impresa collettiva che risente della crisi economica nel momento in cui i figli la abbandonano per cercare lavoro in città. Contemporaneamente all'autonomia del figlio si sviluppa anche l'emancipazione femminile.

1. L' “antico regime” (fine '700)

La famiglia "antico regime" di fine Settecento non conosce istituti giuridici universali, è una struttura patriarcale, che attraverso la propria unità tende a mantenere intatto il patrimonio costituito dalla proprietà fondiaria. All'interno della famiglia la giurisdizione, attraverso il maso chiuso, la legge del maggiorascato o i fedecommessi, assicura la superiorità dei maschi primogeniti. Per quanto riguarda il diritto successorio si parla dell'esclusione o della limitazione dei diritti delle donne costrette a farsi monache o ad accettare una dote in cambio della rinuncia. La donna deve seguire ovunque il marito; non può contrarre né compiere alcun atto della vita civile senza il concesso del padre, poi del marito e non aveva libertà nella scelta matrimoniale. Il matrimonio è annullato in caso di disparità sociale o se si era minorenni. A tale scopo vi erano delle sanzioni civili e penali come la diseredazione del figlio sposato senza nessun consenso alla reclusione della sposa in convento (la posizione socialmente più aperta del secolo era quella della Chiesa per la quale il matrimonio di coscienza come quello senza l'assenso dei parenti era sempre valido).

Non è la famiglia che determina disuguaglianza ma il sistema giuridico a lei imposto. Il sistema intermediario deve dare ad entrambi i coniugi, la parità giuridica.

2. Il Codice Napoleone (1860)

In Europa il codice Napoleone era l'immagine della rivoluzione dal momento che promuoveva il movimento giuridico egualitario in materia di famiglia e di successione. La codificazione inserisce la disciplina matrimoniale nel libro "delle persone" e il regime patrimoniale insieme con la materia delle successioni nel libro "dei differenti modi coi quali si acquista la proprietà" da parte delle stesse persone. La famiglia si configura su basi giuridiche individualistiche: comunità di persone, cui è riconosciuta parità giuridica e successoria realizzando così anche l'ideale democratico del frazionamento della proprietà. 

Il Codice Napoleonico:
- ammette la parificazione piena dei figli naturali;
- ammette la comunione dei beni generalizzata e la contitolarità della patria potestà da parte della donna.
- non impone alla moglie di assumere il nome del marito e cade il principio del consenso dei genitori alle nozze dei figli;
- si fa divieto della diseredazione, abolendo ogni disparità fra maschi e femmine.
In breve, i membri della famiglia prendono possesso di libertà personali.

3. Il Codice Pisanelli (1865)

Con la codificazione Pisanelli si giunge all'unificazione nazionale del nostro diritto di famiglia. La nuova legislazione unitaria rappresenta un passo indietro per le donne lombarde e per quelle venete che grazie al codice austriaco non conoscevano l'autorizzazione maritale. Inizia così il regime che fino al 1919 precluderà alle donne coniugate donazioni, alienazioni d’ immobili, ipoteche, cessioni e riscossioni di capitali. Per quanto riguarda il regime patrimoniale della famiglia fu respinta la comunione universale dei beni, accettando solo la comunione degli acquisti. Inoltre il codice non faceva obbligo ai genitori di dotare le figlie. Il movimento per i diritti della donna di quel periodo denuncia la contraddizione esistente nella società italiana in cui la famiglia è strutturata sulla disuguaglianza.

L'adeguamento della famiglia italiana agli istituti del nuovo diritto di famiglia fu molto lento. Il codice del 1865 riconosceva nel marito il capo della famiglia, ma, di fatto, il potere era esercitato dal nonno sui figli, le nuore e i nipotini.

4. Il Dopoguerra (1919)

Con la legge del 1919 n. 1176 si vede abolita l'autorizzazione maritale. L'attuale legislazione torna nel tempo alla fase illuministica e rivoluzionaria del primo ottocento. La famiglia appare come una comunione di persone che godono di uguaglianza giuridica. La donna, rivalutata anche sul piano del diritto successorio, è libera da qualsiasi apporto dotale. Il movimento femminista in questi ultimi anni in Italia ha lottato per il riconoscimento di alcune fondamentali libertà civili della donna per il superamento dei ruoli all'interno della famiglia e per la parificazione dei sessi. La riforma del diritto di famiglia introducendo gli istituti della comunione dei beni e dell'impresa familiare, opera nel riconoscimento sociale ed economico del lavoro casalingo della donna, con l'obiettivo di favorire l'unità familiare che non è più basata sulla diseguaglianza di un coniuge (la donna).

C'è chi sostiene che l'istituto familiare è destinato a sparire perché la società tende a sostituirsi alla famiglia. Parecchi sociologi vedono nell'affidare i figli piccoli all'asilo nido una fase indicativa di questa delega di funzioni della famiglia alla società. La famiglia tuttavia resta ancora oggi il nucleo essenziale su cui poggia la società.

5. Il Codice Civile (1942)

Il Codice Civile dedica alla famiglia il primo libro del codice intitolato “Delle persone e della famiglia”, Undici Titoli del primo libro sono dedicati alla disciplina della famiglia e dei rapporti familiari. Il Titolo V tratta "Della parentela e dell'affinità", il Titolo VI tratta "Del matrimonio"; il Titolo VII tratta "Della filiazione"; il Titolo VIII tratta "Dell'adozione di persone maggiori di età"; il Titolo IX tratta "Della potestà dei genitori"; il Titolo IX- bis tratta degli"Ordini di protezione contro gli abusi familiari"; il Titolo X tratta "Della tutela e dell'emancipazione"; il Titolo XI tratta "Dell'affiliazione e dell'affidamento"; il Titolo XII tratta "Delle misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia; il Titolo XIII tratta "Degli alimenti"; il Titolo XIV tratta "Degli atti dello stato civile".

La maggior parte degli articoli che compongono tale titolo hanno oggi un contenuto profondamente diverso da quello che avevano nel testo originario del Codice civile approvato il 16 marzo 1942. La parte del Codice riguardante il diritto di famiglia venne,infatti, riformata con al legge 19 maggio 1975, n. 151, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 maggio 1975, intitolata “Riforma del diritto di famiglia”, che apportò modifiche tese ad uniformare la disciplina dei rapporti familiari ai principi costituzionali.

Il testo del Codice del 1942, concepiva un modello di famiglia fondato sulla subordinazione della moglie al marito, sia nei rapporti personali sia in quelli patrimoniali, sia nelle relazioni di coppia sia nei riguardi dei figli, nonché fondato sulla discriminazione dei figli nati fuori dal matrimonio (figli naturali), che ricevevano un trattamento giuridico inferiore rispetto ai figli legittimi (nati in costanza del vincolo matrimoniale).
La riforma si è ispirata a due principi riferiti agli articoli 29 e 30 della Costituzione. Il primo principio esprime l'idea dell'assoluta eguaglianza tra uomo e donna nei rapporti personali e patrimoniali nascenti dal matrimonio. Il secondo esprime la quasi totale parificazione delle posizioni giuridiche tra figli legittimi e figli naturali per lo meno nei confronti dei genitori.

Con questa legge:
- venne riconosciuta la parità giuridica dei coniugi;
- venne abrogato l’istituto della dote;
- venne riconosciuta ai figli naturali la stessa tutela prevista per i figli legittimi;
- venne istituita la comunione dei beni tra i coniugi come regime patrimoniale legale (ossia ordinario) della famiglia (in mancanza di diversa convenzione);
- la patria potestà venne sostituita dalla potestà di entrambi i genitori.

Per quel che concerne gli obblighi di natura personale l'art.143 c.c. stabilisce che i coniugi sono tenuti ed in egual misura, alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale dell'altro ed alla coabitazione nel luogo fissato di comune accordo. Il precedente dovere del marito di proteggere la moglie è stato sostituito dal vicendevole dovere di assistenza morale e materiale.

L’interesse morale e materiale del minore diviene linea guida nella decisione del giudice. Questi, nel regolamentare i rapporti figli-genitori, dovrà prediligere, in quanto compatibile con interesse del minore, la soluzione dell’affido condiviso su quello monogentitoriale. Importante è il riferimento contenuto nel novellato art. 155 c.c. al diritto del minore, anche in caso di separazione personale dei genitori, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Il diritto di famiglia nel corso degli anni ha subito altre modifiche:
· nel 1970 venne introdotto il divorzio (legge n. 898/1970), la cui disciplina venne modificata nel 1987 (legge n. 74/1987);
· la legge 40/2004 ha regolamentato, più di recente, la procreazione medicalmente assistita;
da ultimo, la legge 54/2006, la cd. legge sull’affido condiviso, ha fortemente innovato l’assetto dei rapporti genitori-figli così come originariamente disciplinato dal codice civile.

6. Nella Costituzione Italiana (1947)

La famiglia è il fondamento di ogni società civile e non poteva non trovare adeguato spazio nella nostra Costituzione che non si preoccupa solo dell'individuo ma anche del fatto che gli individui si presentano raggruppati in famiglie, precisando la propria posizione nei confronti di queste.
Tre sono gli articoli che la Costituzione dedica alla famiglia, collocati nel Titolo II intitolato "Rapporti etico-sociali" :
- L'art. 29 stabilisce che "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".
- L'art.30 stabilisce che "E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istituire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità".
- L'art. 31 stabilisce che "La Repubblica agevola con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo". Da queste norme scaturiscono alcuni principi fondamentali ai quali si devono ispirare le norme dell'ordinamento italiano riguardanti la famiglia:
- Il riconoscimento di soggetto dotato di autonomia e lo Stato si impegna a mantenerne i caratteri essenziali e tradizionali presenti nella società italiana cioè della famiglia monogamica basata sul libero consenso dei coniugi;
- l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, quindi con pari diritti e doveri;
- il riconoscimento e la pari dignità dei figli nati fuori dal matrimonio assicurando ogni tutela giuridica e sociale;
- l'impegno dello Stato ad agevolare con misure economiche ed altre forme di sostegno la formazione della famiglia;
- la tutela della maternità, dell'infanzia e della gioventù con adeguati interventi.

7. Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (1948)

Nell'articolo 16 riguardo la questione familiare si afferma che:
1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all'atto del suo scioglimento.
2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi.
3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.

8. Nella Riforma del Diritto di Famiglia (1975)

La Riforma del Diritto di Famiglia, fu approvata il 19 maggio 1975 con la legge n. 151, con questa riforma si diedero tra l'altro pari diritti all'uomo e alla donna all'interno della coppia. L'uguaglianza giuridica fra coniugi è sancita dall'articolo 29, ed esiste nella nostra Costituzione sin dal 1948, sebbene fino alla riforma la legge attribuiva maggiori poteri agli uomini. Le innovazioni più importanti, oltre quella già menzionata, si possono riassumere in alcuni punti fondamentali:
a) innalzamento dell'età per contrarre matrimonio da 16 a 18 anni;
b) abolizione della colpa come causa di separazione personale;
c) introduzione del regime di comunione dei beni (in attuazione degli art. 29 e 3 della Costituzione);
d) abolizione della dote;
e) riconoscimento dei figli adulterini (cioè i figli nati da una relazione extraconiugale). 


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