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Bisogna ammettere che i media mainstream hanno creato un senso comune fasullo, ma decisamente “forte”, tale per cui la Germania attuale non è criticabile. Qualsiasi porcata faccia (e ne ha fatte molte, alcune delle quali oltre limite della rapine, come nel caso della Grecia, affossata per salvare le proprie banche troppo “esposte” verso quel paese).
Siamo perciò al punto che soltanto un tedesco può oggi prendersi la libertà di dire qualcosa di sgradevole nei confronti del pensiero economico dominante nel proprio paese, e che notoriamente passa sotto il nome di ordoliberismo. Ovvero liberismo totale (le imprese e i loro interessi sono al posto di comando), ma lo Stato crea le condizioni (l'”ordine”) per cui questa dominanza possa esprimersi senza ostacoli, anzi, con tante facilitazioni.
Nell’imporre questa visione teorico-ideologica-concretissima anche alle istituzioni europee, ispirandone i trattati e i criteri di funzionamento, la Germania è riuscita nel capolavoro di concentrare sul proprio sistema produttivo e finanziario tutti i vantaggi di una Unione di mercato di quasi mezzo miliardo di abitanti senza mai rischiare di condividere gli oneri di una vera unione politico-statuale.
La sintesi di questi vantaggi unilaterali sta nella libertà di sforare ogni parametro di Maastricht senza mai incappare in nessuna “censura” comunitaria. Prima sforava il deficit ma veniva perdonata perché stava pagando i costi dell’unificazione con la Ddr, poi ha cominciato a sforare – e alla grande – sistematicamente il surplus, ma viene sempre perdonata perché “non si possono punire i virtuosi”. E dire che anche uno studente del primo anno capisce che, in una economia “chiusa” dalle stesse regole se qualcuno va in surplus qualcun altro dovrà andare per forza in deficit…
Ma il vero problema della “teoria economica” dominante in Germania è che… non funziona. E’ un falso clamoroso, una sciocchezza spacciata per “scienza”. Una truffa sul piano della teoria che serve a coprirne decine di altre su quello pratico.
Questa analisi impietosa di Heiner Flassbeck aiuta a ricostruire le ragioni storiche e teoriche di questo “grande abbaglio” che sta distruggendo da circa 20 anni l’economia europea e, da diversi mesi, sta intaccando ora anche l’economia tedesca.
Come accade ai tossicodipendenti, però, questa crisi cancerosa non viene attribuita a un “errore di sistema” ma una insufficiente applicazione delle regole bacate del sistema. E quindi le “nuove regole” che si stanno discutendo ai tavoli europei – dal Mes a Solvency II, alla politica monetaria della Bce – vanno tutte nella direzione del “rafforzamento” della garrota che strangola tutti.
Contando sul fatto che la morte altrui – delle economia mediterranee, in primo luogo – sarà una buona occasione per mantenere in vita, ancora un po’, quel sistema moribondo, export oriented in tempi di guerre commerciali globali e quando non si ha più quasi nulla da offrire ai “mercati” in termini di innovazione tecnologica (depressa per troppa “austerità”).
Buona lettura. (Contropiano)
Il
mondo ha un problema con la Germania. In Germania, tuttavia, le
persone non sono completamente disposte ad ammetterlo. La Germania è
diventata un esempio eccellente di dissonanza cognitiva collettiva.
I
tedeschi, nel complesso, vorrebbero essere buoni europei. Il problema
è che vorrebbero essere i migliori europei. Ma le
due cose non vanno insieme: non puoi essere un buon europeo e il
miglior europeo allo stesso tempo.
È
la stessa storia a livello globale. I tedeschi vorrebbero essere
cittadini del mondo alla pari, aperti, tolleranti ed eloquenti. Ma,
ancora di più, vorrebbero avere il ruolo di modello globale:
salvatore del clima, utilizzatore del vento, adoratore del sole,
àncora di stabilità e la più potente nazione commerciale del mondo
– tutto allo stesso tempo.
Anche
l’unione monetaria tedesco-tedesca è stata un completo successo,
secondo questo metro. Chiunque veda le cose diversamente nella
Germania dell’Est non ha capito cosa hanno fatto i tedeschi
occidentali per liberarlo.
Anche
se è ovvio che l’aspirazione e la realtà sono spesso molto
distanti, le persone in Germania sono convinte che questo debba
essere il caso, perché altrimenti non c’è semplicemente modo di
procedere. Gli europei devono rendersi conto che abbiamo a cuore solo
i loro migliori interessi. Il mondo deve rendersi conto che siamo gli
ingegneri superiori. E gli Ossis (tedeschi orientali) devono capire
che la nostra economia di mercato è il sistema superiore. Bisogna
usare il giorno della riunificazione tedesca (3 ottobre) per
riflettere sul modo di pensare tedesco (occidentale).
Sia fenice che pedagogo
Il
grande disastro è iniziato con l’Unione monetaria europea e il
nuovo secolo. La Germania, già da anni ossessionata dall’idea di
dover mostrarsi al mondo con una competitività superiore e
condizioni eccellenti per gli investitori globali, era riluttante a
integrarsi nell’Unione monetaria europea, ma ha rapidamente
riconosciuto l’enorme potenziale offerto da questa Unione. Il
“miglior settore a basso salario del mondo” che una coalizione
rosso-verde aveva creato – combinato con un’enorme pressione
politica sui sindacati – alla fine ha ottenuto il successo con un
sistema a moneta unica che la Germania, sotto il cancelliere Helmut
Kohl, aveva cercato invano per 16 anni di realizzare.
E
in effetti, come una fenice dalle ceneri, il “malato d’Europa”
si alzò e mostrò agli altri come funziona la moderna politica
economica. L’euro era debole, ma la Germania divenne sempre più
forte. Come se fossero necessarie prove, arrivarono la crisi
finanziaria globale e la crisi dell’euro e la fenice divenne
l’aquila tedesca che – attraverso la Grecia, la Spagna e il
Portogallo – impartì al mondo intero una lezione sulla corretta
politica economica e finanziaria.
Finalmente!
Nella storia tedesca era stato raggiunto il punto in cui il popolo
tedesco unito poteva scrollarsi di dosso i pesi del passato e
diventare una grande potenza europea. La Germania era di nuovo una
forza da non sottovalutare. La Germania era il donatore più
importante, la più importante ancora della stabilità, il partner
commerciale più importante e di gran lunga la voce più importante
quando si tratta di stabilire le regole di legge su coloro che
avevano peccato, che si erano arricchiti a credito e che ora dovevano
essere chiamati a rendere conto dei loro errori.
Ma
i tempi stanno cambiando. Il successo dell’operazione europea sotto
la guida tedesca è stato scarso. L’unico che ne ha approfittato
ininterrottamente era il chirurgo stesso. La Grecia è affondata
nella miseria e per oltre dieci anni il resto dell’Europa non è
riuscito a liberarsi dalle catene che le erano imposte dallo spirito
tedesco e dalla lettera dei trattati dettati dalla Germania.
Sempre
più voci si sono sollevate chiedendo come potesse essere che, in
un’unione di pari, un paese ne trasse un profitto permanente mentre
gli altri continuavano a languire. Come mai, la domanda è stata
posta, la superiorità tedesca non si è rivelata un fenomeno
temporaneo? Come può essere che gli altri debbano fare lo stesso
della Germania quando è ovvio che non tutti i paesi possono fare lo
stesso?
Trump come gamechanger
Poi
è arrivato Trump. Ha detto apertamente ciò che molti pensavano, ma
non osavano dire: “La Germania è cattiva, molto cattiva”. Paul
Krugman, raramente d’accordo con il presidente americano, ha
recentemente parlato del fatto che il mondo ha un problema con la
Germania.
In
Italia nel 2018 è stato eletto un governo che è stato
immediatamente accusato dai media tedeschi di aperta ostilità nei
confronti della Germania, anche se in fondo ha messo in parole solo
ciò che molti in tutta Europa nel frattempo avevano capito.
Perfino
il Fondo monetario internazionale, che aveva accolto esplicitamente
la presenza della Germania come partner nella Troika, a causa della
sua rigorosa “dittatura” di austerità sull’Europa, ha iniziato
a capire che l’operazione greca era stata un completo fallimento.
Sempre
più persone nel mondo e in Europa hanno preso le distanze da questo
tipo di politica, soprattutto da quando nelle discussioni
internazionali è diventato sempre più chiaro che l’insistenza
della Germania sull’austerità e la libertà dal debito non era
l’espressione di un modello superiore, ma semplicemente il
risultato di mercantilismo e mentalità da vicino-dei-mendicanti, che
non possono essere imitati da nessun altro paese o gruppo di paesi
della stessa dimensione e ha avuto conseguenze fatali per il
commercio internazionale e l’euro.
Ma
più forte è la critica internazionale, più incomprensibile è
l’atteggiamento sul suolo di casa. In Germania, la maggior parte
del “complesso politico-mediatico” insiste ancora sulla posizione
secondo cui tutto è sempre stato fatto correttamente e che qualsiasi
insuccesso può essere spiegato dalla caparbietà o
dall’intransigenza dell’altra parte.
La BCE come oggetto di odio collettivo
Ma
la spina nel fianco della Germania è la BCE. Situata nel cuore della
Germania, costruita sul modello della Deutsche Bundesbank, questa
istituzione e il suo presidente italiano hanno avuto l’audacia di
fare praticamente tutto dal 2012, contrariamente al concetto tedesco
di una politica monetaria restrittiva in ogni momento. Che cosa? Una
mano libera per Draghi?
Probabilmente
prima della BCE non c’è mai stata un’istituzione internazionale
che sia andata di traverso a così tanti tedeschi di alto livello in
così poco tempo. Uno dopo l’altro, i funzionari tedeschi hanno
gettato la spugna, ultima Sabine Lautenschläger, l’unica tedesca
dell’attuale Consiglio Direttivo.
Qualunque
sia stato il motivo individuale per lasciare la BCE, il semplice
fatto che, dopo la crisi, del paese che si ritiene infallibile in
materia di denaro e politica monetaria, nessuno sia finora
sopravvissuto fino al completamento del mandato, fa della Banca
centrale europea il bersaglio di attacchi furiosi e di reclami sempre
nuovi dinanzi alla Corte costituzionale federale.
Si
può spiegare questo atteggiamento nei confronti della BCE solo in
termini di isolamento intellettuale della Germania e, forse, di
mancanza di competenze linguistiche. Perfino in Germania si sarebbe
potuto vedere che un’Europa senza successo nel ridurre la
disoccupazione, senza successo nel ridurre il debito pubblico, con
una tendenza deflazionistica crescente e con una palese debolezza
nella crescita, solleva sempre più criticità.
Era
chiaro che una tale diagnosi avrebbe comportato un’analisi
all’interno della stessa Europa, e nel resto del mondo, che non
avrebbero trascurato il ruolo della Germania nella vicenda. E ci si
poteva attendere anche che nel resto del mondo ci fossero poche
persone e politici, nel campo dell’economia, così influenzati da
questioni di fede, come avviene in Germania e in tutto il mondo di
lingua tedesca (tra cui, in questo caso particolare, gli olandesi).
L’attuale
politica dei tassi di interesse della BCE, come mostra in modo molto
vivido e chiaro Friederike Spiecker in una serie di articoli, è il
risultato del fallimento della politica economica e finanziaria (a
livello europeo e in Germania) fin dall’inizio dell’Unione
Monetaria. È perché la Germania ha creduto di poter avere successo
a breve e lungo termine, esercitando una pressione politica sui
propri salari, che la tendenza deflazionistica è emersa proprio
all’inizio dell’Unione Monetaria.
Poiché
la Germania non ha mai ammesso, a se stessa o a chiunque altro, di
aver fatto qualcosa di sbagliato, insistendo sul fatto che i suoi
partner europei avrebbero dovuto emulare la soluzione tedesca, la
tendenza deflazionistica si è rafforzata nel secondo decennio.
Poiché la Germania era già negli anni ’90 del tutto inflessibile
sulla politica fiscale e in seguito ha insistito su una politica di
austerità, all’interno dell’Unione Monetaria è stata bloccata
anche l’ultima soluzione politica che avrebbe potuto offrire una
via d’uscita.
Vecchi dogmi e nuove intuizioni
Ma
tutto questo viene sistematicamente cancellato. Invece di
affrontare i propri errori, l’opinione pubblica tedesca sta
accumulando abusi aggressivi e davvero stupidi sulla BCE e sul suo
Presidente, mentre i politici responsabili si tengono a debita
distanza. In Germania e Austria, e questo è particolarmente vero per
gli economisti che lavorano accademicamente in entrambi i paesi, non
è mai stato riconosciuto come la discussione scientifica
internazionale sul ruolo della politica monetaria sia sostanzialmente
cambiata dalla fine del monetarismo (il libro di Michael
Woodford Interessi e Prezzi, e
la conseguente discussione, hanno sicuramente avuto un ruolo
importante).
Tuttavia,
la BCE non ha potuto ignorarlo perché l’approccio monetarista
tedesco (che Otmar Issing ha anche tentato di ancorare nella BCE, con
la cosiddetta teoria dei “due pilastri”) non ha mai fornito una
base gestibile per la politica monetaria (nemmeno in tempi in cui
la Deutsche Bundesbank – la
banca centrale tedesca – era direttamente responsabile della
politica monetaria in Germania e in alcune parti d’Europa dopo la
fine di Bretton Woods).
La
BCE è naturalmente molto più strettamente coinvolta nel dibattito
internazionale sulla politica monetaria di quanto si possa immaginare
in Germania e nella sua “capitale finanziaria” di Francoforte.
A
differenza della Deutsche Bundesbank, la BCE – e questo è ancora
più importante – è stata fin dall’inizio responsabile
di una vasta area economica relativamente chiusa in
cui fin dall’inizio era
inutile fare affidamento sul mercantilismo a là Schröder
e a là Merkel.
Questo è precisamente uno dei punti che, sebbene ovvio, non sono mai
stati compresi in Germania.
Nel
canone economico tedesco dominante, che è strettamente basato sulla
teoria dell’equilibrio neoclassico, semplicemente non c’è modo
di sviluppare con successo un’economia singola. Uno “ha
bisogno” di paesi stranieri o altri impulsi esogeni per stimolare
l’attività di investimento. L’Europa era e si perde con un
simile approccio.
Il
debito e le generazioni
I tedeschi sono fermamente convinti di
essere un popolo intelligente. Non ci sono abbastanza inventori,
scienziati e filosofi tedeschi per dimostrarlo? Tuttavia, la domanda
è: perché
per decenni un popolo così intelligente non sia stato
in grado di cogliere alcune delle relazioni economiche più semplici?
Un
altro politico tedesco, che molti cittadini considerano intelligente,
ha appena dimostrato di non riuscire a cogliere un semplice rapporto
economico. Peter Altmaier, ministro tedesco dell’economia,
ha pronunciato le due frasi seguenti in un talk show della
scorsa settimana (le
sue osservazioni in tedesco qui): “Il
freno al debito è giusto … lo zero nero è un risultato … Non
voglio sostenere debiti a spese delle generazioni future“. Ancora
e ancora, da Gerhard Schröder ad Angela Merkel e Wolfgang Schäuble,
questo mantra viene ripetuto, sebbene sia chiaramente sbagliato.
Se lo stato emette obbligazioni, cioè assume un debito aggiuntivo,
queste obbligazioni vengono acquistate da una banca o da un
risparmiatore tedesco e, di conseguenza, aumentano i crediti
dell’acquirente.
Per
la società – giovani e meno giovani – i nuovi debiti sono
sostenuti dallo Stato (mediante l’emissione di titoli di
stato) e gli acquirenti di obbligazioni hanno nuovi crediti
sullo Stato sotto forma di titoli che durano dieci, trenta o
anche più anni. Sia i crediti che le passività sono ereditati e, di
conseguenza, la posizione patrimoniale complessiva delle nuove
generazioni rimane completamente
invariata.
Non
è nemmeno necessario entrare nella connessione tra risparmio e
investimento – che non è difficile, ma un po’ più complesso –
per dimostrare che questa frase
sull’onere per le future generazioni
è sbagliata. Eppure, nel 21° secolo,
il ministro federale dell’economia può cavarsela dicendo
queste cose senza dover rassegnare le dimissioni il giorno
successivo, per aver mostrato al grande pubblico che non
ha la più pallida idea sulla materia di
cui è responsabile.
L’isolamento mentale è la strada per il conservatorismo economico
Anche
in Austria ha appena vinto le elezioni un giovane che ha poco altro
da dire, tranne che non
saranno fatti nuovi debiti sotto il suo governo. “Stiamo
mettendo fine alla politica del debito“,
puoi dire apertamente anche in Austria, senza che la stampa o la
comunità scientifica facciano la semplice domanda su chi dovrebbe
quindi sostenere il debito necessario in
ogni economia in cui grandi gruppi, come le famiglie e le aziende,
stanno cercando di risparmiare denaro.
Come
è possibile che le questioni economiche siano discusse
intellettualmente a un livello che, in qualsiasi altra area, sarebbe
visto come un segno di sviluppo ritardato? È davvero solo per il
semplice fatto che i governi conservatori non sono criticati dalla
stampa conservatrice e dagli economisti conservatori per ragioni
ideologiche? È perché l’indottrinamento con l’ideologia
della casalinga sveva inizia con l’infanzia,
continua attraverso la scuola e l’università e per la maggior
parte delle persone non finisce mai?
Seguo
il dibattito economico da diversi decenni. Anch’io non ho una
risposta veramente soddisfacente a queste domande. Mi sembra chiaro
solo che i paesi di lingua tedesca, in particolare, soffrono ancora
del fatto che le grandi controversie che circondano la spiegazione
della Grande Depressione degli anni ’30 non sono state oggetto di
dibattito a causa del Terzo Reich e della Seconda Guerra Mondiale.
Nei
paesi anglosassoni, questa domanda ha plasmato il dibattito economico
per due decenni come nessun’altra domanda, prima e dopo. Lì, il
paradigma del sistema di mercato che funziona in ogni momento era
così scosso che nessuno poteva pensare di far funzionare un’economia
senza affrontare la potenziale instabilità del sistema di mercato.
In
Germania e Austria questi due decenni di ricerca economica critica
non ci sono mai stati.
In
Germania negli anni ’50, la gente era soddisfatta del fatto che
dopo il grande crollo le cose si stavano muovendo verso l’alto e
che poteva esserne ritenuta responsabile “l’economia di mercato”.
Anche all’inizio degli anni ’50, quando in Germania né Bretton
Woods né il keynesismo erano stati veramente fatti propri o
addirittura compresi (anche perché, obbiettivamente, non erano
ancora del tutto compresi), i circoli economici al potere
concordarono sul fatto che la teoria di Keynes era solo una teoria
della crisi, che semplicemente non era adatta alla vita
quotidiana quando la crisi non c’è.
Più
prevaleva la fiaba del “miracolo economico tedesco”, meno Keynes
sembrava rilevante. L’unica interessante storia prebellica fu
l’inflazione dei primi anni ‘20, perché si poteva trasformare la
sua fine in una eroica storia tedesca. Alla fine della Grande
Depressione, a metà degli anni ’30, per ragioni comprensibili,
nessuno voleva creare una storia eroica nel senso del “New Deal”.
L’attenzione sull’inflazione era buona anche, perché dopo la
seconda guerra mondiale si era verificata una breve riacutizzazione
dell’inflazione, cui Ludwig Erhard (come in una nuova storia
eroica) aveva rapidamente messo fine grazie all’economia di mercato
e ai coraggiosi banchieri centrali.
Per
gli economisti tedeschi era quindi positivo che dopo gli shock degli
anni ’70 iniziasse la controrivoluzione neoliberale e
che ciò che la Germania aveva sempre saputo fosse finalmente
“compreso” dal resto del mondo: tutto ciò che fa lo Stato è
malvagio, in realtà il mercato governa ed è supportato da un
governo eletto solo dove è veramente necessario. “L’economia”,
come diceva Otto Graf Lambsdorff (un ex ministro federale
dell’economia), “ha luogo nell’economia”.
Gli
economisti tedeschi furono di nuovo di livello mondiale, in un lampo,
anche se non avevano mai elaborato intellettualmente nulla di ciò
che era accaduto nel frattempo. Basta imparare un po’ di semplice
matematica e acquisire alcuni nuovi metodi econometrici, con i quali
testare i modelli di mercato dell’equilibrio, per avere voce
internazionale in capitolo. Se questa conoscenza fosse o no rilevante
per superare i problemi economici, non era più di interesse per
nessuno.
Il
problema del trasferimento, per citare solo uno degli esempi
importanti, che era collegato con il pagamento delle riparazioni
tedesche dopo la prima guerra mondiale e che era stato
meticolosamente trattato da Keynes, era praticamente sconosciuto in
Germania.
È
proprio questo problema che è diventato di fondamentale importanza
sia durante l’unificazione tedesca che durante la crisi dell’Unione
monetaria europea. Tuttavia, gli economisti tedeschi non hanno ancora
nulla da dire o da fare con questo problema.
Uno
dei grandi paradossi della storia mondiale recente è che il danno
collaterale causato dai decenni tedeschi di ignoranza delle questioni
economiche è stato finora sentito principalmente nella Germania
orientale e nella parte meridionale dell’area monetaria europea.
Ma,
come ha scritto Charles Dickens: “Prima o poi ci sarà una resa dei
conti”…
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