Roberto Fineschi è un filosofo italiano. (Marx. Dialectical Studies) -
Il nesso fra il livello strutturale e quello sovrastrutturale non è immediato. È un errore accettarne l’identità immediata e pensare che lottando contro uno dei due lati, immediatamente si lotti anche contro l’altro.
Chiarito ciò è possibile comprendere il carattere non rivoluzionario o addirittura reazionario di alcuni movimenti politici attuali.
Il
seguente articoletto mira a esporre in termini inevitabilmente
schematici ma spero chiari e orientativi alcuni posizionamenti
politici a livello sia strutturale
che sovrastrutturale [1].
Ciò permette di descrivere almeno a grandi linee fenomeni in atto.
Gli schieramenti politici indicati riflettono orientamenti
individuali che non immediatamente corrispondono a partecipazione
attiva a un partito, ma a un modo di vedere. Tutte le mediazioni
vanno ovviamente svolte per fornire un’analisi più adeguata. Qui,
schematicamente, si pongono delle basi per procedere in questo senso.
Nella
tabella che segue, nelle colonne si considerano cinque questioni di
fondo, 3 a livello strutturale, 2 a livello sovrastrutturale.
Per il livello strutturale:
A1) essere favorevoli o meno al (per adesso non meglio specificato) capitalismo;
A2) essere favorevoli o meno a una sua regolamentazione che includa l’intervento diretto dello Stato (o altra istituzione per lui) nella gestione della riproduzione sociale, ma senza uscire dal contesto capitalistico.
Come accessoria, si aggiunge una terza posizione A3), vale a dire essere o meno favorevoli alla presenza dello stato sociale (o in subordine di soli ammortizzatori sociali).
A livello sovrastrutturale tutto è ridotto a due nozioni base:
B1) essere favorevoli o meno all’universalità del concetto di persona;
B2) essere favorevoli o meno alle istituzioni rappresentative parlamentari e alla divisione dei poteri classica borghese.
Nelle righe invece si hanno 10 posizionamenti politico-ideologici possibili (numerati progressivamente da 1 a 10).
Negli incroci tra righe e colonne, la “V” sta per “sì”, la “X” sta per “no”.
Per il livello strutturale:
A1) essere favorevoli o meno al (per adesso non meglio specificato) capitalismo;
A2) essere favorevoli o meno a una sua regolamentazione che includa l’intervento diretto dello Stato (o altra istituzione per lui) nella gestione della riproduzione sociale, ma senza uscire dal contesto capitalistico.
Come accessoria, si aggiunge una terza posizione A3), vale a dire essere o meno favorevoli alla presenza dello stato sociale (o in subordine di soli ammortizzatori sociali).
A livello sovrastrutturale tutto è ridotto a due nozioni base:
B1) essere favorevoli o meno all’universalità del concetto di persona;
B2) essere favorevoli o meno alle istituzioni rappresentative parlamentari e alla divisione dei poteri classica borghese.
Nelle righe invece si hanno 10 posizionamenti politico-ideologici possibili (numerati progressivamente da 1 a 10).
Negli incroci tra righe e colonne, la “V” sta per “sì”, la “X” sta per “no”.
A1
|
A2
|
A3
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B1
|
B2
|
|
Capitalismo
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Intervento statale diretto
|
Stato sociale
|
Personalità universale
|
Istituzioni rappresentative
|
|
1. Destra liberale
|
V
|
X
|
X
|
V
|
V
|
2. Liberali moderati progressisti
|
V
|
X
|
V- (Con “-” = solo ammortizzatori sociali).
|
V
|
V
|
3. Liberali moderati conservatori
[2]
|
V
|
X
|
V- (Con “-” = solo ammortizzatori sociali).
|
V- (Con “-” = con difficoltà a estendere alcuni diritti a
determinate categorie).
|
V
|
4. Socialdemocrazia progressista
|
V
|
V
|
V
|
V
|
V
|
5. Socialdemocrazia moderata/conservatrice
|
V
|
V
|
V
|
V- (Con “-” con difficoltà a estendere alcuni diritti a
determinate categorie).
|
V
|
6. Fascismo liberista
|
V
|
X
|
V
|
X
|
X
|
6*. Variante populista meno
violenta/autoritaria/militare
|
V
|
X
|
V
|
X
|
V- (Con “-”, con forte sbilanciamento sull’esecutivo).
|
7. Fascismo protezionista
|
V
|
X- (Con “-” solo protezionismo doganale con l’estero).
|
V
|
X
|
X
|
7*. Variante populista meno
violenta/autoritaria/militare
|
V
|
X- (Con “-” solo protezionismo doganale con l’estero).
|
V
|
X
|
V
|
8. Fascismo corporativo
|
V
|
V
|
V
|
X
|
X
|
8*. Variante populista meno
violenta/autoritaria/militare
|
V
|
V
|
V
|
X
|
V
|
9. Anarchici, movimentisti
|
X
|
X
|
V
|
V
|
X
|
10. Comunisti (in contesto capitalistico)
|
X
|
V
|
V
|
V
|
V
|
Molti equivoci apparentemente sorprendenti nascono da un errore fondamentale: accettare l’identità immediata di struttura e sovrastruttura, quindi pensare che essere contro uno dei lati A (struttura) o B (sovrastruttura) immediatamente significhi essere contro il sistema che produce la relazione determinata A/B. O credere che lottando contro uno dei due lati, immediatamente si lotterebbe anche contro l’altro. Invece la loro è una identità mediata.
Mediato
significa che la sovrastruttura (B) si è certo prodotta e si è
determinata grazie all’affermarsi del modo di produzione
capitalistico, sono quindi A e B parte della processualità storica
del modo di produzione capitalistico, ma tanto A quanto B possono
configurarsi in diverse maniere tutte possibili in diverse fasi di
sviluppo dei capitalismi storici.
Pensare le mediazioni è la chiave. I cortocircuiti pratici e
ideologici nascono dall’intendere l’identità capitalismo=diritti
universali dell’uomo/istituzioni rappresentative in una piatta
maniera intellettualistica. Se si confronta la tabella si vede come
struttura (A) e sovrastruttura (B) abbiano invece diverse
corrispondenze possibili che possono unire posizioni apparentemente
tra sé opposte. Se invece si prende l’identità piattamente
possono succedere cose curiose, ma in realtà perfettamente
conseguenti:
1) Abbracciare
la personalità universale (B1) ed essere in questo antifascisti. Ciò
tuttavia non significa necessariamente essere contro la struttura A1
da cui il fascismo viene prodotto, ovvero il capitalismo
crepuscolare [3].
Non significa necessariamente neanche essere socialdemocratici o “di
sinistra”. Infatti B1 mette insieme comunisti, liberali puri,
liberali morbidi, cattolici progressisti o moderati che siano, ecc.
Ovviamente tutti costoro non saranno più d’accordo quando si
tratterà di modificare la struttura, oppure di andare fino alla fine
dei diritti personali estendendoli a categorie “controverse”;
oppure quando si tratterà di parlare delle istituzioni che devono
gestire il processo sociale. B1 puro è un fronte largo che si unisce
solo a livello sovrastrutturale a seconda dei periodi e dei momenti.
Può abbracciare da 1-5 a 9-10. Esso si
sfalda non appena si passa a una fase propositiva.
È il grande mondo dei girotondi, del popolo viola,
delle sardine ecc.
Considerazioni analoghe si possono applicare ad altri temi
trasversali come quello ecologista.
Idem per vegani,
specisti e
via dicendo. Si tratta di questioni che finché
restano sul piano astratto dei diritti e non riguardano tematiche
strutturali non destano problemi sostanziali e possono unire larghi
fronti trasversali.
Ovviamente, per diventare operativi, è necessario configurare
pratiche politiche determinate e qui i grandi schieramenti si
disgregano o addirittura si disintegrano.
2)
Un ampio fronte trasversale può unire i posizionamenti 4-10. Sono i
casi di rivolta per coercizione legata a progetti o eventi
particolari che toccano trasversalmente la popolazione, o per crisi
economica nella quale la condizione di indigenza relativa spinge a
manifestare contro il “sistema” anche in maniera violenta a
prescindere dalle alternative auspicate. Nella consapevolezza degli
attori, quando c’è, sistema qui non significa necessariamente
capitalismo, ma organizzazione del potere, quindi non necessariamente
il movimento è anticapitalista. Gli obiettivi degli attori non sono
dunque sempre chiari sia in quanto sono dettati dalle circostanze
difficili ma anche per la natura composita del movimento che, al
momento di sviluppare soluzioni, si dividerà a seconda del proprio
posizionamento che si può differenziare anche di molto (vedi le
posizioni 4-10). Anche qui il rischio disgregazione è reale, anche
per la mancanza di strutture organizzative di mediazione in grado di
comporre le diverse anime. La nuova unione sarà dettata da una nuova
situazione di indigenza relativa o dal persistere dell’evento
coercitivo. Qui
possono rientrare i gilet
gialli,
i no tav, ecc. È
questo un primo fronte di contatto dei rossobruni,
l’avversità a 1-3. Il populismo è il tentativo di egemonizzare
questo ampio fronte 4-10 (o 6-10 in forma ristretta) in chiave
conservatrice.
3) Pensare
di essere anticapitalisti negando l’universalità dei diritti umani
(B1) e le relative istituzioni (B2), perché si crede (o meglio non
si capisce e quindi ci si immagina) che negando la sovrastruttura si
negherebbe immediatamente anche la struttura (A1); oppure modificando
la struttura in forma corporativa.
Solo se si vuole superare il determinato nesso
struttura/sovrastruttura (A/B) si è anticapitalisti, altrimenti si
tratta della rivolta romantica regressiva tipica del capitalismo
crepuscolare. È questa un’altra palude di contatto dei rossobruni.
È la situazione che va a toccare gli schieramenti 6-10. Del
capitalismo, ma forse più facilmente percepito come generico
“potere”, si vuole buttare via tutto, ma in realtà si finisce
per buttare via solo la parte sovrastrutturale progressiva e tenersi
la parte strutturale, in forma meramente dispotica. Storicamente,
questa forma dispotica si è abbinata a vari tipi di organizzazione
economica, dalla liberista (7), alla corporativa (8), alla
neoliberale (6). Essa, nella sua fase corporativa (8), può sembrare
“di sinistra” perché introduce riforme di struttura e stato
sociale; non lo fa tuttavia in maniera universalistica, tanto meno
intende eliminare la società di classe.
4)
Posizioni e fronti intermedi. Il fronte liberale è rappresentato
dalle posizioni 1-3. In Italia il PD è 2, Forza Italia oscilla tra
1, 3 e 6*. Le loro differenziazioni sono di dettaglio e quindi
facilmente finiscono per essere d’accordo sulla sostanza delle
cose. È per es. l’Italia della finta lotta tra berlusconismo e
antiberlusconismo [4]. Le loro contrapposizioni riguardano conflitti
tra gruppi di interesse delle stesse classi dominanti. Attraverso le
loro rappresentazioni sovrastrutturali possono legare a sé maggiore
o minore consenso nello stesso contesto 1-3, ma anche negli altri
contesti che possono condividere punti sovrastrutturali, come per es.
l’appoggio alla legge delle unioni civili da parte di comunisti,
socialdemocratici, ecc. La Lega è 7*. Il M5S oscilla tra 2 e 7*. La
Lega, proponendo limitazioni al puro capitalismo, può essere
fraintesa come comunista o socialdemocratica in
quanto condivide punti strutturali ma nega quelli sovrastrutturali.
In realtà essa si orienta da 7* verso 7 (o altre varianti
fascistoidi) e non è certo per il superamento del
capitalismo. L’interesse
“nazionale” è, in realtà, l’interesse di una parte della
borghesia nazionale e
solo di riflesso e in circostanze determinate dei lavoratori
nazionali. Tuttavia, in determinate situazioni, le condizioni dei
lavoratori nazionali possono beneficiare (o almeno così può
sembrare) dalla difesa della nazione e questo produce effetti
egemonici che non hanno niente di rivoluzionario in
quanto l’orientamento
è sempre alla valorizzazione del capitale sotto mutate forme a danno
di lavoratori di altre parti del mondo.
5)
Il secondo dopoguerra si è retto sulla convergenza di fatto tra le
posizioni 4 e 5 con supporto sempre di fatto di 10. Tutti attori
scomparsi nel contesto attuale. Questa convergenza era possibile
perché, al di là dello scontro sovrastrutturale, c’era
comunanza di intenti a livello strutturale. Entrambi condividevano
l’idea di una versione democratica di un’economia mix tra stato e
mercato. Ci
si divideva sull’estensione dello stato sociale e poi ci si
scontrava a livello sovrastrutturale, nel caso italiano anche in
maniera radicale, in quanto la variante culturale cattolica imponeva
restrizioni importanti ai diritti personali con
una tentazione da 4 a 8 sempre sottotraccia. Del resto, la struttura
di 8 passa nella sostanza dal fascismo al postfascismo.
6)
Negli Stati Uniti, i repubblicani sono un mix di 1 e 3. I democratici
sono 2. Trump è 7*. La scontro attuale è tra 1-3, blocco
giustamente etichettato come un establishment che mira meramente agli
interessi della valorizzazione senza remore (il neoliberismo),
e 7*, che promuove
e difende altri capitalisti, promettendo un pezzetto più grande
della torta ai lavoratori (che
quindi riesce a farsi percepire come anti-establishment, rompendo con
il neoliberismo puro e i Poteri Forti). Nessuno di loro è contro il
capitalismo. La grande sfida populista è raccordare ed egemonizzare
tutto il blocco 4-10 nella prospettiva 7* contro 1-3 [5].
Questa
classificazione descrittiva è un mero strumento di lettura che non
considera le dinamiche storiche per le quali per es. si passa da una
massiccia partecipazione dello stato al neoliberalismo. Un’effettiva
analisi deve mostrare come dalla struttura si pongano le basi e le
possibilità della dinamica sovrastrutturale in cui poi si gioca
effettivamente la partita delle decisioni politiche e delle scelte
(una gamma finita di possibilità e, dunque, non una univoca
determinazione). Questo è oggetto di studi ben più approfonditi cui
qui non è possibile procedere. Tuttavia, altre considerazioni
generali sugli effetti del malinteso nesso struttura/sovrastruttura
sono possibili.
Note
per pensare l’egemonia populista/fascista a sinistra
Nella
prassi politica, si può consapevolmente barare e cercare di giocare
sull’incomprensione dell’identità mediata di struttura e
sovrastruttura con finalità strumentali. Per es. valorizzare
l’universalismo occidentale (B1) e le istituzioni rappresentative
(B2), che includono la parità di diritti uomo-donna, le elezioni e
le libertà borghesi in genere, in maniera strumentale per
imporre in realtà il capitalismo, o meglio ancora il controllo
imperiale occidentale (basti
ricordare il colonialismo o le recenti esportazioni
di democrazia).
Questo è un uso ideologico del progressismo illuminista che,
ovviamente, non ha niente a che vedere con l’effettiva
generalizzazione di quei diritti,
ma viene semplicemente strumentalizzato per imporre in maniera
violenta la dipendenza da quel sistema economico che in occidente
quei diritti ha prodotto; oppure il razzismo a livello locale facendo
leva sulla “inciviltà” dei migranti.
Qui
però scatta il cortocircuito per cui alcuni
non si oppongono all’uso strumentale di quei valori, ma ai valori
stessi, commettendo l’errore, ormai spero chiarito, di identificare
senza mediazioni struttura e sovrastruttura.
Ci si trova quindi a difendere comportamenti sociali tradizionalisti,
in certi casi barbarici, che mai sarebbero tollerati qui in Europa se
praticati da europei, in quanto immediatamente identificati con le
forze più reazionarie; essi
vengono tuttavia accettati nei non europei perché considerati propri
di altre culture.
Qui purtroppo i begli ideali della “tolleranza”, una volta che si
arriva a confrontarsi su scelte precise, non possono che lasciare il
posto a decisioni autoescludentesi, come per es. essere favorevoli o
meno ai pari diritti fra uomini e donne. Come
si è lottato in passato per la fine del patriarcato maschilista di
matrice cattolica e si è considerato un successo il suo (parziale
ahimè) superamento, non si capisce perché si dovrebbe accettare ad
es. quello di matrice islamica.
Insomma,
questo tipo di multiculturalismo rischia di essere il
cavallo di Troia di un regresso culturale che si accetta perché, di
nuovo, lo si ritiene anticapitalista in
quanto contrario allo “occidente imperialista”, in cui ovviamente
va mescolata - e quindi fraintesa - nello
stesso calderone la giusta lotta contro lo sfruttamento capitalistico
e quella assurda contro la cultura progressista che lo stesso
capitalismo, contraddittoriamente, ha prodotto.
Esso finisce per fare il paio con l’identitarismo locale che, di
fronte alle tradizioni altrui, difende spada alla mano le proprie.
Questo comune atteggiamento anti-universalista porta acqua al
fascismo.
Quello
menzionato è uno dei tanti temi propri del multiculturalismo
astratto, del relativismo assoluto di valori e via dicendo; questo
atteggiamento, presentandosi apparentemente come progressista, o “di
sinistra”, diventa
in realtà un’ideologia reazionaria tutte le volte che esclude a
priori la possibilità di cambiare tradizioni e orientamenti una
volta che si portino buone e ragionevoli argomentazioni per farlo.
Se, insomma, il multiculturalismo, che di per sé è ovviamente una
cosa positiva, diventa la scusa per non cambiare in virtù della
semplice appartenenza a una certa tradizione di un certo
comportamento, perché “intrinsecamente” legato a un certo
contesto culturale e storico, si cade nell’identitarismo a
prescindere, che è di nuovo l’anticamera del fascismo.
Le
varie “identità” infatti, se si ritengono legittimate a
pretendere di non cambiare in virtù di se stesse, non possono
dialogare per trovare alcuna sintesi e il prevalere dell’una o
dell’altra viene delegato, in ultima istanza, alla forza. In
antitesi a ciò, contro
il “relativismo etico” si genera consenso alla promozione della
“nostra” tradizione che non avrebbe altra legittimità se non
quella essere storicamente vincente da questa parte del mondo.
Il tentativo di far prevalere questa tradizione contro lo “attacco
straniero” ovviamente è legittimato meramente in virtù della sua
esistenza qui per molto tempo, non su argomentazioni razionali o
convincimenti dimostrativi. È insomma l’imposizione di una di
queste posizioni tradizionali in forza della sua, per adesso,
posizione di dominio. Va da sé che il contenuto di questa tradizione
“nostrana” rifiuta,
guarda caso, l’universalismo borghese e si rivolge in realtà a una
“nostra” tradizione che è quella pre-borghese,
vale a dire indirizzata
contro gli aspetti sovrastrutturali progressisti del modo di
produzione capitalistico, ma non contro il capitalismo stesso.
È, di nuovo, il retroterra del fascismo e, abbastanza chiaramente,
la linea guida di Lega o Fratelli d’Italia.
L’altro
elemento sgradevole con cui il populismo strizza l’occhio a
“sinistra” è, come si è visto, la contrarietà ai “Poteri
Forti”. I posizionamenti 1-3, che iconicamente li rappresentano,
sono in effetti gli stessi “nemici mortali” della sinistra (non
ci si sta riferendo al PD; il PD in questo schema fa parte dei Poteri
Forti). La differenza sta nel pensare l’alternativa, ovvero nel
progetto di una società diversa in cui si instauri un nuovo nesso
struttura/sovrastruttura non basato sullo sfruttamento. Il populismo
(e il fascismo) invece non sono contro il nesso capitalistico, ma
rappresentano la variante governativa più idonea a gestirne una
certa fase, quella che definisco crepuscolare.
Il
fascismo storico tuttavia ha introdotto “riforme” di struttura,
una rivoluzione/restaurazione la definiva Gramsci, in cui venivano
inseriti “elementi” di comunismo collegati alla regolamentazione
e gestione, in una certa misura, dell’economia nazionale
(corporativismo). Nella misura in cui a ciò si affianca la
concessione di uno stato sociale più o meno esteso (ciò a “difesa”
dei “lavoratori” nazionali, un socialismo nazionale lo si
chiamava), si intuisce come le capacità egemoniche diventino sempre
più forti, soprattutto in mancanza di un’alternativa da sinistra e
all’incapacità assoluta del neoliberalismo di gestire le enormi
contraddizioni che genera.
Note:
[1]
La distinzione tra “struttura” e “ “sovrastruttura” fu
introdotta da Marx nella celebre Prefazione a Per
la critica dell’economia politica nel
1859. Miriadi di interpreti hanno cercato di derivare tutto il
marxismo possibile da questa icastica formulazione; ciò è
ovviamente riduzionistico e, sostanzialmente, sbagliato. Se,
tuttavia, si comprende che cosa si intenda grazie allo studio
del Capitale e
della sua complessa articolazione, nulla vieta di usare queste
categorie come euristici strumenti di analisi e spiegazione. È il
senso in cui si procede in questa sede, facendo salva la necessità
da parte del lettore di una familiarità (o familiarizzazione) con i
concetti teorici più complessi sopra indicati.
[2]
Si può notare che non viene usata l’espressione
“liberal-democratico”; essa è infatti priva di senso teorico e
storico. Tutto ciò che vi è di democratico nel mondo occidentale è
stato nella sostanza ottenuto dalle lotte del movimento dei
lavoratori contro le élites liberali (o altri poteri ancora più
conservatori). Si pensi a titolo di esempio alla travagliata storia
dell’estensione del suffragio universale in Italia. Per non parlare
ovviamente dei diritti sociali, frutto di lotte decennali e non a
caso oggetto della controffensiva di classe capitalistica. Insomma,
il liberalismo, nella sostanza, non è mai stato democratico. Si veda
tra gli altri l’efficace D. Losurdo, Controstoria del liberalismo,
Roma-Bari, Laterza, 2005.
[3]
Su questo mi permetto di rimandare a R. Fineschi, Violenza e
strutture sociali nel capitalismo crepuscolare, in Violenza e
politica. Dopo il Novecento, a cura di F. Tomasello, Bologna, Il
mulino (in uscita).
[4]
Nel caso dell’anti-berlusconismo ha giocato un ruolo chiave la
peculiarità del personaggio e i suoi guai giudiziari che gli hanno
imposto un costante attacco alle istituzioni democratiche. Il PD,
nelle sue varie forme, ha potuto giocare la difesa delle istituzioni
come suo elemento di “sinistra”. A questo punto sarà chiaro come
questo mossa sovrastrutturale, che in realtà è anche di sinistra ma
pure liberale, ha mascherato l’adesione senza remore alle politiche
neoliberali a livello di struttura. Anzi, spesso la cosiddetta
sinistra ha realizzato quelle controriforme che Berlusconi aveva
progettato ma non portato a termine. Agli storici valutare la
responsabilità del PD nello smantellamento delle strutture di
democrazia economica e sociale che si erano create in cinquant’anni
di lotte.
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