*(Estratto dal libro di Moishe Postone, « Temps, travail
et domination sociale. Une réinterprétation de la théorie critique de Marx »,
pp. 519-524, Mille et une nuits, 2009) Da: http://francosenia.blogspot.it/
** Moishe Postone è uno storico canadese,
professore di storia all'Università di Chicago. Dal 1972 al 1982 ha vissuto a
Francoforte sul Meno dove è stato collaboratore dell'Istituto di Ricerche
Sociali.
Ora, possiamo tornare alla questione del ruolo storico della
classe operaia e della contraddizione fondamentale del capitalismo, così come
viene trattata implicitamente da Marx nella sua critica della maturità. Nel
concentrarmi sulle forme strutturanti la mediazione sociale, costitutive del
capitalismo, ho mostrato che la lotta di classe non genera, in sé e per sé, la
dinamica storica del capitalismo; in realtà, essa è un elemento motore di
questo sviluppo solo perché è strutturata da delle forme sociali
intrinsecamente dinamiche. Come si è già detto, l'analisi di Marx respinge
l'idea che la lotta fra la classe capitalista ed il proletariato sia una lotta
fra la classe dominante nella società capitalista e la classe che reca in sé il
socialismo e che, di conseguenza, il socialismo rappresenti
l'auto-realizzazione del proletariato. Quest'ultima idea è strettamente legata
alla comprensione tradizionale della contraddizione fondamentale del
capitalismo in quanto contraddizione fra la produzione industriale ed il
mercato e la proprietà privata. Ciascuna delle due grandi classi del
capitalismo viene identificata come uno dei termini di questa
"contraddizione"; l'antagonismo fra lavoratori e capitalisti viene
perciò visto come l'espressione sociale della contraddizione strutturale fra le
forze produttive ed i rapporti di produzione. Tutta questa concezione si basa
sul concetto di "lavoro" visto come fonte trans-storica della
ricchezza sociale e come elemento costitutivo della vita sociale.
Ho criticato i postulati che stanno alla base di questa
concezione, spiegando nel dettaglio le distinzioni operate da Marx fra il
lavoro astratto ed il lavoro concreto, fra il valore e la ricchezza materiale,
e mostrando la centralità che tali distinzioni hanno nella sua teoria critica.
A partire da queste distinzioni, ho sviluppato la dialettica del lavoro e del
tempo che si trova al cuore dell'analisi marxiana del modello di crescita e
della traiettoria di produzione che caratterizzano il capitalismo. Secondo
Marx, lungi dall'essere la materializzazione delle sole forze produttive, che
sono strutturalmente in contraddizione con il capitale, la produzione
industriale fondata sul proletariato è completamente modellata dal capitale;
essa è la materializzazione delle forze produttive e dei rapporti di
produzione. Non può quindi essere assunto come un modo di produzione che,
immutato, potrebbe servire da base al socialismo. In Marx, la negazione storica
del capitalismo non può essere intesa come una trasformazione che renderebbe
adeguato il modo di distribuzione al modo di produzione industriale sviluppato
sotto il capitalismo.
Analogamente, è ormai chiaro che, nell'analisi di Marx, il
proletariato non è il rappresentante sociale di un possibile futuro non
capitalista. L'idea logica del dispiegarsi della categoria di capitale,
descritta da Marx, la sua analisi della produzione industriale, respingono i
postulati tradizionali che fanno del proletariato il soggetto rivoluzionario.
Per Marx, la produzione capitalista si caratterizza attraverso un'immensa
espansione delle forze produttive e per mezzo delle conoscenze che si sono
costituite in un quadro determinato dal valore e che, pertanto, esistono sotto
la forma alienata del capitale. Nel momento in cui la produzione industriale si
è pienamente sviluppata, le forze produttive della totalità sociale sono divenute
più grandi di quanto fosse l'abilità, il lavoro e l'esperienza del lavoratore
collettivo. Sono diventate socialmente generali, e le conoscenze e le
competenze accumulate dall'umanità si sono costituite, in quanto tali, sotto
una forma alienata; non possono essere assunte in maniera adeguata come forze
oggettivate del proletariato. Il "lavoro morto", per usare le parole
di Marx, non è più l'oggettivazione del solo "lavoro vivo"; è
diventato l'oggettivazione del tempo storico.
Secondo Marx, con lo svilupparsi della produzione
industriale capitalista, la creazione di ricchezza materiale diventa sempre
meno dipendente dall'impiego di lavoro umano immediato nella produzione. Questo
tipo di lavoro, tuttavia, continua necessariamente a giocare un ruolo, nel senso
che la produzione del (plus)valore dipende da esso; la ricostituzione
strutturalmente fondata del valore si rivela essere allo stesso tempo la
ricostituzione della necessità del lavoro proletario. Da qui: mentre la
produzione industriale capitalista continua a svilupparsi, il lavoro proletario
è sempre più superfluo dal punto di vista della ricchezza materiale, quindi
anacronistico; tuttavia, rimane necessario in quanto fonte del valore. Allo
stesso tempo in cui si manifesta questa dualità, più il capitale si sviluppa e
più rende vuoto e frammentato il lavoro di cui ha bisogno per costituirsi.
L'«ironia» storica di questa situazione, così come Marx
l'analizza, consiste nel fatto di essere il capitale costituito esso stesso dal
lavoro proletario. Va notato a riguardo quanto sia rivelatore che Marx, nel
momento in cui considera la categoria economico-politica del "lavoro
produttivo", non la tratta come un'attività sociale che costituisce la
società e la ricchezza in generale - detto in altri termini, non la tratta come
"lavoro". Piuttosto, definisce il lavoro produttivo sotto il
capitalismo come lavoro che produce il plusvalore, cioè a dire che contribuisce
all'auto-valorizzazione del capitale [*1]. In questo modo, Marx
trasforma ciò che, nell'economia politica classica, è una categoria
trans-storica e positiva, in una categoria storicamente specifica e critica, e
cattura quello che si trova al cuore del capitalismo. Lungi dal glorificare il
lavoro produttivo, Marx scrive: «Il concetto di lavoratore produttivo,
quindi non include affatto la sola relazione fra attività e risultato
raggiunto, fra lavoratore e prodotto del lavoro, ma è allo stesso tempo un
rapporto sociale specifico, nato dalla storia, che appone sul lavoratore il
marchio di strumento di valorizzazione immediata del capitale. Perciò, essere
un lavoratore produttivo non può essere considerata una fortuna ma, al
contrario, una disgrazia» [*2]. In altri termini, il lavoro
produttivo è la fonte strutturale del suo auto-dominio.
Nell'analisi di Marx, il proletariato rimane quindi
strutturalmente importante per il capitalismo, in quanto fonte del valore, ma
non della ricchezza materiale. Questo si trova agli antipodi delle
interpretazioni tradizionali riguardo il proletariato: lungi dal costituire le
forze produttive socializzate che entrano in contraddizione con i rapporti
sociali capitalisti e che allo stesso tempo portano ad un possibile futuro
post-capitalista, la classe operaia è per Marx l'elemento costitutivo
essenziale di questi rapporti stessi. Tanto il proletariato quanto la classe
capitalista sono legate al capitale, ma il proletariato lo è di più: si può
immaginare il capitale senza capitalisti, ma non senza il lavoro creatore del
valore. Secondo la logica dell'analisi di Marx, la classe operaia, anziché
portare in sé un possibile società futura, è la base necessaria del presente in
cui soffre; è legata all'ordine esistente in maniera tale da farne l'oggetto
della storia.
In breve, l'analisi che Marx ha fatto della traiettoria del
capitale non ci mostra in alcun modo la possibile auto-realizzazione, in una
società socialista, del proletariato in quanto vero soggetto della storia [*3].
Al contrario, ci presenta la possibile abolizione del proletariato, e del
lavoro che il proletariato svolge, come condizione dell'emancipazione.
Quest'interpretazione implica necessariamente il ripensare il rapporto fra la
lotta di classe nella società capitalista e il possibile superamento del
capitalismo - problema al quale qui si può solo accennare. Ciò indica che non
si può comprendere la possibile negazione storica del capitalismo, suggerita
dalla critica di Marx in termini di riappropriazione da parte del proletariato
di ciò che esso ha costituito, e pertanto in termini di abolizione della sola
proprietà privata. In realtà, la logica dell'esposizione di Marx implica
chiaramente che la negazione storica del capitalismo dev'essere concepita come
la riappropriazione da parte degli uomini delle capacità socialmente generali
che in definitiva non si basano sulla classe operaia e che si sono storicamente
costituite sotto la forma alienata del capitale [*4]. Una tale
riappropriazione è possibile soltanto se la base strutturale di questo processo
di alienazione - il valore, quindi il lavoro proletario - viene abolita. A fronte
di ciò, l'apparizione storica di una simile possibilità è funzione della
contraddizione soggiacente al capitalismo.
- Moishe Postone -
NOTE:
[*1] - Il Capitale, Libro I
[*2] - Ivi. Ciò conferma ancora una volta che la
centralità del lavoro proletario nell'analisi marxiana del capitalismo non va
presa come una valutazione positiva del primato ontologico del lavoro nella
vita sociale, né come parte di un'argomentazione secondo la quale gli operai
costituirebbero il gruppo più oppresso nella società. In realtà, il lavoro si
trova al cuore dell'analisi marxiana in quanto elemento costitutivo
fondamentale della forma dinamica ed astratta del dominio sociale proprio al
capitalismo - cioè a dire, in quanto centro della critica. L'analisi marxiana
del lavoro determinata dalla merce e la relazione di quest'analisi con il
concetto di soggetto, suggerisce così un approccio storico-culturale al
problema di sapere quali sono le attività diventate socialmente riconosciute
come lavoro, e quali sono gli individui socialmente considerati come soggetti.
Quest'interpretazione potrebbe contribuire alla discussione sulla costituzione
socio-storica dei generi e cambiare i termini di numerosi recenti dibattiti
sulla relazione fra la critica marxiana ed i problemi relativi alla posizione
socio-storica delle donne, delle minoranze etniche ed altri tipi di gruppi. Da
tali dibattiti, si è tentato di partire da posizioni marxiste tradizionali, o
di opporvisi (Questa tendenza si è espressa, ad esempio, nel sapere se il
lavoro domestico sia altrettanto importante, per la società, del lavoro in
fabbrica, o se la classe - come opposta al genere, all'etnia o ad altre
categorie sociali - sia necessariamente la categoria più pertinente quando si
parla di oppressione sociale).
[*3] - Jean Louise Cohen, anche lei si oppone
all'idea del proletariato come soggetto rivoluzionario, ma identifica questa
posizione marxista tradizionale nell'analisi fatta da Marx del processo di
produzione capitalista. Vedi:
Jean Cohen, Class and Civil Society : The Limits of Marxian Critical Theory,
1982, pp. 163-228.
[*4] - Quest'analisi respinge le interpretazioni
che attribuiscono a Marx l'idea quasi romantica secondo cui il superamento del
capitalismo porterà alla vittoria del "lavoro vivo" sul "lavoro
morto" (Vedi Jürgen Habermas, "Teoria dell'agire comunicativo").
Come lo svilupperò nella sezione seguente, l'analisi di Marx suggerisce infatti
che la possibilità di una società futura qualitativamente differente si radica
nel potenziale contenuto nel "lavoro morto".
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