mercoledì 24 agosto 2016

Il ruolo della Germania nella crisi europea*- Vladimiro Giacché


La crisi non è un incidente, non è esogena, al contrario: essa mostra una continuità o meglio una consequenzialità rispetto ad alcuni trend di fondo.

L’innesco della crisi è rappresentato dal collasso del modello di consumo degli Stati Uniti, basato sull’indebitamento privato, che consentiva di mantenere consumi elevati nonostante stipendi in calo ormai da decenni (per i dati relativi vedi V. Giacché, Titanic Europa, 2012, pp. 29-30).

Viene alla luce un “sistema bancario ombra”, che consentiva di occultare una leva finanziaria elevatissima (rapporto attività/mezzi propri pari o superiore a 30). In tal modo le perdite maturate in alcuni settori (mutui subprime e obbligazioni basate su di essi) si estendono a macchia d’olio agli altri, nel momento in cui le banche e le società finanziarie coinvolte sono costrette a vendere in perdita gli assets finanziati a leva.

Il sistema finanziario è sconvolto dalla crisi e ne amplifica gli effetti. Quando nel settembre 2008 la banca d’investimento Lehman Brothers fallisce, la circolazione del capitale sembra per qualche tempo interrompersi su                                                                                                            scala mondiale, si verificano corse agli sportelli e fenomeni di tesaurizzazione.

Crollano produzione e commercio internazionale.

Tra la fine del 2008 e la prima metà del 2009 la bancarotta delle principali istituzioni finanziarie a livello mondiale, ma anche di molte grandi imprese manifatturiere (si pensi al settore automobilistico statunitense), fu sventata soltanto grazie a interventi pubblici di salvataggio senza precedenti. Nel giugno 2009 la Bank of England rivelò che i sussidi e le garanzie offerti dalle banche centrali e dai governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dei paesi dell’Eurozona a sostegno del sistema bancario ammontavano alla cifra di 14.000 miliardi di dollari.

Si trattava precisava lo stesso rapporto di una cifra equivalente a circa il 50% del prodotto interno lordo di quei paesi (Bank of England2009). Si ebbe in tal modo una gigantesca trasformazione di debito privato in debito pubblico o, per essere più chiari, una gigantesca socializzazione delle perdite.

La crisi iniziata nel 2007 ha distrutto capitale reale e fittizio in enorme quantità (a conferma del carattere non ciclico della crisi). Ma non è riuscita a rilanciare l'accumulazione di capitale su scala globale. Stati Uniti, Giappone e Unione Europea (e più in particolare l'eurozona) si trovano molto al di sotto della crescita potenziale stimata prima della crisi.

1. La narrazione standard della crisi fase 1: 2007-2009. Finanza colpevole: una spiegazione convincente?
2. La narrazione standard della crisi fase 2: 2010-2014. Debito pubblico eccessivo: una spiegazione convincente?
3. Alla ricerca di una spiegazione alternativa: la crisi come effetto di una evoluzione strutturale 
4. Le leve della crescita nei paesi a capitalismo maturo dagli anni 1980: finanza e debito 
5. Il ruolo dell’euro nella crisi europea
6. Il ruolo della Germania


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