"Raccontare la storia del lungo XX secolo consiste in gran parte nel mostrare come e perché il regime di accumulazione statunitense: 1) emerse dai limiti, dalle contraddizioni e dalla crisi del capitalismo del libero scambio della Gran Bretagna come struttura regionale dominante dell'economia-mondo capitalistica; 2) ricostituì l'economia-mondo su basi che resero possibile un'altra tornata di espansione materiale; 3) ha raggiunto la propria maturità e sta forse preparando il terreno per l'emergere di un nuovo regime dominante" (Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo, 1994, p: 313)
Nella storia del capitalismo il Novecento - il cui inizio
Giacché data nel 1896, quando finisce la Grande Depressione iniziata nel 1873 -
è stato il secolo USA. L'ultima crisi, esplosa in forme acute dal 2007, ne
segna il declino e apre nuovi orizzonti.
E' possibile e auspicabile che la crisi che segna la fine
del lungo XX secolo ci riconsegni la consapevolezza della possibilità di un
"livello superiore di produzione sociale", rilanciando l'idea di una
regolazione dell'economia da parte dei produttori associati.
La tendenza, intrinseca al capitale, ad oltrepassare ogni
limite nella sua espansione diviene un fattore esplosivo qualora ad essa si
pretenda di informare la politica estera.
Già dal 1913 gli USA sono la prima potenza industriale del
mondo, esprimendo il 33% della produzione industriale mondiale: poco meno di
Gran Bretagna, Germania e Francia messi insieme; nel 1929 il rapporto salirà a
42% contro 28%.
Un'eccezione, nel panorama della crisi mondiale è
rappresentata dall'URSS dei piani quinquennali: dal 1929 al 1940 la produzione
industriale triplica, salendo dal 5% della produzione manifatturiera mondiale
(quota del 1929) al 18% (quota del 1938).
Fu solo grazie all'ingresso nella seconda guerra mondiale e
alla messa in opera della macchina bellica relativa, e non grazie agli
investimenti di Roosevelt in opere
pubbliche a carattere civile, che gli USA riuscirono a risollevarsi dalla
Grande Crisi degli anni trenta.
Il "miracolo economico" del periodo postbellico fu
favorito anche dall'enorme distruzione di capitale in eccesso avvenuta con la
guerra che eliminò la sovrapproduzione, come pure la popolazione lavoratrice
eccedente.
Nel 1971 (fine del gold-exchange standart) il dollaro diviene una
moneta assolutamente fiduciaria, senza riferimento alle riserve in oro della
Federal Reserve, ma resta il perno del sistema monetario internazionale,
inondato di dollari: da 30mrd nel 1958 ad oltre 11.000 nel 2004.
La fine dell'Urss marca uno spartiacque nella storia del XX
secolo, e conferisce al capitalismo conteporaneo l'aura, più ancora che della
superiorità, della definitività: "Non esiste altra società all'infuori di
me", grida ogni giorno da ogni mezzo di informazione il capitalismo contemporaneo.
Bisogna però distinguere tra ideologia e concreto processo storico, in punto di
vista economico. A quest'ultimo riguardo, infatti, l'esultanza per la fine
dell'Urss lasciò presto il campo a nuove preoccupazioni. E il venir meno del "Nemico"
esterno accentuò i conflitti intercapitalistici.
L'eccesso di credito e di finanza non era né una viziosa
deviazione dal corso sano e ordinato dell'economia, né una malattia, semmai il
sintomo e al contempo la droga che ha permesso di non avvertirla. La malattia
era un'altra: la stentata valorizzazione del capitale.
Nella crisi attuale confluiscono due diversi processi: la
tendenza alla caduta del saggio di profitto nei paesi a capitalismo maturo, e
la più specifica crisi del regime di accumulazione statunitense, che ha
dominato il secolo passato ma non dominerà il nostro.
Ora la possibilità del passaggio ad un modo superiore e meno
primitivo di produzione sociale è proprio ciò che nei nostri anni è stato
violentemente rimosso, appiattendo il futuro sulla semplice continuazione del
presente. La possibilità di un "livello superiore di produzione sociale"
è stata accantonata come un'utopia totalitaria, facendo dell'attuale il
migliore dei mondi possibili - anzi, l'unico. E' da anni ormai, che
l'accettazione di questa limitazione del nostro orizzonte storico-sociale è
divenuta un fenomeno di massa. E' tempo di intendere che il prezzo di questa
accettazione sta diventando decisamente troppo alto. E' possibile e auspicabile
che la crisi che segna la fine - ritardata di qualche anno rispetto al
calendario - del lungo XX secolo ci riconsegni questa consapevolezza,
rilanciando l'idea di una regolazione dell'economia da parte dei produttori
associati: il progetto marxiano di
"fare
della proprietà privata individuale una verità trasformando i mezzi di
produzione, la terra e il capitale, ora principalmente mezzi di asservimento e
di sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di un lavoro libero e
associato" (Marx 1871: 300).
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