Vedi anche: La Rivoluzione Russa - Luciano Canfora
Il Russel è un grande pacifista liberale, uno spirito libero e superiore come pochissimi ne possiede la classe borghese; egli ha compreso il senso profondo e la necessità storica della Rivoluzione proletaria, come non hanno compreso i socialdemocratici che continuano a esaltare la democrazia borghese e a vedere in essa l'ultimo termine dello sviluppo storico.
Non è diventato bolscevico, ma ha concluso uno studio critico sulla Repubblica dei Soviet, scritto dopo un viaggio in Russia, con l'affermazione: "se abitassi in Russia, mi metterei ai servizi dello Stato operaio".
(Antonio Gramsci)
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Prima
di discutere il mio argomento intendo fare un rapidissimo esame del
mondo dal punto di vista delle possibilità di libertà. Le ultime
possibilità di libertà sono più grandi che mai, ma anche i
pericoli sono grandi e molto difficile è l'avvenire immediato.
La
guerra è stata una pietra di paragone che ha rivelato cosa vi era di
forte e cosa di debole nelle pretese fedi degli uomini. Gran parte di
ciò che apparteneva alla tradizione più a lungo ancora
probabilmente avrebbe durato, senza le dure realtà che la guerra ha
imposte all'attenzione del popolo. Molte cose furono spazzate via, di
quelle che facevano parte di ciò che si può chiamare la urbanità;
la loro esistenza dipendeva dal fatto che non si era capaci di
ritornare alla culla e che non si agitavano le passioni primitive. Il
mondo, dopo la guerra, è più franco, meno agile, più brutale. La
separazione tra giovani e vecchi è più profonda che mai, perchè i
vecchi riuscirono a idealizzare la guerra e per farlo dovettero
staccarsi più del solito dalla realtà, mentre i giovani non mai
come ora hanno avuto la realtà profondamente radicata entro di sè.
In conseguenza di ciò la politica non è più attraente come una
volta, e benchè i capi dei partiti politici ancora indulgano alla
vecchia ciarlataneria, essa non fa più presa, e i motivi per cui gli
uomini votano sono molto realistici.
Non
solo il partito liberale ma lo stesso ideale liberale si è, in
conseguenza della guerra, eclissato. Il suo fallimento fu reso
manifesto dalla clamorosa sconfitta del presidente Wilson. Gli ideali
liberali, dipendevano da un certo grado di tolleranza tra uomo e
uomo, da una repugnanza a spingere le cose agli estremi. La
tolleranza religiosa, la democrazia, la libertà di parola, la
libertà di stampa e di commercio erano tutti principi i quali
implicavano la non irreconciliabilità delle differenze tra i diversi
gruppi. Io sono tra coloro che in conseguenza della guerra sono
passati dal liberalismo al socialismo, e non perchè sia venuta meno
in me l'ammirazione per molti degli ideali liberali, ma perchè non
vedo per essi un avvenire prima di una completa trasformazione della
struttura economica della società.
La
guerra ha portato a una contrapposizione della plutocrazia e del
lavoro, del capitalismo e del socialismo. Il socialismo è apparso
infine come una forza quasi uguale al capitalismo per il suo potere.
In Russia, esso è al potere e altrove ha la possibilità di
giungervi. Che cosa possono offrire questi due opposti principi?
Il
capitalismo fino a che ha lottato contro il feudalesimo ha favorito
alcune idee liberali: libertà, democrazia e pace. Ha favorito pure
l'aumento della produzione. La guerra ha spazzato via gli ultimi
resti del feudalesimo: sono scomparsi i tre imperatori che dominavano
l'Europa Orientale; nelle superstiti monarchie "i re",
secondo le parole di Milton, "ancora seggono al trono, con gli
occhi pieni di terrore". Ma ogni passo fatto sulla via della
vitoria del capitalismo sul passato lo ha reso più ostile
all'avvenire e meno liberale. Oggi mi hanno detto che in America vi è
una prigione ai piedi della statua della libertà.
La
maggior parte del mondo civile è soggetta al regno del terrore.
Il regno del terrore dei bolscevichi senza dubbio fu usato per darci la carne di pollo, ma esso non differisce dagli altri che per lo scopo. Non faccio speciale allusione al terrore bianco di luoghi come l'Ungheria, dove il bolscevismo è stato vinto: simili metodi, in una forma meno brutale, sono diventati universali. In Francia, assolvendo l'assassino di Juarès, i tribunali hanno fatto comprendere che l'assassinio di un socialista non è illegale. In America chiunque professa idee socialiste è passibile di prigione o di deportazione, e i socialisti regolarmente eletti non sono stati autorizzati a sedere nell'assemblea legislativa di Nuova York. In Irlanda chiunque crede ai diritti delle piccole nazioni e al diritto per esse di disporre di sè, chiunque crede in un altro dei principi per cui la guerra fu combattuta, è passibile di prigione senza giudizio. Inutile parlare delle indie: i fatti sono ormai troppo noti. Da un capo all'altro del mondo assistiamo al cozzo di forze nude. Il socialismo, alleato al nazionalismo degli oppressi, è spietatamente combattuto dal capitalismo sostenuto dal nazionalismo dei vincitori.
In
simili circostanze, da un capo del mondo all'altro non si può più
parlare di libertà. Ma la democrazia? La democrazia si diceva fosse
uno dei principi per i quali in guerra si è combattuto. Ora i
bolscevichi ci dicono che la democrazia quale noi l'avevamo pensata
finora è un inganno borghese. I capitalisti ci dicono d'altra parte
che è antidemocratico il tentativo si impedire con l'azione diretta
a un Parlamento reazionario di infischiarsi della volontà della
maggioranza. Cerchiamo di capire che cosa è in regime capitalista la
democrazia. Incominciamo dal potere giuridico e dal potere civile,
entrambi alleati della plutocrazia. Sta di fatto che i membri del
parlamento e più di essi i ministri, per la loro posizione sociale e
per i loro redditi, sono naturalmente legati con le classi
possidenti. Sta di fatto che le influenze capitalistiche agiscono in
modo più accentrato, più rapido, più segreto che le influenze del
lavoro e sta pure di fatto che la psicologia del potere tende ad
avvicinare coloro che ne sono in possesso piuttosto ai direttori del
meccanismo industriale capitalistico che a coloro che oggi ostacolano
il loro facile lavoro.
Il
potere costituzionale della democrazia si limita a una scelta che
avviene una volta ogni cinque anni, a una scelta che spesso ha luogo
tra candidati nessuno dei quali esprime realmente le opinioni
politiche della sua circoscrizione perché, date le spese elettorali,
soltanto delle grandi e ricche organizzazioni o degli individui molto
fortunati possono lottare con qualche probabilità di successo. In
tutto il lavoro che contribuisce a formare l’opinione prima
dell’esercizio del voto, il capitalismo ha una preponderanza
enorme. Si comincia dalle scuole, dove l’educazione tende a far
sorgere il rispetto per lo stato di fatto, si va avanti con la stampa
che, salvo rare eccezioni, è una impresa capitalistica devota agli
interessi del capitalismo. L’animo del bambino è messo sopra una
falsa via, la mente dell’adulto è imbottita di errori; soltanto
coloro che hanno una eccezionale energia e si sono conquistata
indipendenza di pensiero, essi soli possono sperare di avvicinarsi a
una visione esatta delle questioni che debbono decidersi con le
elezioni. I primi fautori della democrazia credevano facil cosa per
un uomo la conoscenza del proprio interesse, e credevano quindi
ch’egli avrebbe votato in accordo con esso. In tal modo la
risultante di un governo democratico sarebbe stata una giusta
rappresentanza di tutti gli interessi, in proporzione della loro
forza numerica. Mirabile teoria! Ma se essi avessero studiato, ad
esempio, i Gesuiti e l’influenza loro, si sarebbero convinti della
sua falsità. Le opinioni comuni dell’uomo sono fabbricate
per lui come
la casa che egli abita. E’ libera la scelta tra un piccolo numero
di opinioni diverse, ma la varietà è strettamente limitata da forze
che sfuggono al suo controllo. E’ vero però che vi sono dei limiti
anche a ciò che si può fare per fabbricare l’opinione. Se le
idee inculcate portano alla morte di una grande quantità di uomini
in una guerra e
alla miseria delle donne e dei bambini, può darsi che dopo un certo
numero di anni i sistemi abituali di foggiare l’opinione
falliscano. In questo caso scoppia la rivoluzione. Ma le miserie che
si debbono affrontare prima di giungere a questo punto sono
spaventose. Ciò che si suol chiamare governo della maggioranza in
una democrazia borghese, è dunque in realtà il dominio di coloro
che controllano i mezzi di formare l’opinione comune, specialmente
le scuole e la stampa. E’ assurdo avere un culto fideistico per un
sistema simile, è assurdo condannare ogni uso dell’azione diretta
col pretesto della sedicente sacrosanta autorità di un governo
eletto da anni in circostanze completamente diverse dalle attuali.
Hanno ragione i bolscevichi di affermare che la democrazia borghese è
una truffa mediante la quale le vittime sono
invitate a sottoscrivere la propria condanna, onde sia ridotta al
minimo la forza necessaria per applicarla.
Allo
scoppio della guerra il capitalismo pretendeva che
responsabile
del disastro era il sistema feudale, rappresentato dal Kaiser. Il
feudalesimo è scomparso, ma il capitalismo si è mostrato a sua
volta incapace di concludere una pace effettiva. Anche senza parlare
dell’ostilità contro la Russia comunista, le rivalità commerciali
inerenti al capitalismo hanno imposto un duro trattamento della Germania
e dell’Austria che rende impossibile una pace duratura. Ogni essere
pensante deve convincersi che il mantenimento del sistema
capitalistico non è compatibile con una persistenza della civiltà.
E’ chiaro come il sole che se questo sistema dura, alla guerra
passata seguiranno necessariamente altre guerre che saranno tanto più
distruggitrici quanto più saranno scientifiche. Qualche altro
conflitto di questo genere metterà fine a tutto ciò che ha dato
valore nel mondo alle razze europee.
Il
capitalismo infine ha cominciato a fallire come sistema tecnico di
produzione, quindi la universale e ben fondata credenza
nell’importanza della produzione non potrà più a lungo
consigliare il mantenimento del sistema capitalistico, come accadeva
prima d’ora. I vecchi stimoli al lavoro non agiscono più, perché
le api hanno incominciato a pensare che non val la pena di fare il
miele per
i loro proprietari.
Nel
momento attuale, in conseguenza della guerra, il mondo ha bisogno di
una produzione accelerata in modo finora sconosciuta, ma per rendere
possibile questa produzione intensa si devono trovare stimoli nuovi,
ed essi non possono trovarsi che nell’autogoverno industriale.
Questa idea ha dato nell’Inghilterra una forza così grande e così
improvvisa al principio corporativo. Abbiamo seguito tutti con
attenzione l’esperimento dell’industria edile a Manchester dove,
dopo l’insuccesso completo di tutto l’ordinamento capitalistico
nel creare una soluzione al problema dell’abitazione si è trovato
che i sistemi corporativi hanno dato una soluzione integrale,
perfetta tanto dal punto di vista dei produttori quanto da quello dei
consumatori. Soprattutto per questa sconfitta tecnica del capitalismo
l’avvento dei sistemi di produzione socialista è oggi
infinitamente più facile di quanto mai non sia stato. I lavoratori
possono ottenere tutto ciò ch’essi chiedono per realizzare la
giustizia nel campo dell’economia. Il solo ostacolo che si leva sul
loro cammino è la moderazione delle loro domande.
Così
il capitalismo ha perduto tutti i meriti per i quali nel passato ha
cercato di farsi apprezzare dagli uomini comuni. Mediante i
trusts
e mediante la fusione con lo stato, esso è riuscito a distruggere
quasi ogni vestigia di libertà. Mediante il controllo
dell’istruzione e della stampa ha fatto della democrazia una farsa.
Mediante le rivalità nazionali ha reso la pace impossibile prima
della sua sparizione. Suscitando infine il malcontento dei lavoratori
esso è diventato inefficace come sistema produttivo. Di questi
fallimenti, i primi tre sono dei motivi per desiderare che esso
scompaia; il quarto è per fortuna anche una ragione per
aspettarselo.
Il
capitalismo è fallito nel garantire la libertà, la vera democrazia,
la pace stabile o la produzione intensa di cui il mondo ha bisogno, e
nulla induce a credere che il suo fallimento in questi campi non sia
che transitorio. Al contrario, esso diventerà sempre più grave per
il malcontento che suscita.
Che
cosa offre il socialismo in queste circostanze?
Il
più importante dei fatti nuovi risultati dalla guerra è l’esistenza
di una grande potenza che ha adottato la pratica del socialismo. Fino
ad oggi il socialismo non era stato che una teoria, qualcosa che gli
uomini pratici potevano sdegnare come impossibile e utopistico. I
bolscevichi, qualunque cosa si possa pensare dei loro meriti e dei
loro demeriti, hanno ad ogni modo provato che la pratica del
socialismo è compatibile con uno Stato forte e vigoroso. Posti
davanti alla ostilità coalizzata
dell’Europa e davanti alla guerra civile divampante alle frontiere,
giunti al potere in un momento di caos e di carestia inauditi,
privati dal blocco di ogni aiuto esteriore, essi malgrado tutto hanno
respinto i loro nemici, riconquistata la maggior parte dell’antico
impero russo, superato il momento di carestia più acuta senza essere
abbattuti dalla rivoluzione interna. Ora con straordinario vigore si
accingono a restaurare la produzione. Dal tempo della Rivoluzione
francese nulla si è visto di simile ed io per parte mia non posso
fare altro che credere che ciò che i bolscevichi fanno è più
importante per l’avvenire del mondo di
ciò che avevano fatto in Francia i giacobini perché le azioni loro
si estendono sopra una scala più grande e la loro teoria è più
profondamente nuova.
Io
penso che i socialisti del mondo intero debbono sostenere i
bolscevichi e collaborare con essi, e penso pure che i membri delle
corporazioni in special modo hanno il dover di prestare grande
attenzione ai sistemi bolscevichi di organizzazione, non solo per il
potere e il prestigio che è insito in essi, ma per il fatto che i
Soviet hanno una base industriale piuttosto che una base geografica.
Non voglio dire con ciò che in un paese le cui condizioni siano del
tutto diverse da quello della Russia noi dobbiamo ciecamente seguire
le orme dei bolscevichi. Insieme con altri membri di corporazioni
riconosco l’importanza dell’organizzazione per l’industria, ma
credo in pari tempo che il parlamento territoriale deve ancora
compiere utili funzioni e perciò non sono persuaso che sia
desiderabile la soppressione di esso, come forma assolutamente in
contraddizione con la forma soviettista. Ho la ferma convinzione che
qualunque siano le realizzazioni possibili nel nostro paese, sulla
via del socialismo esse potranno compiersi senza la rivoluzione
armata.
Non
voglio consigliare una imitazione servile dei bolscevichi. Sono
propenso a credere che i loro metodi erano probabilmente i soli che
potessero avere un successo nella Russia, ma da ciò non si conclude
che essi siano i soli possibili o i migliori per noi. Le condizioni
in cui ci troviamo noi inglesi sono però speciali; quelle dei paesi
del continente si avvicinano molto di più a quelle della Russia e
perciò è molto probabile che il socialismo per conquistare il
potere debba far uso di metodi simili a quelli russi. In vista dei
successi del bolscevismo che respinge i propri nemici, l’espansione
del socialismo per tutto il continente è diventata una possibilità
che non si può in nessun modo allontanare.
Il
bolscevismo si è temporaneamente infischiato di due ideali ai quali
molti tra di noi hanno fino ad oggi fermamente creduto: la democrazia
e la libertà. Per questo dovremmo noi sprezzarlo? Io non credo.
La
dittatura del proletariato è, per sua concessione, una condizione
transitoria, una misura di guerra, giustificata fino a che i resti
delle antiche classi borghesi
lottano ancora per provocare la controrivoluzione. Lenin, seguendo
Marx, considera lo Stato come di sua natura dominio di una classe
nella comunità: quando il Comunismo avrà abolito la distinzione
delle classi, lo Stato verrà meno. Quando non vi sarà più altra
classe che il proletariato, la dittatura proletaria sparirà
senz’altro e sparirà pure lo Stato nel senso che Lenin attribuisce
a questa parola. Abbiamo qualcosa da obbiettare a questo processo,
perché attraverso di esso può essere consacrata per un momento la
presa del potere da parte di una minoranza? Abbiamo motivo per
opporci all’azione diretta esercitata nel nostro paese per fini
politici? La difesa che Lenin fa del suo modo di agire è che
l’opposizione al comunismo non è che temporanea e che il comunismo
avrà il consenso universale quando sarà riuscito a stabilirsi.
Un
argomento di questo genere non si può giudicare che dai risultati.
Se i risultati dimostrano, come pare sia avvenuto in Russia, che
l’opposizione era profondamente ignara e che l’esperienza del
nuovo regime porta il popolo a dargli il suo appoggio, si può dire
che la transizione violenta ha avuto una giustificazione. Gli
argomenti a favore della democrazia e della libertà, si può dire,
sono argomenti validi in tempi normali, non in un momento di
cataclismi e di rivoluzioni mondiali. In queste epoche terribili ogni
uomo deve essere pronto a sostenere la propria fede: se egli ha torto
o ragione soltanto il successo può dimostrarglielo. Io credo che vi
è talora un po’ di pedanteria nel voler applicare alle cose di
Russia il genere di argomenti e di principi che erano buoni per noi
in periodo ordinario.
La
Russia non può essere salvata che da una volontà ferma ed è dubbio
che una forte volontà avrebbe potuto salvarla senza una forma di
dittatura. Io non credo però che queste considerazioni potranno
essere applicate a noi, anche se noi fossimo molto più vicino di
quanto non siamo alla instaurazione di un socialismo integrale.
L’Inghilterra, dopo il 1688 ha sempre avuto l’amore della
moderazione. Metodi simili a quelli dei bolscevichi alienerebbero il
popolo semplice. L’opposizione stessa dei reazionari non è del
resto più tanto spietata da giustificare metodi simili. La
moderatezza del nostro “Labour Party” è spesso esasperante ma è
ad ogni modo adeguata a quella dei suoi avversari. Marx, il grande
teorico della dottrina della lotta di classe, affermava che in
Inghilterra il socialismo potrebbe stabilirsi con metodi pacifici:
speriamo che in ciò, come in tante altre cose, egli sia stato
profeta veritiero. Ma per il continente, e l’esempio russo ce lo ha
dimostrato, tale speranza è probabilmente chimerica.
Io
credo però, quantunque il profetizzarsi sia cosa incerta tanto da
non aver maggior valore di un divertimento, che dopo i successi del
comunismo russo di fronte alla ostilità coalizzata dei grandi Stati
capitalistici, la vittoria del socialismo in Germania, Francia e
Italia entro i prossimi dieci anni è cosa che rientra nei limiti del
possibile.
Vi
sono però dei motivi per temere che in questi paesi l’instaurazione
di esso non potrà avvenire senza lo stesso accompagnamento di guerra
e di terrorismo che abbiamo visto in Russia, quantunque, forse, in
forma attenuata. Non credo che il socialismo, se uscisse vittorioso
da questa lotta, limiterebbe l’estensione della sua vittoria alle
nazioni dove la maggioranza sarà ad esso favorevole, soprattutto se
l’intervento sarà provocato da insurrezioni socialiste. La
Polonia, ad esempio, ricadrebbe molto probabilmente sotto il dominio
russo come ai tempi dello zarismo. Il nazionalismo e la religione
faranno i polacchi ostili al socialismo, sia ch’esso si presenti
come internazionale o che assuma la forma di una rinascita
dell’imperialismo russo. Occorrerà sopprimere con la forza le
velleità polacche di indipendenza e di persecuzioni degli ebrei e
occorrerà senza dubbio, mediante un severo controllo
sull’istruzione, formare alla generazione nascente una mentalità
più marxistica. Torbidi dello stesso genere sorgeranno nei Balcani.
Il regime del socialismo internazionale in molti paesi sarà almeno
per una generazione un regime di forza armata sorretto da un rigido
controllo della stampa e delle scuole. Non vi è motivo di supporre
che, sorta l’occasione, i bolscevichi sfuggiranno a simili
eventualità, nonostante la scarsa dose di imperialismo che può
essere nelle loro intenzioni attuali. La loro concezione del mondo,
come quella degli antichi Maomettani, è ad un tempo realista e
fanatica. Credendo, come essi fanno, nella tesi marxistica
dell’inevitabile sviluppo economico, essi sentono fatalmente
assicurata la loro vittoria finale. Ciò ch’essi considerano come
la cosa di maggiore importanza, è che i cannoni siano nelle mani del
proletariato cosciente. Assicurato questo punto, essi sono convinti
che la propaganda può attirare dalla parte loro la parte del
proletariato che ancora è tratta in inganno dalla “rèclame
borghese”, dalla religione ad esempio e dal patriottismo. E’
molto probabile che le opinioni loro siano giustificate e che se essi
potessero governare l’Europa per una generazione, dopo questo
periodo di tempo l’opposizione non verrebbe dalle morenti forze del
passato, ma da qualche nuovo movimento che potrà sorgere con lo
scopo di realizzare gli ideali socialisti che i bolscevichi potranno
nel frattempo aver dimenticato.
Se
noi riteniamo possibile questa evoluzione nel caso di permanenza dei
successi bolscevichi, dovremo cercare di provocare questi successi, o
rinunciare a provocarli per paura dello spargimento di sangue, del
terrore ch’essi possono provocare, della perdita di civiltà almeno
temporanea che il conflitto porterà con se?
Per
parte mia sono convinto che ogni progresso vitale nel mondo dipende
dalla vittoria del socialismo internazionale e che vale la pena, se
necessario, di pagar cara questa vittoria. Sono pure convinto che non
vi sarà pace fino a che il socialismo internazionale non avrà
trionfato e che la via più rapida per metter fine al conflitto stia
nell’accrescere le sue forze e nell’indebolire quelle che gli si
oppongono. Credo, in una parola, che “ogni recluta vuol dire una
pace più rapida”. E quando parlo di socialismo, non penso a un
sistema all’acqua di rose, ma ad una trasformazione completa, da
cima a fondo, quale Lenin ha tentato. Se la sua vittoria è
necessaria alla pace, dobbiamo consentire ai mali provocati dalla
lotta, nella misura in cui la lotta ci è imposta dal capitalismo.
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Per
spiegare questa conclusione bisogna però far capire alcune cose. Un
punto di importanza assolutamente vitale è che il socialismo non
deve perdere il suo carattere internazionale. E’ perfettamente
possibile immaginare che grandi potenze organizzate ogni una in
sistema comunista su basi nazionali vengano a conflitto per il
possesso di materie prime. Il petrolio del Caucaso potrebbe esser
l’origine di un conflitto simile. Così pure nel socialismo, fino a
che esso è nazionale non vi è nulla che sia incompatibile con una
nuova specie di sciovinismo. Il disprezzo per il regno della
maggioranza durante il periodo rivoluzionario che i bolscevichi
inculcano e il loro proposito di conquistare la maggioranza mediante
la dittatura temporanea di una minoranza cosciente giustificano
evidentemente le guerre per l’espansione dell’idea socialista e
simili guerre diventeranno facilmente nazionaliste se avranno luogo
tra uno Stato socialista e uno Stato capitalistico. L’abolizione
dello sfruttamento, che è lo scopo del socialismo, e che è una
garanzia contro la guerra, non sarà certamente completa fino a che
continuerà lo sfruttamento di una nazione ai danni dell’altra.
Essa non sarà assicurata se non quando le materie prime del mondo
saranno ripartite da una autorità internazionale. Si può nutrire
dei dubbi se il socialismo sarà così forte da vincere gli interessi
e i sentimenti nazionalistici in modo così completo da poter
introdurre questo metodo di ripartizione delle materie prime; fino a
che esso non abbia raggiunto questo scopo, poca cosa avrà fatto per
creare una garanzia contro le guerre.
Insieme
a quella delle materie prime, vi è un’altra questione che può
condurre alla guerra tra Stati comunistici nazionali: quella del
diritto di immigrazione. Nell’Australia e in tutta l’America del
Nord e del Sud, questo problema può essere per molti anni avvenire
di un’importanza capitale.
Al
socialismo internazionale, se noi eccettuiamo l’America, non vi è
che una sola forza reale popolare che si opponga: ed è la forza del
nazionalismo. Per nazionalismo io intendo la volontà di garantire
gli interessi di una sola nazione, qualunque sia il prezzo che ciò
possa costare alle altre nazioni, intendo l’idea che gli interessi
delle diverse nazioni sono antagonistici o meglio, l’odio contro
altri paesi, di cui questa idea è l’espressione razionale. In
tutti i nuovi Stati creati dal trattato di pace il nazionalismo,
inteso in questo senso, appare in predominio assoluto.
Molti
di questi Stati preferirebbero uccidere il loro vicino e morire di
fame piuttosto che vivere nell’abbondanza per aver mantenuto
relazioni cordiali con le razze che essi odiano. Questa tendenza
dello spirito è in parte istintiva, ma in parte è pure il risultato
di una educazione e di una propaganda che probabilmente non potranno
essere cancellate rapidamente se non usando la forza per prevenire le
ostilità, per creare la libertà di commercio e diffondere un nuovo
tipo di educazione. La Lega delle Nazioni con la sua eredità di odi
guerreschi è assolutamente incapace di compiere quest’opera.
Soltanto il socialismo internazionale, tra tutte le forze che
esistono oggi nel mondo, può trasformare realmente la mentalità
delle popolazioni bellicose. Non dico che il socialismo
internazionale possa far ciò rapidamente, ma dico che se esso avesse
il potere, potrebbe farlo nello spazio di una generazione, poiché
esso deve combattere l’istinto e la tradizione, evidentemente
contrari all’interesse, e deve sostituire loro un generoso ideale
da cui l’enorme maggioranza della popolazione trarrà dei benefici
materiali.
Malgrado
le serie difficoltà che esso dovrà superare e i problemi che dovrà
risolvere, io sono convinto che il socialismo è il prossimo stadio
necessario del progresso mondiale, se in qualche modo debbono
sopravvivere i beni e i valori per cui la civiltà occidentale ha
combattuto. Io credo pure che la quantità di bene che esso potrà
realizzare dipenda dalla quantità di generose speranze che esistono
in coloro che stanno attuandolo. Se i mali derivanti dallo
sfruttamento economico sono completamente svelati e se ardentemente
viene desiderato il nuovo mondo che può uscire dalla loro abolizione
totale, si creerà una forza nuova, tanto forte da poter cacciare il
nazionalismo dal cuore degli uomini, ed è il nazionalismo solo, sia
in Europa che in Asia, che rende il capitalismo capace di salvare il
suo potere dalla distruzione. Soppresso il nazionalismo, idealismo e
interessi uniti spingerebbero la enorme maggioranza del mondo civile
a instaurare il socialismo internazionale, e, una volta instaurato
questo regime sarebbe reso stabile dai suoi vantaggi e dal fatto che
nessuna classe avrebbe un interesse diretto ad abbatterlo.
Libertà,
democrazia, pace, sufficiente produzione e giustizia economica si
possono ottenere dal socialismo internazionale e in nessun altro
modo, credo io. Ma benchè il socialismo possa realizzare
queste cose, non è certo ch’esso lo faccia. La realizzazione di
esse dipenderà per gran parte dal modo come il socialismo verrà
instaurato, dalla violenza della lotta e dal carattere del vincitore.
Penso che specialmente il nostro paese, per l’idea corporativa, che
in esso ha tanto seguito, ha un compito ben definito da assolvere
durante il periodo transitorio. Penso che noi potremo effettuare la
trasformazione senza violenza e che possiamo fare più di ogni altro
paese per conservare, durante la lotta, quegli ideali di libertà
individuale senza i quali una società sarebbe uno stereotipo senza
progresso e senza vita. La libertà e la guerra non erano
compatibili, e un aumento di libertà è uno dei fini confessati dei
socialisti: libertà collettiva da raggiungersi mediante
l’autogoverno industriale, libertà individuale dopo il lavoro, da
ottenersi con la diminuzione d’orario. I meriti relativi delle
diverse forme di socialismo e delle diverse tattiche per realizzarlo
possono essere giudicati alla stregua della capacità di realizzare
questi scopi.
Il
socialismo, senza dubbio, come il capitalismo, sarà una fase del
progresso umano cui succederà qualche cosa di cui non possiamo
prevedere ancora la natura, forse l’anarchia. Sarebbe fatale al
progresso futuro che il socialismo si instaurasse come la Chiesa dopo
Costantino nella forma di una ortodossia persecutrice, la quale
incatenasse lo spirito umano e arrestasse il progresso per un
migliaio d’anni. A tale conseguenza non è però impossibile che
si giunga se la vittoria del socialismo è ottenuta con mezzi
militari, dopo guerre lunghe e disastrose. Per questo motivo, se non
per altri, è infinitamente da desiderare la vittoria del socialismo
con mezzi pacifici.
Ogni
concezione della vita umana tende a passare per tre fasi. Nella prima
essa è pacifica, umanitaria, persuasiva, tende a convincere con il
discorso più che con la forza. Nella seconda fase, avendo acquistato
una certa forza e avendo suscitato una opposizione di una certa
violenza, essa cessa di essere pacifica, e si fa militante,
giustificando la sua combattività con l’idea ereditata dalla prima
fase che la sua vittoria apporterà il millennio. Nella terza fase,
acquistato il potere, si fa oppressiva e crudele. Il cristianesimo è
vissuto nella prima di queste fasi fino al tempo di Costantino, con
le Crociate passa alla seconda fase, con l’Inquisizione alla terza.
Anche il capitalismo ha attraversato fasi simili. In Adamo Smith,
Cobden e Bright vediamo la fase pacifica, nell’abbattimento delle
istituzioni feudali esso ci si mostra nella fase militare; con lo
sfruttamento delle razze inferiori e con il regno dei terrori
antisocialisti si passa alla fase tirannica. Lo stesso fenomeno
appare per ciò che riguarda il nazionalismo, benchè qui il grado di
sviluppo sia differente nelle diverse nazioni, a seconda delle loro
forze. Mazzini ci mostra la fase pacifica, Bismarck quella militante,
l’imperialismo moderno la fase tirannica.
Il
socialismo è passato dalla fase pacifica a quella militante con
l’avvento di Lenin e in questo passaggio ha, per certi tipi di
mentalità, perduto molte delle attrattive che aveva. Coloro che
sentono vivamente i mali del mondo presente e che desiderano con
ardore l’esistenza di un mondo liberato da questi mali,
indietreggiano oggi davanti al duro conflitto che è necessario per
liberarsene. Confesso di nutrire una grandissima simpatia per questi
uomini. So che nel corso di un conflitto ogni ideale viene degradato
e che la vittoria violenta di un partito è inevitabilmente
accompagnata dalla perdita della maggior parte delle cose che
rendevano desiderabile la vittoria stessa. Lo stesso conflitto
violento, soprattutto se è prolungato e se è molto esteso tende ad
abbassare la società che si abbandona ad esso. Non posso credere che
un socialismo uscito vittorioso da una guerra civile lunga e mondiale
conserverebbe il carattere necessario a una società felice e
progressiva. I progressi, dopo la sua vittoria, dipenderebbero
probabilmente da coloro che farebbero opposizione alla sua forma
vittoriosa nell’interesse di istituzioni più libere e meno
coercitive, abbraccianti almeno qualcosa dei vecchi ideali del
liberalismo, non, è vero, gli ideali economici, come quello della
libera concorrenza, ma gli ideali sociali e la libertà intellettuale
che nessun partito impegnato in una lotta a morte può lasciar
sussistere.
Il
socialismo ha molte forme e non è improbabile che la sua vittoria
nei diversi paesi rivestirà pure diverse forme, ma, subordinatamente
alle necessità essenziali di ordine e di sufficiente produzione, la
cosa più importante che ogni sistema socialista deve avere come suo
scopo è la libertà. I membri delle corporazioni nazionali hanno
sempre ricordata l’importanza della libertà, forse più dei loro
predecessori collettivisti. Il loro sistema di equilibrio tra i
poteri rivali del Parlamento e delle rappresentanze corporative è
destinato ad assicurare la libertà politica. Il loro sistema di
autogoverno industriale, opposto alla organizzazione burocratica dei
socialisti di Stato è destinato a garantire la libertà alla
collettività lavoratrice in ogni industria, e libertà locale in
tutte le questioni che debbono essere risolte localmente.
Il
sistema di decentramento non solo geografico. Ma industriale è di
grande importanza per creare il senso della libertà, la possibilità
di iniziative personali e di utili esperienze.
L’autogoverno
del lavoro è la più importante delle forme di libertà che devono
essere conquistate, perché ciò che tocca l’uomo più intimamente
è il suo lavoro e perché grazie ad essa egli è posto sulla via
migliore per risvegliare la sua coscienza politica. La libertà del
lavoro era lo scopo principale del sindacalismo ed è lo scopo del
socialismo corporativo, ed io penso ch’essa sarà meglio garantita
da corporazioni nazionali che da qualsiasi altra forma di
organizzazione economica della produzione. Penso che il senso
dell’autodirezione e dell’indipendenza che in tal modo si creerà
servirà a trasformare radicalmente le idee dei lavoratori comuni sul
lavoro e, in ogni caso, come cosa nuova esso stimolerà la produzione
molto più che il vecchio stimolo del terrore capitalistico.
Ma
oltre la libertà del lavoro esiste certamente una libertà fuori del
lavoro, nelle ore di divertimento, che sarà data dalla diminuzione
di orario resa possibile dai sistemi maggiormente produttivi. Oggi
questi sistemi sono guardati con sospetto come fattori di utile solo
per il capitalista. Nel nuovo regime, tutto l’utile che da essi
deriva manifestamente andrà ai lavoratori e da questo spostamento
sarà senza dubbio considerevolmente accelerato il progresso tecnico.
Ciò è confermato dalla adozione da parte dei bolscevichi del
sistema Taylor di organizzazione scientifica del lavoro.
Vi
è certamente un’altra specie di libertà applicabile soltanto ad
alcuni individui eppure di grande importanza per il progresso umano ed
è la libertà di rifiutarsi di occupare un posto qualunque nel
sistema organizzato della comunità. L’uomo che vuole insegnare una
nuova religione, inventare una nuova scienza, o produrre un’arte
nuova può non trovare nessuna corporazione che sia disposta a
riceverlo. Egli sarà ufficialmente classificato come un poltrone o
come un vagabondo, perché tutte le innovazioni fondamentali devono
necessariamente prodursi contro la volontà della comunità,
qualunque possa essere il sistema economico.
Per
il bene di questi uomini è grandemente desiderabile che
l’emancipazione completa dal sistema sia possibile a chiunque è
disposto a sopportare una sufficiente dose di miserie. Procedimenti
eccezionali che possono sembrare pericolosi ma che possono essere
molto utili (al pari di quadri che gli intenditori giudican privi di
valore) possono giustamente essere sconsigliati, ma non devono essere
resi fisicamente impossibili a coloro che hanno tanta fiducia in se
stessi da affrontare dei sacrifici piuttosto che prendere altre vie.
Le scappatoie e le eccezioni sono fatti assolutamente vitali, se la
società vuole conservare la capacità di progredire.
Noi,
nel nostro paese, se adottiamo il socialismo, siamo certi che lo
adotteremo in modo frammentario e non sistematico, il che farà si
che noi avremo molto maggiori possibilità di scappatoie e di
eccezioni quante non abbia il bolscevismo sistematico. Noi possiamo
inoltre sperare che il socialismo continentale, se un giorno riuscirà
a garantirci la vittoria, sarà così forte da ammettere i vantaggi
derivanti da tale mancanza di sistematizzazione. In questo senso
credo che noi porteremo un contributo ragguardevole al risultato
finale.
Il
capitalismo non può renderci più oltre tollerabile il mondo, non
può conservarci l’eredità della civiltà. Il socialismo
internazionale può farlo, se riesce a conquistare il potere senza
una lotta troppo lunga e troppo spietata. Coloro che si oppongono
all’avvento del socialismo si addossano quindi una grave
responsabilità. Non si può credere che il vecchio sistema sarà
conservato e tutto ciò che l’opposizione può fare è di togliere
al sistema nuovo molto del suo merito. Noi che lottiamo per il
socialismo dobbiamo ricordarci che non basta vincere gli avversari
nostri se vincendoli noi vinciamo noi stessi e che noi vinceremo noi
stessi se la nuova società che uscirà dai nostri sforzi non garantirà maggiore libertà allo spirito umano creatore e alle vite
degli uomini e delle donne di quanta ne è esistita finora. Non credo
che si potrà dispensare del tutto dall’impiego della forza,
quantunque pensi che nel nostro paese la forza necessaria può
ottenersi senza rivoluzione violenta. La forza, se riesce nel suo
obbiettivo finale, deve sempre essere subordinata alla propaganda.
Essa deve essere impiegata in modo che abbia a persuadere, non in
modo di allontanare la gente comune. E in ogni modo, si deve fare
tutto ciò che è possibile per far comprendere che l’uso della
forza non è che temporaneo e che la mèta è una società in cui la
forza non sia più necessaria. Non è che mediante la inspirazione di
una grande speranza, mediante la realizzazione ardente del mondo
migliore cui noi aspiriamo che possiamo impedire alle nostre
aspirazioni di degenerare nel conflitto e che potremo assicurare la
vittoria non solo del nostro partito, ma del nostro ideale: l’ideale
di libertà, di giustizia economica e di cooperazione internazionale
che il mondo vuole e che soltanto il socialismo può realizzare.
BERTRAND
RUSSEL
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