*Da: https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1852/brumaio/index.htm http://www.controappuntoblog.org/
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Hegel [1] nota in un passo delle sue opere che tutti
i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano per,
così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere la prima volta come
tragedia, la seconda volta come farsa. Caussidière [2] invece di Danton [3], Louis Blanc [4] invece di Robespierre [5], la Montagna del 1848-1851 invece della Montagna
del 1793-1795, il nipote invece dello zio. È la stessa caricatura nelle
circostanze che accompagnano la seconda edizione del 18 brumaio [6]
Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo
arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che
essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla
tradizione. La tradizione di tutte le generazioni scomparse pesa come un incubo
sul cervello dei viventi e proprio quando sembra ch’essi lavorino a trasformare
se stessi e le cose, a creare ciò che non è mai esistito, proprio in tali
epoche di crisi rivoluzionaria essi evocano con angoscia gli spiriti del
passato per prenderli al loro servizio; ne prendono a prestito i nomi, le
parole d’ordine per la battaglia, i costumi, per rappresentare sotto questo
vecchio e venerabile travestimento e con queste frasi prese a prestito la nuova
scena della storia. Così Lutero si travestì da apostolo Paolo [7]; la rivoluzione del 1789-1814 indossò
successivamente i panni della Repubblica romana e dell’Impero romano [8]; e la rivoluzione del 1848 non seppe fare di
meglio che la parodia, ora del 1789, ora della tradizione. rivoluzionaria del
1793-1795. Così il principiante che ha imparato una lingua nuova la ritraduce
continuamente nella sua lingua materna ma non riesce a possederne lo spirito e
ad esprimersi liberamente se non quando si muove in essa senza reminiscenze, e
dimenticando in essa la propria lingua d’origine.
Al solo considerare queste evocazioni storiche di morti, si
palesa tosto una spiccata differenza. Camille Desmoulins [9], Danton, Robespierre, Saint-Just [10], Napoleone, tanto gli eroi quanto i partiti e
la massa della vecchia Rivoluzione francese adempirono, in costume romano e con
frasi romane, il compito dei tempi loro, quello di liberare dalle catene e di
instaurare la moderna società borghese. Gli uni spezzarono le terre
feudali, e falciarono le teste feudali cresciute sopra di esse. L’altro creò
nell’interno della Francia le condizioni per cui poté cominciare a svilupparsi
la libera concorrenza, poté essere sfruttata la proprietà fondiaria suddivisa,
e poté essere impiegata la forza produttiva industriale, della nazione liberata
dalle sue catene; e al di là dei confini della Francia spazzò dappertutto le
istituzioni feudali, nella misura in cui ciò era necessario per creare alla
società borghese in Francia un ambiente corrispondente sul continente europeo [11]. Una volta instaurata la nuova formazione
sociale disparvero i mostri antidiluviani; e con essi disparve la romanità
risuscitata: i Bruti, i Gracchi, i Publicola, i tribuni, i senatori e lo stesso
Cesare [12].
La società borghese, nella sua fredda realtà, si era creati
i suoi veri interpreti e portavoce nei Say, nei Cousin, nei Royer-Collard, nei
Benjamin Constant e nei Guizot [13]. I suoi veri generali sedevano al banco del
commerciante, e la testa di lardo di Luigi XVIII [14] era la sua testa politica. Completamente
assorbita nella produzione della ricchezza nella lotta pacifica della
concorrenza, essa finì col dimenticare che i fantasmi dell’epoca romana avevano
vegliato attorno alla sua culla. Ma per quanto poco eroica sia la società
borghese, per metterla al mondo erano però stati necessari l’eroismo,
l’abnegazione, il terrore, la guerra civile e le guerre tra i popoli. E i suoi gladiatori
avevano trovato nelle austere tradizioni classiche della repubblica romana gli
ideali e le forme artistiche, le illusioni di cui avevano bisogno per
dissimulare a se stessi il contenuto grettamente borghese delle loro lotte e
per mantenere la loro passione all’altezza della grande tragedia storica. Così,
in un’altra tappa dell’evoluzione, un secolo prima, Cromwell e il popolo
inglese avevano preso a prestito dal Vecchio Testamento le parole, le passioni
e le illusioni per la loro rivoluzione borghese [15]. Raggiunto lo scopo reale, condotta a termine
la trasformazione borghese della società inglese, Locke dette lo sfratto ad
Abacuc[16].
La resurrezione dei morti servì, dunque, in quelle
rivoluzioni a magnificare le nuove lotte, non a parodiare le antiche; a
esaltare nella fantasia i compiti che si ponevano, non a sfuggire alla loro
realizzazione; a ritrovare lo spirito della rivoluzione, non a rimetterne in
circolazione il fantasma.
Dal 1848 al 1851, della vecchia rivoluzione non circolò
altro che lo spettro, a partire da Marrast, il républicain en gants
jaunes, che si camuffò con la maschera del vecchio Bailly [17], sino all’avventuriero che nasconde le sue
fattezze ripugnanti e triviali sotto la mortuaria maschera di ferro di
Napoleone. Un popolo intiero, il quale credeva di aver dato a se stesso, con la
rivoluzione, la capacità di un progresso più rapido, si vede bruscamente
ricacciato in un’epoca scomparsa, e affinché non sia possibile nessuna
illusione circa il ritorno passato, ricompaiono le vecchie date, il vecchio
calendario, i vecchi nomi, i vecchi editti, caduti da tempo nel regno degli
eruditi di antiquaria, e i vecchi sbirri, che da tempo sembravano andati in
decomposizione. La nazione sente di trovarsi nella situazione di quell’inglese
pazzo a Bedlam [18], che crede di vivere al tempo degli antichi
Faraoni, e ogni giorno si lagna delle improbe fatiche cui deve sobbarcarsi come
minatore nelle miniere d’oro dell’Etiopia, sepolto vivo in quelle prigioni
sotterranee, con una fioca lanterna fissata sul capo, il guardiano di schiavi
alle calcagne con una lunga frusta, e all’uscita della galleria un’accozzaglia
di schiavi barbari, i quali né comprendono i forzati. che lavorano nelle
miniere, né si comprendono tra di loro, perché non parlano una lingua comune.
"E tutto questo - geme l’inglese maniaco - viene fatto a me, libero
cittadino della Gran Bretagna, per estrarre oro per gli antichi Faraoni."
"Per pagare i debiti della famiglia Bonaparte” - geme la nazione francese [19]. L’inglese, fino a che ebbe l’uso della
ragione, non poté liberarsi dall’idea fissa della estrazione dell’oro. I
francesi, fino a che furono in rivoluzione, non poterono sbarazzarsi dei
ricordi napoleonici, come ha provato l’elezione del 10 dicembre [20].
Essi volevano sfuggire ai pericoli della rivoluzione e ritornare alle “pignatte
delle carni” egiziane [21],
e la risposta fu il 2 dicembre 1851. Non hanno soltanto la caricatura del
vecchio Napoleone; hanno Napoleone in persona, nelle fattezze caricaturali che
gli si addicono alla metà del secolo decimonono.
La rivoluzione sociale del secolo decimonono [22] non
può trarre la propria poesia dal passato, ma solo dall’avvenire. Non può
cominciare a essere se stessa prima di aver liquidato ogni fede superstiziosa
nel passato. Le precedenti rivoluzioni avevano bisogno di reminiscenze storiche
per farsi delle illusioni sul proprio contenuto. Per prendere coscienza del
proprio contenuto, la rivoluzione. dei secolo decimonono deve lasciare che i
morti seppelliscano i loro morti. Prima la frase sopraffaceva il contenuto; ora
il contenuto trionfa sulla frase.
La rivoluzione del febbraio fu per la vecchia società un colpo
di sorpresa, e il popolo fece di questo colpo di mano riuscito
un avvenimento di importanza storica mondiale, che apriva un’epoca nuova [23].
Il 2 dicembre la rivoluzione di febbraio viene fatta sparire col trucco d’un
baro, e ciò che appare rovesciato non è più la monarchia, ma le concessioni
liberali che le erano state strappate con un secolo di lotte. Invece della
conquista di un nuovo contenuto da parte della società stessa, sembra soltanto
che lo Stato sia tornato alla sua forma più antica, al dominio
puro e insolente della spada e della tonaca [24].
E’ così che al coup de main del febbraio 1848 risponde il coup
de téte [25] del
dicembre 1851. La farina del diavolo va in crusca. Ma frattanto il tempo non è
passato invano. Negli anni dal 1848 al 1851 la società francese ha ricuperato -
e con un metodo più rapido, perché rivoluzionario - gli studi e le esperienze
che, se la rivoluzione si fosse compiuta in modo regolare e, per così dire,
scolastico, avrebbero dovuto precedere la rivoluzione di febbraio, affinché
essa fosse qualcosa di più di un sommovimento superficiale. La società sembra
ora esser tornata più indietro del suo punto di partenza; in realtà è soltanto
ora ch’essa deve crearsi il punto di partenza rivoluzionario, la situazione, i
rapporti, le condizioni nelle quali soltanto la rivoluzione moderna diventa una
cosa seria.
Le rivoluzioni borghesi, come quelle del secolo decimottavo,
passano tempestosamente di successo in successo; i loro effetti drammatici si
sorpassano l’un l’altro, gli uomini e le cose sembrano illuminati da fuochi di
bengala l’estasi è lo stato d’animo d’ogni giorno. Ma hanno una vita effimera,
presto raggiungono il punto culminante: e allora una nausea si impadronisce
della società, prima che essa possa rendersi freddamente ragione dei risultati
del suo periodo di febbre e di tempesta [26].
Le rivoluzioni proletarie invece, quelle del secolo decimonono, criticano
continuamente se stesse; interrompono ad ogni istante il loro proprio corso;
ritornano su ciò che già sembrava cosa compiuta per ricominciare daccapo, si
fanno beffe in modo spietato e senza riguardi delle mezze misure, delle debolezze
e delle miserie dei loro primi tentativi; sembra che abbattano il loro
avversario solo perché questo attinga dalla terra nuove forze e si levi di
nuovo più formidabile di fronte ad esse; si ritraggono continuamente,
spaventate dall’infinita immensità dei loro propri scopi, sino a che si crea la
situazione in cui è reso impossibile ogni ritorno indietro e le circostanze
stesse gridano:
Del resto, pur senza aver seguito a passo a passo il corso
degli avvenimenti in Francia, anche un osservatore mediocre doveva avere, il
presentimento che la rivoluzione andava incontro a un fallimento inaudito.
Era sufficiente ascoltare i presuntuosi latrati di trionfo
coi quali i signori democratici si felicitavano reciprocamente per gli effetti
miracolosi della seconda [domenica] di maggio del 1852 [28].
La seconda [domenica] di maggio era diventata per loro un’idea fissa, un dogma,
come pei chiliasti il giorno in cui Cristo avrebbe dovuto risorgere un’altra
volta e dar principio al regno millenario [29].
La debolezza aveva trovato un rifugio, come sempre, nella fede nei miracoli;
credeva di aver battuto il nemico perché lo aveva esorcizzato nella propria
fantasia; perdeva ogni comprensione del presente, rapita nell’inerte
esaltazione dell’avvenire e delle azioni ch’essa aveva in animo di compiere e
non voleva ancora tradurre in atto. Gli eroi, che si sforzavano di smentire la
propria manifesta incapacità inviandosi in .vicenda le loro condoglianze e
accozzandosi in un sol mucchio, avevano già fatto le loro valigie, si erano
cinte in anticipo corone d’alloro ed erano occupati a scontare in Borsa le
repubbliche in partibus [30] per
le quali, nel silenzio delle loro anime modeste, avevano già avuto la
previdenza di organizzare il personale governativo. Il 2 dicembre li colpì come
un fulmine a ciel sereno; e i popoli, che nei periodi di depressione e di scoraggiamento
lasciano volentieri stordire la loro paura segreta da coloro che gridano più
forte, si saranno forse convinti che sono passati i tempi in cui lo schiamazzo
delle oche poteva salvare il Campidoglio [31].
La Costituzione, l’Assemblea nazionale, i partiti dinastici,
i repubblicani azzurri e rossi, gli eroi dell’Africa, i fulmini della. tribuna,
i lampi della stampa quotidiana; tutta la letteratura, le celebrità politiche e
le nomee intellettuali, il diritto civile e quello penale, la liberté,
l’égalité, fraternité [32] e
la seconda [domenica] di maggio del 1852, tutto è svanito come una
fantasmagoria davanti alla formula magica lanciata da un uomo che i suoi
avversari stessi riconoscono essere tutt’altro che un mago [33].
Il suffragio universale sembra sopravvissuto un momento soltanto per fare in
faccia a tutto il mondo il proprio testamento olografo e dichiarare in nome del
popolo stesso: “Tutto ciò che esiste merita di andare alla malora” [34].
Non basta dire come fanno i francesi che la loro nazione è
stata colta alla sprovvista. Non si perdona a una nazione, come non si perdona
a una donna, il momento di debolezza in cui il primo avventuriero ha potuto
farle violenza. Con queste spiegazioni l’enigma non viene risolto, ma soltanto
formulato in modo diverso. Rimane da spiegare come una azione dì 36 milioni di
abitanti abbia potuto essere colta alla sprovvista da tre cavalieri di
industria e ridotta in schiavitù senza far resistenza.
Ricapitoliamo a grandi tratti le fasi percorse dalla
rivoluzione francese dal 24 febbraio 1848 sino al dicembre 1851.
Tre sono i periodi principali che è impossibile confondere: periodo
di febbraio; dal 4 maggio 1848 sino al 29 maggio 1849; il periodo
della costituzione della repubblica o dell’Assemblea nazionale
costituente; dal 29 maggio 1849 sino al 21 dicembre 1851; il periodo della repubblica
costituzionale o dell’Assemblea nazionale legislativa.
Il primo periodo, dal 24 febbraio o dalla caduta
di Luigi Filippo [35] sino
al 4 maggio 1848, quando si riunì l’Assemblea costituente, cioè il periodo
di febbraiopropriamente detto, può essere considerato come il prologo
della rivoluzione [36].
Il suo carattere si espresse ufficialmente nel fatto che il governo da essa
improvvisato si dichiarò da sé provvisorio, e al pari del governo
tutto ciò che in questo periodo venne proposto, tentato, dichiarato, non lo fu
che provvisoriamente. Nessuno e nulla osò reclamate per sé il
diritto all’esistenza e all’azione reale [37].
Tutti gli elementi che avevano preparato o determinato la rivoluzione,
l’opposizione dinastica, la borghesia repubblicana, la piccola borghesia
repubblicana democratica, i lavoratori socialdemocratici, trovarono posto
provvisoriamente nel governo di febbraio [38].
Né poteva essere altrimenti. Le giornate di febbraio
miravano in origine a una riforma elettorale, per cui la cerchia dei
privilegiati politici in seno alla classe abbiente stessa doveva essere
allargata, e il dominio esclusivo dell’aristocrazia finanziaria doveva essere
rovesciato [39].
Ma quando il conflitto scoppiò per davvero, quando il popolo salì sulle
barricate, quando la Guardia nazionale rimase passiva [40],
l’esercito non oppose nessuna resistenza seria e la monarchia prese la fuga,
allora la repubblica sembrò imporsi da sé; ogni partito la interpretò a modo
suo. Poiché essa era stata conquistata dal proletariato con le armi in pugno,
questi le impresse il suo suggello e la proclamò repubblica sociale.
Così venne additato il contenuto generale della rivoluzione moderna,
contrastante nel modo più singolare con tutto ciò che, dato il grado di
educazione raggiunto dalla massa, date le circostanze e le condizioni del
tempo, poteva essere messo in opera lì per lì col materiale esistente. D’altro
lato, le pretese di tutti gli altri elementi che avevano cooperato alla rivoluzione
di febbraio trovarono un riconoscimento nella parte leonina ch’essi ricevettero
nel governo. In nessun periodo troviamo quindi una miscela più eterogenea di
frasi alate e di indecisione e goffaggine reali, delle più entusiastiche
aspirazioni di rinnovamento e del dominio più solido del vecchio trantran,
della più apparente armonia di tutta la società e dell’antagonismo più profondo
fra i suoi elementi. Mentre il proletariato di Parigi si inebriava ancora nella
visione della grande prospettiva che gli si apriva dinanzi e si abbandonava a
gravi discussioni sui problemi sociali, le vecchie potenze della società si
erano raggruppate, riunite e messe d’accordo, e trovarono un appoggio inatteso
nella massa della nazione, nei contadini e nei piccoli borghesi, i quali,
cadute le barriere della monarchia di luglio, si precipitavano tutti ad un
tempo sulla scena politica [41].
Il secondo periodo, che va dal 4 maggio 1848 sino
alla fine del maggio 1849, è il periodo della costituzione, della
fondazione della repubblica borghese. Immediatamente dopo le giornate di
febbraio non soltanto l’opposizione dinastica era stata presa alla sprovvista
dai repubblicani, e questi dai socialisti, ma tutta la Francia era stata presa
alla sprovvista da Parigi [42].
L’Assemblea nazionale, che si riunì il 4 maggio 1848, essendo uscita dal
suffragio della nazione, rappresentava la nazione. Era una protesta vivente
contro le pretese delle giornate di febbraio e doveva ridurre i risultati della
rivoluzione a misura borghese [43].
Invano il proletariato parigino, il quale comprese immediatamente il carattere
di quest’Assemblea nazionale, tentò alcuni giorni dopo la sua riunione, il 15
maggio, di negarne con la violenza l’esistenza, di scioglierla, di scomporre di
nuovo nei suoi singoli elementi costitutivi l’organismo attraverso il quale lo
spirito reazionario della nazione lo minacciava [44].
Com’è noto, il 15 maggio non ebbe nessun altro risultato all’infuori di quello
di allontanare dalla pubblica scena, per tutta la durata del periodo che stiamo
considerando, Blanqui e i suoi compagni, cioè i veri capi del partito
proletario [45].
Alla monarchia borghese di Luigi Filippo
può succedere soltanto la repubblica borghese, il che vuol dire che
se prima una parte limitata della borghesia regnava in nome dei re, ora deve
dominare in nome del popolo la totalità della borghesia. Le rivendicazioni del
proletariato parigino sono fandonie utopistiche, con le quali si deve farla
finita. A questa dichiarazione dell’Assemblea nazionale costituente, il
proletariato parigino rispose con l’insurrezione di giugno,
l’avvenimento più grandioso nella storia delle guerre civili europee. La
repubblica borghese trionfò [46].
Essa aveva per sé l’aristocrazia finanziaria, la borghesia industriale, il ceto
medio, i piccoli borghesi, l’esercito, la canaglia organizzata in Guardia
mobile [47],
gli intellettuali, i preti e la popolazione rurale. Il proletariato non aveva
al suo fianco altro che se stesso. Più di 3.000 insorti vennero massacrati dopo
la vittoria; 15.000 deportati senza processo. Con questa disfatta il
proletariato si ritira tra le quinte della scena
rivoluzionaria. Esso cerca di farsi nuovamente avanti ogni volta che il
movimento sembra prendere un nuovo slancio, ma con un’energia sempre più
ridotta e con un risultato sempre più piccolo. Non appena uno degli strati
sociali a lui sovrastanti entra in fermento rivoluzionario, il proletariato
stabilisce con esso un collegamento, e in questo modo condivide tutte le
sconfitte che i vari partiti subiscono l’uno dopo l’altro [48].
Ma questi colpi successivi diventano via via tanto più deboli quanto più si
ripartiscono su tutta la superficie della società. I rappresentanti più
cospicui del proletariato nell’Assemblea e nella stampa sono vittime, l’uno
dopo l’altro, dei tribunali [49],
e figure sempre più equivoche prendono il loro posto. In parte, esso sì
abbandona a esperimenti dottrinari, banche di scambio e associazioni
operaie, cioè a un movimento in cui rinuncia a trasformare il vecchio mondo coi
grandi mezzi collettivi che gli sono propri, e cerca piuttosto di conseguire la
propria emancipazione alle spalle della società, in via privata, entro i limiti
delle sue meschine condizioni d’esistenza, e in questo modo va necessariamente
al fallimento [50].
Sembra ch’esso non possa più ritrovare in se stesso la grandezza rivoluzionaria
né attingere nuova energia dalle alleanze nuovamente contratte, sino a che tutte
le classi contro le quali ha lottato in giugno non giacciono al suolo
al suo fianco. Ma, per lo meno, esso soccombe con gli onori di una grande
battaglia storica. Non soltanto la Francia, ma tutta l’Europa trema davanti al
terremoto di giugno [51],
mentre le successive disfatte delle classi più elevate vengono ottenute cosi a
buon mercato, che è necessaria l’insolente esagerazione del partito vittorioso
per poterle far passare come avvenimenti di importanza, ed esse diventano tanto
più vergognose quanto più il partito che soccombe è lontano dal partito
proletario [52].
Certo, la disfatta degli insorti di giugno aveva preparato,
spianato, il terreno su cui poteva essere fondata, stabilita, la repubblica
borghese [53];
però, aveva allo stesso tempo mostrato che si ponevano in Europa ben altri
problemi che di “repubblica o monarchia"; aveva rivelato che repubblica
borghese significa dispotismo assoluto di una classe su altre classi;
aveva provato che in paesi di vecchia civiltà e con una avanzata struttura di
classe, con condizioni di produzione moderne e una coscienza spirituale in cui
tutte le idee tradizionali sono state dissolte da un lavoro secolare, la repubblica
non è altro, in generale, che la forma politica del rovesciamento della società
borghese, ma non la forma della sua conservazione,
come avviene, per esempio, negli Stati Uniti d’America, dove classi sociali
esistono già, senza dubbio, ma non si sono ancora fissate, e in un flusso
continuo modificano continuamente le loro parti costitutive e se le cedono;
dove i moderni mezzi di produzione, invece di coincidere con un eccesso di
popolazione stagnante, compensano piuttosto la relativa scarsezza di teste e di
braccia; e dove infine lo slancio giovanilmente febbrile della produzione
materiale, che deve conquistarsi un mondo nuovo, non ha ancora lasciato né il
tempo né l’opportunità di far piazza pulita del vecchio mondo spirituale.
Tutte le classi e tutti i partiti si erano uniti durante le
giornate di giugno nel partito dell’ordine per fronteggiare la
classe proletaria, considerata come il partito dell’anarchia, del
socialismo, del comunismo. Essi avevano “salvato” la società dai “nemici
della società". Essi avevano dato alle loro truppe le parole d’ordine
della vecchia società: “Proprietà, famiglia, religione, ordine", e
gridato alla crociata controrivoluzionaria: “In questo segno vincerai!” [54].
A partire da questo momento, non appena uno dei numerosi partiti che sotto
questa insegna si erano schierati contro gli insorti di giugno cerca, nel suo
proprio interesse di classe, di tenere il campo della rivoluzione, viene
schiacciato al grido di “proprietà, famiglia, religione, ordine” [55].
La società viene salvata tanto più spesso, quanto più si restringe la cerchia
dei suoi dominatori, quanto più un interesse più ristretto prevale sugli
interessi più larghi [56].
Ogni rivendicazione della più semplice riforma finanziaria borghese, del
liberalismo più ordinario, del repubblicanesimo più formale, della democrazia
più volgare, viene ad un tempo colpita come "attentato contro la società”
e bollata come “socialismo” [57].
E alla fine gli stessi grandi sacerdoti della "religione e dell’ordine”
vengono cacciati a pedate dai loro tripodi pitici [58], strappati in piena notte dai loro letti,
stivati nelle vetture cellulari, gettati in carcere o spediti in esilio. Il
loro tempio [59] viene raso al suolo, la loro bocca
suggellata, la loro penna spezzata, la loro legge infranta, in nome della
religione, della proprietà, della famiglia, dell’ordine. Borghesi fanatici
dell’ordine vengono fucilati ai loro balconi da bande di soldati ubriachi, il
sacrario della loro famiglia viene profanato, le loro case vengono bombardate
per passatempo in nome della proprietà, della famiglia, della religione e
dell’ordine [60].
La feccia della società borghese forma, in ultima istanza, la falange
sacra dell’ordine e Crapülinski, l’eroe [61],
fa il suo ingresso alle Tuileries [62] come
“salvatore della società".
Note
1.Georg Wilhelm Friedrich Hegel(1770-1831). Per una breve
sintesi della filosofia hegeliana è per l’influenza che essa ha esercitato
sulla formazione di Marx e di Engels, nonché per là critica da essi compiuta al
nucleo metafisico del pensiero hegeliano nei loro anni giovanili. cfr. la breve
introduzione di F. Codino a K. Marx - F. Engels, La concezione
materialistica della storia, Roma, Editori Riuniti, 1969. Per notizie più
ampie cfr. A. Cornu, Marx ed Engels. Dal liberalesimo al comunismo,
Milano, Feltrinelli, 1971.
2. Marc Caussidière (1808-1861),
repubblicano piccolo-borghese. Aveva partecipato all’insurrezione operaia di
Lione, del 1834. Nel 1848 sotto il Governo provvisorio, fu prefetto di polizia
a Parigi. Fu costretto a dare le dimissioni dopo l’invasione popolare del
parlamento, avvenuta il 15 maggio 1848, sotto l’accusa di averla favorita. Dopo
l’insurrezione di giugno, dichiarato complice dei fatti del 15 maggio, dovette
riparare in Inghilterra.
3.Georges
Jacques-Danton (1759-1794), giacobino francese, ebbe una parte
preminente negli avvenimenti rivoluzionari dell’agosto 1792, che portarono alla
proclamazione della repubblica e alla convocazione della Convenzione per
l’elaborazione di una nuova costituzione democratica. Ministro della giustizia,
dall’agosto all’ottobre 1792, poi deputato alla Convenzione. Fallito il suo
tentativo di riconciliarsi coi girondini si avvicinò alla Montagna, ma
caldeggiò una politica più moderata, finché, sotto l’accusa di cospirazione, fu
ghigliottinato nel marzo del 1794.
4. Louis Blanc (1811-1882),
“socialista dottrinario", autore di opere storiche sul recente passato
della Francia. Pubblicò nel 1840 il celebre scritto L’Organisation du
travail [L’organizzazione dei lavoro]. In esso, al fine di evitare i
danni provocati dalla concorrenza (generatrice di monopolio) sia agli operai
sia ai borghesi, egli proponeva di organizzare il lavoro mediante laboratori
sociali, attrezzati dal governo nei settori principali dell’industria e
dell’agricoltura. Al fine di evitare lo Stato tiranno, questi
dovevano poi divenire indipendenti ed avere direzioni elettive. Anche i
capitalisti avrebbero potuto fornire capitale (a interesse normale) ai
laboratori. Si sarebbe verificato, in tal modo, “l’assorbimento progressivo e
pacifico dei laboratori privati da parte dei laboratori nazionali” e la
sostituzione dell’associazione alla concorrenza, “senza brutalità, senza
scosse". Membro dei Governo provvisorio, poi deputato alla Costituente, fu
accusato di complicità per i fatti del 15 maggio, e dovette riparare all’estero
dopo i fatti di giugno, nei quali però non ebbe alcuna parte. Sulle illusioni
di cui egli nutrì gli operai sotto il Governo provvisorio cfr. K. Marx. Le
lotte di classe, cit., pp. 110-114.
5. Maximilien
Marie Robespierre (1758-1794), deputato alla Costituente e poi alla
Convenzione, fu nel periodo del Terrore la personalità più influente della
Montagna e del Comitato di salute pubblica. - Fu messo in minoranza dalla
Convenzione e successivamente ghigliottinato insieme al Saint-Just nel luglio
del 1794. Con la sua morte finì il periodo del Terrore, s’iniziò il governo dei
Termidoriani e il potere passò alla borghesia moderata.
6. Il
18 brumaio (9 novembre) 1799, Napoleone Bonaparte abbatté con un colpo di stato
il regime dei Direttorio ed instaurò in Francia la sua tirannide personale, da
cui doveva nascere, qualche anno dopo, l’Impero. Il 2 dicembre 1851, Luigi
Napoleone ripeté il gesto dello zio, distruggendo la repubblica del 1848 come
questi aveva distrutto la repubblica del 1793. Di qui il titolo dell’opera di
Marx. L’accostamento fra il 2 dicembre e il 18 brumaio è assai diffuso nella
letteratura antibonapartistica dell’epoca.
7. Martin
Lutero (1483-1546) fu, l’iniziatore della Riforma protestante, che
staccò dalla Chiesa di Roma la maggioranza del popolo tedesco. Alla tesi
cattolica della giustificazione mediante la fede e le opere, egli contrappose
la tesi della giustificazione mediante la sola fede, di cui trovò l’ispirazione
in un versetto di S. Paolo: “Nel Vangelo è rivelata una giustizia di Dio che si
ha mediante la fede". Come già aveva affermato Engels nel 1850, le guerre
di religione del secolo XVI “furono lotte di classi precisamente come le
successive collisioni interne in Inghilterra e in Francia. Se queste lotte di
classi portarono allora parole d’ordine religiose, se gli interessi, i bisogni,
le aspirazioni delle singole classi, si nascosero sotto una maschera
religiosa", ciò fu dovuto alle condizioni di un’epoca in cui la Chiesa
aveva subordinato alla teologia tutta l’attività intellettuale ed era talmente
compenetrata coi mondo feudale che un attacco contro quest’ultimo, connesso con
nuove dottrine sociali, non poteva che esprimersi in un attacco contro la
Chiesa e la sua teologia (F. Engels, La guerra dei contadini in
Germania, Roma, Edizioni Rinascita, 1949, pp. 47-48.
8. Marx
riprende qui un motivo assai diffuso fra gli scrittori della prima metà del
secolo XIX. Cfr., ad esempio, G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia
della storia, Firenze, La Nuova Italia, 1947, voi. I, p. 202.
9. Camille
Desmoulins (1760-1794), celebre giornalista della Grande Rivoluzione,
membro della Convenzione e seguace di Danton. Ghigliottinato nel periodo del
Terrore.
10. Louis
Antoine Saint-Just (1767-1794), uno dei capi della Montagna di cui
rappresentò le tendenze sociali più avanzate. Fu membro dei Comitato di salute
pubblica e stretto collaboratore di Robespierre, insieme al quale subì la
ghigliottina nel luglio 1794, dopo il rovesciamento del predominio montagnardo.
11. La
politica di Napoleone I sviluppò al massimo l’attività della borghesia
francese. A tale scopo egli garantì da ogni ritorno dei vecchi padroni feudali
i proprietari che avevano acquistato durante la rivoluzione i beni della Chiesa
e degli emigrati; operò per superare, mediante un’accentuata centralizzazione
statale, il particolarismo regionale e municipale che ostacolava l’espansione
economica; fondò un nuovo sistema fiscale fondato sull’esclusione di ogni
privilegio, sull’uguaglianza tributaria, sull’eliminazione degli antichi
arbitri nella riscossione delle imposte, sulla formazione di un catasto dì beni
fondiari destinato a stabilizzare le contribuzioni. In particolare Napoleone
promulgò un codice civile che consentiva lo sviluppo senza inceppi dei capitale
mobile. Esso prevedeva la piena tutela della proprietà borghese ad opera dello
Stato e dei tribunali, liberava la proprietà da ogni vincolo feudale e ne
sanciva la piena disponibilità, divisibilità e trasmissibilità. Mediante
l’introduzione del nuovo codice civile nei territori europei conquistati con
una lunga serie di guerre e amministrati secondo le esigenze economiche della
borghesia francese (Belgio, Olanda, Italia, paesi renani, ecc.), mediante
l’abolizione in essi degli istituti feudali, dei fidecommessi, degli usi civici
ecc., Napoleone contribuì in pari tempo allo sviluppo borghese di questi paesi
e al rafforzamento della borghesia francese, che trovò in tale politica una
condizione favorevole per l’allargamento dei propri mercati.
12.A L.
Giunio Bruto e a Valerio Publicola, protagonisti
dell’abbattimento della monarchia a Roma e insieme consoli nel 509 a. C., si
richiamarono spesso i rivoluzionari francesi dei secolo XVIII, in connessione
con l’abbattimento della monarchia e la fondazione della Prima Repubblica. Ai
due fratelli Tiberio e Caio Gracco (tribuni della plebe rispettivamente nel 133
e nel 123 a. C. e fautori di una riforma agraria a favore della plebe) si
richiamarono durante la rivoluzione le correnti socialmente più avanzate che
rivendicavano una “legge agraria” (come avvenne ad esempio col Babeuf, che
spesso firmò i suoi articoli col nome di Gracco). Alla politica, seguita da
Caio Giulio Cesare (100-44 a. C.) per l’instaurazione della propria dittatura
fu spesso paragonata l’ascesa di Napoleone I al consolato e all’impero.
13. Jean
Baptiste Say (1767-1832), autore di opere considerate classiche dagli
economisti borghesi, e molto in voga sotto la Restaurazione. Fu considerato da
Marx il padre dell’"economia volgare". - Victor Cousinconsiderato
capo della cosiddetta scuola filosofica eclettica; esercitò una
notevole influenza culturale sotto la Monarchia di luglio; fu ministro
dell’istruzione nel governo Thiers. - Pierre Paul Royer-Collard (1763-1845)
filosofo spiritualista, deputato e presidente della Camera sotto la
Restaurazione fu uno dei “dottrinari monarchici” che propugnarono una monarchia
costituzionale di tipo inglese. Di orientamento cattolico, ma contrario al
clericalismo. La sua attività perdette ogni rilievo dopo il 1830. - Benjamin
Constant (1767-1830), liberale moderato, avversario di Napoleone e,
sotto la Restaurazione, esponente dell’opposizione borghese insieme a Thiers,
Cousin e Guizot. Presidente del Consiglio di Stato dopo la rivoluzione dei
luglio 1830. - François Guizot (1787-1874), importante storico
di origine protestante, consigliere di Stato e membro dell’opposizione borghese
sotto la Restaurazione. Fu uno dei capi della Rivoluzione di luglio del 1830,
dopodiché fu più volte ministro dell’istruzione e degli interni. Dal 1840 al
1848 ministro degli esteri nel gabinetto Soult, di cui fu però il capo. Nel
1847 presidente del consiglio. Assertore di un liberalismo moderato, il
cosiddetto "giusto mezzo", rappresentò alla camera le posizioni
dell’aristocrazia finanziaria. La rivoluzione di febbraio lo allontanò dalla
vita politica attiva.
14. Luigi
XVIII (1755-1824), re di Francia dal 1814.
15. Oliver Cromwell (1599-1658)
capo delle forze parlamentari e della borghesia rivoluzionaria inglese che, nel
1649, sconfissero re Carlo I e istituirono la Repubblica. Nell’ambito di
questa, sotto la dittatura di Cromwell, furono realizzate le principali
rivendicazioni economico-sociali della borghesia inglese. Marx allude qui al
peso che ebbero durante la rivoluzione borghese, in Inghilterra, gli ideali
religiosi calvinistici e puritani (i cui seguaci si richiamavano frequentemente
al Vecchio Testamento), abbracciati dalla borghesia rivoluzionaria in lotta
contro l’assolutismo degli Stuarts, tendente a restaurare il cattolicesimo. Sui
rapporti fra protestantesimo, lotta antifeudale e spirito del capitalismo cfr.
Engels, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, Roma,
Editori Riuniti, 1971, p. 47-50, K. Marx, Il capitale, Roma,
Editori Riuniti, 1970, I, 1, pp. 92-93 e 301.
16. John
Locke (1632-1704) è il filosofo empirista inglese che, nei suoi
scritti economici e politici, teorizzò in senso borghese il diritto di
proprietà, l’uguaglianza nella vita politica, la divisione dei poteri e la
tolleranza religiosa. Quando ebbe raggiunto i suoi fini, la borghesia inglese
abbandonò i miti religiosi che avevano dissimulato i suoi interessi e sorretto
nel momento della lotta la sua tensione rivoluzionaria, (miti che Marx,
ironicamente, fa impersonare da Abacuc, uno dei profeti minori del Vecchio
Testamento), per rivolgersi a teorie che, come quella di Locke, esprimevano
senza veli la sua concezione del mondo.
17. Repubblicano
in guanti gialli è chiamato da Marx il repubblicano borghese Armand
Marrast (1801-1852), redattore del National fino al
1848, poi membro dei Governo provvisorio e sindaco di Parigi, per l’ostentata
signorilità con cui egli, allora soprannominato il marchese della
repubblica, si sforzò di adempiere all’ufficio di presidente della
Costituente dal giugno 1848 allo scioglimento dell’Assemblea. Marx lo paragona
all’astronomo francese Jean Sylvain Bailly (1736-1793),
deputato nel 1789 agli Stati generali (poi trasformatisi in Costituente),
poiché durante la Rivoluzione francese il Bailly fu come il Marrast un moderato
e ricoprì le cariche di presidente della Costituente e di sindaco di Parigi.
Inoltre così come il Marrast aveva partecipato alla repressione dell’insurrezione
operaia di giugno, il Bailly era stato corresponsabile della sanguinosa
repressione del luglio 1791 contro i cittadini riunitisi al Campo di Marte,
dopo il tentativo di fuga del re per firmare una petizione repubblicana.
18. Famoso manicomio inglese.
19. Quello dei grandi debiti di Luigi
Napoleone è uno dei motivi più diffusi della polemica antibonapartistica
contemporanea. Tali debiti erano divenuti immensi a causa delle spese
necessarie per finanziare gli agenti bonapartisti.
20. Sul
10 dicembre 1848, in cui L. Napoleone fu eletto presidente della repubblica,
cfr. qui p. 76 e, in K. Marx, Le lotte di classe cit., le pp,
169-173.
21. Secondo,
una storia biblica (Esodo, 16, 3), fra gli ebrei che fuggivano dall’Egitto,
dove erano stati lungamente schiavi, si manifestò un grande scoraggiamento a
causa della difficoltà del viaggio, per cui molti avrebbero preferito, ad una
libertà riacquistata a prezzo di tanti sacrifici, la sazia schiavitù fino ad
allora sopportata. Nello stesso modo i francesi preferirono, alla libertà densa
di pericoli rivoluzionari, la tranquilla schiavitù sotto un nuovo Napoleone che
fungesse da sentinella dell’ordine.
22. Cioè
la rivoluzione proletaria.
23. Sullo
svolgimento della rivoluzione di febbraio cfr. K. Marx, Le lotte di
classe cit., pp. 101 e sg.
24. Con
gli intrighi e la dittatura di un avventuriero come L. Napoleone, ciò che
appare rovesciato non è cioè, come nel febbraio dei 1848; la monarchia (che
anzi essa si va ricostituendo nel quadro di una restaurazione imperiale
napoleonica), bensì appaiono e sono rovesciate non solo le libertà democratiche
sancite dalla costituzione dei 1848, ma le stesse libertà più limitate
(divisione dei poteri, esistenza di un parlamento effettivo anche se eletto a
suffragio ristretto ecc.) che, perfino nel periodo della Restaurazione, la
monarchia era stata costretta a concedere sotto l’influsso delle lotte svoltesi
in Francia dal 1789 in poi. Anziché una trasformazione sociale in senso più
avanzato, sembra dunque che le lotte dei 1848 in tale direzione abbiano invece
provocato un ritorno dello Stato dalla fase delle concessioni liberali alla
fase più antica dell’assolutismo, caratterizzata dal predominio dell’esercito
(di cui L. Napoleone si era servito per realizzare il colpo di stato) e dei
preti (che a partire dal 10 dicembre 1848 gli avevano garantito l’appoggio dei
contadini).
25. Colpo
di mano... colpo di testa.
26. Cfr.
nella Introduzione di Engels a K. Marx, Le lotte di classe cit.,
le pp. 56-57. Marx allude alla rapida disintegrazione, al termine della fase
ascendente delle passate rivoluzioni borghesi, della base sociale delle forze
più avanzate. Così i livellatori, durante la rivoluzione inglese
del secolo XVII, dopo la proclamazione della repubblica, e la loro sconfitta
dei maggio 1649, si disintegrarono rapidamente. Lo stesso accadde in Francia ai
giacobini i quali, dopo la vittoria della reazione termidoriana e il fallimento
dei due tentativi insurrezionali dell’aprile e del giugno 1705, perdettero
rapidamente la loro base popolare.
27. Questa
parodia della battuta di una nota favola esopiana (sullo smargiasso che si
vantava di aver saltato perfino il colosso di Rodi, e a cui fu detto: “Ecco
Rodi, ora puoi saltare") si trova già in Hegel. Nella sua Prefazione alla
Filosofia del diritto, dopo aver citato lo stesso verso, Hegel così continuava:
“Con. una piccola variante quella tal frase suonerebbe: Qui è la rosa, qui devi
ballare” (In greco i nomi di “Rodi” e “rosa” sono quasi uguali). La
trasformazione non s’intende se non si tiene presente che qualche rigo dopo Hegel
polemizza contro la rosa nella croce del presente simbolo della società dei
Rosacroce, setta di illuminati del secolo XVII che avevano precorso la
massoneria e si erano diffusi particolarmente in Italia (dove ebbero fra i loro
affiliati anche Cagliostro)
28. Secondo
l’art. 45 della Costituzione del 1848, la seconda domenica di maggio del 1852,
sarebbe scaduto il mandato quadriennale del presidente della repubblica e
sarebbe stato eletto il nuovo presidente. I democratici della Montagna,
specialmente gli esuli, speravano che tale elezione avrebbe portato il loro
partito al potere. Perciò essi anche dopo la soppressione universale,
orientarono la loro attività in quella prospettiva.
29. Furono
chiamati chiliasti i seguaci del millenarismo, una
credenza nella realizzazione di un regno glorioso e temporale di Cristo prima
del giudizio finale. Secondo un computo desunto dall’Apocalisse tale
regno era destinato a durare mille anni. I chiliasti furono numerosi fra i
cristiani i primi secoli. Vi fu una ripresa della loro credenza in alcuni
ambienti entusiasti al tempo della Riforma. Come i chiliasti attendevano il
regno millenario di Cristo, i piccoli borghesi attendevano, dalle elezioni del
1852, il regno millenario della repubblica democratica.
30. Cioè in
partibus infidelium, nelle terre degli infedeli. Si usava aggiungere questa
espressione al titolo dei vescovi cattolici il cui ufficio era pura mente nominale,
in quanto la loro diocesi era situata in terre occupate dagli infedeli. Tale
espressione fu frequentemente usata da Marx e da Engels a proposito dei governi
costituiti all’estero da emigrati politici, spesso incapaci di tener conto
della situazione politica reale dei loro paese. Tali erano i democratici
piccolo-borghesi che, nel febbraio del 1851, avevano costituito a Londra una
specie di governo centrale della democrazia europea, con lo scopo di dirigere
le lotte dei partiti democratici nei vari paesi. Ad esso parteciparono Mazzini,
Ruge, Ledru-Rollin ecc. In concomitanza con esso sorsero a Londra comitati o
“governi provvisori” per i singoli paesi. Su ciò cfr. la corrispondenza fra
Marx ed Engels dei primi mesi del 1851 in Carteggio Marx-Engels, cit.,
voi. I.
31. Intorno
al 390 a.C. i Galli occuparono Roma, ad eccezione del Campidoglio, i cui
difensori, secondo la tradizione, furono svegliati dallo schiamazzo delle oche
del tempio di Giunone e così salvati da un attacco di sorpresa degli invasori.
32. Libertà,
uguaglianza, fraternità. E’ la parola d’ordine che il 25 febbraio
accompagnò la proclamazione della repubblica e fu inserita nella costituzione
del 1848. In essa, ma in particolare nella fraternité, Marx
individuò l’illusione dei democratici di aver dissolto, nella fratellanza
universale, le contraddizioni di classe. Ciò fu presto smentito
dall’insurrezione operaia di giugno e dalla crudeltà della successiva
repressione. Cfr. K. Marx, Le lotte di classe cit., pp. 117 e
139.
33. Il
2 dicembre 1851 la costituzione del 1848 fu soppressa insieme al parlamento.
Furono in tal modo dispersi i due gruppi monarchici del partito dell’ordine,
orleanisti e legittimisti, i repubblicani puri o azzurri delNational e
i repubblicani piccolo-borghesi della Montagna. In pari tempo il colpo di Stato
respinse nell’ombra gli eroi d’Africa (cioè i generali che avevano partecipato
alle operazioni militari svoltesi in Algeria tra il 1829 e il 1848, presenti in
tutti i partiti borghesi, dal repubblicano Cavaignac, a Bedeau, a Lamoricière,
al monarchico Changarnier), gli oratori politici più noti della tribuna
parlamentare (alla quale guardavano con nostalgia tutti gli scrittori
antibonapartisti), i creatori di teorie sociali come Considérant e Proudhon, i
letterati più noti dell’opposizione, da E. Sue a V. Hugo.
34. Goethe, Faust,
parte prima, “Stanza da studio", parole di Mefistofele.
35. Su Luigi
Filippo (1773-1850), re dei francesi dalla rivoluzione del luglio 1830
al febbraio 1848, e sui caratteri generali del periodo in cui fu sul trono cfr.
K. Marx, Le lotte di classe, cit., pp. 90-102.
36. Su
tale periodo cfr. ibidem le pp. 102-133. Marx lo chiama il
prologo della rivoluzione, in quanto egli considera come vera rivoluzione solo
quella proletaria, culminata nei fatti del giugno 1848.
37. In
attesa della convocazione dell’Assemblea Costituente, il Governo provvisorio
cercò di rinviare a questa ogni decisione sostanziale (compresa la
proclamazione definitiva della repubblica, imposta dalle masse nel febbraio),
al fine di sottrarsi alla preponderanza del proletariato parigino e di
rimettere ogni decisione definitiva alla “sobria Francia contro l’ebbra
Parigi".
38. Sulla
composizione del governo provvisorio cfr. K. Marx, Le lotte di classe cit.
pp. 103-105. Si chiamò opposizione dinastica il gruppo diretto
da Odilon Barrot il quale, sotto la Monarchia di luglio, rappresentava alla
camera i circoli liberali della borghesia industriale e commerciale. Esso
voleva una riforma elettorale che, allargando moderatamente il suffragio,
permettesse alla borghesia industriale e commerciale di ottenere la
maggioranza, ma, in pari tempo, di conservare la dinastia orleanista e
l’esclusione delle masse lavoratrici dalla vita politica. L’agitazione si
estese, però, fra le masse sorpassando queste modeste rivendicazioni e
imponendo, con l’insurrezione, la repubblica e il suffragio universale.
39. Marx
intende, con aristocrazia finanziaria, “i banchieri, i re della Borsa, i re
delle ferrovie, i proprietari delle miniere di carbone e di ferro e delle
foreste, e una parte della proprietà fondiaria venuta con essi a un
accordo". Si tratta cioè di una “frazione” della borghesia (K. Marx, Le
lotte di classe cit., p. 91).
40. La
Guardia nazionale era una milizia di cittadini armati, destinata a presidiare
le conquiste rivoluzionarie. Essa aveva fatto la sua comparsa durante la
Rivoluzione francese ed era composta. da elementi della borghesia nelle sue
varie gradazioni. L’atteggiamento della Guardia nazionale fu decisivo per il
risultato di ogni insurrezione scoppiata in Francia nel secolo XIX.
41. Cfr.
K. Marx, Le lotte di classe cit., pp. 120-126, in cui vengono
indicati i motivi economici che spinsero la piccola borghesia e i contadini a
lottare a fianco della borghesia contro il proletariato: in special modo il
divieto di convertire in denaro, per un importo superiore a 100 franchi, le
somme depositate sui libretti delle casse di risparmio (particolarmente dannosa
per la prima) e l’imposta dei 45 centesimi (particolarmente dannosa per i
secondi).
42. “Se
Parigi, grazie all’accentramento politico, domina la Francia, nei momenti di
convulsioni rivoluzionarie gli operai dominano Parigi” (K. Marx, Le
lotte di classe, cit., p. 106).
43. La
maggioranza dei novecento membri dell’Assemblea erano repubblicani borghesi,
legati al National. Un quarto dell’Assemblea era composto da
monarchici legittimisti e orleanisti, per il momento favorevoli alla
repubblica. Vi erano inoltre i democratici piccolo-borghesi e qualche
rappresentante degli operai (come Blanc), i quali subirono un evidente insuccesso.
44. Sui
fatti del 15 maggio cfr. K. Marx, Le lotte di classe, cit., pp.
136-137. Il proletariato, che chiedeva l’intervento francese a favore della
Polonia, penetrò nell’Assemblea, ma fu respinto dalla Guardia nazionale e dalla
Guardia mobile.
45. Louis
Auguste Blanqui (1805-1881), comunista francese. Partecipò all’insurrezione
del 1830 e capeggiò la fallita insurrezione parigina del 1839. Animatore di
club proletari, organizzò i movimenti degli operai parigini del marzo e del
maggio 1848. Nel 1870-1871 fu fra i promotori della Comune. Subì circa 37 anni
di carcere. Marx ed Engels, pur ravvisando in lui la mancanza di un vero
programma economico-sociale e respingendo la tesi che un piccolo numero di
cospiratori disciplinati e risoluti sarebbe stato in grado di impadronirsi del
potere e di mantenerlo, lo considerarono l’unico capo veramente rivoluzionario
del proletariato francese. Nel maggio 1848 furono arrestati insieme a lui
Barbès, Albert, Raspail ecc.
46. Cfr.
K. Marx, Le lotte di classe, cit., pp. 136-145. Il proletariato
rispose con l’insurrezione al tentativo della borghesia e del governo di
liquidare i laboratori nazionali istituiti nel febbraio, come
rimedio contro la disoccupazione, e forti di 100.000 operai. Sui laboratori
nazionali cfr. ibidem pp. 128-130.
47. La Guardia
mobile fu creata, con un decreto del Governo provvisorio, per la lotta
contro il proletariato rivoluzionario. Essa fu composta specialmente di
sottoproletari e impiegata contro il proletariato il 16 aprile, il 15 maggio e
durante l’insurrezione di giugno. Fu sciolta nel gennaio 1849.
48. Così
accadde il 29 gennaio e il 13 giugno 1849, così accadde nella primavera del
1850 e il 2 dicembre 1851.
49. Dopo
gli arresti del 15 maggio e la repressione di giugno, si ebbero le
incriminazioni di Blanc e Caussidière, che ripararono in Inghilterra. Fu poi la
volta di numerosi esponenti socialdemocratici, implicati nel fallito tentativo
insurrezionale del 13 giugno 1849.
50. Marx
allude qui ai tentativi di tradurre in pratica le idee di “socialisti
dottrinari" come Considérant, Vidal, Leroux, Blanc, Proudhon. Noti fra
questi tentativi sono: l’istituzione della “Commissione del Lussemburgo” (cfr.
K. Marx, Le lotte di classe, cit pp. 110-111), ispirata alle
concezioni di Blanc sulla “organizzazione del lavoro", la quale funzionò
nel periodo del Governo provvisorio; la fondazione, nel gennaio 1849, di una
"Banca del popolo", promossa dal Proudhon, in armonia con la sua
teoria del “credito gratuito". In questo passo Marx ribadisce la tesi, più
volte enunciata, che la liberazione della classe operaia dipende unicamente dai
“grandi mezzi collettivi", cioè dalla lotta di classe collettiva per la
conquista del potere mediante le organizzazioni rivoluzionarie del
proletariato. Tale lotta aveva costituito il motivo predominante
dell’insurrezione di giugno. In pari tempo Marx esclude l’utilità di ogni altro
mezzo con cui si pretenda di sostituire la lotta di classe. Egli respinge le
illusioni, spesso ripresentatesi nella successiva storia del movimento operaio,
sulla possibile pacifica integrazione del socialismo nel capitalismo mediante
lo sviluppo di associazioni economiche, cooperative ecc., indipendentemente
dalla lotta di classe, dalla conquista del potere politico da parte del
proletariato e dalla conseguente espropriazione dei capitalisti.
51. Tutta
la borghesia europea, presa dal terrore per la rivoluzione proletaria suscitato
in essa dall’insurrezione di giugno, era stata spinta di nuovo “nelle braccia
della reazione feudale monarchica poco prima rovesciata". (Introduzione di
Engels a K. Marx, Le lotte di classe, ed. cit., p. 50).
52. Marx
allude alle esagerazioni, diffuse dal “partito dell’ordine", sulla
vittoria riportata da Changarnier, il 13 giugno 1849, nei confronti della
"manifestazione pacifica” della Montagna (cfr. qui p. 107); egli allude
inoltre allo scarso rilievo della vittoria, riportata successivamente da L.
Napoleone, sulla debolissima resistenza del “partito dell’ordine” al colpo di
stato del 2 dicembre.
53. Cioè
la repubblica borghese pura e semplice, senza i limiti e gli equivoci di una
“repubblica accompagnata da istituzioni sociali” (come l’aveva concepita il
proletariato); una repubblica che esprimesse pienamente la “dittatura della
borghesia” (come avvenne dopo giugno, col terrorismo, con lo stato d’assedio,
con le leggi liberticide ai danni del proletariato).
54. Allusione
alla leggenda secondo cui l’imperatore romano Costantino (244-337), nel 312,
prima della battaglia contro Massenzio, avrebbe visto in cielo una croce con
sopra scritto: “In questo segno vincerai".
55. Marx
allude all’allontanamento dal potere dei democratici, avvenuto nel
giugno 1848 con l’eliminazione della Commissione esecutiva di cui faceva parte
anche Ledru-Rollin; dei repubblicani borghesi, con le elezioni
presidenziali, la formazione di un ministero del partito dell’ordine e lo
scioglimento anticipato della Costituente; del “partito dell’ordine",
con la sua esclusione dal governo nel novembre 1849.
56. Salvatori
della società furono detti rispettivamente: il Cavaignac, per aver
diretto la repressione di giugno; Changarnier, per aver violentato la
Costituente, nel gennaio del 1849, e aver represso la “manifestazione
pacifica" organizzata dalla Montagna il 13 giugno 1849; infine Luigi
Bonaparte, per avere eliminato l’anarchia del regime parlamentare.
57. Come
afferma Engels, nella Prefazione all’edizione tedesca del Manifesto (ed
cit., p. 43), sotto la categoria “socialismo” venivano allora sussunte due
specie di persone: Da un lato i seguaci dei vari sistemi utopistici,
specialmente gli owenisti in Inghilterra e i fourieristi in Francia. Dall’altro
lato i molteplici dulcamara sociali, che con le loro varie panacee e con ogni
sorta di rattoppi volevano guarire le miserie sociali, senza fare alcun male al
capitale e al profitto. In entrambi i casi gente che stava al di fuori dei
movimento operaio e cercava piuttosto un appoggio tra le classi “colte".
Fu per distinguersi da questi indirizzi che Marx ed Engels si chiamarono
comunisti. Ma, in modo ancora più vago, giunsero a chiamarsi socialisti, o
furono accusati di esserlo, anche alcuni repubblicani borghesi, come J. Favre,
il quale dichiarò il 24 maggio 1850: “Il socialismo non è altro che lo spirito
umano in azione e in esercizio; è il razionalismo, è la ragione umana nella sua
libertà e nella sua indipendenza". Cfr. anche in K. Marx, Le lotte
di classe, cit., le pp. 265-268.
58. Sul coperchio di un recipiente di bronzo,
poggiato su un tripode, sedeva a Delfi la Pizia, la sacerdotessa di Apollo che
emetteva gli oracoli in nome dei dio.
59. Cioè il Parlamento.
60. Marx
si riferisce alla repressione del 3-4 dicembre 1851 contro alcuni deboli
tentativi di resistenza al colpo di stato e, in particolare, al massacro
indiscriminato di uomini e donne compiuto dai soldati di Bonaparte in alcuni
quartieri borghesi del centro di Parigi, col pretesto di eliminare alcune
barricate, ma in effetti con l’intento di scoraggiare gli avversari.
61. Crapülinski,
come Marx chiama L. Bonaparte, è il ridicolo eroe della nobiltà corrotta nella
poesia di Heine: I due cavalieri. Tale nome è formato dalla parola
francese crapule (in italiano: crapula).
62. Les
Tuileries: palazzo parigino, sulla riva destra della Senna. Appartenne ai
re di Francia. Vi risiedettero temporaneamente Luigi XV e Luigi XVI. Fu poi
sede della Convenzione. Divenne la sede ufficiale di Napoleone I, dei re della
Restaurazione, di L. Filippo e, infine, di L. Napoleone divenuto imperatore.
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