RP. Come prima cosa ti chiedo una considerazione generale della sconfitta del partito laburista clamorosa in termini di seggi. Tenendo conto che la vittoria dei conservatori era comunque data per scontata.
JH. Fino a qualche tempo fa, quando anche Boris Johnson si vedeva bocciare le sue iniziative del parlamento, mi sembrava fosse su una linea meno catastrofica di Teresa May, che stava veramente distruggendo il partito conservatore. La scelta di Johnson per riprendere in mano la politica dei conservatori è stata proprio quella di andare alle elezioni e come le ha gestite. Però secondo me queste sono cose superficiali.
Secondo
me il problema fondamentale sono i laburisti, i quali sono entrati in
una crisi che rischia di essere di non ritorno. Come, anche se in
condizioni completamente diverse, i socialdemocratici tedeschi sono
in una crisi di non ritorno: loro oggi sono al 15%, mentre erano un
partito del 40%. In Gran Bretagna non c’è lo stesso tipo di
situazione, con la medesima politicizzazione che c’è in Europa
continentale, quindi la dinamica è diversa, però un partito che sta
sul 30% diventa non agibile, diventa non spendibile perché non è un
sistema pluralistico al livello politico. È un sistema che si basa
su due partiti, che possono fare qualche alleanza qua e là,
occasionalmente, però devono essere tutti e due in una situazione
maggioritaria, dal punto di vista dei seggi (cioè essere sempre
nella situazione di diventare maggioritario). Se uno dei due non ha
la maggioranza dei seggi, può rimanere fuori per decenni. Come è
accaduto ai laburisti negli anni trenta con la spaccatura introdotta
da MacDonald e sono stati fuori fino al 1945; quando,
sostanzialmente, è stata la guerra a fargli vincere le elezioni.
Perché, anche se la guerra l’ha condotta Churchill, era cambiata
l’idea presso la classe lavoratrice inglese che con la vittoria il
mondo sarebbe stato diverso per ciò che li riguardava, i diritti,
ecc.
Poi
sono stati fuori per quasi vent’anni, durante il periodo di
Thatcher e Major. Oggi rischiano di restare fuori per un’infinità
di tempo.
Ora,
veramente, la loro base strutturale si è sfaldata perché hanno
perso in zone fondamentali: hanno perso la Scozia, dove già erano
stati sconfitti nelle lezioni passate con la vittoria del SNP e
adesso hanno finito per perdere anche gli altri seggi – non ricordo
se li hanno persi tutti ma anche là sono stati decimati
ulteriormente – e hanno perso le loro roccaforti operaie. Perché,
ci siano o meno industrie, è la popolazione operaia a cui non hanno
saputo dare un’alternativa, quindi questa ha votato a destra.
Perché la classe operaia inglese è pro Brexit: questo bisogna
metterselo in testa.
RP.
Puoi spiegare meglio questo concetto così netto?
JH.
Perché l’Europa viene vista come qualcosa che funziona solo per
Londra e solo per le classi sociali legate alla finanza e per le
classi medie che possono avere una casa in Francia o in Spagna –
anche se in Spagna anche chi è in condizioni più modeste può
permettersi la casa, come in Murcia, ecc. Questo è un riflesso della
crisi finanziaria. Le società finanziarie inglesi davano
prestiti alle banche spagnole per poter prendere le case in Murcia e
rivenderle agli inglesi. Si tratta di case piuttosto modeste quelle
degli inglesi in Spagna, cioè la caratteristica degli inglesi che lì
posseggono una casa è quella di appartenere a classi sociali non
elevate; anzi, sono medie o medio-basse.
Inoltre,
l’Europa viene vista come causa dell’immigrazione. L’appartenenza
all’Unione Europa, con l’apertura delle frontiere, è stata vista
come causa dell’immigrazione dall’Europa; non sto parlando
dell’immigrazione dall’Asia (dal Pakistan, dal Bangladesh,
dall’India ecc.): quella è un’altra storia. Mi riferisco
all’immigrazione soprattutto dall’Europa dell’est: dalla
Polonia, dalla Lituania, dai Paesi baltici e via dicendo. Quegli
immigrati venivano visti come coloro che portavano via il lavoro,
anche se non è completamente vero.
Per
questo, la classe operaia britannica è per Brexit. In un grande
porto sulla Manica, a Dover, che è classe operaia di servizi,
soprattutto portuali, il referendum è stato vinto dai pro Brexit con
un risultato intorno al 63%. Anche se Dover campa grazie ai
rapporti economici con l’Europa: da lì si parte per Calais, per
Dieppe per Eindhoven; ma malgrado tutto hanno votato per Brexit,
praticamente sparandosi sui piedi, come si dice in inglese.
RP.
Ora che Johnson ha la maggioranza parlamentare potrà contare
sull’avallo di qualsiasi accordo con l’Unione Europea. Ma che
tipo di accordo può fare Johnson? Cioè, ora dopo le elezioni,
l’Unione Europea si trova in una situazione di vantaggio o di
svantaggio, rispetto agli accordi sulla Brexit?
JH.
L’Unione Europea è in vantaggio. Perché l’accordo finale con la
Gran Bretagna sarà determinato dal contesto di quello ad
interim che adesso contraddistingue il rapporto tra la Gran
Bretagna e l’Unione Europea. Questo accordo che vale fino al 2022 e
che, come è stato spiegato benissimo qualche giorno fa dalla BBC,
mantiene in vigore tutte le regole dell’Unione Europea per la Gran
Bretagna. Anche se dopo il prossimo 31 gennaio la Gran Bretagna non
farà più parte degli organismi dell’Unione Europea, ma tutto il
resto resta in piedi. Con l’eccezione dell’Irlanda del Nord, dove
sembra che resterà aperta la frontiera con l’Irlanda del Sud, ma
verrà istituita una frontiera tra Irlanda del Nord e Gran Bretagna,
quindi con la grande isola: ossia con Inghilterra, Galles e Scozia.
Sarà una frontiera marina con il Regno Unito. Questo significa che
sarà la Gran Bretagna a farsi carico dei rapporti tra l’Irlanda
del Nord e il resto dell’Europa. Mentre prima era una spina nel
fianco perché i nazionalisti nordirlandesi erano quelli che
bloccavano tutto e rappresentavano la condizione perché rimanesse il
governo conservatore precedente. Ora loro hanno perso perché la
vittoria conservatrice alle elezioni dà un numero seggi tale che il
governo non avrà più bisogno di mediare con le forze locali
dell’Irlanda del Nord.
Detto
questo, l’Europa proporrà, secondo me, una soluzione che sarà una
riproduzione degli accordi attuali in una forma giuridica diversa,
cioè come accordi tra Stati. Bisogna vedere che concessione l’Europa
(ossia Bruxelles) farà alla libertà della Gran Bretagna di
stabilire trattati con gli altri Paesi.
RP.
Compresi gli Stati Uniti?
JH.
Certo, perché la gravitazione della Gran Bretagna è tutta
sull’Europa continentale non sugli Stati Uniti. Questi
rappresentano una parte importante, ma il rapporto principale è con
l’insieme, non con ogni singolo Paese, dell’Europa continentale.
I 430 milioni di abitanti si trovano in Europa e non negli Stati
Uniti. Quindi quella di Trump è pura retorica perché gli Stati
Uniti non possono sostituire l’Europa.
Intanto
per cominciare, il meccanismo di trasmissione tra la finanza
americana e la finanza europea è la città di Londra, la City of
London. Londra è la piattaforma girevole dei rapporti finanziari tra
Europa e Stati Uniti: prevalentemente con New York, ma anche Chicago.
La situazione finanziaria europea dal punto di vista delle
flessibilità, delle conoscenze, del know-how, è zero
rispetto a quella di Londra. Non ce la faranno mai a sostituire la
City of London. Neanche Francoforte. Basta vedere lo stato patetico
delle banche tedesche, che devono essere pompate in continuazione dal
governo federale, per cui c’è tutto questo ambaradan
sull’unificazione bancaria che non riescono a raggiungere, ecc.
Il
governo tedesco ha in testa solo e soltanto la difesa delle proprie
banche e da questo punto di vista non ha torto perché sono un
colabrodo e non vuole, quindi, partecipare al salvataggio di altre
banche; perché si preoccupa di come salvare le proprie.
Ma,
tutto questo dimostra che il sistema dal punto di vista
dell’ingegneria e agibilità finanziaria il sistema tedesco è
patetico, non sono bravi. Sono stati bravi a fare i panzer – a suo
tempo –, tutto ciò che riguarda meccanica e industria, ma non lo
sono dal punto di vista finanziario. Questo, per altro, dovrebbe
essere un elemento di pregio e non di critica. Perché sono capaci di
produrre bene e organizzare la produzione, ma non sono capaci di
organizzare le finanze. Secondo me, quindi, da questo punto vista
la City di Londra è imbattibile: è il trait
d’union tra le piazze finanziarie europee e gli Stati
Uniti. La Gran Bretagna/Regno Unito non si può staccare dall’Europa,
sono completamente appiccicati, quindi, devono trovare una soluzione
di questo tipo. Bruxelles da questo punto di vista ha un vantaggio
enorme.
Perché
il problema vero è come garantire la continuità della presenza
inglese nel sistema finanziario europeo, come assicurare che non vi
siano scosse; per il resto grandi problemi non ne vedo. Può
accadere, se c’è incertezza, che le Nissan, le Toyota, le Hyundai,
che sono in Gran Bretagna si possano spostare verso l’Europa. Ma
dove? Possono andare in Spagna, in Romania, in Polonia, dove c’è
già la Toyota che lavora con la Fiat. Ma, gli investimenti che hanno
fatto negli impianti in Gran Bretagna, soprattutto nelle aree
depresse del Nord, sono notevoli: sono nuove tecnologie. Esportano
verso l’Unione Europea il 60-70 e perfino l’80% della loro
produzione. Quindi, non penso che si possano spostare con facilità e
ritrovare il ritmo, ecc., per delle variazioni di tassi di cambio, in
definitiva, che non sono prevedibili.
Ma
anche dovessero esserci dei dazi doganali, non saranno eccessivi
perché sempre inseriti all’interno dello schema
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e potranno essere
recuperati dalla maggiore produttività di queste industrie, dalla
razionalizzazione e via dicendo.
Poi
c’è l’aspetto finanziario, che è l’elemento centrale, anche
se nessuno ne ha parlato. Il discorso sull’Europa in Gran Bretagna
è stato fatto in maniera impropria e sbagliata, come succede anche
in Italia dove si parla di tutto meno che del problema, si urla, si
dice, ecc.
Se
fossero stati onesti avrebbero dovuto dire: il perno centrale
dell’economia nazionale britannica è la City of London, non sono
le industrie. Questa determina tutto e ogni scelta va fatta in
rapporto alle sue esigenze. È noto che la City of London voleva
rimanere in Europa. Perché? Perché c’è una regola finanziaria in
Europa che si chiama passporting, per cui se tu fai parte
dell’Unione Europea puoi operare in tutta Europa come se fossi a
casa tua, non devi mettere su filiali, trovare intermediari. Quindi,
puoi operare a Francoforte come se tu stessi a Londra; se invece non
fai parte dell’Unione Europea emerge la questione del passporting,
cioè diventa necessario avere una serie di filiali e per ciascun
Paese e non per l’insieme dell’Unione Europea, con costi molto
maggiori e via dicendo. Devono risolvere questa cosa qua,
considerando che l’Europa continentale non può fare a meno della
City of London. Basta pensare alla questione ecologica e alla
faccenda delle emissioni.
Queste
emissioni sono state da molto tempo ormai finanziarizzate, nel senso
che si emettono dei permessi che hanno un valore di mercato, vengono
trattati, si emettono delle obbligazioni su questi permessi ad
inquinare. Per cui quelli che inquinano di meno hanno un surplus di
permessi che possono rivendere, si possono rivendere i prodotti
derivati…ecc. Tutto questo non viene fatto in Norvegia…l’ingegneria
di tutta questa roba viene fatta a Londra. Il sistema finanziario
londinese è mille volte superiore a quello americano. Quello
americano ha un sacco di soldi, ecc., ma il veicolare tutte queste
cose lo fanno molto meglio in Inghilterra. D’altronde, la City of
London non può fare a meno dell’Europa: questo è il punto, il
vero problema. Devono risolvere questo e una volta che riescono a
farlo, secondo me, non avranno difficoltà a trovare un accordo.
Ma
nessuno parla, eccetto il Financial Time, ma bisogna
leggere quel giornale che significa far parte della élite della
élite. E le élite non si possono imbrogliare tra di loro con la
propaganda, con il populismo e con roba del genere.
Intendo
il populismo per come è stato usato da Johnson e da Corbyn, tutte
cose che non hanno nulla a che vedere con la realtà.
Ora
penso che Brexit ci sarà, fino ad adesso pensavo che non l’avrebbero
fatta, ma ora dovranno farla altrimenti si riapre la crisi nel
partito conservatore. Perché per questa vittoria loro devono
parecchio a Farage. Il quale è vero che a livello nazionale ha preso
solo il 2%, ma se si va a vedere dove i laburisti hanno perso i
seggi, si vede che Farage ha avuto un ruolo molto importante
arrivando fino all’8%. Ovviamente, perché si è ritirato dai seggi
conservatori, dopo una trattativa neanche tanto implicita, quindi i
conservatori pro Brexit non hanno potuto votare per lui e quindi non
ha tolto voti al partito conservatore, ma ai laburisti. Ripeto: le
circoscrizioni “rosse” sono per Brexit!
I
laburisti hanno avuto perdite sia dal fronte Brexit, sia in quello
liberale. Solo che le perdite sul fronte liberale non hanno prodotto
guadagno per qualcuno, mentre quelle sul fronte Brexit hanno fatto
perdere sessanta seggi e hanno fatto guadagnare 48 seggi ai
conservatori. Lì è stata la batosta.
Ci
sono delle zone dove il partito laburista ha perso il 20, il 24%…sono
sconfitte gigantesche. In quelle zone non si potrà riprendere e non
si riprenderà nelle zone della middle class. In queste
zone non sarà il partito laburista a riprendersi, semmai saranno i
liberaldemocratici.
I
laburisti sono in una situazione disastrosa, perché non sono in
grado di essere, come si dice in Italia, il partito delle periferie o
dei centri urbani. In Gran Bretagna non esiste l’equivalente. Non
possono sicuramente essere il partito della middle class.
Questo
significa che non sono ancora usciti dall’impatto di lungo periodo
del blairismo. Blair li ha staccati dalla classe operaia britannica
che era compatta a favore dei laburisti. Blair ha tatcherizzato il
partito laburista e la sua politica e ora non sono né carne né
pesce. Secondo me, Corbyn rappresenta bene questo non essere né
carne né pesce. Non è che Corbyn non dica cose di sinistra,
storicamente lui è il leader laburista che negli ultimi 20-30 ha
detto le cose più di sinistra. È facile dire cose di sinistra…
Ma
il problema non è dire cose di sinistra, ma capire come funziona lo
Stato britannico. È capire cosa che rapporto c’è tra quello che
vuoi dire e il funzionamento dello Stato; come il tatcherismo, il
blairismo e poi Major hanno modificato lo Stato. Proprio il
funzionamento dell’apparato statale, che non è una cosa neutra, ma
funzionale ormai alle esigenze della City. Anche tutto quello che
riguarda l’industria è gestito dalle multinazionali. La vera
industria che funziona è quella delle multinazionali, non inglesi,
ma straniere e il complesso militare-industriale, completamente
legato agli Stati Uniti. Occorre avere una visione dello Stato, non
dire “io farò una politica anti austerità”. Non si può, in
altri termini, applicare l’idea della neutralità dello Stato, in
Inghilterra è impossibile. Poteva, forse, essere applicato – anche
se secondo me quasi mai si può impiegare – nel periodo in cui
c’era Bevin, o Gaitskell, cioè politici abbastanza riformatori, su
certe cose anche i conservatori, in un quadro occidentale stabile.
Tutto questo è stato interrotto in Gran Bretagna da Margareth
Thatcher e da Tony Blair. Lo sviluppo del thatcherismo è stato
realizzato da Blair.
Per
esempio: Margareth Thatcher ce l’aveva con il sistema nazionale
sanitario, che era una delle cose più belle del mondo. Io ho ancora
una ferita che mi è stata curata in un ospedale a Londra nel 1968. A
quell’epoca entravi in un ospedale ed era tuo diritto come essere
umano di essere curato. La ferita me l’ero fatta partendo da Parigi
infilando un dito nella valigia, in aeroporto prima dell’imbarco,
chiudendo rapidamente la chiusura lampo della valigia. Erano ancora
cerniere grosse: insomma mi sono preso il dito, che si lacera,
sanguinando. Io dovevo imbarcarmi e quindi ho messo intorno io
fazzoletto, poi ci ho versato della Eau de Cologne…Poi
due giorni dopo mi ha fatto il pus e sono dovuto andare in
ospedale dove mi hanno chiesto soltanto nome, cognome e se avevo un
referente a Londra e basta. Non ho fatto altro, non ho mostrato un
documento, niente! Un’altra volta mi sono fatto curare un dente,
sono andato da un privato, ma era tutto calmierato dal pubblico
quindi mi è costato quasi niente, pochissimo.
La
Thatcher odiava questo sistema sanitario e ha cercato di
smantellarlo, ma senza riuscirci. Chi ci è riuscito? Blair, perché
ha introdotto il subappalto, che è stato copiato anche in Italia,
come partnership tra pubblico e privato, che era il modo per
privatizzare il pubblico. Quindi il pubblico diventa una fonte di
rendita per il privato. Un po’ come le autostrade italiane con
Benetton, ecc.
Anche
la strategia di mantenere formalmente il sistema sanitario come
prima, nel senso che hai diritto a curarti, ma se poi aspetti un
anno, magari, anche per malattie gravi. Quindi in pratica non è più
agibile, non ci puoi più accedere: non c’è una barriera di
prezzo, ma di tempo. Tutto questo è accaduto con Blair.
Corbyn
non poteva cambiare le cose, perché non c’è nessuna analisi nei
suoi discorsi. Nessuna analisi della struttura economica della Gran
Bretagna, non c’è niente. C’è la dimensione declamatoria e
retorica tipica del radicalismo laburista inglese che dice: “noi
faremo per i poveri, per i lavoratori…” e sai chi se ne
frega…Sono parole che lasciano il tempo che trovano. È questa la
cosa, per cui per me questa sconfitta era assolutamente inevitabile.
Anche
se alle elezioni del 2017 molta gente ci aveva creduto, ma poi si è
spappolato. Tutto il partito laburista non aveva nessuna analisi
dell’economia politica britannica, della struttura industriale, di
quella economica, dei rapporti di classe e del ruolo dello Stato in
Gran Bretagna e quindi non poteva avere una posizione chiara su
Brexit o non Brexit. Infatti loro hanno finanziato tutti: hanno perso
voti sia verso i conservatori pro Brexit che verso i
liberaldemocratici. Hanno fatto acqua da tutte le parti. Ma i voti
determinanti che gli hanno fatto perdere sono quelli verso i
conservatori, direttamente e indirettamente, che nei seggi laburisti
hanno guadagnato veramente tanto, il che significa che nei loro seggi
hanno perso qualcosa a favore
dei liberaldemocratici, che sono il partito dell’Europa.
Per uscire dalla crisi ci sarà bisogno di un ripensamento e di
un’analisi sociale della Gran Bretagna. Anche se temo che non
ne uscirà.
RP.
In questo quadro molto fosco che hai delineato, c’è il punto della
Scozia. Dove hanno vinto gli indipendentisti che chiedono un altro
referendum per staccarsi dalla Gran Bretagna e restare in Europa.
Alcuni pensano che la Scozia possa avviarsi verso una dinamica di
tipo catalano. Cosa ne pensi?
JH.
Ma intendi “dinamica catalana” perché è finita in una
buffonata…
RP.
Mi riferivo all’inizio della vicenda catalana, non al suo finale…
JH.
Secondo me, in Catalogna c’era all’inizio molta sceneggiata
programmata da parte dei vari Puigdemont, in Scozia c’è gente
seria e anche simpatica, che poi sono scozzesi indiani, scozzesi del
Bangladesh. Se prendi il parlamento scozzese è di questo tipo. Figli
di immigrati, che poi sono diventati nazionalisti scozzesi.
Non
penso che ci saranno colpi di scena di quel genere. C’è un
elemento di realtà forte. Forse loro ricominceranno la storia per
acquisire maggiore autonomia o puntare a un’indipendenza statuale,
rimanendo economicamente all’interno del Regno Unito. Perché
accedere da sola all’UE per la Scozia è come se provincia di
Viterbo volesse diventare parte della Lombardia.
Tutto
il sistema economico scozzese è proprio fuso con quello inglese,
proprio con l’Inghilterra. Quindi, non possono staccarsi. A me
sembra che si possa fare, pur sapendo che ogni condizione storica è
diversa, la previsione che andranno verso una soluzione simile a
quella del Québec in Canada, dove dicono “partiam, partiam…”
però non partono. Il Québec ha molta flessibilità, perché il
sistema istituzionale canadese permette molta autonomia alle
provincie, per cui (in Québec, ndr) loro, lavorando di gomito, hanno
acquisito ulteriori autonomie e per questo dicono “partiam,
partiam…” e non se ne vanno. Perché non possono andarsene per il
gusto di farlo, perché l’economia del Québec è completamente
integrata a quella dell’Ontario, che è a due passi, con quella
dell’America del Nord.
Secondo
me, se fossi scozzese agiterei la bandiera dell’indipendenza per
ottenere maggiore autonomia, ma di staccarsi dalla Gran Bretagna e
dal Regno Unito penso che sia proprio impossibile. Poi i pazzi ci
stanno pure, quindi…
RP.
Di quelli c’è abbondanza ovunque…
JH.
Loro (gli scozzesi, ndr) sono più sobri e più intelligenti e meno
sbruffoni dei Puigdemont e roba simile…
RP.
Un’ultima domanda. Nel quadro di spostamento a destra a livello
europeo, questa vittoria schiacciante e soprattutto così sbandierata
dei conservatori britannici, che ricaduta può avere?
JH.
Penso che la Gran Bretagna sia profondamente diversa dai regimi
parlamentari dell’Europa continentale e occidentale, dove ci sono
porzioni diverse (per esempio in Francia o in Germania) di
proporzionalità. In Gran Bretagna le elezioni hanno segnato la
vittoria dei conservatori se non in termini parlamentari, che sono
andati avanti dell’1,2-3% e insieme a Farage hanno preso il 3 e
qualcosa per cento in più. Lo spostamento verso le forze
liberali, europeiste, di poco oltre il 6%, solo che questo
spostamento è stato del tutto inutile. Quindi è stata una sconfitta
laburista, non una vittoria della destra.
Ma
non so se la destra europea può giocarsi la vittoria dei
conservatori britannici perché c’è la peculiarità della Brexit.
Anche la Le Pen è tornata indietro sulla critica all’Europa e ora
si concentra prevalentemente sull’immigrazione e sull’esclusione.
Ossia, ha preso moltissimi temi che dovrebbero essere della sinistra.
Anche sulla questione dell’Euro ha fatto marcia indietro, prima era
molto contro l’Euro. È stato sempre molto difficile giocarsi i
temi politici britannici in Europa, direi impossibile. La Gran
Bretagna è spesso riuscita a mettere zeppe politiche in Europa.
Anche nell’ ‘800 il loro problema principale era di evitare la
formazione di grosse potenze europee, di mettere l’uno contro
l’altro. Anche i loro rapporti con la Russia. Prima l’appoggiano
sulla Grecia per andare contro la Turchia, quando nel 1823 fu la
Russia a creare l’indipendenza greca, poi dopo, con la guerra di
Crimea, si schierano contro la Russia e a favore della Turchia…
La
loro politica è sempre stata questa. Certo, le destre
nazionaliste dell’Europa continentale la possono giocare
propagandisticamente. Ma allora dovrebbero però dire una cosa: la
gente ha votato per i conservatori, perché i lavoratori e i
disoccupati sono contro l’immigrazione europea, non contro quella
dall’Africa. Poi magari sono anche contro l’immigrazione africa,
ma è un’altra cosa. Perché lì era questo il punto.
A
Dover potevano avercela con quelli della Giungla di Calais (1), ma
per loro non è questo il fenomeno di massa. Tant’è che quando
hanno scoperto qualche tempo fa, io ero in Inghilterra, un camion con
molte persone morte asfissiate dentro quell’episodio ha generato
più shock che altro. Il loro problema è l’immigrazione dalla
Lituania, dalla Lettonia, ecc. Quindi non possono dire che hanno
votato contro l’immigrazione, perché appena lo dicono
gli eurocontinentali devono imbrogliare. Perché il vero
problema è pensare che le regole europee permettono agli europei di
andare in Gran Bretagna e portar via il lavoro. In Gran Bretagna ci
sono 3 milioni di europei…contro 1 milione di britannici in Europa.
L’altro
elemento che ha avuto un ruolo importante, soprattutto all’epoca
del referendum su Brexit, è stato quello di dover pagare – ma
hanno imbrogliato sulle cifre non calcolate al netto – circa 350
milioni a settimana all’Europa, ma non hanno detto che ricevevano
anche dall’Europa. Insomma, un grande imbroglio messo su da Farage.
Poi hanno votato per la Brexit in zone dove l’Europa manda aiuti,
perché i fondi strutturali funzionano su base regionale e non per
Paese. Quindi anche se la Gran Bretagna ha un reddito tale per cui è
contribuente netta all’Europa per la costituzione dei fondi
strutturali, tuttavia riceve anche molto. In Galles, l’agricoltura
non può restare in piedi senza i sussidi europei, cioè le zone
depresse del nord ricevono, in quanto tali, sostegno dai fondi
strutturali europei. Allora la deindustrializzazione britannica non è
dovuta all’Europa, perché questo è avvenuto per la fuga del
capitale britannico…Hic sunt peciones (2)… Come sta
avvenendo in Italia.
Però
la reindustrializzazione britannica è un fatto reale, perché oggi,
in un contesto in cui le cose non vanno tanto bene da nessuna parte,
la Gran Bretagna ha un tasso di industrializzazione in termini di
occupazione e di PIL, si può verificare, superiore o
vicino alla Francia, dove la deindustrializzazione è
maggiore.
NOTE
1)
Si riferisce ad un grande accampamento in cui le condizioni di vita
erano precarissime costruito
alla
periferia di Calais dove erano concentrate migliaia di persone che
arrivavano dalla cosiddetta
via
balcanica e dall’Italia dopo l’aumento degli arrivi dalla Turchia
nel 2015. Molte volte le autorità
francesi
lo hanno sgombrato, l’ultima volta nel 2018. Veniva chiamato la
Giungla per le condizioni
indecenti
e disumane. Da lì i profughi cercavano in ogni modo di raggiungere
la Gran Bretagna.
(NdR)
2)
Pecione è un termine romanesco che sta per pasticcione che fa danni:
“Qui ci sono i pecioni”
Nessun commento:
Posta un commento