«Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale.
Ogni coscienza ingenua, del pari che la filosofia, riposa in questa
persuasione; e di qui appunto procede alla considerazione dell’universo
spirituale, in quanto universo naturale. Se la riflessione, il sentimento o
qualsiasi aspetto assuma la coscienza soggettiva, riguarda il presente come
cosa vana, lo oltrepassa e conosce di meglio, allora essa si ritrova nel vuoto
e, poichè soltanto nel presente v’è realtà, essa è soltanto vanità. Se, viceversa,
l’idea passa per essere soltanto un’idea, una rappresentazione in un’opinione,
la filosofia al contrario garantisce il giudizio che nulla è reale se non
l’idea. Si tratta allora di riconoscere nell’apparenza del temporaneo e del
transitorio, la sostanza che è immanente e l’eterno che è attuale. Invero il
razionale, il quale è sinonimo di idea, realizzandosi nell’esistenza esterna,
si presenta in un’infinita ricchezza di forme, fenomeni e figure; e circonda il
suo nucleo della spoglia variegata, alla quale la coscienza si sofferma
dapprima e che il concetto trapassa, per trovare il polso interno e per
sentirlo appunto ancora palpitante nelle figure esterne».
«Nella prefazione alla mia Filosofia del diritto, p. XIX si
trovano queste proposizioni. Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è
razionale. Queste semplici proposizioni son sembrate strane a parecchi, e han
trovato opposizioni anche da tali che non vogliono si metta in dubbio che essi
posseggano filosofia, e di certo, almeno, religione. Per ciò che concerne la
religione, non è necessario tirarla in mezzo in questo dibattito, giacché le
sue dottrine sul divino reggimento del mondo esprimono quelle proposizioni in
modo ben determinato. Per ciò che riguarda il significato filosofico, è da
presupporre tanta coltura che si sappia non solo che Dio è reale, – che è la cosa più reale e che è la cosa
veramente reale, – ma anche, nel
rispetto formale, che l’esistenza è, in parte, apparizione, e solo in parte
realtà. Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realtà ogni capriccio,
l’errore, il male e ciò che è su questa linea, come pure ogni qualsiasi
difettiva e passeggiera esistenza. Ma già anche per l’ordinario modo di
pensare, un’esistenza accidentale non meriterà l’enfatico nome di reale: –
l’accidentale è un’esistenza che non ha altro maggior valore di un possibile,
che può non essere allo stesso modo che è. Ma, quando io ho parlato di realtà,
si sarebbe pur dovuto pensare al senso nel quale adopero quest’espressione,
giacché in una mia estesa Logica ho trattato anche della realtà, e l’ho
accuratamente distinta non solo dall’accidentale, che pure ha esistenza, ma
altresì dall’essere determinato, dall’esistenza e da altri concetti. – Alla
realtà del razionale si contrappone, da una parte, la veduta che le idee e gli
ideali non siano se non chimere, e la filosofia un sistema di questi fantasmi
cerebrali; e dall’altra, che le idee e gli ideali siano alcunché di troppo
eccellente per avere realtà, o anche di troppo impotente per procacciarsela. Ma
la separazione della realtà dall’idea è specialmente cara all’intelletto, che
tiene i sogni delle sue astrazioni per alcunché di verace, ed è tutto gonfio
del suo dover essere, che anche nel campo politico va predicando assai
volentieri; quasi che il mondo aspettasse quei dettami per apprendere come
dev’essere, ma non è: che, se poi fosse come dev’essere, dove se n’andrebbe la
saccenteria di quel dover essere? Allorché l’intelletto, col suo dover essere,
si rivolge contro cose, istituzioni, condizioni, ecc., triviali, estrinseche e
passeggiere, che possono anche serbare per un certo tempo e per certe
particolari classi d’uomini una grande importanza relativa, avrà anche ragione,
e troverà in quel caso molte cose che non rispondono ad esigenze giuste ed
universali: chi non possederebbe la pazienza di scoprire, in ciò che lo
circonda, molte cose che in fatto non sono come debbono essere? Ma questa
sapienza ha torto quando immagina di aggirarsi, con siffatti oggetti e col loro
dover essere, nella cerchia degli interessi della scienza filosofica. Questa ha
da fare solo con l’idea, che non è tanto impotente da restringersi a dover
essere solo, e non essere poi effettivamente: ha da fare perciò con una realtà,
di cui quegli oggetti, istituzioni, condizioni, ecc., sono solo il lato esterno
e superficiale».
«Così dunque questo trattato in quanto contiene la scienza
dello Stato, deve essere null’altro se non il tentativo di intendere e
presentare lo Stato come cosa razionale in sé. In quanto scritto filosofico
esso deve restare molto lontano dal dover costruire uno Stato come deve essere.
L’ammaestramento che può trovarsi in esso non può giungere ad insegnare allo
Stato come deve essere, ma piuttosto in qual modo esso deve essere riconosciuto
come universo etico. Intendere ciò che è, è il compito della filosofia, quindi
non dare il dover essere, ma intendere ciò che è, poichè ciò che è è la
ragione, del resto, per quel che si riferisce all’individuo ciascuno è
senz’altro figlio del suo tempo ed anche la filosofia è il proprio tempo
appreso col pensiero. È altrettanto folle pensare che una qualche filosofia
precorra il suo mondo attuale, quanto che ogni individuo si lasci indietro il
suo tempo e salti oltre su Rodi. Se la sua teoria nel fatto oltrepassa questo,
se si costruisce un mondo come deve essere, esso esiste bensí, ma soltanto
nella sua intenzione, in un elemento duttile col quale si lascia plasmare ogni
qualsiasi cosa».
«Ma il bene, che qui è il fine universale, deve non restare
semplicemente nel mio interno, cioè puramente soggettivo e interiore come nella
morale, ma deve anche realizzarsi. La volontà soggettiva cioè esige che il suo
interno, ossia il suo fine, consegua esistenza esterna, che quindi il bene
debba essere compiuto nell’esistenza esterna».
«Non c’è alcun
pretore, arbitro supremo e mediatore fra gli Stati, e anche questi sono soltanto
in modo accidentale, cioé secondo la volontà particolare. La concezione
kantiana d’una pace perpetua, mediante una lega degli Stati, la quale appiani
ogni controversia, e, in quanto potere riconosciuto da ogni singolo Stato,
componga ogni dissenzione, e quindi renda impossibile la decisione per mezzo
della guerra, presuppone l’umanità degli Stati, che dipende da ragioni e
riguardi morali, religiosi o di qualsiasi natura, in generale, sempre da una
volontà sovrana particolare, e, quindi, resta affetta da accidentalità».
(Hegel, Lineamenti, par. 333, aggiunta).
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